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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 17:50
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06/08/2012 17:13

[SM=g27998] [SM=g27998] [SM=g27998] L'annunzio a Maria

§ 228. Per il nuovo episodio la scena è portata lontano da Gerusa­lemme e dal suo Tempio, e collocata nella Palestina settentrionale, in Galilea. Ivi, a 140 chilometri da Gerusalemme per la strada odierna, sorge Nazareth, oggi amena cittadina che conta circa 25.000 abitan­ti, ma che ai tempi di Gesù doveva essere tutt'altro che amena e niente più che trascurabile villaggio. Di Nazareth non si trova alcuna menzione né nell'Antico Testamento, né in Flavio Giuseppe, né nel Talmud; i vangeli, che soli ne parlano, riportano anche il giudizio sprezzante dato da un uomo di quei dintorni: Da Nazareth ci può esser qualcosa di buono? (Giovanni, 1, 46). Tuttavia l'insediamento umano vi doveva essere molto antico; re­centi investigazioni archeologiche, fatte attorno al santuario locale dell'Annunciazione, hanno riportato in luce numerose grotte aperte artificialmente nel pendio della collina; le quali, se più rozze e spo­glie, servivano da depositi di vettovaglie, se invece erano più comode e vi era stata aggiunta sul davanti qualche elementare costruzione servivano anche da abitazioni. La Nazareth dei tempi di Gesù do­veva restringersi alla parte orientale dell'odierna cittadina, quella che guarda dall'alto verso la vallata di Esdrelon. Siccome poi nella Pa­lestina antica un insediamento umano appare provocato sempre da una sorgente d'acqua, anche a Nazareth non mancava una fonte; è quella chiamata oggi “Fontana della Madonna” attorno a cui gli Apocrifi lavorano parecchio di fantasia, ma che ai tempi di Gesù doveva essere forse il solo richiamo verso il villaggio per le as­setate carovane che passavano lungo i dintorni.
Forse la sua posizio­ne alta rispetto alla pianura orientale aveva procurato a quell'accol­ta di stamberghe semi-trogloditiche il nome di Nasrath, Nasrah col significato originario di “guardiana”, “custodiente” (più che di “fiore” o “germoglio”). Ora, in uno degli abituri di Nazareth viveva una vergine fidanzata ad un uomo di nome Giuseppe, del casato di David, e il nome della vergine (era) Maria (Luca, 1, 27). Al casato di David apparteneva, oltre a Giuseppe, anche Maria: né deve far meraviglia di trovare di­scendenti di un casato anticamente così glorioso confinati in un vil­laggio così meschino e anche così lontano dalla culla del casato, che era Beth-lehem; già da secoli la stirpe di David viveva una vita oscu­ra ed appartata, e neppure al tempo del risorgimento nazionale sot­to i Maccabei essa si era segnalata per benemerenze speciali; questa vita da semplici privati aveva favorito anche l'allontanamento dei discendenti del casato dal centro originario, molti dei quali erano andati a stabilirsi nei vari luoghi della Palestina ove i loro interessi li chiamavano, senza però dimenticare i propri legami col luogo d'origine.

§ 229. Il nome Maria, in ebraico Mirjam, era assai frequente ai tempi di Gesù, mentre nell'antica storia ebraica appare portato sol­tanto dalla sorella di Mosè: il suo significato è del tutto incerto, no­nostante le moltissime interpretazioni (più d'una sessantina) che se ne sono proposte; del resto sembra che ai tempi di Gesù la pronun­zia ebraica originaria fosse stata mutata in quella di Marjam, con introduzione d'un nuovo significato. Della famiglia di Maria nulla dicono i vangeli canonici, mentre gli Apocrifi dicono anche troppe cose: solo incidentalmente è ricordata una sua “sorella” (Giovanni, 19, 25). D'altra parte ci vien detto che Elisabetta era parente di Maria (Luca, 1, 36); ma questa parentela, di cui non si può precisare il grado, era certamen­te il risultato di un precedente matrimonio fra estranei, perché Eli­sabetta era di stirpe sacerdotale (§ 226) e quindi apparteneva alla tribù di Levi, mentre Maria essendo del casato di David apparteneva alla tribù di Giuda: forse Elisabetta discendeva da padre Levita e da madre del casato di David.

§ 230. Ora, il sesto rrse della gravidanza di Elisabetta (Luca, 1, 26), lo stesso angelo Gabriele che aveva preannunziato quel concepi­mento, fu da Dio inviato a Nazareth da Maria, ed entrato da lei disse: Salve, piena di grazia! il Signore (e') con te! Ma ella a quel discorso si turbò, e andava ragionando seco che genere di saluto fosse questo (Luca, 1, 28~29). Come nel precedente episodio di Zacharia, abbiamo anche qui l'apparizione inaspettata e il turbamento di chi la contempla; ma questa volta il turbamento è prodotto, non dalla visione in sè, bensì dalle grandiose parole udite ch'erano stimate sproporzionate alla destinataria. Era dunque il turbamento dello spi­rito ch'è umile ed ha coscienza della propria bassezza ( Luca, 1, 48): non era il turbamento che raggiungesse lo spavento, perché anche in presenza dell'apparizione Maria andava ragionando seco. Secondo l'apocrifo Protovangelo di Giacomo (§ 97) l'apparizione sarebbe avvenuta presso la fontana di Nazareth, mentre Maria si preparava ad attinger acqua; è infatti inclinazione degli Apocrifi far accadere i fatti in palese, ma la narrazione evange­lica mostra che il nuovo episodio accadde in segreto, perché l'an­gelo parlò a Maria entrato da lei, cioè in sua casa, ch'era certamente una delle umilissime del villaggio. E l'angelo le disse: Non temere, Maria! Trovasti infatti grazia presso iddio.
Ed ecco concepirai in seno e partorirai un figlio, e lo chia­merai col nome di Gesu'. Costui sarò grande, e figlio dell'Altissimo sarà chiamato; e il Signore Iddio darò a lui il trono di David padre suo, e regnerà sul casato di Giacobbe per i secoli e il suo regno non avrò fine (Luca, 1, 30-33). Questo annunzio, sebbene solennissimo, è stato in qualche maniera preparato dal grandioso saluto dell'angelo stesso; chi è piena di grazia ed ha il Signore con sé trova la spiega­zione di queste sue prerogative nei fatti presentati dall'annunzio: il quale poi si riferisce direttamente al Messia, e usa concetti messianici dell'Antico Testamento (cfr. II Samuele, 7, 16; Salmo ebr. 89, 30.37; Isaia, 9, 6; Michea, 4, 7; Daniele, 7, 14; ecc;). Lo stesso nome da imporsi al nascituro è preannunziato, come il nome del figlio di Za­charia: infatti Gesù, in ebraico Jeshu (forma abbreviata di Jehoshu ossia “Giosuè”), significa Jahve' salvò, quindi l'ufficio del nascituro sarà quello di operare una salvezza da parte del Dio Jahvè. In con­clusione, l'angelo ha annunziato a Maria che diverrà madre del fu­turo Messia. L'annunziata non discute il messaggio, nè imita Zacharia nel chiedere una prova dimostrativa: prende benì a considerare la maniera meno onorifica per lei in cui poteva avvenire quella sua maternità, ch'era la maniera del concepimento naturale comune a tutti gli uomini, non escluso il figlio di Zacharia tuttora in gestazione. Contro questa ma­niera Maria ha una sua obiezione, ch'ella presenta come domanda di schiarimento: Disse però Maria all'angelo: Come sarò ciò, poiché non conosco uomo? E’ la frase eufemistica, usuale in ebraico, per alludere alla causa del concepimento avvenuto in una donna secondo le leggi na­turali. Per valutare il significato di questa frase in quanto pronunzia­ta da Maria bisogna aver presente ciò che Luca poco prima ha detto di lei, cioè che era una vergine fidanzata ad un uomo di nome Giuseppe (§ 228).

§ 231. Presso i Giudei il matrimonio legale si compiva, dopo alcune trattative preparatorie, con due procedimenti successivi, che erano il fidanzamento e le nozze. Il fidanzamento non era, come presso di noi oggi, la semplice promessa di futuro matrimonio, bensì era il perfetto contratto legale di matrimonio, os­sia il vero matrimonium ratum: quindi la donna fidanzata era già moglie, poteva ricevere la scritta di divorzio dal suo fidanzato-ma­rito, alla morte di costui diventava regolarmente vedova, e in caso d'infedeltà era punita come vera adultera conforme alla norma del Deuteronomio, 22, 23-24; questo stato giuridico è riassunto con esattezza da Filone quando afferma che presso i Giudei, contemporanei di lui e di Gesù, il fidanzamento vale quanto il matrimonio (De special. leg., III, 12). Compiuto questo fidanzamento-matrimonio, i due fidanzati-coniugi restavano nelle rispettive famiglie ancora per qualche tempo, che di solito si protraeva fino a un anno se la fidan­zata era una vergine e fino a un mese se era una vedova: questo tempo era impiegato nei preparativi per la nuova casa e per l'arre­do familiare. Fra i due fidanzati-coniugi non avrebbero dovuto av­venire, a rigore, relazioni matrimoniali; ma in realtà queste avveni­vano comunemente, come attesta la tradizione rabbinica (Ketuboth, 1, 5; Jebamòth, iv, 10; babri Ketubàth, 12 a; ecc.), la quale infor­ma anche che tale disordine si riscontrava nella Giudea ma non nella Galilea.

Le nozze avvenivano quand'era trascorso il tempo sud­detto, e consistevano nell'introduzione solenne della sposa in casa dello sposo: cominciava allora la coabitazione pubblica, e con ciò le formalità legali del matrimonio erano compiute. Generalmente il fidanzamento di una vergine avveniva quando essa era in età fra i 12 e i 13 anni, ma talvolta anche alquanto prima: quindi le nozze, in conseguenza di quanto si è visto sopra, cadevano di solito fra i 13 e i 14 anni. Tale era probabilmente l'età di Maria all'apparizione dell'angelo. L'uomo si fidanzava fra i 18 e i 24, e perciò questa doveva essere l'età di Giuseppe. Concludendo, sappiamo da Luca che Maria era una vergine in que­sta condizione di fidanzata; inoltre, da Matteo, 1, 18, apprendiamo che ella divenne gravida prima che andasse a coabitare con Giuseppe, cioè prima delle nozze giudaiche. Alla luce di queste notizie, quale significato hanno le sue parole rivolte all'an­gelo: Come sarò ciò, poiché non conosco uomo.

§ 232. Prese isolatamente in se stesse, non possono avere che uno di questi due sensi: o richiamare alta memoria la nota legge di natura per cui ogni figlio presuppone un padre; oppure esprimere per il futuro il proposito di non sottoporsi a questa legge e quindi di rinun­ziare alla figliolanza. Un terzo senso, per quanto ci si pensi, non è dato scoprirlo. Ora, in bocca a Maria, fidanzata giudea, le parole in questione non possono avere il primo di questi due sensi, perché sarebbero state di una puerilità sconcertante, tale da costituire un vero non-senso; a chi avesse espresso un pensiero di tal genere, se era una fidanzata giudea, era facile replicare: “Ciò che non è avvenuto fino ad oggi, può avvenire regolarmente domani”. E’ quindi inevitabile il secon­do senso, nel quale il verbo non conosco non si riferisce soltanto alle condizioni presenti ma si estende anche alle future, esprimendo cioè un proposito per l'avvenire: tutte le lingue, infatti, conoscono questo impiego del presente esteso al futuro, tanto più se tra presente e fu­turo non cade interruzione e se si tratta di uno stato sociale (non mi sposo; non mi fo prete, avvocato, ecc.). Se Maria non fosse stata una fidanzata-coniuge le sue parole, un po' forzatamente, avrebbero po­tuto interpretarsi come un implicito desiderio di avere un compagno nella propria vita: ma nel caso effettivo di Maria il compagno già c'era, legittimo e regolare; quindi, se l'annunzio dell'angelo avesse dovuto avverarsi in maniera naturale, non esisteva alcun ostacolo. E invece l'ostacolo esisteva: era rappresentato da quel non conosco, che valeva come un proposito per il futuro, e che giustificava pienamente la domanda come sarò ciò?
L'unanime tradizione cristiana, che ha interpretato in tal senso il non conosco, ha battuto una stra­da che è certamente la più agevole e facile ma anche l'unica ragio­nevole e logica. Se però Maria aveva fatto il proposito di rimaner vergine, perché aveva in precedenza acconsentito a contrarre il giudaico fidanza­mento-matrimonio? Su questo punto i vangeli non offrono spiegazioni, ma se ne possono trovare riportandosi alle usanze giudaiche contemporanee. Certamen­te nell'antico ebraismo lo stato celibe o nubile non era affatto apprez­zato, e la principale preoccupazione familiare era la figliolanza e più numerosa possibile: la mancanza di figli era reputata una ma­ledizione di Dio (Deuteronomio, 7, 14). Si conoscono soltanto, fra gli uomini, l'antico caso del profeta Geremia rimasto celibe per de­dicarsi totalmente alla sua missione di profeta (Geremia, 16, 2 segg.), e ai tempi di Gesù il caso degli Esseni che contraevano matrimonio o eccezionalmente o forse mai (§ 44). Quanto alle donne, non si sa­prebbe che caso citare; la donna senza marito e senza figli era per gli Ebrei un essere lugubre.
Allorché S. Paolo incidentalmente ci fa sapere che c'erano padri i quali reputavano indecoroso d'avere in casa figlie da marito tuttora nubili (I Corinti, 7, 36) non fa che con­fermare quanto già aveva detto il Siracida, secondo cui un padre non riesce a prender sonno la notte perché ripensa a sua figlia che si fa anziana senza trovar marito (Ecclesiastico, 42, 9), e quanto più tardi diranno le fonti rabbiniche, secondo cui bisogna sposare la propria figlia appena in età da marito. La donna senza marito era per gli Ebrei come una persona umana senza testa, perché l'uomo e la testa della donna (Efesi, 5, 23): e come pensavano in questa ma­niera gli Ebrei e in genere gli altri Semiti antichi, così pensano an­cora oggi gli Arabi, fra cui vige il proverbio che per una ragazza non c’è che un solo corteo, o quello nuziale o quello funebre.

§ 233. Cedendo dunque a questa tirannica usanza comune, Maria si era fidanzata; ma il suo stesso proposito, così fiduciosamentte obiet­tato all'angelo, illumina di riflesso anche la disposizione del suo fi­danzato Giuseppe, il quale non sarebbe mai stato accettato come fidanzato se non avesse deciso di rispettare il proposito di Maria: la disposizione di Giuseppe, poi, trova un bel parallelo storico nel ce­libato degli Esseni testé ricordato. Più in là di questo i vangeli non dicono; ma come il proposito di Maria risulta nitidamente dalle sue parole, cosi le altre conseguenze risultano da una conoscenza anche superficiale delle usanze contem­poranee. E’ quanto già aveva scorto S. Agostino, con la sua abituale perspicacia, quando scriveva: Ciò indicano le parole con cui Maria rispose all'angelo che le annunziava un figlio: “Come” disse “sarà ciò, poiché non conosco uomo?”. Il che certamente non avrebbe detto, se già dapprima non avesse fatto voto di sé come vergine a Dio. Ma poiché le costumanze degli Israeliti ancora non ammette­vano ciò, ella si sposò con un uomo giusto, il quale avrebbe, non già tolto via con violenza, bensì custodito contro i violenti, ciò di cui el­la già aveva fatto voto (De sancta virginitate, 4). Alla segreta intenzione delle parole di Maria si riferisce l'angelo nella sua replica. E rispondendo l'angelo le disse: Spirito santo sopravverrà su te, e potenza d'Altissimo adombrerà su te; perciò anche il nato (sarà) santo, sarà chiamato figlio di Dio (Luca, 1, 35).

La questio­ne proposta da Maria Come sarà ciò...? è risolta, e insieme il suo proposito è salvadaguardato: la potenza di Dio scenderà diretta­mente su Maria, e come anticamente nel deserto la gloria di Jahvè si posava a guisa di nuvola sul tabernacolo ebraico adombrandolo (Esodo, 40, 34-35), cosi adombrerà questo tabernacolo vivente di ver­gine, e il figlio che da lei nascerà non avrà altro padre che Dio. Que­sto figlio avvererà in sé l'appellativo di figlio di Dio in maniera per­fetta, mentre ad altri personaggi dell'Antico Testamento lo stesso appellativo era stato applicato in maniera incompiuta. Il Messia non avrebbe potuto esser chiamato “figlio” se non da Dio che gli dava dall'eternità la natura divina, e dalla vergine sua madre che gli dava natura umana: nessun'altra creatura umana l'avrebbe chia­mato, a rigore di termine, con quel nome. Oramai la proposta dell'angelo è pienamente presentata; Maria che, pur non dubitando, ha chiesto uno schiarimento, lo ha ottenuto. Non manca che l'assenso di lei, perché tutto si compia. Ma il paral­lelismo, e anche l'intreccio, di questo episodio con quello precedente di Zacharia continua ancora: come l'annunzio, così una prova del nuovo annunzio è data egualmente a Maria che non l'aveva richie­sta. Perciò l'angelo continuò: Ed ecco Elisabetta, la parente tua, anch'essa ha concepito un figlio nella sua vecchiaia, e questo e' il sesto mese (di gravidanza) per lei ch'e' chiamata sterile; poiché non é impossibile presso Iddio qualunque cosa (Luca, 1, 36-37).

§ 234. Alla non richiesta prova Maria non replica, ma risponde sol­tanto: Ecco la schiava del Signore: avvenga a me secondo la tua parola! (Luca, 1, 38). L'abitatrice del tugurio di Nazareth, benché eletta ad esser madre del Messia, ha tuttora perfetta coscienza della sua bassezza (§ 230) e perciò si chiama, non già ministra o coopera­trice di Dio, bensì una schiava, cioè una di quelle miserabili creature ch'erano al livello più basso della società umana; solo dopo ciò ella dà il suo assenso alla proposta dell'angelo. E allora il Verbo diventò carne (Giovanni, 1, 14), ossia l'umanità numerò tra i suoi figli il Messia. Già sette secoli prima, il profeta Isaia aveva preannunziato uno stra­ordinario segno divino con queste parole: Ecco, la vergine e' gravida e partoriente un figlio, ed ella lo chiamerà col nome di “Immanu 'EI” (“Con-noi-Dio”) (Isaia, 7, I 4) Matteo, premuroso di far ri­levare l'avveramento delle antiche profezie messianiche (§ 125), cita questa profezia di Isaia come adempiutasi in Gesù e nella sua madre (Matteo, I, 22-23). Al contrario per la tradizione giudaica la profezia di Isaia rimase un libro chiuso con sette sigilli, e negli scritti rabbinici non esiste il più lontano accenno alla partenogenesi del Messia.
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