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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
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06/08/2012 18:32

Alla festa dei Tabernacoli

§ 416. Finiva l'estate dell'anno 29, e con l'autunno si avvicinava la gaia e popolare festa dei Tabernacoli (§ 76). Se Gesù era stato l'ul­tima volta a Gerusalemme per la festa della Pentecoste (§ 384), erano circa quattro mesi che mancava dalla città santa: in questo tem­po la sua operosità in Galilea aveva trovato pessima corrispondenza, ed egli aveva deciso di allontanarsene. Ma dove andare? La mèta gli fu zelantemente suggerita da quei suoi “fratelli” che non credevano in lui (§ 264); essi avevano ben notato i meschini risultati ottenuti dal loro parente dopo tanto affaticarsi nella Galilea, e d'altra parte lo avrebbero visto con loro grande soddisfazione a capo di una fiumana di popolo bene inquadrata e diretta baldanzosamente verso Gerusalemme: là bisognava recarsi per sbalordire quegli in­signi dottori con le opere se si volevano risultati decisivi, altro che perder tempo e sprecar miracoli fra quei montanari della Galilea! Gli dissero pertanto i suoi fratelli: “Trasferisciti di qua e va' nella Giudea, affinché anche i tuoi discepoli (di laggiù) vedano le opere tue che fai. Nessuno, invero, fa alcunché in segreto, e cerca d'essere egli stesso in evidenza. Se fai queste cose, mostra te stesso al mon­do!”.
Neppure, infatti, i fratelli di lui credevano in lui! (Giovanni, 7, 3-5). A Gerusalemme aveva già pensato anche Gesù; ma appunto quel suggerimento dei suoi “fratelli”, dettato da tutt'altre considerazio­ni, servi da momentaneo ostacolo all'attuazione dei suoi piani. Essi pensavano che assai opportuna per una altisonante manifestazione di Gesù era appunto la fèsta dei Tabernacoli, alla quale affluivano grandi folle anche da fuori la Palestina; Gesù invece pensava che precisamente il pericolo di quella rumorosità era un motivo per re­spingere il loro consiglio. Cosicché i “fratelli” insieme con gli altri pellegrini galilei partirono per Gerusalemme, e Gesù invece rimase ancora in Galilea; tuttavia più tardi, quando le carovane parentali (§ 261) erano già partite, si mosse anch'egli alla volta della città santa non manifestamente ma come in segreto (Giov., 7, 10).

§ 417. L'itinerario scelto da Gesù fu il più breve, quello che scen­deva lungo il mezzo della Palestina attraversando la Samaria. I Samaritani, nel loro inveterato rancore, coglievano volentieri l'oc­casione di questi grandi passaggi di pellegrini israeliti per dar loro fastidi di ogni sorta, non escluse ferite e morte; veramente Gesù nel passato aveva trovato buone accoglienze presso i Samaritani, ma soltanto presso quelli di Sychar (§ 294), e del resto il fatto era avvenuto circa un anno e mezzo prima, cosicché non si poteva fare molto assegnamento su quelle antiche disposizioni amichevoli. Quin­di, per premunirsi, egli inviò in precedenza alcuni suoi discepoli che preparassero l'alloggio in un villaggio innominato della zona peri­colosa; ma quanto egli aveva temuto avvenne, perché i Samaritani di quel villaggio, conoscendo che si trattava di Galilei diretti a Ge­rusalemme, non vollero concedere ospitalità. A quest'atto disumano i due fratelli Giacomo e Giovanni, infiammati da baldanzoso zelo, si ricordarono di aver ricevuto da Gesù la potestà di far miracoli per la diffusione del regno di Dio; domandarono perciò a Gesù se acconsentiva a che facessero cadere fuoco dal cielo per incenerire quei ribaldi. Egli invece rivòltosi, li rimproverò. E andarono in un altro villaggio (Luca, 9, 55-56, greco). Chissà che questo altro vil­laggio non fosse appunto Sychar?

§ 418. Nel frattempo le prime comitive di Galilei erano giunte a Gerusalemme; i cittadini, memori del fatto del Bezetha avvenuto pochi mesi prima (§ 384), avevano cercato subito se fosse giunto anche Gesù: “Dov’ è colui?”. E molto bisbiglio era riguardo a lui nelle folle; alcuni dicevano: “E’ buono”; altri invece dicevano:”Macché! Anzi inganna la folla!”. Nessuno tuttavia parlava con franchezza a suo riguardo, per paura dei Giudei (Giovanni, 7, 11-13). Questa scena vividamente storica, sebbene dovuta all'evangeli­sta che si vorrebbe far passare come un astratto allegorista, mostra che la precedente visita di Gesù a Gerusalemme aveva lasciato trac­ce abbastanza profonde, suscitando consensi e dissensi. Improvvisamente, quando gli otto giorni dei Tabernacoli erano per metà pas­sati, si seppe che Gesù era giunto e si era messo ad insegnare nel­l'atrio del Tempio (§ 48). Accorsero ammiratori e detrattori; tutti indistintamente riconoscevano l'efficacia del suo parlare. Ma i detrattori cominciarono subito con una questione pregiudiziale. Non poteva esser veramente dotto e sapiente, se non chi aveva frequentato le scuole dei grandi Rabbi e Scribi ed era stato am­maestrato secondo i loro metodi; perciò quei tali si domandavano diffidenti: Come sa costui di lettere, non essendo stato ammaestrato? C'era ben da diffidare di quell'autodidatta, che in materia religiosa osava staccarsi dalla “tradizione”.
Gesù rispose: “La mia dottrina non e' mia ma di chi m'inviò. Se alcuno voglia fare la volontà di lui, conoscerà riguardo alla dottrina se e' da Dio, oppure (se) io parlo da me stesso. Chi parla da se stesso, cerca la gloria propria; chi invece cerca la gloria di chi l'inviò, costui e' verace e ingiustizia in lui non e'. Non vi dette forse Mose' la Legge, e(ppure) nessuno di voi pratica la Legge? Perché cercate d'uccidermi?”. Rispose la folla: “Hai un demonio! (§ 340). Chi cerca d'ucciderti?”. Rispose Gesu' e disse loro: “Un'unica opera feci e tutti ammirate. Per questo Mose' vi dette la circoncisione non che (essa) sia (istituita) da Mosè; ma dai padri - e in sabbato circoncidete un uomo. Se un uomo riceve la circoncisione in sabbato afinché non sia abolita la Legge di Mose', vi sdegnate con me perché feci sano un uomo intero in sabbato? Non giudicate secondo apparenza, bensì' con giusto giudi­zio giudicate!” (Giov., 7, 15-24).

§ 419. La discussione si riferiva alla guarigione del Bezetha e alle obiezioni fattele dai Farisei. Gesu', senza tornar sopra alle diatribe rabbiniche né replicase all'ingiuria di avere un demonio, cerca di far penetrare i suoi contraddittori più addentro nel significato vero della Legge mosaica. E la disputa continuò; tanto che alcuni di Gerusalemme, ben sapendo qual vento spirasse in città, si chiede­vano: Non è costui quello che vogliono uccidere? Eppure, ecco che parla in pubblico e non gli dicono nulla! Avrebbero forse i nostri maggiorenti riconosciuto che egli è proprio il Messia? Ma noi sap­piamo donde è costui, mentre quando verrà il Messia nessuno co­nosce donde sia! - Era infatti opinione diffusa che il Messia doveva sì essere un discendente di David e nascere a Beth-lehem (§ 254), ma anche che sarebbe comparso inaspettatamente dopo essersi trat­tenuto per lungo tempo in un luogo a tutti sconosciuto in assoluto ritiro; di Gesù invece si sapeva benissimo il luogo abituale di di­mora, e perciò egli non poteva essere il Messia. Gesù quindi rispose appellandosi ancora una volta alla sua propria origine preterrena e all'autorità di chi l'aveva inviato. E me sapete, e donde sono sapete. E(p pure) da me non sono venuto, bensì' e' vero colui che m'inviò che voi non sapete. Io (invece) so lui, perché da lui sono ed egli inviò me (Giov., 7, 28-29). Queste parole furono pronunziate da Gesù ad alta voce, come dichiarazione solenne. Come tale fu intesa dai suoi avversari, i quali la interpretarono - e interpretarono giustamente - come una di­chiarazione di esistenza preterrena e divina; senonché tale dichiara­zione era per essi blasfema, e perciò quegli scandalizzati scattarono e cercarono d'attuare subito l'antico progetto d'impadronirsi di Ge­sù. Ma ancora non era venuta l'ora di lui - osserva l'evangelista spirituale - cosicché nessuno gli mise le mani addosso. Gli avversari infatti erano controbilanciati dagli ammiratori, anzi questi ultimi presero animo, nonostante il vento infido, ed entrando in discussione fecero osservare: Quando il Messia verrà, opererà forse più mi­racoli di costui? Questa risposta era un richiamo alla precisa realtà.
L'argomento dei miracoli, ch'era perentorio e perciò bersagliatissimo venti secoli fa non meno di oggi, ottenne buon effetto e molti credettero in lui. Tuttavia gli avversari che volevano impadronirsi di Gesù non si rassegnarono, e ricorsero ai magistrati del Tempio affinché procedessero a un regolare arresto; ma l'atteggiamento risoluto degli am­miratori di Gesù dovette sconsigliare di procedere a un'azione così pericolosa, potendo seguirne uno di quei tumulti che troppo spesso sorgevano negli atrii del Tempio. E mentre le guardie ronzavano attorno a Gesù, egli ripeteva ai suoi avversari: Ancora breve tempo sono con voi, e (poi) vado a colui che m'inviò. Mi cercherete (al­lora) e non (mi) troverete; e dove sono io, voi non potete venire. Gesù si riferiva ancora alla precedente affermazione della sua origine e provenienza divina; gli avversari, respingendo questa idea, si trovarono davanti ad una allusione imprecisabile e si domanda­vano fra loro: Vorrà egli forse recarsi nella Diaspora giudaica all'estero, per ammaestrare là i pagani?

§ 420. Frattanto, durante l'ottava dei Tabernacoli, si svolgeva ogni giorno la processione che andava ad attingere l'acqua alla fonte di Siloe (§ 76). L'ultimo giorno, ch'era il più solenne, Gesù prese oc­casione dalla cerimonia e ne fece un'applicazione a sé e alla sua dottrina: Se (alcuno ha sete, (venga) a me e beva! Di una certa acqua aveva Gesù parlato già alla Samaritana; ma anche nei secoli prima aveva parlato della stessa acqua un profeta facendo pronunziare a Dio questo lamento: Due mali ha commesso il popol mio: abbandonarono me, sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate, cisterne che non serbano acqua! Anche questa volta Gesù aveva parlato ad alta voce in tono di dichiarazione solenne, e la dichiarazione riaccese tra la folla le dispute di pochi giorni prima. Degli ammiratori alcuni affermavano: Costui è davvero il profeta! Altri: è il Messia. - Gli av­versari rispondevano: Macché Messia! Forseché dalla Galilea viene il Messia? Non viene forse da Beth-lehem, come discendente di Da­vid? - Le guardie del Tempio tentarono nuovamente d'impadronirsi di Gesù, ma rimasero interdette dalla sua potenza spirituale. Rimproverate dai magistrati e dai Farisei di non averlo arrestato, risposero con semplicità: Giammai un uomo parlò in tal maniera come parla quest'uomo! (Giov., 7, 46). I Farisei replicarono sarca­stici: Anche voialtri sareste forse rimasti ingannati da lui? Guardate invece se alcuno dei maggiorenti, o di noi Farisei, ha creduto in lui! Ma questa folla, che non conosce la Legge, è tutta di ma­ledetti! - I maledetti della folla, che ammiravano Gesù, costituivano l'abominevole “popolo della terra” (§ 40). Alla discussione prese parte anche il cauto Nicodemo, rimasto “fra color che son sospesi” (§ 290). Ebbe egli il coraggio di appellarsi alla legalità osservando: Forseché la nostra Legge giudica l'uomo, se non l'ha in precedenza ascoltato e non ha conosciuto ciò che fa? - Ma anche a Nicodemo fu risposto col sarcasmo: Sei forse pu­re tu della Galilea? Fa' ricerche e ti convincerai che dalla Galilea non sorge profeta! - Lo spirito regionalista dei Giudei faceva da avanguardia allo spirito nazionalista dei Gentili; l'uno e l'altro con­corderanno più tardi nel sentenziare che “dalla Galilea non sorge profeta”, e pronunzieranno la loro sentenza senza prima ascoltare l'imputato e senza indagare ciò che ha fatto.

§ 421. Un'altra circostanza della festa offrì occasione a Gesù per presentare se stesso e la sua dottrina. Fin dai vespri del primo gior­no dei Tabernacoli il popolo accorreva all'atrio esterno del Tempio recando rami di palma, mirto e salice; appena calavano la tenebre, i sacerdoti accendevano grandi lampade appese ad altissimi cande­lieri, e subito la folla accendeva innumerevoli altri lumi d'ogni ge­nere. Fra questa luminaria si svolgevano festeggiamenti giocondi, in cui tenevano il primo posto danze eseguite nel mezzo dell'atrio, men­tre i Leviti schierati sui gradini dell'atrio interno cantavano inni sacri: le danze erano eseguite specialmente dai maggiorenti della nazione e dai dottori più famosi, che facevano a gara nel danzare il più a lungo possibile tenendo fiaccole ardenti in mano. I bagliori di quella gaia notte rimanevano negli occhi delle folle festanti anche durante l'ottava seguente, e in uno di quei giorni Gesù applicò la cerimonia a se stesso. Qual giorno fosse, non ci viene detto; ma se Giovanni (8, 12-59) colloca questo episodio dopo gli altri della stessa festa, fa ciò probabilmente perché vede in esso un'opportuna preparazione all'episodio successivo del cieco nato, che riceve la luce da Gesù. Un giorno dunque, trovandosi nell'aula del Tesoro attigua all'”a­trio delle donne” (§ 47), Gesù disse ai Giudei: Io sono la luce del mondo. Chi segue me non cammina nella tenebra, bensì avrà la luce della vita. Come prima aveva parlato dell'acqua riferendosi alla cerimonia dei Tabernacoli, così adesso parlava della luce con analogo riferimento. I Farisei gli risposero che nessuno era tenuto a prestargli fede, perché egli rendeva testimonianza a se stesso, e la sua testimonianza non era verace. Ne seguì una disputa in più riprese (cfr. Giov., 8, 20-21 con 8, 30-31), che dovrà essere letta per intero nel testo originale. Le affermazioni fondamentali di Gesù sono le seguenti.

§ 422. La testimonianza di Gesù è garantita dal suo Padre celeste; ma i Giudei non conoscono il Padre, perché non conoscono Gesù. Intanto il tempo stringe: Gesù si allontanerà per sempre dai Giudei, ed essi moriranno ostinati nel peccato di non aver riconosciuto la sua missione. Essi sono dalle cose di giù e del mon­do; Gesù è dalle cose di su e non del mondo. A questo punto i Giudei, ironicamente, gli rivolgono la stessa domanda già rivolta a Giovanni il Battista dalla loro ambasceria (§ 277): Tu chi sei? Gesù risponde: In primo luogo, (io sono) ciò che appunto vi sto dicendo; la frase evita una dichiarazione precisa e netta, la quale invece è aspettata dai Giudei per poter scendere subito a violenze contro Gesù, come di fatto avverrà alla fine della discussione. Eppure - prosegue Gesù - quando i Giudei avranno innalzato il figlio dell'uomo allora conosceranno che egli è “il figlio dell'uomo”, fedele esecutore della missione ricevuta dal Padre. Questa totale dedizione alla volontà del Padre colpisce molti uditori, i quali credono in lui. Ai nuovi credenti si rivolge poi Gesù, ma subito interloquiscono altri presenti che gli sono rimasti avversi.
Accettando gl'insegnamenti di Gesù - dice egli - si ottiene la vera libertà, e questa consiste non già nell'essere discendenti di Abramo bensì nell'affrancamento dal peccato. Chi è vero discendente di Abramo compia le giuste opere di Abramo, e non cerchi di ucci­dere Gesù inviato dal Padre celeste. Non basta proclamarsi - come fanno gli avversari - figli d'Iddio, bisogna anche amare Gesù ed accettare i suoi insegnamenti, perché egli è uscito da Iddio e inviato da lui; chi non ascolta le parole di Gesù dimostra d'avere per pa­dre il diavolo che fu omicida da principio ed il padre della men­zogna. Se Gesù dice la verità, perché non gli si crede? Chi può convincere lui di peccato? Chi è da Dio, ascolta i detti di Dio; ma per questo gli avversari non ascoltano Gesù, perché non sono da Dio.

§ 423. A questo punto la lotta diviene più serrata. I Giudei risen­tono dei colpi ricevuti, e reagiscono non con accorgimenti dimostrativi ma con ingiurie. Essi replicarono: “Non diciamo bene noi che tu sei un Samaritano (§§ 4, 417) e hai un demonio?”. Gesù rispose:”Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi (invece) mi disonorate. Io al contrario non cerco la mia gloria; v'é chi (la) cerca e (su ciò) giudica. In verità, in verità vi dico, se alcuno abbia custodito la mia parola non vedrà morte in eterno”. Gli risposero i Giudei: “Adesso abbiamo conosciuto che hai un de­monio! Abramo morì, (così) pure i profeti, e tu dici - Se alcuno abbia custodito la mia parola non gusterà morte in eterno. - For­seché sei tu maggiore del nostro padre Abramo che morì? (Così) pure i profeti morirono. Chi ti fai (da) te stesso?”. Gesù rispose: “Se io abbia glorificato me stesso”la mia gloria e' niente; v'e' il Padre mio che mi glorifica” (quello di) cui voi dite - Dio nostro. - E(ppure) non lo conoscete, mentre io so lui; e qualora (io) dica che non so lui, sarò simile a voi mentitore. Ma (io) so lui, e la parola di lui custodisco. Abramo, il vostro padre, esultò per (desiderio di) vedere il mio giorno, e (lo) vide e (ne) godé”. Dissero pertanto i Giudei a lui: “Cinquanta anni ancora non hai, e hai visto Abra­mo?” (§§ 176,182). Disse loro Gesù:”in verità, in verità vi dico, prima che Abramo fosse, io sono”. La discussione è finita. Gesù si è proclamato anteriore ad Abramo, e quindi all'intero ebraismo di cui Abramo è il capostipite. O si accetta la sua affermazione, credendo in lui: oppure in contrapposto si proclama che Gesù è posteriore e inferiore all'ebraismo, e quindi sottoposto alle sue leggi. Ora, secondo la Legge ebraica (Le­vitico, 24, 16), il bestemmiatore deve esser lapidato; perciò i Giudei, secondo i quali Gesù ha bestemmiato proclamandosi preesistente ad Abramo, passano ad applicare la Legge: Tolsero pertanto delle pietre per lanciar(le) addosso a lui. Ma Gesù si nascose, e uscì dal Tempio.

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