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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
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06/08/2012 18:44

Marta e Maria. Il « Pater noster » Parabole sulla preghiera

§ 441. Durante la sua peregrinazione Gesù giunse alle immediate vicinanze di Gerusalemme; entrato in un villaggio, che Luca non no­mina, fu ospitato da due sorelle di nome Marta e Maria. Sono le so­relle di Lazaro, delle quali parla anche Giovanni (11, I segg.), e per­ciò l'innominato villaggio deve essere Bethania; con l'insieme della narrazione concorda anche la situazione di Bethania che è sulla strada pericolosa da Gerusalemme a Gerico, e quindi, se la parabola del buon Samaritano fu recitata poco prima dell'arrivo a Bethania, occasione alla parabola fu fomita dai luoghi stessi ove Gesù era di passaggio.
Nella casa ospitale, certamente già nota a Gesù, chi appare gover­nante è Marta, probabilmente la più anziana delle due sorelle ch'era­no forse orfane: e non per nulla si chiama Marta (in aramaico “si­gnora”), giacché ella provvede a tutto, dispone tutto, per fare degna accoglienza all'ospite e amico venerato. Il fratello Lazaro non figura affatto in questo episodio e non è neppur nominato; era egli forse appartato e già in preda a quella malattia che pochi mesi più tardi l'avrebbe condotto alla sua quatriduana dimora nella tomba (§ 489)? Non è impossibile, ma non sappiamo nulla di preciso. Quanto a Maria, ella sfrutta l'incessante operosità di sua sorella per starsene tranquillamente vicino a Gesù; dal momento che la brava Marta bada a tutto, la sorella minore ha agio d'ascoltare dalla bocca di Gesù quelle parole che trascinano folle e tramutano cuori. Marta va e viene affaccendata, passando per la stanza dei due, e cerca di raccogliere anch'essa talune delle parole di Gesù: ma la spigolatura è scarsa, perché sono molte le faccende domestiche; cosicché ad un certo punto un'amorevole invidiuzza - o meglio emulazione - verso la sorella, nonché una certa dimestichezza con l'amico di casa Gesù, la rendono ardita ad accenti di confidenza; fattasi dappresso disse: Signore, non t'importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a ser­vire? Dille dunque che s'unisca ad aiutarmi!

In altre parole Marta, solerte massaia e devota ammiratrice di Gesù, fa notare che, sbri­gando più presto in due le faccende domestiche, le sorelle unite in­sieme potranno più tranquillamente godere della parola del maestro. Senonché Gesù, con confidenza eguale ma animata da un'idea ben più alta, le risponde: Marta, Marta! Ti preoccupi ed agiti per molte cose, mentre di poche c'e' bisogno o d'una sola. Maria, in realtà, si scelse la porzione buona, la quale non le sarà tolta. Erano infatti molte le cose materiali a cui badava la buona Marta, ma queste molte si potevano ridurre a poche, data la frugalità di Gesù e dei suoi discepoli presenti; e anche queste poche cose mate­riali erano trascurabili davanti a quell'una sola, ma spirituale, a cui convergeva tutta l'operosità di Gesù. Non aveva egli ammonito, nel Discorso della montagna, di cercare in primo luogo il regno di Dio con la certezza che esso avrebbe portato con sé per soprappiù tutto il resto? Quella era la porzione buona che Maria si era scelta.

§ 442. Subito dopo l'episodio di Bethania, Luca colloca l'insegnamento del Pater noster, che Matteo invece ha già riportato nel Di­scorso della montagna.
La collocazione di Luca, come già rilevammo (§ 371), sembra più a suo posto storicamente, perché ha la seguente introduzione che dà ragione dell'insegnamento. E avvenne che, men­tre egli era in un certo luogo pregando, appena terminò, uno dei suoi discepoli gli disse:”Signore, insegnaci a pregare, come pure Giovanni (il Battista) insegnò ai discepoli suoi”. Disse quindi loro:” Quando preghiate, dite: Padre, ecc.”. Ma fu questa veramente la prima volta che Gesù insegnò a pregare ai suoi discepoli? Se si ri­sponde in maniera affermativa resta da spiegare come mai Gesù, dopo tante norme di formazione spirituale impartite a quei suoi pre­diletti, non avesse mai toccato questo punto così importante rele­gandolo agli ultimi mesi di sua vita.
Ovvero questa volta Gesù tornò sopra a un argomento già trattato, spiegandolo e confermandolo sem­pre meglio? Ciò sembra più verosimile; e allora le collocazioni sia di Luca che di Matteo avrebbero ciascuna la sua parte di ra­gione. Se pertanto questo rinnovato insegnamento del Pater noster avvenne poco dopo l'episodio di Bethania, è anche naturale che avvenisse nei pressi di Bethania. Nel secolo IV si additava il vicino monte degli Olivi come luogo ove Gesù ammaestrò i discepoli, ma solo verso il secolo IX si hanno le prime affermazioni che ivi fosse insegnato il Pater noster. Nell'anno 1345 Nicolò da Poggibonsi scriveva: ... Vai a monte Uliveto; e a parte destra, sopra la via, si e' un muro, insu una chiesa, ma ora si e' guasta, che non c'e' se non l'amattonato. Di sotto si c’è una cisterna, e al ponente, in sul muro, si c'e' una grande pietra, nella quale si vedea scritto tutto il Paternostro. E ivi il nobile Jesu' Cristo fece il Paternostro, e diello agli Apostoli (Libro d'Oltra­mare, I, pag. 165). Oggi, nella rinnovata chiesa dell'Eleona, presso la vetta del monte degli Olivi, la prima preghiera cristiana è parimente scolpita in lingue d'ogni stirpe umana.

§ 443. Insegnata la formula, Gesù continuò l'insegnamento sulla preghiera illustrandone particolarmente le principali qualità, che erano la tenacia e la fiducia. La preghiera, secondo Gesù, doveva essere tanto insistente e tenace, da sembrare quasi petulante: la norma infatti viene illustrata con una breve parabola, che è un bell'esem­pio di petulanza palestinese. In un villaggio qualsiasi vi sono due amici, uno dei quali a notte inoltrata riceve la visita d'un suo conoscente che è in viaggio e desi­dera alloggiare quella notte presso di lui. Un giaciglio si fa presto a prepararglielo; ma il viandante ha pure fame, e come si fa a ser­virlo se tutto il pane disponibile in casa è stato consumato nella cena di quella sera? Non resta che andare a chiederne in prestito; ma dove andare, che l'ora è tarda e tutti dormono? Non c'è da tentare cbe presso l'amico; è già mezzanotte, ma avrà pazienza e farà questo fa­vore. Difatti l'amico ospitante va all'uscio dell'altro e comincia a bussare a distesa: Ebi! Ehi! Prestami tre pani. E’ capitato da me un conoscente in viaggio, e non ho che mettergli davanti? - Quello di dentro, risvegliato bruscamente, pensa ch'è un'indiscrezione bell'e buona: Non mi dar seccature! La porta e' già inchiavata, e i miei figlioli stanno con me a letto! Non posso alzarmi!...
Ma se quello di fuori non si lascerà disanimare dalla prima ripulsa, e seguirà inve­ce a bussare e strepitare, quello di dentro alla fine cederà, se non in forza dell'amicizia, certo in forza della seccatura. E Gesù concluse: Anch'io dico a voi: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Ognuno infatti che chiede riceve, e che cer­ca trova, e che bussa gli sarà aperto”. Ciò valeva per la tenacia della preghiera. Ma da quale considerazione morale doveva essere alimentata quella tenacia? Donde proveniva la fiducia d'esser esauditi? Anche questo punto fu illustrato da Gesù con brevi esempi pratici. A chi di voi, essendo padre, il figlio domanderà un pane, gli darà forse un sasso? oppure anche un pesce, forse invece d'un pesce gli darà un serpente? oppure chiederà un uo­vo, gli darà uno scorpione? (Luca, 11, 11-12). (Infatti i grossi scor­pioni palestinesi hanno il ventre ovale e biancastro, cosicché, visti rovesciati, dànno l'impressione d'un uovo). In questo modo, dunque, si comportano i padri terreni; ciò offre il terminus a minori alla com­parazione che fa Gesù, il quale prosegue: Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, quello nei cieli, darà cose buone a quei che lo pregano? (Matteo, 7, 11).


[SM=g27998] Guarigione di un indemoniato e calunnie dei Farisei. Più beati della Madre di Gesù. Il segno di Giona

§ 444. Alle istruzioni sulla preghiera Luca fa seguire la guarigione di un indemoniato muto (Luca, 11, 14 segg.). La stessa narrazione si ritrova in Matteo (12, 22 segg.), ove però l'indemoniato è anche cieco oltreché muto (cfr. S. Agostino, De cons. evangelist., II 37); inoltre la discussione con i Farisei che seguì alla guarigione si ritro­va in Marco (3, 22 segg.), ov'è collocata in mezzo alla visita dei pa­renti di Gesù (§ 345). La collocazione di Luca, che mette guarigione e discussione durante questa permanenza nella Giudea è da preferirsi a quella degli altri due Sinottici che l'anticipano. Gesù dunque, a cui era stato presentato un indemoniato muto (oltre­ché cieco), lo guarì pubblicamente. Al fatto si trovarono presenti alcuni Scribi giunti da Gerusalemme e alcuni Farisei, i quali non ne­garono la guarigione ma la spiegarono affermando che Gesù coman­dava ai demonii perché egli stesso se la intendeva col principe dei de­monii Beelzebul, e con l'autorità di costui agiva. Il nome di questo principe era stato anticamente Ba’ al zebub, “Baal (dio) delle mo­sche”, e aveva designato una divinità filistea di Accaron (cfr. II[Iv] Re, 1, 2 segg.); più tardi, invece, designò l'oggetto dell'idolatria in genere, e allora il nome con leggiera mutazione fu cambiato in Ba' al zebul, “Baal del letame”, per allusione dispregiativa agli idoli ed alloro culto. Gesù, pertanto, sarebbe stato in amichevoli relazioni con questo principe. All'ingiuria degli Scribi e dei Farisei Gesù rispose nella maniera meno gradita ad essi, cioè invitandoli ad un sereno ragionamento. Riferendosi pertanto all'angelologia del giudaismo contemporaneo (§ 78), Gesù fece osservare che il regno di Satana era un regno gerarchicamente costituito e ben compatto, mentre se fosse stato diviso in se stesso sarebbe caduto in rovina.
Come dunque voi, Scribi e Farisei, potete affermare che io scaccio Satana nel nome di Satana? In tal caso il suo regno sarebbe diviso e cadrebbe in rovina. Del resto anche voi, Scribi e Farisei, avete i vostri esorcisti; ebbene, do­mandate ad essi se è possibile scacciare Satana in nome di Satana, ed essi vi giudicheranno nella vostra calunnia contro di me. Se poi scaccio i demonii nel nome di Dio, e li scaccio io personalmente con tanta facilità e li fo anche scacciare dai miei discepoli, tutto ciò dimostra che qualcosa di straordinario si compie in mezzo a voi, cioè che e' giunto su voi il regno d'iddio. Ma voi non vedete tutto ciò perché non volete vedere, e davanti al fulgore della luce chiudete ostinatamente gli occhi; il che significa peccare direttamente contro lo Spirito santo fonte di luce per voi, significa sbarrare le strade di salvezza appianatevi da Dio e frustrare i suoi disegni. Badate però che ogni peccato e bestemmia sarà rimessa agli uomini, ma la bestem­mia dello Spirito non sarà rimessa; e chi dica parola contro il figlio dell'uomo gli sarà rimessa, ma chi (la) dica contro lo Spirito santo non gli sarà rimessa né in questo secolo né in quello venturo. Rimane in oscurità eterna chi non vuole disserrare gli occhi dell'anima alla luce dello Spirito; e non basta disserrarli momentaneamente ma è necessario tenerli sempre aperti, perché Satana espulso una volta torna all'assalto del suo antico dominio.

§ 445. A questa discussione erano presenti anche persone favorevoli a Gesù; ed ecco d'in mezzo ad esse levarsi una voce di donna che grida a Gesù: Beato il ventre che ti portò, e le mammelle che succhiasti! La felicitazione, squisitamente femminile, è riportata dal solo Luca (§ 144). Gesù accolse la felicitazione, ma nello stesso tempo la sublimò rispondendo: Ancor più beati quelli che ascoltano la parola d'iddio e (la) custodiscono. Una risposta sostanzialmente eguale Gesù aveva già data a coloro che gli annunziavano esser giunti i suoi parenti e sua madre per parlargli (§ 345).

§ 446 E la discussione, dopo il grido della donna, riprese. Alcuni Scribi e Farisei, mostrando quasi una certa condiscendenza, si di­chiararono disposti a riconoscere la missione di Gesù: ma natural­mente ci volevano le prove, i “segni”, e questi non potevano essere i miracoli operati fino allora da Gesù; ci voleva invece un “segno” di tipo rabbinico, di quelli fatti a tempo e luogo prestabiliti, quasi a tocco di bacchetta magica, e meglio ancora se fosse stato un “se­gno” meteorologico calato dal cielo. Era in sostanza la richiesta fat­ta poco prima a Gesù da altri Farisei (§ 392). Anche questa volta la richiesta è respinta da Gesù, il quale però ag­giunge talune dichiarazioni: Una generazione perversa e adultera ricerca un segno, e un segno non le sarà dato se non il segno di Giova il profeta. Poiché, come Giona era nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti, cosi sarà il figlio dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
L'espressione giorno e notte designava nell'uso rab­binico il complesso di 24 ore, fosse questo complesso intero o soltanto frazionario; perciò qui Gesù annunzia che il figlio dell'uomo sarà nel cuor della terra durante tre complessi di 24 ore, interi o fraziona­ri; e poi ne risalirà fuori come Giona dal suo cetaceo. Dal momento che i Farisei respingono gli altri segni e ne richiedono uno con parti­colari condizioni, accolgano questo segno di Giona che risponde in gran parte alle loro condizioni: esso infatti avverrà a tempo presta­bilito, cioè alla morte del figlio dell'uomo; se non calerà dal cielo aperto ove dimorano gli angeli potenti, sorgerà in compenso dall'abis­so chiuso ove dimorano i morti impotenti (§ 79); infine, non rappre­senterà un puntiglio di potenza personale perché il figlio dell'uomo avrà cessato allora le sue presenti contese e si troverà nel cuor della terra, ma in compenso il segno rappresenterà il trionfo di un'idea come il fatto di Giona rappresentò il trionfo della “penitenza” presso gli abitanti di Ninive. Uomini Niniviti sorgeranno nel (giorno del) giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché fe­cero penitenza alla predicazione di Giona: ed ecco, più che Giona è qui. Lo stesso farà in quel giorno la regina di Saba, venuta dalle estremità della terra ad ammirare la sapienza di Salomone (I [III] Re, 10,1 segg.): ed ecco, più che Salomone e' qui. L'allusione al triplice “giorno e notte” da passare nel cuore della terra fu capita bene dai Farisei. Appena morto Gesù, essi correranno da Pilato raccomandandosi che provveda in tempo, giacché essi in quell'occasione si ricordano che quell’imbroglione (cioè Gesù) disse essendo ancora vivo: “Dopo tre giorni risorgo” (§ 619). Cosicché anche il segno di Giona, rispondente in gran parte alle condizioni da loro poste, verrà da loro respinto: essi si raccomanderanno a Pilato per paura che il nuovo Giona risalga dal cuor della terra, per paura che la loro cecità sia illuminata, e per paura che essi non possano ancora bestemmiare lo Spirito santo.

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