QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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IL MIO CUORE CERCA IL TUO VOLTO

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2009 08:30
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13/10/2009 08:29

un certosino

un Certosino

 

Il mio cuore

cerca

il Tuo Volto

 

 

Prefazione

 


«Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”.

Ancora oggi, molti uomini cercano dei maestri che insegnino loro a pregare. Più che una dottrina sulla preghiera, desiderano una testimonianza personale.

Ma rari sono quelli che parlano della loro esperienza di Dio, perché a nessuno piace parlare di sé, e inoltre la preghiera procede da un luogo interiore e segreto, il cuore.

Comunque nelle pagine che seguono il lettore incontrerà la testimonianza di un monaco certosino che fu indotto a scrivere una lunga lettera sulla preghiera del cuore.

Non si può pervenire alla vera preghiera se viene trascurata la partecipazione del cuore, quel fondo del nostro essere, al di là dell’intelletto, della volontà, degli affetti.

E’ nel nostro cuore che Dio ha fatto la sua dimora e ci parla nel silenzio del deserto; è il nostro cuore che diventa ardente quando Gesù ci parla per via e ci spiega le Scritture; è nel nostro cuore che lo Spirito Santo prega in noi gridando Abbà, Padre e intercedendo con gemiti inesprimibili.

Una testimonianza non vuole convincere, né provare, né confutare. E’un invito a fare la stessa esperienza, a vibrare in armonia nelle profondità dell’essere.

Non si comunica la preghiera come si fa della scienza; nessuno la può comprendere se non la riceve. Ad essa ci si può soltanto disporre, nella misura in cui il cuore si apre e si abbandona all’azione di Dio.

Sull’esempio di san Bruno, «quell’uomo dal cuore profondo», il monaco vive di preghiera. Tutto ciò che fa è trasformato dalla preghiera e orientato verso la preghiera, in modo che la sua vita sia un’unica e incessante orazione.

Costantemente proteso verso Dio, alla ricerca del suo volto, egli fa proprie le parole del salmista: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?».


La Preghiera
del Cuore

 


 M’hai chiesto di parlarti della Preghiera del Cuore. Una domanda del genere m’era stata rivolta già alcuni anni fa, ma allora avevo risposto che non intendevo impegnarmi a parlare di un argomento che non conoscevo abbastanza.

Da allora è passato del tempo e ho un po’ più d’esperienza in merito sia per quello che ho potuto constatare presso altri, sia per le scoperte che io stesso ho avuto modo di fare nella mia ricerca del Signore. Dunque ti affido qui qualche mia riflessione, pregandoti, però, di non attribuirle troppa importanza.

Sai che nella spiritualità della Chiesa orientale la preghiera del cuore è il frutto di una lunghissima esperienza. Quello che dirò ha certamente dei punti in comune con questa tradizione, ma mi rendo perfettamente conto di come io la tratti in maniera molto personale. Ciò di cui ti parlerò forse non è la vera preghiera del cuore.

La mia intenzione non è di disegnare un quadro rigido, una struttura fissa. Piuttosto vorrei indicarti una direzione, un cammino su cui impegnarsi, ma di cui non si può dire in anticipo dove andrà a finire esattamente.

La preghiera del cuore non è una meta da raggiungere, è un modo di essere, una maniera di mettersi all’ascolto e di andare avanti.

Per cominciare, se lo credi, prima di metterti a leggere, mettiti in preghiera e domanda allo Spirito del Signore di illuminarci entrambi, poiché non ho altro desiderio che aiutarlo a rischiarare i nostri cuori.

Abbà, sia santificato il tuo nome

Quando mi metto a pregare, non mi rivolgo al Dio dei filosofi e neppure, in un certo senso, al Dio dei teologi. Mi rivolgo a mio Padre o, meglio, a nostro Padre. Più precisamente ancora, mi rivolgo a colui che Gesù, in grande intimità, chiamava Abbà. Quando i discepoli gli chiesero di insegnar loro a pregare, Gesù disse semplicemente: «Quando pregate, dite: Abbà ...». Chiamare così Dio è essere sicuri di essere amati. E’ una certezza che non è dell’ordine delle idee dotte, bensì dell’ordine delle convinzioni intime.

Una certezza ‑ la fede ‑ cui siamo giunti, secondo la nostra impressione, dopo un certo numero di riflessioni, di meditazioni, di ascolto interiore; ma, in fin dei conti, questa certezza è un dono. Nel nostro cuore noi crediamo all’amore perché è il Padre stesso che ci ha mandato il suo Spirito, poiché ormai il suo Figlio è glorificato.

E proprio perché il Padre mi ama io posso rivolgermi a lui in tutta sicurezza e fiducia. Non lo faccio basandomi sui miei meriti, né su solide ragioni, ma lo faccio confidando nella tenerezza infinita per suo Figlio da parte dell’Abbà di Gesù e che è anche il mio Abbà.

***

Lui è Padre. Che significa questo? Lui dà la vita. Ma la dà non come qualcosa di distinto da sé, qualcosa che si può regalare. La dà donando se stesso. L’unico dono che egli può fare è la sua persona; il risultato di questo dono è un Figlio, un Figlio che lo ama senza misura, un Figlio per il quale non ha che tenerezza e che, a sua volta, non è che tenerezza per il Padre.

Questo è l’Abbà a cui mi rivolgo. L’unico che può darmi la vita, una vita perfettamente ricalcata sulla sua, lui mi vuole adesso a sua immagine e somiglianza, non come una aggiunta esteriore a me stesso, ma perché mi genera a partire dalla sua stessa sostanza.

Ecco che cosa voglio dire quando gli chiedo «Abbà, che sia santificato il tuo nome». Che tu sia perfettamente te stesso, Abbà, in me. Che il tuo nome di Padre si realizzi perfettamente nella relazione che si stabilisce tra noi. Abbà, io ti chiedo di essere mio Padre, di generarmi a tua immagine e somiglianza, per puro amore, affinché a mia volta, io possa divenire, per pura gratuità da parte tua, una tenerezza «verso di te».

***

La preghiera del cuore consiste semplicemente nel trovare la strada che mi permetta di avere, riguardo al Padre, questo atteggiamento grazie al quale potrà lui stesso santificare il suo Nome in me. In me e in tutti i suoi figli. Nel suo unico Figlio, formato dell’Unico e di tutti i suoi fratelli.

Pregare significa accogliere il Padre e partecipare alla vita che egli ci dà per grazia. Accogliere il Padre, ossia permettergli di generare il Figlio, di far  nascere il suo regno nel mio cuore. Così lo Spirito potrà produrre tra me e il Padre dei legami indistruttibili, legami di unità che si estenderanno fino a tutti i miei fratelli.

Vedere col cuore

Quale strada dovremo seguire per giungere a quell’incontro col Padre al quale aspiriamo? Quale facoltà è a nostra disposizione per questo? E’ forse l’intelligenza, la capacità di conoscere e di ragionare? Ascoltiamo la risposta di Gesù: «Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelato ai piccoli. Sì, o Padre, poiché così è piaciuto a te» (Mt 11,25‑26).

Ecco una cosa che ha del sorprendente: la strada è chiusa agli intelligenti, a coloro che sanno pensare e calcolare. Non è a loro che Dio ha deciso di rivelare i suoi segreti.

Ma non è forse stato Dio a darci la testa, la capacità di pensare, di rappresentarci le cose, di immaginarle, come mezzo per entrare in contatto con gli altri? Sì, è vero, queste facoltà ci sono state date da Dio. Sono buone. Sono indispensabili. Noi non le disprezziamo. Non le sottovalutiamo. Ma dobbiamo anche saperne vedere i limiti.

Allorché penso a un problema ‑diciamo più precisamente a una persona molto vicina ‑ e la penso con la testa e non col cuore, la tengo distante da me. La afferro, la manipolo, in modo da poterla analizzare a piacimento, senza compromettermi con lei.

In fondo in fondo, non assumo impegni, mantengo le distanze, conservo la mia sicurezza per rapporto a questa persona. Faccio tutto ciò che posso per conoscerla, ma senza lasciarmi coinvolgere o contaminare dal dinamismo che può promanare dal cuore di questa persona. Voglio rimanere libero nei suoi confronti. In taluni casi questo modo d’agire è forse buono. Se, però, voglio amare, non è certo questa la strada da seguire.

***

Gesù continua il suo insegnamento: «Tutto mi è stato affidato dal Padre mio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).

«Tutto mi è stato affidato dal Padre». Ciò significa che tra Padre e Figlio sono state abolite tutte le distanze. Nessuno dei due ha cercato di conservare una sicurezza in rapporto all’altro. Hanno accettato di coinvolgersi reciprocamente.

In tal modo possono conoscersi l’un l’altro di quella conoscenza d’amore che è presentata come un mistero cui possono partecipare solo gli iniziati: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio». Nessuno conosce, perché nessuno apre il suo cuore.

Se vogliamo conoscere il Padre, bisogna accettare di ricevere questa conoscenza del Figlio, nella misura in cui egli vede che il nostro cuore è pronto ad accoglierlo.

Per conoscere veramente Dio, bisogna quindi che io rinunci alle mie sicurezze. Devo eliminare le distanze che il pensiero e ogni sorta di rappresentazione mi permettevano di conservare in rapporto a lui. Devo riconoscere di essere vulnerabile.

Questa vulnerabilità che nascondevo così bene, devo accettarla alla luce del sole, viverla, ossia lasciare che le reazioni vere del mio cuore si esprimano liberamente. Solo così facendo potrò entrare in relazione con il Padre e il Figlio... e tutti gli uomini miei fratelli.

Questo significa, nella realtà concreta, che devo accettare di pormi a livello del cuore, devo dargli il diritto di esistere, di manifestarsi, di esprimersi nel modo che gli è proprio, cioè attraverso sentimenti profondi: fiducia, gioia, entusiasmo, ma ugualmente paura, talvolta angoscia... collera.

Questo non significa vivere a livello della sensibilità superficiale; significa, al contrario, accettare che si sviluppino in noi quei movimenti profondi che ci portano a incontrare l’altro nella verità. Ecco che cosa significa essere «piccolo piccolo»: è colui che si esprime in tutta spontaneità e si lascia prendere dall’amore di colui che gli è davanti. Come ci riesce difficile avere il coraggio di essere piccoli piccoli!

***

Queste riflessioni si situano sia sulla linea del Vangelo che su quella di un processo psicologico normale. Evidentemente i due livelli sono distinti, ma si completano e si compenetrano. Dobbiamo arrivare a cogliere tutto attraverso lo sguardo d’amore che Gesù ha sulle creature e perfino sulle Persone divine.

Ecco che cosa io chiamo «vedere col cuore»: accettare che il Figlio mi riveli il Padre su quel solo piano dove io sono capace di accogliere questa rivelazione, ossia sul piano in cui, secondo il mio essere umano, c’è in me una immagine della relazione d’intimità che esiste tra il Padre e il Figlio: nel mio cuore.

La purificazione del cuore,
purificazione di tutto l’essere
attraverso il cuore

Non è necessario avere una lunga esperienza dell’esistenza umana e più ancora della vita spirituale per sapere che siamo prigionieri di un mondo quasi sconfinato di disordini: peccati, squilibri affettivi, ferite non cicatrizzate, abitudini cattive... Tutto questo costituisce impurità per il nostro cuore.

Poco fa dicevamo che il linguaggio del nostro cuore si situa al livello delle emozioni. Tutti i disordini che ho menzionato sfociano in emozioni sregolate; si esprimono quasi a nostra insaputa; ci comandano; ci dilaniano; chiudono la porta a Dio; ci legano a una specie di automatismo del male. E tutto questo viene dal nostro cuore! «Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore ed è questo che inquina l’uomo. Dal cuore infatti procedono cattivi pensieri, omicidi... queste sono le cose che inquinano l’uomo» (Mt 15,18‑20). Se voglio liberare il mio essere dall’immondizia, devo per prima cosa purificare il mio cuore.

***

Per far fronte a questo bisogno urgente di rettifica, si fa ricorso normalmente a quella che si può chiamare l’ascesi classica. E’ una tecnica sperimentata, messa a punto da lunghe generazioni di monaci, di cristiani, di uomini di buona volontà, decisi a liberarsi dalla schiavitù di cui sono prigionieri.

E’ un impegno che fa ricorso a tutte le risorse della nostra volontà, della nostra energia e della nostra perseveranza, alla luce della fede e dell’amore. Questa ascesi ha i suoi meriti e non bisogna mai smettere di ricorrervi. Ma essa ha anche i suoi limiti.

In particolare, per quanto concerne l’autentica purificazione del cuore, bisogna andare al di là delle tecniche umane. Rileggiamo a questo proposito gli inviti di san Bruno al suo amico Rodolfo:

«Che fare allora, mio caro? Che fare se non credere ai consigli divini, credere alla Verità che non può sbagliarsi? Lei dà questo consiglio a tutti: "Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati e io vi ristorerò" (Mt 11,28). Non è una pena spaventosa e inutile l’essere tormentati dai desideri, di patire continuamente per affanni e angosce, paura e dolore provocati da questi desideri? Quale fardello è più opprimente di quello che col suo peso abbassa lo spirito dalla posizione della sua sublime dignità verso i bassifondi, in pura ingiustizia?» (A Rodolfo 9).

Dunque la prima forma in assoluto di purificazione è rivolgersi a Gesù, andare da lui per ricevere da lui il conforto. Lui ci rivolge questo invito subito dopo averci domandato di rinunciare a essere sapienti e intelligenti, per diventare piccoli piccoli. Entrare nella via del cuore è riconoscere che la sola purezza vera è un dono di Gesù.

«Prendete il mio giogo sopra di voi e venite dietro di me, poiché io sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime» (Mt 11,29).

La purificazione fondamentale si realizza a partire da quando tutte le nostre sozzure, i disordini che ci affliggono si incontrano con Gesù. Non è un compito più facile di quello dell’ascesi classica, ma è più efficace, perché ci obbliga a stabilirci nella verità, la verità di noi stessi, per cui siamo costretti ad aprire gli occhi sulla realtà del nostro peccato; verità su Gesù, che è veramente il Salvatore delle nostre anime non soltanto in modo generale e distante, ma a livello di un contatto immediato con ognuna delle sporcizie da cui siamo afflitti.

Bisogna dunque che io impari ad offrirgli, che impari ad affidargli senza riprendermela più, ogni impurità del mio cuore man mano che essa viene alla luce sia nel gioco delle circostanze, sia per un moto profondo del mio cuore che finalmente vuole ritrovare la sua libertà.

***

Ogni volta che constato in me uno di quei legami che mi paralizzano, la cosa più importante non è di dichiarare guerra a questa schiavitù, poiché, nella maggior parte dei casi, arriverei soltanto a tagliare i rami, senza raggiungere le radici. La cosa più importante è di mettere a nudo le radici, di farle venire alla luce, per quanto brutte, per quanto disgustose siano a vedersi.

Si tratta precisamente di assumerle nella loro realtà e di poterle offrire al Salvatore con un gesto libero e cosciente. In tale prospettiva, l’invocazione classica «Gesù, figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore» non corre il rischio di essere una frase fatta. E’ la constatazione, rinnovata senza posa, che sta per avvenire un nuovo incontro tra il cuore purificante di Gesù e il mio cuore tutto macchiato.

E’ evidente che c’è in questo procedimento un elemento di pura psicologia umana, ma questo che cosa ha di sconvolgente? L’opera della grazia non si modella forse sulle strutture della natura? Nel nostro caso, questa diviene il supporto della Redenzione che viene a operare nel mio cuore la trasformazione, la cicatrizzazione delle ferite mediante l’incontro personale col Cristo risorto.

Progressivamente ci si abitua così a ritornare a lui senza posa, movendo specialmente da ciò che in noi è oscuro, tenebroso, inquietante. E’ una disposizione del cuore che all’inizio fa paura.

Ci hanno insegnato per troppo tempo che al Signore non si possono offrire che cose buone, cose belle. Tutto quello che non è atto di virtù non gli può essere offerto. Ma dir questo non è andar in senso contrario alla verità del Vangelo? Gesù stesso afferma che egli non è venuto per i sani, ma per i malati. Bisogna, pertanto, senza falsi pudori, imparare ad essere di fronte al medico celeste come autentici malati, che riconoscono lealmente ciò che in loro è falso, menzognero, contrario a Dio. Lui solo ci può guarire.

Il mio corpo,
 luogo di incontro col Verbo
e tempio dello Spirito

Spesso ci si limita a considerare la «preghiera del cuore» come una espressione simbolica. Parlare del cuore sarebbe un modo immaginifico di evocare una realtà interiore, tutta spirituale.

Ma non è esatto. Tutti i moti del cuore, supporto alla nostra relazione con il Padre, sono moti legati al nostro essere sensibile, materiale. L’esperienza ci insegna, talvolta anche con rischio per la salute, che le emozioni veramente profonde toccano anche il nostro cuore fisico.

E’ pertanto impossibile entrare nella preghiera del cuore se non accettiamo di vivere in maniera cosciente e decisa a livello del nostro corpo.

Dio ci ha fatti così. Il racconto della Genesi ci mostra che Yahvè ha modellato l’uomo a partire dal fango della terra e afferma con grande sicurezza che questo essere materiale è veramente a sua immagine e somiglianza.

Il nostro corpo non è dunque un ostacolo alla nostra relazione con Dio. Al contrario, esso è l’opera stessa di Dio che ha costituito proprio noi come figli, chiamati a ricevere lui in eredità.

In tale prospettiva ci colloca anche tutta l’economia dell’incarnazione del Figlio di Dio. La Chiesa dei primi secoli si è battuta in modo accanito per difendere questa realtà ossia che Gesù è veramente un uomo. Nella carne lui è nato, nella carne è vissuto, ci ha istruito, ha sofferto, è morto e risuscitato.

Sono le opere umane del Verbo di Dio a darci la vita giorno dopo. La parola di Dio viene a noi con espressioni umane. Il nostro peccato non viene purificato in maniera simbolica, ma proprio con l’effusione del sangue che sgorga dal corpo di Gesù. Lui è veramente morto e resuscitato nella carne. Ed è proprio questa resurrezione materiale che salva sia le nostre anime che i nostri corpi.

E da ultimo, lo Spirito ci è stato donato soltanto a partire dalla resurrezione corporale del Figlio. E’ lui, il figlio di Maria, che ci manda lo Spirito dal seno del Padre. Non è il Verbo increato, ma il Verbo incarnato, dopo che ha condiviso la nostra esistenza ed è divenuto uno di noi.

***

Oni giorno noi facciamo esperienza di questa incarnazione attraverso i sacramenti, la liturgia, la vita di comunità, l’appartenenza al Corpo della Chiesa. Tutto questo è il fondamento diretto della realtà corporale di Cristo e la sua presenza nelle nostre vite.

Sappiamo accogliere Gesù così come egli viene a noi, cioè rivolgendosi a noi nel nostro corpo. Non affrettiamoci a sbarazzarci troppo presto di questo intermediario che spesso tendiamo a considerare un po’ come un’impurità nelle nostre relazioni con Dio. Non è vero, esso non è un’impurità, anzi è il luogo stesso del nostro incontro col nostro Abbà.

Ci sarebbe impossibile immaginare la vita di comunità se i nostri fratelli fossero degli esseri disincarnati, dei puri spiriti, da raggiungersi al di là degli involucri carnali. Allo stesso modo sarebbe rifiutare la realtà dell’amore di Dio il voler fare astrazione dalla realtà carnale, materiale, greve, del Figlio che viene a noi.

L’Eucaristia che noi celebriamo ogni giorno è veramente la celebrazione di un atto che ha comportato alcune trasformazioni profonde nel suo corpo e nel suo sangue, non perché li ha messi tra parentesi o superati, ma perché ha dato loro pieno senso; costituiscono una realtà materiale che è il Figlio di Dio.

Allo stesso modo il nostro corpo, con tutti i suoi gravami, i suoi limiti, le sue costrizioni è la nostra realtà, quello che siamo noi. E’ proprio il corpo mio che entra in contatto con quella realtà di cui Gesù ha detto: «Questo è il mio corpo».

E’ l’incontro di queste due realtà corporali che stabilisce il contatto di vita tra Dio e me. «Se non mangerete il mio corpo e non berrete il mio sangue, non avrete la vita in voi... Come il Padre che è vivo mi ha mandato e io vivo per il Padre, ugualmente chi mangia di me vive per me» (Gv 6,57).

***

La conseguenza di questo stato di cose è che non posso pregare senza pregare nel mio corpo. Quando mi rivolgo a Dio, non posso fare astrazione da questa mia realtà incarnata. Allora, quando debbo rivolgermi a Dio, certi gesti imposti e certe cogenti condizioni materiali non sono solo questione di disciplina religiosa. Ciò corrisponde all’unica realtà: Dio mi ama così come mi ha fatto. Perché voler essere più spirituale di lui?

Devo imparare, dunque, a vivere a livello del mio corpo e di tutte le costrizioni che questo mi impone. Cibo, sonno, svago, malattia, la limitatezza delle mie forze... tutto questo non costituisce ostacolo tra me e Dio; al contrario, costituisce la trama del tessuto che stabilisce una ininterrotta continuità tra il più intimo della realtà divina e il più concreto della mia esistenza quotidiana.

Chi di noi non ha fatto l’esperienza, talvolta terribilmente dolorosa, di sentirsi limitato, quasi prigioniero a causa, per esempio, di difficoltà di salute?

Se il nostro cuore è sincero non possiamo che dire questo: è Dio che viene a noi attraverso queste costrizioni dolorose. Esse sono proprio il punto di intersezione dell’amore di Dio nella nostra vita.

Il nostro cuore accoglie Dio proporzionatamente a quanto è attento a questa realtà che noi vorremmo poter considerare inferiore alla nostra vocazione spirituale. Facciamo attenzione a questa menzogna permanente che il Principe della menzogna cerca di istillare così nei nostri cuori. Non giochiamo ai puri spiriti, sappiamo essere molto di più, noi siamo i figli di Dio.

Lo Spirito stesso prega in me

Noi parliamo di preghiera. Ma sappiamo poi pregare? E specialmente so in che cosa consiste la vera preghiera? Onestamente devo confessare che io non lo so. Sento in me un richiamo profondo in una certa direzione, ma sono al buio.

Fortunatamente «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, poiché non sappiamo che cosa chiedere per pregare come si deve; ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti ineffabili e Colui che scruta i cuori sa quale è il desiderio dello Spirito e che la sua intercessione per i santi corrisponde ai piani di Dio» (Rm 8,26‑27).

La preghiera è nel mio cuore. Sgorga dal mio cuore. Tuttavia non è opera soltanto mia. Lo Spirito mi è stato donato; è stato diffuso nel mio cuore ed è lui che prega in me. Lo Spirito viene dal cuore di Dio che desidera accendere nel mio cuore la stessa fiamma che brucia nel suo.

Conosciamo tutti i passi di san Paolo che ci parlano di questo; ma non tendiamo forse a considerarli in maniera puramente teorica o, per esprimerci in modo più elegante, a vederli come verità di fede, cioè come cose di cui si parla con convinzione, ma che si vivono solo nella più profonda oscurità?

Questa presenza dello Spirito nel mio cuore parrebbe una cosa che si situi unicamente a livello di Dio e con essa possa eventualmente comunicare solo attraverso formule intellettuali. La realtà in se stessa, invece, sfuggirebbe totalmente alla mia esperienza. Ma è proprio questo che san Paolo vuol dire?

In reazione agli eccessi di questo atteggiamento, sarà forse allora da esigere che ogni esperienza cristiana autentica sia un’esperienza dello Spirito, alla maniera degli Apostoli quando hanno ricevuto le lingue di fuoco la mattina di Pentecoste? Questo non è mai stato l’insegnamento della Chiesa. Ma tra i due estremi si trova un atteggiamento vero, alla portata di ogni cristiano, secondo cui la presenza dello Spirito nella nostra vita è una realtà che ha un influsso diretto sulla nostra maniera di essere, sulle nostre relazioni d’amore coi fratelli, sulla nostra preghiera.

***

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