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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
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06/08/2012 18:00

[SM=g27998] La peccatrice innominata

§ 341. A questo punto il solo Luca, lo scriba mansuetudinis Chriti secondo la definizione dell'Alighieri (§ 138), narra un episodio che dimostra quella mansuetudine. I Farisei continuano a sorvegliare Gesù; ma non è necessario che la sorveglianza abbia sempre un aspetto aggressivo, anzi talvolta è maniera più astuta darle un sembiante amichevole. Per questa ragione un Fariseo, dal nome comunissimo di Simone, invita Gesù a pranzo: il luogo non è nominato, ma doveva essere una borgata della Galilea. Il pranzo, secondo l'uso del tempo, è tenuto in una stanza con nel mezzo una tavola a semicerchio: nell'interno del se­micerchio s'aggirano i servi con le vivande, e i convitati stanno in piccoli divani che sono disposti radialmente all'esterno del semicer­chio; quindi ogni convitato è sdraiato sul suo divano in modo da appoggiarsi su un gomito e da avere il busto vicino alla tavola, mentre i suoi piedi rimangono un po' fuori del divano e lontani dalla tavola.
Il pranzo offerto da Simone ha vari convitati, e probabilmente non è stato imbandito apposta per Gesù: tuttavia Simone ha colto l'oc­casione per invitare anche l'indomito predicatore e studiarselo comodamente da vicino nella sincerità che suscitano i fumi d'un con­vito; ad ogni modo a Gesù, convocato più a un esame che a un convito, sono negati i complimenti riserbati ordinariamente a un invitato insigne, quali la lavanda dei piedi appena entrato, l'ab­braccio e il bacio da parte del padrone di casa, lo spruzzo di pro­fumi sulla testa prima di mettersi a tavola. Gesù nota queste negate attenzioni, ma non dice nulla e si mette a tavola con gli altri. Ma ecco che, nel colmo del convito, entra nella stanza una donna: confusa tra i familiari che servono, ella non parla a nessuno, va difilata al divano di Gesù, s'inginocchia all'esterno nella parte più lontana dalla tavola, e lì scoppia in pianto. Le sue lacrime sono così abbondanti che rigano i piedi di Gesù: ella però non vuole che quei piedi rimangano rigati dai segni del dolore, ma trovandosi nell'im­previsto e non avendo con sé un panno per asciugarli, per maggior deferenza scioglie i suoi capelli e cosi asciuga quei piedi; poi li ba­cia e ribacia, poi ancora li spruzza col profumo d'un vasetto d'a­labastro che ha portato con sé per ungere la testa della persona venerata (§ 501).

Tutto avviene senza una parola da parte della donna o di Gesù. Solo un sottile sorriso illumina la faccia di Si­mone: l'esaminatore ha già giudicato l'esaminando e l'ha riprovato. Simone infatti a quella vista ragiona dentro di sé: Costui, se fosse profeta, saprebbe chi e che razza di donna e' colei che lo tocca: e infatti una peccatrice! (Luca, 7, 39). Per i Farisei peccatrice aveva un significato vario: po­teva designare tanto una donna di perversi costumi, quanto una donna che non osservava le prescrizioni farisaiche; nel Talmud è equiparata a una peccatrice anche la moglie che dia a mangiare a suo marito cibi di cui non sia stata pagata la decima. Seguendo una via di mezzo, si potrà supporre che la donna introdottasi nel convito di Simone fosse una persona di riputazione dubbia, giacché se fosse stata una vera meretrice ben difficilmente i familiari del Fariseo l'avrebbero lasciata penetrare dentro la casa: lo scandalo, davanti ai convitati, sarebbe stato troppo grave. L'ignota donna certamente già conosceva Gesù almeno di vista: l'aveva udito par­lare in pubblico, aveva ascoltato dalla sua bocca quelle parole che richiamavano inesorabilmente tutti a “cambiamento di mente” (§ 335) ma nello stesso tempo sonavano così benigne e conforte­voli ai più traviati ed abietti; ella ne era stata dapprima sconvolta e atterrata nell'abiettezza della sua vita, poi sentendosi risollevata e sorretta dalla misericordiosa speranza diffusa nel suo cuore in virtù di quelle stesse parole, aveva fermamente creduto in una vita nuova, e al momento d'iniziarla si era presentata al suo rigenera­tore per esprimergli i propri sentimenti in maniera squisitamente femminea.

§ 342. Il sottile sorriso beffardo di Simone forse fu notato da Gesù, il suo occulto pensiero di riprovazione certamente fu letto dal ri­provato, che perciò gli rivolse pacatamente la parola: Simone, ho qualche cosa da dirti! - E l'altro, condiscendente: Maestro, dì pu­re! - Gesù allora: Ci fu una volta un creditore che doveva riscuo­tere da un debitore la somma di 500 denari e da un altro una som­ma dieci volte minore, cioè soltanto 50 denari; ma poiché nessuno dei due debitori era in grado di pagare e il creditore era un uomo di buon cuore, rimise ad ambedue i loro debiti rispettivi. Di questi debitori condonati chi credi tu, Simone, che sarà più grato e più affezionato al generoso creditore? - Simone rispose: M'immagino che sarà colui al quale è stato condonato di più. - La risposta era tanto elementare quanto giusta. Gesù allora replicò: Vedi questa donna? Entrai in casa tua, acqua ai miei piedi non desti: costei invece mi bagnò con le lacrime i piedi ed asciugò con i suoi capelli. Bacio non mi desti: costei invece, da quando entrai, non cessava di baciarmi i piedi. Con olio la mia testa non ungesti: costei invece con unguento mi unse i piedi. In grazia di che, ti dico, sono rimessi i peccati di lei i quali (sono) molti perché amò molto; a chi invece poco si rimette, poco ama (Luca, 7, 44-47). Non sono mancati i mestieranti della logica che hanno scoperto una conclusione illogica nel ragionamento di Gesù: la conclusione legittima, in armonia con la parabola dei due debitori, sarebbe stata che la peccatrice doveva amare di più perché di più le era stato condonato. Senonché l'obiezione suppone che Gesù avesse voglia d'insegnare la maniera di fare i compassati sillogismi “in forma”, sostituendosi nel mestiere ad Aristotile: ma Gesù aveva altro da fare, e ragionava seguendo la logica pratica di tutti gli uomini, che spessissimo saltano alla conclusione tralasciando talune premesse facilmente comprensibili. Nel caso nostro, la peccatrice conseguì la molta remissione perché amò molto, ma se amò molto la ragione a sua volta è che ella ricercò e quasi prevenne la molta remissione: l'amore fu unico, e dapprima spinse la peccatrice a cercar la remissione e ne fu causa, poi la confermò nella remissione e ne fu effetto, come fu effetto della remissione nel debitore della para­bola.
Le due conseguenze si richiamano a vicenda, e Gesù senza limitarsi alla conseguenza che sarebbe scaturita a rigore dalla para­bola insiste piuttosto sull'altra, giacché parlava a Simone il quale da buon Fariseo aveva poco di esteriore da farsi perdonare ma aveva anche poco amore interiore. Ora, per Gesù, ostacolo ad en­trare nel regno di Dio erano certamente i peccati, ma questi pote­vano esser sempre perdonati: ostacolo insuperabile era invece la mancanza di spinta ad entrare, la mancanza d'amore. Un Fariseo, posto anche sulla soglia del regno, difficilmente vi sarebbe entrato perché era soddisfatto di se stesso e gli mancava la spinta a fare i due o tre passi per entrare; una meretrice invece, quando si fosse accorta di ciò che era, avrebbe avuto ribrezzo di se stessa e avrebbe corso le mille miglia per entrare nel regno, sospinta nella sua corsa dall'amore. Amore pondus e amore pra'mium, come rifletterà più tardi l'esperto Agostino. Del resto Gesù, recandosi in casa di Simone, aveva veramente do­nato molto, pur essendone contraccambiato male dal Fariseo; la donna invece aveva ricercato ella stessa Gesù offrendogli ogni prova di devozione, e con ciò aveva donato molto, pur non essendo stata prevenuta apparentemente da Gesù. Di qui la sua ampia retribu­zione; la quale, inoltre, servirà a confermarla sempre più nel suo amore.
Terminato il ragionamento a Simone, Gesù si rivolse alla donna e le disse: Ti sono rimessi i peccati. Come rimanesse Simone non sappiamo; ci è riferito soltanto che gli altri convitati, della tempra di Simone, cominciarono a dire dentro di sé: Chi e costui che ri­mette pure i peccati? La stessa riflessione era stata fatta dai Farisei presenti alla scena del paralitico calato dal soffitto (§ 305), e allora Gesù aveva chiuso loro la bocca con un miracolo; questa volta il miracolo non fu compiuto, perché Gesù non aveva alcun motivo di compierne uno ogni qual volta delle oche messesi a far da guardiane ad un presunto campidoglio d'ortodossia avessero cominciato a gracchiare. Preferì invece confermare la donna nella sua nuova via, e le disse: La fede tua ti ha salvata: va' in pace! Pace e amore erano la stessa cosa.

Ministero spicciolo

§ 343. Subito dopo il racconto del convito di Simone, Luca soggiunge: E avvenne in seguito, ed egli viaggiava per città e borgate predicando e annunziando la buona novella del regno d'Iddio, e i dodici con lui (Luca, 8, 1). Queste parole possono valere come un generico riassunto dell'operosità spiegata da Gesù in Galilea nel restante di questo tempo, fino alla se­conda Pasqua del suo ministero pubblico. Quell'operosità dovette essere intensa, benché forse non molto varia, e probabilmente la primitiva catechesi della Chiesa ne raccontava episodi più numerosi dei pochi trasmessi fino a noi. Fu una vita da missionario ambu­lante, per cui Gesù si trasferiva da regione a regione e da borgata a borgata, predicando in pubblico ed in privato, nelle sinagoghe e nelle case, e confermando le sue predicazioni con miracoli; natu­ralmente le turbe accorrevano a lui attratte, non soltanto dall'effi­cacia dei suoi insegnamenti, ma anche più dall'utilità immediata dei miracoli. Gesù non era solo: aveva con sé un gruppetto di persone a lui devote, e anche un codazzo mutevole di gente animata da altri sentimenti. Fra le persone a lui devote erano in primo luogo i dodici Apostoli da lui scelti, che erano suoi abituali cooperatori nel ministero e for­se solo saltuariamente e per poco tempo si allontanavano da lui; vi erano certamente anche altri discepoli, sebbene non Apostoli, le­gati da particolare affetto al maestro.
Ma in quella vita di conti­nua peregrinazione il gruppetto di Gesù e dei suoi cooperatori ave­va bisogno di qualche assistenza materiale per le esigenze imperiose della vita, tanto più che l'incessante ministero non doveva lasciar loro il tempo di provvedersi da essi stessi, né si poteva pre­tendere che una ventina e forse più di persone trovasse vitto e al­loggio, sempre gratuiti e pronti, in qualunque misero villaggio della Galilea. Per questa ragione, subito dopo la precedente notizia, l'ac­corto Luca ci comunica che insieme a Gesù e i dodici erano anche talune donne ch'erano state curate da spiriti maligni e infermità, Maria quella chiamata Magdalena dalla quale erano usciti sette demonii, e Giovanna moglie di Chuza sovrintendente di Erode, e Susanna e molte altre, le quali ministravano ad essi dalle loro pro­prie sostanze. Già osservammo che queste donne dovettero essere, più tardi, fonti di notizie per l'evangelista (§ 142); qui egli ci dice ch'esse erano anche le solerti massaie del gruppetto di Gesù, e la cosa appare naturalissima: non è però necessario credere che tutte sempre seguissero Gesù nelle sue continue peregrinazioni, ma basterà supporre che fra di esse fosse in uso una specie di organizzato avvi­cendamento per provvedere ai bisogni dei missionari, assistendoli a proprie spese e spesso anche servendoli di persona. Queste donne erano state curate da spiriti maligni e infermità per opera di Gesù: dunque la gratitudine le aveva spinte ad incaricarsi di un'opera particolarmente appropriata a donne, quale il governo materiale di una specie di famiglia. I mezzi per fronteggiare le spese - che del resto certamente non erano gravi - non dovevano difettare: Giovanna, come moglie di un sovrintendente di Erode (Antipa), era senza dubbio facoltosa, e forse anche altre erano ben provviste: le meno fornite di beni materiali avranno supplito specialmente con l'opera personale.
Delle donne qui mentovate, Giovanna e Susanna sono ricordate dal solo Luca, Maria la Magdalena anche dagli altri evangelisti. Il suo appellativo di Magdalena la designa come originaria di Magdala, cioè Tarichea (§ 303), sulla riva occidentale del lago, e quindi nativa della Galilea e non della Giudea; se poi è detto che da essa erano usciti sette demonii, ciò significa soltanto ch'era stata liberata per opera di Gesù da qualche potente ossessione diabolica, mentre non avrebbe il minimo fondamento nelle narrazioni evangeliche supporre che ella fosse stata in precedenza una donna di mala vita e tanto meno l'innominata peccatrice del convito di Simone (§ 341).

§ 344. Ma, oltre a questo gruppo di gente fedele, ronzava attorno a Gesù anche un codazzo di persone in parte nettamente ostili, quali i Farisei, in parte diffidenti o almeno dubbiose e incerte. Su queste ultime ci informa incidentalmente una breve notizia di Marco (3, 20-21). Durante una peregrinazione avvenuta in questo tempo, pro­babilmente in qualche borgata della zona tra Cafarnao e Nazareth, Gesù viene ad una casa, e di nuovo si raduna folla, tanto che essi (Gesù e i discepoli) non potevano neppure prender cibo; era dunque una delle solite affluenze di popolo, ma questa volta anche più in­comoda per la ristrettezza di spazio. Ora, tali abituali affluenze, e anche l'operosità infaticabile di Gesu', avevano richiamato l'atten­zione pure delle persone neutrali e indifferenti, che non sentivano né l'affetto dei discepoli né l'astio dei Farisei; tali persone avevano anche espresso il loro giudizio su Gesù, e dicevano “E’ fuori di sé” Questa espressione, pur non escludendo un senso dispregiativo, non lo include per necessità affatto: poteva essere fuori di sé tanto un uomo, psichicamente anormale, quanto un uomo normalissimo ma tutto preso da un entusiasmo sapiente e santo (cfr. Il Cor., 5, 13). Cotesti neutrali e indifferenti si erano cavati d'impaccio giudicando Gesù in maniera ambigua e riferendosi solo a ciò che appariva pa­lesemente al di fuori, cioè alla sua incessante operosità missionaria che presupponeva uno stato d'animo fuor dell'ordinario: ma sulla vera indole di quello stato d'animo essi non avevano dato alcun giu­dizio. L'ambigua sentenza era giunta alle orecchie dei parenti di Gesù, e saputo che proprio allora egli si trovava come assediato in quella casa, i suoi uscirono per impadronirsi di lui, poiché dicevano “E’ fuori di sé”.
L'espressione i suoi designa cer­tamente la parentela di Gesù, di cui già sappiamo che taluni erano sfavorevoli a lui (§ 264); ma ciò non basta per riferire necessaria­mente a costoro la sentenza “È fuori di sé”, perché il verbo reg­gente dicevano può benissimo valere per un impersonale (si diceva, la gente diceva) come si ritrova altre volte in Marco (3, 30; ecc.). Inoltre, da chiunque fosse stato espresso quel giudizio, la venuta dei parenti aveva secondo ogni verosimiglianza uno scopo amichevole e benigno: essi accorrevano, non già per legare e portar via Gesù come pazzo, bensì per indurlo a moderarsi nel suo entusiasmo missionario, a prendersi cura della sua persona, a fare insom­ma una vita comoda e normale tra i suoi al riparo dalle minacce dei Farisei. Ma, anche sotto tale luce benigna, quei parenti di Gesù figuravano egualmente come eroi della mediocrità, i quali non sapevano capa­citarsi che quel loro singolare congiunto, ignaro di scuole e d'accademie, si fosse messo in testa di prender di petto i Farisei e di scon­volgere la Galilea, invece di starsene tranquillo e pacifico a casa sua.

§ 345. Gesù, giudicato fuori di sé, risponde precisamente come era stato giudicato, cioè da persona totalmente dedicata a un'altissima idea morale. Alla precedente notizia Marco fa seguire la discussione con i Farisei su Beelzebul scacciator di demonii (§ 444), ma subito appresso riporta nuovamente in scena i parenti di Gesù insieme con sua madre Maria: tutto induce a credere che le due comparse dei parenti si riferiscano a due momenti successivi dello stesso fatto storico. Gesù, pertanto, è tuttora assediato dalla folla nella casa, quando gli si annunzia che sua madre con i suoi “fratelli” stanno fuori desiderosi di parlargli e senza poter entrare. Dunque gli eroi della mediocrità, per meglio riuscire e per far più colpo, avevano contato anche sull'autorità di Maria, dimostratasi cosi efficace fin dalle nozze di Cana (§ 283). Il che non significa però che Maria assentisse ai loro propositi: se ella venne con loro, fu in parte perché una donna in Palestina ben difficilmente poteva sottrarsi alle decisioni prese da capi di parentela che presumessero agire per il decoro del casato o in favore di un consanguineo, e in parte perché poteva aver molte ragioni personali per rivedere il peregrinante suo figlio, e anche per esser presente come moderatrice quando i parenti lo avessero incon­trato. All'annunzio della visita, Gesù rispese che sua madre e i suoi fratelli erano tutti coloro che ascoltavano e praticavano la volontà di Dio, e con un gesto accennò agli uditori che gli si assiepavano attorno. Probabilmente, a questa risposta, gli eroi della mediocrità compresero subito che non c'era niente da fare, e ripeterono anch'es­si: È fuori di sé. Maria, a sua volta, dovette ritrovare gran somi­glianza fra questa risposta e quella già avuta dal dodicenne suo figlio nel Tempio (§ 262), e perciò ella depose anche la nuova risposta nel forziere del suo cuore per esservi custodita insieme con altre (§ 142).

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