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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 17:50
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06/08/2012 17:07

LE INTERPRETAZIONI RAZIONALISTE DELLA VITA DI GESÙ

§ 194. Le fonti della vita di Gesù - ossia in sostanza i vangeli - ricevono la loro incomparabile importanza storica dall'argomento che trattano e dal modo come lo trattano. Loro argomento è l'origine della massima corrente religiosa, che è anche la più radicale inno­vazione apparsa nella storia della spiritualità umana, cioè il cristia­nesimo. Questo argomento poi è trattato senza mire polemiche né apparato erudito, ma solo mediante la comunicazione semplice e piana di dati biografici non abbondanti circa il fondatore del cri­stianesimo, e di punti essenziali poco più abbondanti circa la sua dottrina. Ma se queste notizie evangeliche non sono moltissime, hanno tuttavia un carattere che le distingue nettamente dalle notizie prevenuteci circa altri fondatori di grandi religioni. Taluni di costoro, ad esem­pio il Buddha e specialmente Zarathushtra, sono oggi figure storiche vaghe e dai lineamenti sfumati; le sicure notizie che ne abbiamo di­stano molto per tempo e per luogo d'allargamento, e se da esse si può concludere con certezza l'esistenza storica dei rispettivi perso­naggi e l'epoca approssimativa in cui vissero, poco più di questi generici lineamenti possiamo estrarne, mentre il vero volto di quei personaggi rimane per noi coperto da un velo più o meno denso. Al contrario le notizie evangeliche circa la vita e la dottrina di Gesù, pur non pretendendo affatto di esaurire l'argomento, sono precise, circostanziate, spesso minuziose; soprattutto poi esse si presentano come provenienti o direttamente da discepoli immediati di Gesù, i quali gli erano stati a fianco lungo tempo e conoscevano bene uomi­ni e cose, o almeno da informatori di poco posteriori, i quali ave­vano goduto di lunga familiarità con gli stessi discepoli. Oltre a ciò le fonti evangeliche, trattando della vita e della dottrina di Gesù, non fanno in sostanza che esporre tutto un tessuto di fatti miracolosi accentrati attorno a lui. Ora, è vero che pure agli inizi di altre grandi correnti morali si ritrovano fatti meravigliosi di vario genere e di realtà storica indiscutibile, quali l'arcano daimònion che guida occultamente Socrate nel rinnovamento della filosofia gre­ca, oppure le gesta appena credibili di Alessandro Magno che mi­ziano il travolgente ellenismo; ma fatti di tal genere sono bensì meravigliosi, non già miracolosi, giacché nè il fenomeno psicologico di Socrate sembra che entrasse nel campo propriamente fisico, nè le gesta di Alessandro, per quanto superassero l'ordinario livello delle imprese umane, risultano in contrasto con le leggi fisiche della na­tura. D'altra parte, anche limitandosi al campo strettamente reli­gioso, sono esistiti fondatori di potenti religioni, come Mani e Mao­metto, che non si sono presentati affatto come operatori di miracoli, secondo i più sicuri documenti storici, e non hanno avuto alcuna pre­tesa di essere taumaturghi. I vangeli invece, mentre descrivono Gesù come del tutto alieno da risonanti gesta militari o politiche, gli attribuiscono fin dal suo concepimento, per continuare anche dopo la sua morte, ogni sorta di miracoli fisici, compiuti tanto su se stesso quanto su altri uomini, tanto su esseri viventi quanto su corpi ina­nimati: inoltre ricollegano intimamente siffatti miracoli con la sua missione di fondatore di una nuova religione, presentandoli come prove di quella missione. Da tutto ciò scaturiscono tre conseguenze strettamente concatenate fra loro. Stando cioè alle fonti evangeliche, in primo luogo i fatti e i detti che noi sappiamo di Gesù ci vengono comunicati da persone o contemporanee e familiari a lui, o almeno di poco posteriori ma sempre ottimamente informate; - in secondo luogo, questi nostri in­formatori attestano fatti strettamente miracolosi; - in terzo luo­go, questi fatti sono stati operati a provare la missione religiosa di Gesù. Il passaggio dall'uno all'altro di questi tre punti è spontaneo; il let­tore che scorrendo i vangeli accetta il primo punto, passa inevitabil­mente al secondo, e da questo inevitabilmente al terzo salvo che trovi il modo di spezzare uno dei tre anelli della catena. Se la catena non è spezzata il lettore deve finire logicamente con accettare e fare sua propria la religione predicata da Gesù; questo, del resto, è lo scopo apertamente confessato da uno dei vangeli quando conclude Tali cose sono state scritte affinché credendo abbiate vita nel nome di lui (Giovanni, 20, 31).

§ 195. La storia delle ricenche fatte lungo i secoli sulla biografia di Gesù è, in sostanza, la storia delle prove a cui è stata sottoposta la saldezza di ciascuno di questi tre anelli. - Sono veramente autorevoli, per tempo e per luogo, gl'informatori evangelici? - I fatti straordina­ri da essi narrati sono attestati con veracità ed obiettività, e rivestono un carattere veramente miracoloso? - Questi fatti dimostrano veramente l'autenticità della missione religiosa di Gesù? Naturalmente, conforme alla differente indole dei vari tempi, si è insistito più sul­l'uno o sull'altro di questi tre punti; ma da essi non si è usciti, né si sarebbe potuto uscire. Il terzo e ultimo punto è stato il meno dibat­tuto, sia perché esso è di natura più filosofica che storica, sia perché la sua accettazione è praticamente inevitabile quando siano accet­tati i due punti precedenti, e ciò tanto nei secoli passati quanto ai nostri tempi; sebbene oggi, col predominio del metodo storico-cri­tico, il punto più discusso sia divenuto il primo, cioè il valore storico degli informatori evangelici. Gli antichi scrittori, accettando i vangeli come libri sacri e ispirati, non sentivano necessità di dimostrare in modo particolare la loro au­torità storica, salvo nel caso che questa fosse impugnata da scrittori non cristiani: ma ordinariamente i vangeli erano per essi libri di speculazione teologica o di parenesi edificativa. Non mancarono però dei casi in cui la necessità apologetica richiamò la loro attenzione particolare sul valore puramente storico dei vangeli. Anche prima che nell'anno 400 S. Agostino scrivesse il De consensu evangelista­rum, erano stati mossi contro la credibilità dei racconti evangelici gli attacchi di Celso, a cui aveva risposto Origene, e poi quelli di Porfirio a cui avevano replicato parecchi cristiani. Purtroppo gli scritti di ambedue i filosofi pagani non sono giunti fino a noi; ma dalle notizie indirette che ne possediamo, possiamo farcene un'idea approssimativa. Celso, poco prima del 180, pubblicò il suo Discorso veritiero, con cui assale in minor parte Gesù e in maggior parte i cristiani. Egli tiene a far rilevare che in precedenza si è informato bene del suo argo­mento, giacché ripete fiduciosamente rivolto ai cristiani: “Io so tutto (sul conto vostro)!”; ha infatti letto i vangeli, e li cita nel suo discorso attribuendoli regolarmente ai discepoli di Gesù. Ciò nonostante egli accetta dai vangeli solo i fatti che corrispondono alle sue mire polemiche, quali le debolezze della natura umana di Gesù, il lamento della sua agonia, la sua morte in croce, ecc., che sarebbero a parer suo tutte cose indecorose per un Dio: invece sostituisce gli altri dati biografici con le sconce calunnie anticristiane messe in giro già allora dai Giudei; spesso poi altera l'indole dei fatti, talvol­ta deforma anche le parole delle citazioni, e in genere sparge a pie­ne mani il ridicolo sull'odiato argomento con un metodo che anticipa sotto vari aspetti quello del Voltaire. Ma queste ragioni storiche sono, in realtà, solo sussidiarie, e il vero argomento fondamentale è filo­sofico: Celso, che mira a rinsaldare l'unità politica dell'Impero ro­mano di fronte alla minaccia dei Barbari, giudica indiscutibilmente assurda l'idea di un Dio fattosi uomo, e quindi erronea la storia evangelica; perciò i cristiani, se vorranno essere ragionevoli, dovranno abbandonare tali assurdità e ritornare ai tradizionali dei del­l'Impero. Porfirio, il discepolo del neoplatonico Plotino, è molto più sodo di Celso. Nei suoi 15 libri Contro i cristiani, apparsi sullo scorcio del secolo III, egli conserva un tono più moderato (a quanto possiamo raccogliere dai frammenti), e si dà tutto a rilevare le contraddizioni o inverosimiglianze storiche ch'egli trova nei vangeli; ma anche qui, come in Celso, l'obiezione più forte è sollevata in nome dei principii filosofici: “Può patire un Dio? Può risuscitare un morto?”. La ri­sposta negativa che evidentemente bisogna dare a tali domande, se­condo Porfirio, decide anche di tutta la questione; qualunque inter­pretazione dei racconti evangelici sarà preferibile a quella che am­metta il patimento di un Dio o la resurrezione di un morto. Quando l'impero diventò ufficialmente cristiano, non solo non com­parvero più nuovi scritti contro l'autorità storica dei vangeli, ma disparvero anche quelli già pubblicati: ad esempio, i libri di Por­fino Contro i cristiani. furono ufficialmente proscritti per decreto della corte di Bisanzio nel 448. Seguitarono tuttavia a circolare, scritte in ebraico o trasmesse oralmente, le sconce calunnie giudaiche di cui già si era servito Celso, e che più tardi confluirono nel libello Toledòth Jeshua, di cui gia si è trattato (§ 89).

§ 196. La Riforma protestante non disturbò direttamente il con­corde giudizio della cristianità circa l'autorità dei vangeli: sembrò anzi rafforzarlo perché, respingendo ogni autorità di tradizione e di magistero ecclesiastico e non ammettendo altra rivelazione che quella scritta, tanto meno avrebbe potuto richiamare in dubbio l'autorità anche storica dell'unica fonte della rivelazione. Ma la salvaguardia protestante era rafforzata solo apparentemente, mentre alla prova dei fatti risultò fallace e rovinosa: i protestanti stessi mossero i primi attacchi contro i vangeli e li rinnovarono poi continuamente fino ad oggi, cambiando sempre le posizioni di combattimento ma sempre applicando puntualmente un principio fondamentale nella Riforma, quello del libero esame. Ma anche su questo mutamento pratico del protestantesimo ebbero un'influenza decisiva le idee filosofiche esterne, come già presso gli antichi critici pagani: dai quali, infatti, nei tempi nuovi furono inconsciamente ricopiati taluni atteggiamenti. I primi a romperla con il concetto ortodosso protestante furono alcuni seguaci del Deismo in­glese, che fra altro identificava rivelazione soprannaturale e ragione naturale: alcuni tentativi fatti in tal senso, specialmente con la mira di eliminare l'elemento taumaturgico dai miracoli evangelici (Wool­ston, 1730; Annet, 1744), non ottennero larga risonanza, ma rimasero nondimeno come semi per il futuro. In Francia il Filosofismo s'inoltrò alquanto sulle stesse strade. L'en­ciclopedico Voltaire non avrebbe potuto fare a meno di occuparsi anche dei vangeli, e lo fece col suo abituale ricorso a sarcasmi de­nigratori e a sottigliezze sofistiche; sia in altri dei suoi innumerevoli scritti, sia specialmente ne La Bible enfin expliquée (1776) e nella Histoìre de l'établissement du christianisme (1777), egli tratta Gesù da vanitoso impostore, S. Paolo da energumeno insensato, rimette a nuovo le vecchie calunnie delle Toledoth Jeshu, e mescolandole con le leggende di vangeli apocrifi le contrappone ai dati dei vangeli canonici.

§ 197. Ma i meschini risultati ottenuti dal Deismo inglese e dal Filosofismo francese, furono di gran lunga superati in Germania dall'Illuminismo (Aufklàrung), il quale, mentre era ostile non meno delle altre due scuole a ogni idea di soprannaturale, era per di più sboc­ciato nella stessa patria della Riforma e del libero esame. Nel tempo che il Voltaire si perdeva in Francia nei suoi lazzi sconnessi, in Ger­mania si portavano a termine tentativi più organici e complessi. Un professore di lingue orientali ad Amburgo, H. S. Reimarus, poco prima della sua morte (1768) finì di scrivere una Apologia degli adoratori razionali di Dio, di ben 4000 pagine, che non ardi però pubblicare; ma ne pubblicò sette ampi estratti (nel 1774, 1777 e 1778) il Lessing, allora bibliotecario a Wolfenbùttel, come Frammenti di un anonimo, di cui gli ultimi due ricevettero i rispettivi titoli di Sulla storia della resurrezione e Dello scopo di Gesu' e dei suoi di­scepoli. In questi estratti il Reimarus sferra un ordinato attacco dap­prima contro ogni idea di soprannaturale, poi contro la rivelazione dell'Antico Testamento, e infine contro tutta la storia evangelica. Gesù sarebbe stato un focoso agitatore politico, che voleva suscitare una sommossa popolare contro i Romani padroni della Palestina; fallita la sommossa con la crocifissione di Gesù, i suoi seguaci avreb­bero travisato il vero scopo di lui, spacciandolo per rinnovatore pu­ramente spirituale e religioso; ne avrebbero perciò rapito il corpo, dicendo che era risuscitato e che la sua morte era servita a redimere l'umantà; i quattro vangeli canonici non sarebbero che la consacra­zione ufficiale di questa catena di disinganni e di inganni, giacché i cristiani non sono che dei pappagalli i quali ripetono ciò che sen­tono dire. Ma nel paese stesso dell'Illuminismo un'interpretazione di tal genere, anche prescindendo dal suo palese fanatismo anticristiano, era o appariva troppo puerilmente semplicista per poter incontrare molti consensi; e in realtà, se essa toglieva dai racconti evangelici l'« irra­zionale » elemento miracoloso, v'introduceva una sproporzione non meno irrazionale tra causa ed effetto, facendo dipendere l'intero cristianesimo da un ammasso di deliri e di ciurmerie: il che sarebbe stato un “miracolo” contro i principii storici più elementari, arduo ad ammettersi non meno dei miracoli evangelici. Perciò i Frammenti dell'anonimo di Wolfenbiìttel produssero il solo risultato di segnalare una via sbagliata nell'interpretazione anti-soprannaturale della storia evangelica, e si attirarono parecchie confutazioni da parte prote­stante. Fra le quali è notevole quella di J. S. Semier (1779), conosciuto per i suoi lavori di filologia sacra e specialmente per il metodo dello « storicismo critico » applicato ai vangeli; questo metodo, ispirato anch'esso al Deismo inglese, scorgeva nei vangeli la sintesi di correnti spirituali diverse, trovava nella predicazione di Gesù molti « adat­tamenti » fatti a malincuore di fronte ai pregiudizi dei contempora­nei, e scendeva inoltre a minute interpretazioni fisico-naturali di mi­racoli evangelici.

§ 198. Su quest'ultima via si inoltrò, andando fino in fondo, H. E. G. Paulus, professore ad Heidelberg. Fallito il tentativo di Reimarus di rigettare in massa i fatti miracolosi dei vangeli, il Paulus li ac­cettò invece integralmente, ma tentò spogliarli dell'elemento sopran­naturale mediante una interpretazione naturalistica. Egli cioè distin­se nei racconti evangelici il fatto materiale narrato, e il giudizio dato su esso dall'evangelista: il fatto era oggettivamente vero, almeno quanto alla sostanza, mentre il giudizio era falso e doveva essere sostituito. Così, ad esempio, il racconto di Gesù che cammina sulle acque era interpretato come una passeggiata sulla spiaggia, o tutt'al più come un inoltrarsi che Gesù fece nell'acqua profonda solo qualche palmo per avvicinarsi alla barca dei discepoli: la moltiplicazione dei pani era spiegata come dovuta al fatto che Gesù e i discepoli condivisero le cibarie, di cui erano provvisti, con taluni che ne erano sprovvisti, inducendo il resto della turba a fare altrettanto con l'efficacia del loro esempio; le sanazioni di ciechi e di sordi erano dovute a speciali colliri e polveri, di cui Gesù conosceva l'efficacia; la resurrezione di Lazzaro, e quella di Gesù stesso, furono soltanto dei risvegli, perché ambedue non erano veramente morti ma solo in letargo, da cui si riebbero col riposo del sepolcro; e cosi di seguito. I miracoli di Gesù, insomma, sarebbero stati o atti filantropici, o guarigioni mediche, o effetti provvidenziali del caso, ad ogni modo sempre fatti naturali. Questo metodo, esposto dal Paulus nel suo Commento ai tre primi VangeIi (1800-1804) e nel Manuale esegetico (1830), e insieme applicato praticamente per la sua Vita di Gesu' (1828), voleva essere una spiegazione «razionale» dei fatti evangelici. Di qui il nome di «razionalismo» dato al metodo stesso; il cui vero iniziatore però fu il già visto Semier, mentre il Paulus non ne fu che l'ampio divulgatore. (Anche oggi molti studiosi negatori del soprannaturale seguitano ad applicare a questo solo metodo il termine di “razionalismo”, men­tre sarebbe più esatto quello di “naturalismo” conforme all'indole stessa del metodo; per gli studiosi cattolici, invece, “razionalismo” è più genericamente il metodo che nega il soprannaturale). Notevole è il fatto che il Paulus fu di facile contentatura nella que­stione dell'origine dei vangeli, attribuendoli senz'altro agli autori in­dicati dalla tradizione. Del resto questa sua arrendevolezza si spiega facilmente, giacché a lui premeva aver dei “fatti” sicuramente at­testati da autori molto antichi; egli poi avrebbe provveduto a sba­razzarli dagli antichi “giudizi”, passandoli alla trafila del suo si­stema.

§ 199. Il metodo del Paulus colpì, non già per la sua ingegnosità, ma per la sua ingenuità, e la reazione ad una ingenuità cosi colossale venne immediatamente. Già nel 1832 lo Schleiermacher dettava quelle lezioni universitarie, da cui fu estratta e pubblicata postuma la sua Vita di Gesu' (1864) d'indole più filosofica che storica, e che rappresentò un compromesso fra l'ortodossia protestante e la negazione del soprannaturale; in quel tempo stesso, poi, D. F. Strauss stava elaborando un sistema del tutto opposto a quello del Paulus, pur mirando allo stesso scopo di lui, cioè ad eliminare il soprannaturale dai vangeli. Su questo punto lo Strauss è di una lealtà e di una franchezza singolari, confessando apertamente che se i vangeli sono fonti totalmente storiche, il me­raviglioso non si può sopprimere dalla vita di Gesù, se invece il miracolo e la storia sono fra loro incompatibili, i vangeli non pos­sono esser più fonti storiche. Ma allo Strauss parve che tentar di sopprimere l'elemento miracoloso dai vangeli col metodo razionalista-naturalistico del Paulus fosse una sciocca goffaggine, e di quel me­todo egli fece in realtà una critica cosi serrata e sensata che valse per una sentenza di morte; egli quindi credette poterlo sostituire, per ot­tenere lo stesso risultato, ricorrendo al metodo razionalista-idealistico, cioè alla teoria del “mito” d'ispirazione hegeliana ch'egli applicò nella sua Vita di Gesu' (Ia edizione, 1835-1836). Secondo lo Strauss, il mito è un puro concetto ideale, espresso però sotto forma d'un fatto storico riferentesi alla vita di Gesù: quindi il valore del mito non è già nel “fatto” narrato, bensì nell'”idea” racchiusa in quel fatto apparente, e velata vi dentro secondo il simbo­lismo e l'immaginativa degli antichi. Questa teoria del mito non è però applicata illimitatamente, giacché lo Strauss non dubitò affatto dell'esistenza storica di Gesu' e dei principali dati della sua biografia: solo che nei vangeli l'elemento mitico, formatosi sotto l'influenza di idee messianiche dell'Antico Testamento, si trova mescolato con quello storico, ed è ufficio dello studioso critico distinguere i due elementi. Per ottenere questa distinzione le norme fissate dallo Strauss sono specialmente le seguenti. In primo luogo - com era da aspettarsi - è mitico tutto ciò che riveste carattere miracoloso o contrario alle leggi d'evoluzione storica; parimenti mitici sono i fatti presentati come rispondenti ad anteriori concetti religiosi (avveramenti di pro­fezie, di aspettative messianiche, ecc.); risentono pure del mito i passi poetici e quelli oratorii di notevole ampiezza, come anche le narra­zioni che mostrano divergenze da altre d'eguale argomento. Appli­cando queste norme, ed altre secondarie, è chiaro che poco o nulla si salva dei vangeli come documenti storici della biografia di Gesù: di fatti la Vita di Gesu' dello Strauss porta a risultati quasi totalmente negativi, salvando la generica esistenza storica del personaggio e po­chi tratti particolari; per tutto il resto il Gesù dei vangeli non è un Gesù storico, ma un Cristo ideale, disegnato dalla collettività delle prime generazioni cristiane, che crearono tale figura mitica elabo­rando inconsciamente e senza una mira predeterminata alcuni pochi dati storici. Quanto alle origini dei vangeli, lo Strauss non fece particolari ricer­che, e accettò in complesso le idee predominanti ai suoi tempi fra i critici protestanti: i tre Sinottici, dei quali il più antico è Matteo, rappresenterebbero una tradizione contraria al IV vangelo, e que­st'ultimo non può essere impiegato come fonte storica della biografia di Gesù. Ma la teoria dello Strauss esigeva per se stessa che si lasciasse, tra la morte di Gesù e la composizione dei vangeli, un ampio spazio di tempo necessario alla formazione di quei miti, la cui elaborazione è certamente impossibile a compiersi in pochi anni; e lo Strauss, coerentemente, fa scendere la composizione dei vangeli al se­colo II molto inoltrato. Ma egli si decide a ciò, non già per testimo­nianze storiche o critico-letterarie, bensì solo per esigenze della sua filosofica teoria, giacché onestamente confessa che questa cadrebbe in rovina se i vangeli fossero stati composti entro il primo secolo. Nelle successive edizioni del suo scritto lo Strauss dapprima temperò alquanto le sue negazioni, poi ritornò sulle sue primitive posizioni. Trent'anni dopo, con la nuova Vita di Gesù per il popolo tede­sco (1864), fu meno radicale, dipingendo un ritratto del biografato che si avvicinava al tipo di Gesù del protestantesimo liberale.

§ 200. La teoria dello Strauss, pur fra clamorose proteste, fece un'impressione duratura soprattutto per il ricorso al Cristo idealizzato, il quale procedimento non fu più abbandonato in sostanza dalla suc­cessiva critica protestante; ma la teoria, esaminata più da vicino nei suoi particolari, apparve subito ispirata troppo a preconcetti filoso­fici e troppo poco alla realtà storica. Tutto quel lavorìo di incosciente trasformazione mitica da parte del­le prime generazioni cristiane era in armonia con quanto lasciano intravedere i più antichi documenti di quelle generazioni? E se i vangeli sono alla loro volta emanazioni di quelle generazioni, non bisognava in linea preliminare rendersi conto dello stato d'animo di quelle generazioni, per poi passare a giudicare il valore storico dei vangeli emanati da esse? Non è forse regolare dapprima rendersi conto della Firenze del 1300, e del suo sfondo politico e culturale, e del “dolce stil nuovo”, e delle vicende personali dell'Alighieri, e solo dopo ciò passare a intendere e giudicare la Divina Commedia? Ora, di tutto questo lavoro preliminare non si era affatto occupato lo Strauss, che si era racchiuso dentro i quattro vangeli canonici ar­mato solo delle sue teorie filosofiche, e considerandoli quasi avulsi dal mondo spirituale che li ha prodotti. Allo Strauss pertanto si contrappose F. C. Baur, già maestro di lui e fondatore della nuova Scuola di Tubinga (distinta dall'antica, che aveva difeso le posizioni dell'ortodossia protestante contro i Deisti); egli quindi, che già dal 1825 in poi aveva pubblicato studi d'argo­mento generico filosoficoreligioso ispirati alle teorie dello Schleier­macher, specialmente dal 1835 fece oggetto delle sue ricerche le vi­cende del cristianesimo lungo il secolo I, senza però affrontare in pieno una biografia di Gesù, e ne espose i risultati in numerosi scritti e soprattutto in quello su Paolo apostolo di Gesu' Gristo (1845). Staccatosi dallo Schleiermacher e divenuto verso il 1830 seguace ar­dente, non meno che lo Strauss, della filosofia hegeliana, di questa il Baur si servì d'allora in poi per vivificare la storia, la quale - com'egli apertamente confessava gli rimaneva “eternamente morta e muta” senza la filosofia: da Hegel egli prese il principio del « tri­plice processo », costituito da tesi-antitesi-sintesi, che applicò rigoro­samente alla storia del cristianesimo apostolico. In questo la tesi fu rappresentata dal partito petrino, che metteva capo a Pietro fiancheggiato da Giacomo e Giovanni e che riassumeva la corrente giudaico-cristiana di tipo particolaristico; l'antitesi fu rappresentata dal partito paolino, che metteva capo a Paolo e rias­sumeva la corrente ellenistico-cristiana di tipo universalistico; dal contrasto fra tesi e antitesi sorse la sintesi, rappresentata dalla Chiesa cattolica, che fu un compromesso conciliativo fra le due tendenze rimastevi ambedue parzialmente assorbite. Il petrinismo insisteva sull'idea giudaica del messianismo e sull'osservanza dei minuziosi pre­cetti della legge giudaica; il paolinismo insisteva sull'universalità della salvezza e sulla fede; la Chiesa cattolica, sotto la pressione dello gnosticismo e delle altre eresie del secolo II, assorbi in sé le due ten­denze contemperandole insieme.

§ 201. Non meno della teoria mitica dello Strauss, questa teoria del­le “tendenze” aveva bisogno di un ampio periodo di tempo in cui fossero potuti sorgere i contrastanti partiti e gli scritti che li rappre­sentano; inoltre, poiché fra i più antichi scritti del cristianesimo ve ne sono parecchi che non s'accordavano affatto con la teoria delle “ten­denze” bisognava in linea preliminare dare spiegazione anche di questi scritti irriducibili. Il Baur, coerentemente al suo sistema, fece scendere i vangeli a epoca tardiva, e insieme respinse come non autentici gli scritti irriducibili. Il vangelo di Matteo sarebbe stato composto non prima dell'anno 130 e avrebbe per base uno scritto favorevole al partito petrino, cioè il Vangelo degli Ebrei (§ 96), ma ritoccato alquanto a scopo di conciliazione col partito paolino. Il vangelo di Luca al contrario, che non risalirebbe più in su del 150, avrebbe per base uno scritto del partito paolino, cioè il Vangelo di Marcione (§ 136 fine), ma anche questo ritoccato, naturalmente in senso paolino. Dipendente da questi due, e quindi posteriore ad essi, sarebbe il vangelo di Marco di tipo neutrale, e che perciò nell'attingere ai due precedenti ha omesso i rispettivi passi tendenziosi. Il IVangelo sarebbe di un tempo in cui i contrasti fra le due tendenze erano già sopiti, cioè di circa il 170, e perciò esso può liberamente spaziare in alte specula­zioni teologiche. Di spirito conciliativo fra petrinismo e paolini­smo sarebbero gli Atti degli Apostoli, composti dopo il 150. Delle quattordici lettere di Paolo sarebbero non autentiche ben dieci, soprattutto per la ragione che in queste non appare il fondamentale contrasto fra petrinismo e paolinismo: le sole autentiche sono Ga­lati, Romani, e le due ai Corinti. La teoria del Baur spostava, propriamente, il campo delle ricerche e proponeva nuovi principli per tali ricerche. Molti studiosi si rium­rono attorno al maestro, e per un quindicennio ne applicarono fer­vorosamente il metodo nei Theologische Jahrbucher (1842-1857): in questa schiera si segnalarono specialmente lo Zeller, lo Schwegler, il Kostlin, discepoli personali del Baur, oltre all'Hilgenfeld, Volkmar e molti altri. Non mancò però l'opposizione che fu assai violenta ossa da più lati del campo protestante, e favorita dalle stesse autorità politiche: tanto che a un certo punto i discepoli, disanimati, cominciarono ad abbandonare il maestro, e quando nel 1860 il Baur morìla Scuola di Tubinga era praticamente dispersa.

§ 202. Gli attacchi più numerosi vennero, naturalmente, da parte dei protestanti conservatori, con a capo l'Hengstenberg, i quali accusavano il Baur di radicalismo demolitore; ma l'attacco più inte­ressante, per chi abbia di mira soprattutto lo svolgimento logico delle idee, fu quello sferrato da un suo quasi omonimo, Bruno Bauer (1809-1882), con cui si assodarono alcuni studiosi olandesi. Costoro, infatti, accusavano il Baur, non già di radicalismo, ma di conser­vatorismo e di essersi fermato illogicamente a mezza strada. Il Bauer, hegeliano anch'esso, accettava molti principii del Baur, come pure accettava il giudizio dello Strauss che negava ogni base storica al IV Vangelo considerandolo come un'elaborazione mistica; ma, spingendosi avanti, egli si domandò se tale giudizio non do­veva essere esteso anche ai tre Sinottici, che lo Strauss aveva par­zialmente salvati. Proprio poco prima (1838) il Weisse e il Wilke, indipendentemente tra loro, avevano affermato che, nell'ordine cro­nologico dei Sinottici, Marco è da considerarsi più antico di Matteo e di Luca, mentre tanto lo Strauss quanto il Baur avevano seguito l'antica idea di un Marco epitomatore di Matteo e Luca; la prio­rità di Marco fu accettata dal Bauer, che perciò riversò la testi­monianza degli altri due Sinottici nel solo Marco, da cui i due sarebbero dipesi. Stabilito ciò, egli negò che fra il vangelo e l'uni­co Sinottico indipendente (Marco) esistesse una sostanziale diffe­renza quanto al valore storico-documentario; ambedue contengono dati, in quantità più o meno abbondante e di colorito alquanto diverso, ma che sono storici solo apparentemente. Ciò che avreb­bero fatto le prime generazioni cristiane, creando inconsciamente il mito secondo lo Strauss, oppure consciamente le varie tendenze di partiti secondo il Baur, lo avrebbe fatto invece da solo il primo evangelista sinottico, e il suo lavoro poi sarebbe stato ampliato dagli altri tre. Delineata questa teoria, dopo alcune riserve e incer­tezze, il Bauer dapprima richiamò in dubbio e infine negò l'esi­stenza storica di Gesù: con ciò egli capovolse il procedimento dello Strauss, in quanto considerò la creazione mitica, non come un pro-dotto, ma come un produttore della comunità cristiana. Gli scritti del Bauer sul iv vangelo (1840) e sui Sinottici (1842) gli attirarono nel 1842 la proibizione d'insegnare. Inviperito, egli dap­prima si occupò di storia politica, quindi ritornò agli antichi argo­menti con metodi sempre più radicali, negando l'autenticità del­l'intero epistolario di 5. Paolo, comprese le quattro lettere già ri­sparmiate dal Baur. Fini poi elaborando una fantastica ricostruzione fra lo stoicismo e il giudaismo ellenistico. Il Bauer non lasciò, nè poteva praticamente lasciare, una scuola dietro a sé. Ma ciò ha scarsa importanza, mentre ne ha molta la questione della coerenza logica del suo sistema in relazione ai prin­cipii da cui parte; si domanda cioè se, ammessi i generici principii filosofici e critici che servono da basi allo Strauss e alla Scuola di Tubinga, non meno che al Bauer, non sia proprio il Bauer lo straussiano più consenguenziario o il tubinghiano più coerente.
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