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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
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06/08/2012 18:26

Rettificazioni messianiche

§ 400. Il decisivo annunzio ormai era stato comunicato, ma subito appresso vennero quei correttivi (§ 301) che dovevano contenerne il significato nei suoi giusti termini. E in primo luogo l'annunzio era ancora confidenziale, riserbato ai soli discepoli; terminato infatti il conferimento dell'ufficio a Simone Pietro, Gesù immediatamente intimò ai discepoli di non dire a nessuno che egli e' il Cristo (Mat­teo, 16, 20).
Gesù giudicava non essere ancora venuto il tempo di divulgare l'annunzio, sia perché le turbe non erano preparate, sia anche perché gli stessi discepoli valutavano certamente in maniera imperfetta la qualità messianica di Gesù. Egli quindi si dette a rettificarla e perfezionarla. Da allora cominciò Gesu' Cristo a mostrare ai discepoli suoi che egli deve andare a Ge­rusalemme, e molto patire dagli Anziani e sommi sacerdoti e Scribi, ed essere ucciso e al terzo giorno risuscitare (ivi, 21). Quale differenza fra il rumoroso e folgoreggiante Messia atteso dalle plebi, e questo Messia che schiva d'esser riconosciuto per tale e predice i patimenti e la morte violenta che l'aspettano! Per i discepoli, ai quali appunto era rivolto l'energico ammonimento, fu un colpo rude. Il generoso Pietro, sia per il suo carattere sia per l'ufficio testé ricevuto, si cre­dette in dovere d'intervenire; e Pietro presolo seco (da parte), co­minciò a rimproverarlo, dicendo: “(Dio sia) a te propizio, Signore! Non ti avverrà punto ciò!”.
Ma egli, voltatosi, disse a Pietro: « Vat­tene dietro a me, Satana! Mi sei di scandalo, perché non hai i pen­sieri d'Iddio, bensì quelli degli uomini. Il tentatore per eccellenza era Satana (§§ 78, 273), e qui la Roccia della Chiesa e il maggior­domo del regno dei cieli riceve l'appellativo di tentatore. La ragione di questa umiliazione, cioè l'aver egli vagheggiato il Messia domi­natore deprecando il Messia sofferente, era imputabile più ai suoi tempi che a lui personalmente: ad ogni modo dimostra bene quanto bisogno c'era di rettificazioni messianiche anche nelle coscienze dei piu intimi discepoli di Gesù. E le rettificazioni seguitarono, prendendo sempre più il tono di crude disillusioni. Che s'aspettavano quei discepoli andando appresso a Gesù Messia? Forse di trionfare, forse di goder vita suntuosa a fianco a un dominatore? Provvede Gesù a dissipare cotesti loro sogni con altrettante smentite anticipate, che risuonano come schiaffi sulla fac­cia d'un morfinizzato delirante. Gesù dichiara che chi vuole andargli appresso dovrà rinnegare se stesso, prendere la sua croce e seguirlo (Matteo, 16, 24). L'allusione alla croce acquistò certamente un senso più chiaro dopo la morte di Gesù; ma fin da allora i discepoli pote­vano comprenderla benissimo, giacché da quando i Romani si erano insediati in Palestina il supplizio della croce vi era applicato larga­mente (§ 597), e in modo particolare ai suscitatori di sommosse po­polari che molto spesso s'ispiravano a ideali messianici. Chi dunque vuole seguire Gesù si consideri già morto, e allora vivrà; perdendo la propria vita per causa di Gesù e della “buona novella”, il suo seguace la salverà, mentre se rimane spasmodicamente attaccato alla propria vita la perderà (Marco, 8, 35); che profitto ha infatti l'uo­mo se acquista il mondo intero, ma perde poi l'anima non acqui­stando l'eterna vita vera? Quale riscatto può egli dare per l'anima sua (ivi, 36-37)? Qualcuno si vergognerà di Gesù e della ”buona novella”? Ebbene, costui crederà di aver salvato la propria vita in questa generazione adultera e peccatrice; ma quando il figlio del­l'uomo verrà nella gloria del Padre suo circondato dagli angeli si vergognerà di chi si è vergognato di lui, e renderà a ciascuno se­condo le proprie azioni (Marco, 8, 38; Matteo, 16, 27).

Per Gesù, insomma, la vita presente è essenzialmente transitoria, e in tanto ha valore in quanto è indirizzata alla vita stabile, che è quella futura. Egli, Messia, guida alla vita stabile attraverso le aspre vicende di quella transitoria; chi non vuole seguirlo, e rimane nella vita transitoria, rimane nella morte.

§ 401. A questi detti di Gesù tutti e tre i Sinottici ne soggiungono un altro che ha tutta l'apparenza di essere stato pronunziato in altra occasione. E diceva loro: “In verità vi dico, vi sono alcuni dei qui presenti i quali non gusteranno morte finché vedano il regno d'iddio venuto in possanza” (Marco, 9, 1). Con fine accorgimento i Sinot­tici hanno collocato questo detto dopo le altre rettifiche messiani­che: tale, in sostanza, è anch'esso. La fragorosa apparizione del Messia politico non si sarebbe avverata; alla sua volta, il regno del sofferente ed assassinato Messia avrebbe dispiegato nella sua venuta tale possanza esterna ed interna da dissipare per sempre il sogno del Messia politico: e taluni dei presenti non sarebbero morti prima di aver assistito al dispiegamento di quella possanza. Infatti un quarantennio dopo, cioè nel giro di una “generazione” secondo computi giudaici, la Gerusalemme dei sogni messianici è distrutta, il giudaismo politico è stroncato per sempre, mentre invece la “buo­na novella” di Gesù è annunziata nell'intero mondo (Romani, 1, 8; cfr. Coloss., 1, 23).


[SM=g28004] La trasfigurazione

§ 402. Com'era da aspettarsi, le energiche rettificazioni messianiche depressero l'animo dei discepoli; quei focosi Galilei di pretto sangue giudaico ne rimasero sconcertati e abbattuti. La medicina per ria­nimarli fu somministrata da Gesù mediante la sua trasfigurazione, avvenuta sei giorni (circa otto giorni, secondo Luca) dopo la mani­festazione messianica. La scena è collocata dagli evangelisti su un monte eccelso, di cui però non ci è trasmesso il nome. Molti studiosi moderni pensano che fosse l'Hermon, la cui cima più elevata raggiunge i 2759 metri sul Mediterraneo, e che offrirebbe la congruenza di stare immedia­tamente sopra Cesarea di Filippo dove era avvenuta la manifesta­zione messianica. Ma, oltreché l'ascesa del monte è faticosa e richiede tra andare e tornare una buona giornata, sta il fatto che si tratta di una conget­tura del tutto recente: l'antichità invece non ha ricollegato la tra­sfigurazione con l'Hermon, sebbene una provocazione a tale ricolle­gamento fosse offerta a menti mistiche dal passo del Salmo 89, 13 (ebr.): Il Tabor e l'Hermon nel nome tuo esulteranno.
Al contrario, sul primo di questi due monti si è accentrata una tradizione che risale al secolo IV. Il Tabor non è per noi moderni un monte eccelso, essendo alto 562 metri dal Mediterraneo e 600-620 metri dalle valli circostanti (che sono più basse del Mediterraneo); ma per gli anti­chi poteva ben passare per un monte assai alto, essendo totalmente isolato e scorgendosi dalla sua cima buona parte della Galilea. Un'al­tra difficoltà è che la sua cima era forse abitata, e perciò non offri­va quella solitudine che sembra richiesta dalla scena della trasfigu­razione; ma anche questa difficoltà non è insormontabile: la cima doveva essere abitata in occasioni di torbidi e di guerre, riducendosi facilmente a fortezza come avvenne verso il 218 av. Cr. sotto An­tioco III il Grande (cfr. Polibio, v, 70) e al tempo della guerra di Vespasiano quando fu fortificata da Flavio Giuseppe che ne parla a lungo (Guerra giud., IV 54-61); fuor di questi tempi la cima do­veva essere in istato d'abbandono, soprattutto perché l'intero monte oltre ad essere scosceso e sassoso è assolutamente privo di acqua. Quanto alla distanza del Tabor da Cesarea di Filippo, poteva esser superata senza difficoltà nei 6 (o 8) giorni indicati. - Ovunque poi avvenisse il fatto, esso si svolse in questo modo.

§ 403. Fra i disanimati discepoli Gesù prese con sé i tre prediletti, ossia Pietro e i fratelli Giacomo e Giovanni, e li condusse sul monte. La strada lunga, la salita faticosa, la stagione estiva contribuirono a far si che i viandanti giungessero sul posto assai stanchi: proba­bilmente giunsero di sera, cosicché i tre discepoli preparatosi alla meglio un giaciglio si misero a dormire (Luca, 9, 32): Gesù invece, com'era solito di notte, si mise a pregare (ivi, 29) a breve distanza da loro. A un tratto i visi dei dormienti sono inondati d'una luce vivissima: aprono essi gli occhi, e scorgono Gesù in aspetto tutto diverso dal solito. Stava egli là trasfigurato davanti a loro, e lam­pante era il suo viso come il sole, e le sue vesti divenute bianche come la luce (Matteo, 17, 2). Quando i risvegliati, che erano aggra­vati di sonno (Luca, 9, 32), ebbero adattato alla meglio la vista e l'animo alla folgoreggiante visione, riconobbero presso il trasfigurato anche Mosè ed Elia, i quali parlavano con lui della sua dipartita, che stava per compiere in Gerusalemme (Lu­ca, 9, 31). Il discorso fra i tre dura più o meno tempo, e a un certo punto Mosè ed Elia fanno come atto di allontanarsi. Allora il solito Pietro crede opportuno intervenire e dice a Gesu': Rabbi! Noi stiamo bene qui! E possiamo fare tre tende, una a te, una a Mose' e una a Elia! Il bravo Pietro ripensa forse con rammarico di aver prov­veduto soltanto al suo proprio giaciglio dopo il faticoso cammino, trascurando quello per Gesù che adesso si mostra in quell'aspetto e in compagnia di quegli insigni visitatori; ma l'evangelista interprete di Pietro ha aggiunto subito appresso la vera spiegazione, udita cer­tamente più volte dalla bocca di Pietro: Non sapeva infatti che cosa dicesse; giacchè erano sgomentati (Marco, 9, 6).
Pietro non riceve risposta, perché una luminosa nube li avvolge tutti e nella nube risuona una voce: Questo è il figlio mio diletto, in cui mi compiaccio qui. Ascoltatelo! I tre discepoli, ancor più sgomentati, si prosternano con la faccia a terra, ma poco dopo Gesù va verso di loro, li tocca e dice: Alzatevi, e non temete! Guardando attorno, essi non vedono più nessuno, salvo Gesù nel suo aspetto abituale. Il giorno appresso scendendo dal monte, Gesù ordina loro: Non dite a nes­suno la visione, fino a che il figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti!

§ 404. E’ inutile ricordare che per i razionalisti il racconto della trasfigurazione non ha nulla di storico, ed è o una allucinazione, o una elaborazione mitica, o un simbolo, e simili. Tuttavia un rap­presentativo razionalista ne ha esattamente riconosciuto il valore concettuale, affermando che la trasfigurazione del Cristo si ricollega strettamente, nel quadro sinottico, con l'annunzio della sua passione e della sua resurrezione gloriosa. Essa corregge la prospettiva dei do­lori, e prelude al trionfo (Loisy). E’ esatto, sebbene non del tutto completo: infatti anche la presenza di Mosè ed Elia, rappresen­tanti rispettivamente della Legge e dei Profeti, ha un suo partico­lare valore, volendo dimostrare che la Legge e i Profeti dell'Antico Testamento hanno per loro ultima mira il Messia Gesù: e ciò cor­risponde a quanto Gesù aveva detto nel Discorso della montagna, di non essere venuto ad abolire la Legge o i Profeti... bensì a com­piere (§ 323). Sotto un certo aspetto, la trasfigurazione di Gesù è anche un contrapposto alla sua tentazione (§ 271 segg.). Più direttamente, è un correttivo all'effetto deprimente che le rettificazioni messianiche avevano prodotto sui discepoli, ma nello stesso tempo è una conferma di quelle rettificazioni. Gesù Messia, anche sfolgorante di luce, parla con Mosè ed Elia della sua dipartita, ossia morte, che sta per oc­corrergli a Gerusalemme, come se quella morte sia per lui il pas­saggio necessario onde entrare nella sua gloria manifesta.
Quando egli avrà superato quel passaggio e sarà già entrato nella sua gloria, rimprovererà a certi suoi tardi discepoli: O stolti e lenti di cuore a credere...; non doveva forse patire tali cose il Cristo (Messia), e (così) entrare nella sua gloria? (§ 630). In tal modo la medicina somministrata fece senza dubbio il suo ef­fetto, rianimando i discepoli, ma insieme moltiplicò in essi talune ansie ed incertezze. Perché quella proibizione di parlare ad altri della visione? E il permesso di parlarne solo dopo che il figlio del­l'uomo fosse risuscitato dai morti, a quale avvenimento futuro si ri­feriva? Si era dunque veramente alla vigilia della pafingenesi co­smica e della resurrezione dei morti accennate dalle antiche profezie (Isaia, 26, 19; Ezechiele, 37; Daniele, 12, 1-3)? Ma allora perchè Elia non compariva stabilmente - e non fugacemente come nella visione - per disporre i preparativi della grande palingenesi? Con quest'ultima questione cominciarono i discepoli, e chiesero a Gesù: Perché dunque gli Scribi dicono che Elia deve venire dapprima? (Matteo, 17, 10). Gesù rispose confermando ma insieme schiarendo: Elia, si, deve venire a predisporre tutto; ma esso è già venuto, e gli hanno fatto tutto il male che hanno voluto: così anche il figlio dell'uomo dovrà soffrire e ricevere il male da quelli. Allora i di­scepoli capirono che di Giovanni il Battista parlò ad essi (ivi, 13).

L'indemoniato epilettico

§ 405. Scesi alle falde del monte, i quattro raggiunsero ben presto gli altri Apostoli rimasti alla pianura. Trovarono allora che i rima­sti, forse in numero di nove, erano circondati da molta gente e da Scribi, con i quali stavano discutendo. Visto Gesù, uno della folla gli si fa innanzi dicendo: Ti ho portato mio figlio, l'unico che io abbia, ch'è posseduto da uno spirito mali­gno muto; quando se ne impadronisce, lo dilania, ed esso schiuma, digrigna i denti e s'irrigidisce. Ho pregato i tuoi discepoli di scac­ciarlo, ma non ci sono riusciti. - Questo fallimento aveva forse pro­vocato la discussione con gli Scribi, i quali non avranno mancato di dir la loro parola maligna sui discepoli e anche sul maestro as­sente. Ma adesso egli è presente, e saputo di che si tratta esclama: O generazione priva di fede, fino a quando sarò presso di voi? Fino a quando vi sopporterò? Poi, cercando con lo sguardo il giovanetto: Portatelo a me! (Marco, 9, 19). La fede era per Gesù condizione essenziale per i miracoli; ed egli ne deplorava la mancanza sia presso gli Scribi e il padre del giovanetto, sia presso gli Apostoli il cui fal­limento tradiva in essi una fede fiacca e tentennante. Fino a quando dovrà Gesù sopportare quella mancanza o fiacchezza di fede? Il giovanetto fu portato a Gesù; ma alla presenza del taumaturgo fu subito preso da una crisi parossistica, e stramazzò a terra dibatten­dosi, rantolando e spumando. Durante l'attacco Gesù volle interrogare il padre, non tanto come medico che cerchi di stabilire una diagnosi, quanto per far risaltare agli occhi dei presenti il valore del “segno” che si accingeva a compiere e per indurli a riflettere sulla loro mancanza di fede. Quanto tempo e' che gli successe que­sto? Il padre rispose: Dalla fanciullezza; spesso il maligno spirito lo getta nel fuoco o nell'acqua.
Se puoi far qualcosa, vieni in nostro aiuto, avendo pietà di noi! - Le parole del povero padre tradivano ancora una titubanza di fede, nonostante la deplorazione di Gesù. Perciò Gesù gli disse: Quanto al “se puoi“, tutto e' possibile a chi ha fede! (Marco, 9, 23, greco). La scena che successe a queste pa­role, delineata dallo stile di Marco conforme alle parole di Pietro, è di una vivezza palpitante. Subito, gridando, il padre del ragazzetto diceva (con lacrime):”Ho fede! Soccorri alla mia mancanza di fe­de!”. Vedendo però Gesu' che affluisce folla correndo, intimò allo spirito impuro dicendogli: “Spirito muto e sordo, io t'impongo, esci da costui e non entrare mai pu' in esso!”. E dopo aver gridato e molto sbattuto(lo), (lo spirito) uscì'.
E (il ragazzetto) diventò come un cadavere, tanto che molti dicevano: “E’ morto!”. Gesu' invece, prendendo gli la mano, lo rialzò e (quello) si levò ritto. L'evangelista medico ha la finezza di aggiungere che Gesù lo rese a suo padre. Gli Apostoli, già rimasti delusi, non potevano rinunziare a indagare la causa della delusione; avvicinatisi in privato a Gesù gli dissero: Perché noialtri non potemmo scacciarlo? E Gesù di rimando: Per la vostra scarsezza di fede!
In verità infatti vi dico, se abbiate fede quanto un chicco di senapa, direte a questo monte “Passa oltre da qua a là!” e passerà oltre, e nulla vi sarà impossibile. Del chicco di senapa Gesù già aveva parlato nella sua parabola (§ 368); questo monte a cui alludeva era forse il Tabor, la cui mole s'ergeva davanti a loro; quanto alla necessità della fede per ottenere miracoli Gesù vi aveva insistito più volte nel passato (§ 349 segg.), ma la sua le­zione aveva prodotto scarsi frutti.


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