È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

SCARICA QUI LA VITA DI GESU' CRISTO DI DOM RICCIOTTI (2)

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.222
Sesso: Femminile
06/08/2012 18:39

Il buon pastore

§ 432. La guarigione del cieco nato e le relative discussioni ebbero ancora degli strascichi, probabilmente vari giorni dopo ma egual­mente a Gerusalemme. Gesù ricorre ad una parabola, parzialmente allegorizzata (§ 360) ma ricavata dai comuni usi palestinesi, e paragona la propria operosità a quella d'un buon pastore, e la società da lui fondata ad un ovile. - L'ovile in Palestina si riduce oggi (e cosi più o meno era venti secoli fa) a un muricciolo di pietre ove si radunano la sera le pecore, di uno o più greggi, che di giorno hanno pascolato nei dintorni. Una portina bassa e stretta aperta nel muricciolo permette alle pecore d'entrare e uscire ad una ad una, per essere più facilmente contate ambedue le volte. Di notte un solo pastore fa la guardia all'ovile contro i ladri e le bestie feroci; ma verso l'alba, quando vengono gli altri pastori a prendersi ciascuno il suo gregge, il pastore di guardia apre regolar­mente ad essi la porticina: il nuovo arrivato dà il suo grido particolare, e allora le sue sole pecore si affollano all'uscio, escono ad una ad una e seguono per tutta la giornata il pastore nella steppa. Le altre pecore aspettano finché non odono il grido particolare del proprio pa­store, e s'avviano ad uscire soltanto quando sentono quella voce, che poi le guiderà per tutta la giornata. Così, gregge per gregge, le pecore partono tutte attraverso l'unica porticina, dirette dalle rispettive voci; le quali, poi, alle volte pronunziano nomi particolari per le pecore predilette: “Ehi! La Bianca!”>. “Tu, la mia Bella!”.
Quella porticina, dunque, è il punto più delicato dell'ovile, ed essa sola ispira fiducia; chiunque non passi attraverso essa ma salga per il muricciolo scaalcandolo, si dimostra con ciò stesso nemico, e non può essere che un ladro o una bestia feroce. Perciò disse Gesù: In verità, in verità vi dico, chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, bensì salendo da altra parte, colui e' ladro e rapinatore. Chi invece entra per la porta e' pastore delle pecore: a lui apre il portiere, e le pecore odono la voce di lui, e le proprie pecore chiama (egli) per nome e le conduce fuori; quando tutte le proprie abbia menate fuori, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché sanno la voce di lui. Un estraneo invece non seguiranno, bensì fuggiranno da lui, perché non sanno la voce degli estranei.

§ 433. Senonché l'allusione non fu capita; e allora Gesù vi ritornò sopra: In verità, in verità vi dico, che io sono la porta delle pecore. Tutti, quanti vennero prima di me, ladri sono e rapinatori; ma le pecore non li udirono. Io sono la porta: se per me alcuno sia entrato, sarà salvato, ed entrerà ed uscirà e troverà pascolo. Il rapinatore non viene se non per rapire, fare strage e distruggere: io venni affinché abbiano vita e abbondantemente (l')abbiano. Chi fossero questi ladri e rapinatori Gesù non spiegò, ma le condizioni storiche dei suoi tem­pi erano sufficienti a farli riconoscere; come gli antichi profeti ave­vano trovato il massimo ostacolo alla loro missione nell'operosità avversaria degli pseudoprofeti profetizzanti la menzogna e... la frau­de del loro cuore, cosi Gesù parlando qui da Messia si riferisce al­l'operosità avversaria degli pseudopredicatori messianici che pullula­rono prima e dopo di lui. Flavio Giuseppe, che li conobbe di persona, descrive coloro che predicarono sotto il procuratore Antonio Felice (52-60 d Cr.) con queste parole: Uomini ingannatori e im­postori, che sotto apparenza d'ispirazione divina operavano innova­zioni e sconvolgimenti; inducevano essi la folla ad atti di fanatismo religioso, e la conducevano fuori nel deserto, come se là Dio avesse mostrato loro i segni della libertà (imminente) (Guerra giud., II, 259). Riferendosi poi al tempo dell'assedio di Gerusalemme lo stesso testimone oculare afferma: Molti, del resto, erano allora i profeti che... andavano intimando d'aspettare il soccorso da parte di Dio... Cosicché il misero popolo fu allora illuso da ciarlatani e da quei che parlavano falsamente a nome di Dio (ivi, VI, 286-288).
Ma la can­crena era vecchia, e se scoppiò in pieno ai tempi qui accennati da Flavio Giuseppe, raccogliamo dallo stesso storico che essa covava da molto tempo prima e che ai tempi di Gesù aveva invaso già larga­mente la plebe giudaica. Questi sono i ladri e i rapinatori a cui allu­de Gesù, come ai diretti e immediati avversari di lui Messia; se poi afferma che le pecore non li udirono, si riferisce alla parte buona e sana del popolo, che del resto ai suoi tempi era ancora la parte nu­mericamente maggiore, mentre in seguito andò sempre scemando.

§ 434. Insistendo ancora nel paragone dell'ovile, Gesù continuò: Io sono il pastore, quello buono. Il pastore, quello buono, rimette la sua vita per le pecore. Il mercenario e che non è pastore, di cui non sono proprie le pecore, vede il lupo che viene, e lascia le pecore e fugge - e il lupo le rapisce e disperde - perché è mercenario e non gl'importa delle pecore. Io sono il pastore, quello buono, e conosco le mie e conoscono me le mie, come conosce me il Padre ed io conosco il Padre: e la mia vita rimetto per le pecore. Ho pure altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo io condurre, e la mia voce udranno, e si farà un solo gregge e un solo pastore. Gesu' dunque, da vero pastore e non da mercenario, è pronto a per­der la vita per il bene dei suoi seguaci. Inoltre, egli è pastore non soltanto di questo ovile dell'eletto popolo israelitico, ma anche di altre pecore le quali un giorno udranno la sua voce: si formerà allora un solo gregge di suoi seguaci, tratti indifferentemente dal po­polo d'Israele e da altri popoli, e il nuovo gregge collettivo avrà per comune pastore il Messia Gesù.
Già gli antichi profeti, trattando dei tempi del futuro Messia, avevano contemplato questo slargamento del ristretto ovile d'Israele entro cui sarebbero entrate pecore di altri ovili Alla fine dei giorni, sarà stabilito il monte della casa di Jahvè sulla cima dei monti e piu' elevato delle colline, e affluiranno ad esso tutte le genti e accorreranno popoli molti, dicendo: “Venite, ascendiamo al monte di Jahvè, alla casa del Dio di Giacobbe, affinché c'insegni le sue vie e procediamo sui sentieri di lui: perché da Sion uscirà la legge, e la parola di Jahvè da Gerusalemme! Terrà egli giudizio fra le genti, e darà sentenza su popoli molti; ed essi foggeranno le loro spade a zappe, e le loro lance a faIci: non alzerà gente contro gente la spada, né impareranno piu' oltre la guerra. Isaia, 2, 24; cfr. Michea, 4, 13.
Gesù infine concluse: Per questo il Padre mi ama, perché rimetto la mia vita affinché nuovamente (io) la riprenda. Nessuno la tolse a me,> bensì io la rimetto da me stesso. Ho potestà di rimetterla, e ho po­testà di riprenderla nuovamente. Questo comando ricevetti dal Pa­dre mio. Anche per queste parole fu dissenso tra i Giudei. Molti, e forse i più, le commentavano spregiosamente concludendo: Ha un demonio ed è pazzo; perché state ad ascoltarlo? - Altri tuttavia replicavano: Eh, no! Queste parole non sono da indemoniato! Può forse un demonio aprir gli occhi ai ciechi? (Giov., 10, 19-21).



[SM=g28004] Espansione del Regno di Dio in Giudea


§ 435. Terminate le ultime discussioni sorte in occasione del Taber­nacoli, Gesù si allontanò da Gerusalemme. Nel bimestre abbondante che correva fra i Tabernacoli e la Dedicazione (§ § 76-77), avvennero buona parte dei fatti narrati a proposito del cosiddetto ”viaggio” di Luca (§ 413 segg.), che perciò si svolsero in massima parte nella Giudea: questo, infatti, era il nuovo campo di lavoro scelto da Gesù allorché aveva abbandonato la Galilea (§ 411). Come già avvertim­mo, questa narrazione particolare a Luca ha mire cronologiche e geo­grafiche soltanto vaghe e generiche, e ciò le imprime un carattere spiccatamente aneddotico; dell'operosità varia spiegata da Gesù in questo tempo per diffondere il regno di Dio nella Giudea abbiamo soltanto elementi isolati, difatti e di discorsi, ma non una relazione completa ed organica. Il diligente raccoglitore Luca ci fornisce solo le notizie ch'è riuscito a ricuperare, sia nella loro quantità sia nei loro reciproci collegamenti: di ciò ch'egli ignora, fedelmente tace. Occasionalmente ci vengono ricordati, tutti insieme, tre uomini che vogliono seguire Gesù (Luca, 9, 57-62); di questi tre, soltanto due so­no mentovati da Matteo (8, 19-22), ed è molto probabile che i tre si presentassero in tempi e luoghi diversi, sebbene poi le loro men­zioni fossero riunite insieme per ragioni redazionali.

§ 436. Un tale, che era scriba secondo Matteo, raggiunge Gesù per istrada e gli dice: Maestro, ti seguirò dovunque tu vada! - Pensava forse, il buon uomo, che un profeta così autorevole e potente avesse una dimora stabile e decorosa, la quale gli servisse da centro di ir­radiazione per la sua operosità. Gesù lo disillude con francbezza: Le volpi hanno tane e i volatili del cielo nidi, ma il figlio dell'uomo non ha dove reclini il capo. In altre parole, il primo a seguire le norme del Discorso della montagna relative alla fiducia nella Prov­videnza (§ 331) era appunto l'oratore di quel discorso. A un altro, che già faceva parte dei discepoli secondo Matteo, Gesù stesso rivolse l'invito dicendogli: Seguimi! L'invitato era ben disposto, ma prima domandò licenza di andar a seppellire suo padre; Gesù replicò: Seguimi! E lascia i morti a seppellire i loro morti; alle quali parole Luca aggiunge le altre: tu invece va', annunzia il regno d'Iddio! - Molto si è discusso su questo breve dialogo. Taluni hanno pen­sato che il padre di quel discepolo non fosse veramente morto, altri­menti il figlio secondo i costumi giudaici avrebbe dovuto stare presso la salma e non vicino a Gesù: egli quindi avrebbe domandato in realtà il permesso di andare ad assistere il vecchio padre nei suoi giorni estremi, come ancora oggi per esprimere questa assistenza si usa la frase affettuosa « chiudere gli occhi ai propri vecchi »; tut­tavia, pur non essendo assolutamente impossibile, la spiegazione è poco verosimile.
Anche meno verosimile è l'ipotesi (Perles) secondo cui il testo greco risulterebbe da una traduzione difettosa dell'aramaico, il quale avrebbe detto originariamente lascia i morti al seppellitore dei loro morti. Secondo ogni verosimiglianza, il padre del discepolo era ve­ramente morto; d'altra parte Gesù vuol far risaltare l'imperiosità dell'appello al regno di Dio, che poteva in certi casi passar sopra anche alle costumanze più legittime. Se per ragioni religiose la Legge mosaica proibiva al sommo sacerdote e al « nazireo » di curare il seppellimento dei propri genitori (Levitico, 21,11; Numeri, 6, 7), a maggior ragione il Messia Gesù esigeva negli annunziatori del regno di Dio almeno la stessa libertà dai legami sociali e una dedizione totale al loro ufficio. I viventi fuor del regno di Dio erano spiritual­mente morti, e il tornare anche per breve tempo fra quei morti po­teva esser pericoloso per quel discepolo: costui ch'era chiamato al regno di Dio, entrasse risolutamente nel regno della vita senza vol­gersi addietro a rimirare il cimitero del mondo. Questa è anche, in sostanza, l'esortazione rivolta al terzo postulante. Egli dice a Gesù: Signore, io ti voglio seguire, ma prima permetti ch'io vada a congedarmi da quei di casa mia. - Gesù risponde: Nessuno che imponga la mano su aratro e riguardi all'indietro, è adatto al regno d'iddio! Come il bifolco che governa l'aratro non traccerà solchi diritti se si rivolta addietro, così chi mira al regno di Dio non deve voltarsi a riguardare le cose del mondo lasciate dietro le sue spalle.

§ 437. Trasferitosi in Giudea, Gesù inviò nuovamente in missione particolare i suoi cooperatori, come aveva già fatto in Galilea (§ 352). Essendo cresciuti i cooperatori, questa volta gli inviati furono ben più numerosi: settantadue, o settanta, a seconda dei codici; è ben probabile che fra i nuovi inviati fossero inclusi, tutti o in parte, i dodici già inviati l'altra volta. Le norme e gli scopi della nuova missione furono sostanzialmente gli stessi di quella precedente; la sua zona d'azione dovette essere la Giudea e forse anche la Transgiordania, - senza però che ci siano fornite notizie precise in proposito: neppure siamo in grado di dire quanto tempo durasse questo nuovo giro d'evangelizzazione, ma sembra che non si protraesse oltre una venti­na di giorni. Al loro ritorno gl'inviati erano giubilanti. Riunitisi appresso a Gesù, gli riferirono con fierezza che perfino i demonii si erano assoggettati a loro nel nome di lui. Gesù si associò alla loro gioia, asserendo di aver visto Satana caduto dal cielo come folgore, e confermò ad essi per l'avvenire l'impero sulle potenze avverse; ma insieme li ammonì che la loro vera gioia doveva esser causata non dall'impero sugli spiriti del male, ma dal fatto che i loro nomi erano stati scritti nel cielo. Il bel successo ottenuto dai discepoli nel propagare il regno di Dio produce in Gesù una gioia più ampia ed elevata. Innalza egli il pensiero al suo Padre celeste, ne contempla i piani dell'umana sal­vezza e rileva che nell'attuare quei piani sono impiegati i mezzi uma­namente meno opportuni, gli uomini meno pregiati ed appariscenti: il suo spirito erompe allora in un ringraziamento tripudiante al Padre celeste.
In quella stessa ora esultò (egli) nello Spirito santo e disse: Rendo laude a te, Padre, Signore del cielo e della terra, perché celasti queste cose a sapienti e intelligenti, e le rivelasti a pargoli! Si, Padre, perché così fu beneplacito al tuo cospetto! - Tutte le cose a me furono consegnate dal Padre mio: e nessuno conosce chi e' il Figlio se non il Padre, e chi e' il Padre se non il Figlio e a chi voglia il Figlio rivelare. Rivolto infine ai discepoli li proclamò beati perché còntemplavano e udivano cose che invano avevano desiderato di con­templare e udire antichi profeti. Questa “esultanza” di Gesù è riferita concordemente da due Sinot­tici (Luca, 10, 21-22; Matteo, 11, 25-27); eppure, a sentirla leggere senza conoscere la provenienza, si concluderebbe fiduciosamente che essa proviene dal vangelo di Giovanni, tante sono le sue analogie di pensiero e di espressione col IV vangelo: il quale invece non contiene nulla di questo tratto. Siffatte analogie sono state sufficienti agli studiosi prevenuti per concludere, ad onta dell'attestazione concorde degli antichi documenti, che il tratto è aggiunto posteriormente o almeno ampiamente interpolato.
Gli studiosi non prevenuti, e che si riportano alle origini storiche dei quattro vangeli, vedranno in questo tratto un documento genuino dell'insegnamento di Gesù, pur rammentandosi che di quell'ampio insegnamento i Sinottici hanno ordinariamente preferito certe parti più accessibili e piane, mentre Giovanni è andato apposta in cerca delle parti più elevate ed ardue tralasciate da quelli (§ § 165, 169); tuttavia l'ordinaria preferenza dei Sinottici riceve un'eccezione appunto qui, ove essi trasmettono ciò che Giovanni tralascerà. Ma rimane sempre fermo che Sinottici e Giovanni si riportano egualmente al Gesù storico.


[SM=g27998] Il buon samaritano

§ 438. Durante questo peregrinare nella Giudea, probabilmente poco dopo il ritorno dei settantadue discepoli, Gesù fu avvicinato da un dottore della Legge che voleva farsi un'idea chiara del pensiero di Gesù su alcuni punti fondamentali: se ne dicevano tante sul conto di quel Rabbi galileo, che il dottore volle rendersi conto della realtà e metterlo alla prova. Lo interrogò quindi con semplicità: Maestro, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna? Gesù gradì l'interrogazione, e volle con opportune sollecitazioni far rispondere allo stesso interrogante, come già aveva usato far Socrate. Gli chiese quindi: Nella Legge che cosa sta scritto? Come (vi) leggi? Quello rispose che vi stava scritto d'amare Iddio con tutte le proprie forze e il prossimo come se stesso. L'amor di Dio era appunto il pri­mo e più solenne precetto che ogni fedele Israelita ricordava a se stesso recitando quotidianamente lo She’ma (§ 66), e Gesù, da fedele israelita, approvò pienamente la risposta: Rispondesti rettamente. Fa' ciò, e vivrai! enonché in nessun passo della Legge si trovano uniti insieme i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo, e sembra che anche i rab­bini di quel tempo non usassero unirli insieme; ad ogni modo restava l'incertezza del terrnine prossimo, che non si sapeva bene a chi do­veva riferirsi, se ai soli parenti o amici, oppure anche a tutti i con­nazionali e correligionari, ovvero nella più esorbitante delle ipotesi perfino ai nemici, agli alienigeni, agli incirconcisi, agli idolatri (§ 327, nota seconda).
Di tutta questa gente chi era il vero prossimo per un Israelita? Possibile che fosse un reca ognuno di essi senza di­scriminazione? Il dottore volle mostrare di non aver parlato alla leg­giera, giacché aveva mirato appunto all'ultima questione; perciò egli, volendo giustificare se stesso, disse a Gesu': E chi e' il mio prossimo? Gesu' gli rispose con una parabola. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico; e s'imbatté in ladroni i quali spogliatolo e carica to(lo) di percosse se n'andarono, lasciandolo mezzo morto. L'odierna strada da Gerusalemme a Gerico è di 37 chilometri, ma anticamente era un poco piu' breve perché l'ultimo suo tratto oggi è stato allungato per comodità del traffico; quell'uo­mo scendeva da Gerusalemme a Gerico, perché la strada è quasi tutta in discesa essendovi fra le due città un dislivello di circa 1000 metri. Circa dall'80 chilometro fin quasi alle porte di Gerico la stra­da si svolge in luoghi assolutamente deserti, montagnosi, e spesso im­pervii; perciò in tutti i tempi è stata infestata da ladroni, essendo praticamente impossibile snidarli dai rifugi segreti disseminati ai fianchi della strada ed avendo essi ogni comodità di allontanarsi e scomparire dopo qualche misfatto. Oggi sono stati moltiplicati lun­go la strada i corpi di guardia della polizia; ai tempi dei Bizantini e dei Crociati serviva da corpo di guardia il Khan Hathrur, massic­cia costruzione situata al 19° chilometro, che mentre proteggeva da rapine i viandanti poteva offrir loro anche un ricovero per la notte. La strada infatti, benché cosi malsicura, era frequentatissima, essendo l'unica che metteva la capitale Gerusalemme e buona parte della Giudea in comunicazione con l'ubertosa e popolosa pianura di Ge­rico e più in là ancora con la Transgiordania.

§ 439. Il malcapitato, dunque, giace sulla strada ammaccato di per­cosse, stordito, e non può in nessun modo tirarsi fuori da quelle con­dizioni se qualche pietoso non viene in suo soccorso. Ora per caso un sacerdote scendeva per quella strada, e veduto quello passò di lungo. Similmente poi anche un Levita, venuto sul posto e veduto (quello), passò di lungo. La parabola evidentemente suppone che ambedue, il sacerdote e il Levita, avessero terminato la loro muta di servizio al Tempio (§ 54), e quindi tornassero alle loro case situate a Gerico o giù di lì. Dopo questi due, passa un terzo viandante. Ma un Samaritano, essendo in viaggio, venne presso di quello, e veduto (lo) si commosse; e avvicinatosi lasciò le ferite di lui versandovi sopra olio e vino; fattolo poi salire sul giumento (suo) proprio, lo condusse alla locanda ed ebbe cura di lui. E la dimane, messi fuori due denari, (li) dette al locandiere e disse: “Abbi cura di lui) e ciò che (tu) abbia speso in più io al mio ritorno ti renderò”. Il Samaritano era forse un mercante che andava per acquisti nel distretto di Gerico, e di li a poco sarebbe ritornato facendo il cammino inverso; era anche be­nestante, perché viaggiava su un giumento suo proprio. La pietà ch'egli senti subito per l'infelice l'indusse a curano come meglio po­teva in quella solitudine: applicò quindi alle ferite i medicinali del tempo, ossia l'olio emolliente e il vino disinfettante, e le fasciò con bende improvvisate; caricò poi di peso sul giumento quell'uomo inerte e imbambolato, e sostenendolo di fianco come meglio poteva lungo il tragitto lo portò fino alla locanda.
Questo ricovero era certamente il caravanserraglio (§ 242) di quella strada; forse era situato sul posto dell'odierno Khan Hathrur, che una vecchia denominazione chiama anche « Castel del sangue », dal color rosso che le rocce ferrigne hanno in quel luogo, ma che spontaneamente fu applicato al sangue abitualmente sparso lungo la strada: di qui anche l'altra denominazione usuale di “Al­bergo del buon Samaritano”. I due denari d'argento, equivalenti a un po più di due lire in oro, erano una scorta sufficiente per prov­vedere a vari giorni di cura: del resto, se la scorta non fosse bastata, il Samaritano aveva promesso al locandiere di rimborsarlo del di più.

§ 440. La parabola era finita. Siccome il dottore aveva richiesto di sapere chi fosse il suo prossimo, cosi Gesù concluse la parabola pro­vocando la risposta dal dottore stesso: Chi di questi tre ti sembra che sia stato (il) prossimo di colui che s'era imbattuto nei ladronì? Il dottore naturalmente rispose: Quello che usò misericordia con lui. E allora Gesù: Va', anche tu fa' lo stesso! Si noterà l'apparente discrepanza fra la domanda del dottore (chi e' il mio prossimo?) e la risposta di Gesù (anche tu fa' lo stesso!); è una discrepanza di pura forma. Il dottore rimane nel campo delle idee: Gesu' scende nel campo dei fatti, perché le più belle idee parole se non diventano fatti della vita; la vita e' il paragone delle parole, e le parole più belle diventano efficaci solo quando siano precedute e seguite da una vita di disinteresse e di sacrificio. E perciò al dottore che vuol sapere chi é il prossimo, Gesù mostra chi agisce da prossimo e aggiunge l'esortazione ad imitare costui. Nel caso della parabola, il prossimo del ferito erano ufficialmente più d'ogni altro il sacerdote e il Levita: ottima idea, pessimo risulta­to. In nessun modo era ufficialmente prossimo del ferito il Samaritano: pessima idea, ottimo risultato.
I due ministri della religione nazionale non sentono il minimo palpito di pietà per il loro conna­zionale boccheggiante: lo straniero ed esecrato Samaritano fa per quell’infelice avrebbe fatto per suo padre e sua madre. Dei tre, solo il Samaritano agisce da prossimo, pur non essendo ufficialmente “prossimo”; dunque qualsiasi uomo, di qualsiasi razza e fede, può essere prossimo perché può agire da prossimo.
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:00. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com