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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 19:22
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06/08/2012 19:01

DALL’ULTIMO VIAGGIO LUNGO LA GIUDEA FINO ALLA SETTIMANA DI PASSIONE

I dieci lebbrosi. Vicende del Regno di Dio


§ 473. Le peregrinazioni di Gesù, frattanto, continuavano; trasferi­tosi dalla Transgiordania nuovamente nella Giudea, egli dovette spin­gersi fin verso la Galilea, donde scese per il suo ultimo viaggio alla volta di Gerusalemme (§§ 413 segg., 462). All'inizio di questo viaggio, mentre Gesù stava per entrare in un villaggio posto sui confini tra la Samaria e la Galilea (che una tradi­zione molto tardiva vorrebbe riconoscere in Genin) gli vennero incon­tro dieci lebbrosi, i quali, tenendosi a distanza per la nota prescri­zione (§ 304), si dettero a gridargli che avesse pietà di loro. Gesù ri­spose che andassero a presentarsi ai sacerdoti, come aveva già ordi­nato l'altra volta; non era già la guarigione, ma una promessa di guarigione. I lebbrosi interpretarono la risposta in questo senso, e s'incamminarono per obbedire; strada facendo si trovarono guariti. La felicità della guarigione fece dimenticare ad essi i doveri della gra­titudine e tutti se ne andarono per i fatti loro, tranne uno, che glo­rificando Dio tornò addietro a ringraziar Gesù. Ora, costui era pro­prio un Samaritano. Gesù gradi l'omaggio di quello straniero, rilevò che egli solo aveva sentito il dovere della gratitudine, e gli confermò che era stato salvato dalla sua fede (§ 349 segg.).

§ 474. Dopo l'episodio dei lebbrosi Luca introduce i Farisei, e ripor­ta un dialogo di Gesù con essi e poi con i suoi discepoli. Il dialogo, riferito quindi dal solo Luca, contiene tuttavia vari elementi che si ritrovano nel grande discorso escatologico degli altri Sinottici (§ 523 segg.), di cui questo dialogo sembra un' anticipazione; ma anche qui Luca è da preferirsi sotto l'aspetto cronologico, perché è assai pro­babile che l'argomento comune al dialogo e al discorso fosse trattato più di una volta da Gesù, sebbene gli altri Sinottici per ragioni reda­zionali riuniscano le varie trattazioni in una sola. Questo dialogo è provocato da una interrogazione dei Farisei che domandano a Gesù quando viene il regno d'iddio (Luca, 17, 20). Era ironica la domanda, ovvero si riferiva seriamente alla venuta clamorosa del regno nazionalistico-messianico? Non si potrebbe dire con certezza, sebbene la risposta di Gesù faccia propendere per il secondo senso. Gesù rispose agli interroganti in maniera sbrigativa, come a gente non disposta a lasciarsi convincere: il regno d'iddio non viene con avvertenza, né si dirà “Ecco (é) qui” ovvero “(E)lì”. Ecco, infatti, il regno d'iddio è dentro voi” Questa indicazione dentro voi si riferiva alla colletti­vità (in mezzo a voi) non ai singoli (nell'interno di ciascuno di voi), perché Gesù vuol far rilevare che il regno di Dio si propaga, non in maniera spettacolosa come l'attendevano i Farisei, ma senza avver­tenza: tanto è vero che esso è già in mezzo a loro. E altro Gesù non disse a quegli interroganti maldisposti.

§ 475. Tuttavia, data l'importanza dell'argomento, vi tornò sopra rivolgendosi nell'intimità ai suoi discepoli; ai quali disse: Verranno giorni quando desidererete vedere uno solo dei giorni del figlio del­l'uomo, e non vedrete (tal giorno). I giorni qui annunziati sono di distretta e di calamità: in quelle circostanze i discepoli di Gesù de­sidereranno di vedere uno solo dei giorni in cui il figlio dell'uomo viene in possanza (§ 401), cioè dispiegando quella sua forza che gli assicurerà il trionfo finale: eppure quel sospirato giorno, di manifesta ripresa e palese sopravvento contro le calamità imperversanti, non verrà. Si avranno piuttosto annunzi fallaci, contro i quali Gesù mette in guardia i suoi discepoli E vi si dirà “Ecco (e') qu”, “Ecco (e') là” il sospirato figlio dell'uomo che torna da trionfatore; ma voi non prestate fede, non vi movete, né andate appresso a tali indicazioni. Come infatti la folgore folgoreggiando da un punto all'altro del cielo lampeggia, così sarà il figlio dell'uomo nel giorno suo. Dunque il fi­glio dell'uomo verrà indubbiamente da trionfatore a compiere la consumazione del regno messianico, ma quel suo giorno sarà subita­neo e improvviso come la folgore del cielo né alcuno potrà preve­derlo; oltre a ciò, quel suo trionfo dovrà essere preceduto dalla sua sofferenza (§ 400): prima però e' necessario che egli soffra molto, e che sia riprovato da questa generazione (Luca, 17, 25). Stante questa sicurezza del fatto unita con l'incertezza del tempo, i discepoli dovranno stare sempre pronti e non abbandonarsi alla ne­gligenza a cui si abbandoneranno gli altri uomini.
E come avvenne nei giorni di Noe', così sarà anche nei giorni del figlio dell'uomo mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno che Noé entrò nell'arca e venne il diluvio e distrusse tutti Similmente, come avvenne nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano, ma nel giorno che Lot usci da Sodoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e distrusse tutti; conforme a ciò sarà nel giorno in il figlio dell'uomo si rivela. Cosicché molti, moltissimi, saranno coloro che nel giorno del figlio dell'uomo penseranno a tutt'altro che a lui e al suo trionfo; questi moltissimi staranno tenacemente attaccati al mondo che tuttora li avvolge, e non si accorgeranno del mondo nuovo che sopravviene: come appunto la moglie di Lot al tempo del cataclisma era ancora attaccata col desiderio alla sua casa di Sodoma, e fu uccisa da que­sto suo attaccamento che la fece rivolgere indietro. in quel giorno chi starà sul tetto e i suoi oggetti (staranno) dentro la casa, non scenda a prenderli; e chi (starà) nei campo, egualmente non si ri­volga addietro. Ricordatevi della moglie di Lot! Chi cerchi di porre in salvo la sua vita la perderà, e chi la perderà la farà vivere. Perciò l'avvento glorioso del figlio dell'uomo, essendo subitaneo ed imprevi­sto, esige che tutti siano staccati da tutto, perfino dalla propria vita, onde seguire immediatamente il trionfatore apparso. Questo distacco sarà il criterio di discriminazione per selezionare coloro che segui­ranno il trionfatore Vi dico: in quella notte saranno due in un solo letto; l'uno sarà preso e l'altro sarà lasciato. Saranno due (donne) macinanti alla stessa (mola); e l'una sarà presa e l'altra sarà lasciata.
Ma, fatta la discriminazione, coloro che saranno presi dove andranno? Evidentemente presso il trionfatore apparso. I discepoli ne interrogano Gesù dicendogli: Dove, Signore? Forse, più che la risposta, intendevano il luogo. A quest'ultimo punto non rispose Gesù, che si limitò a far rilevare come i prescelti si raccoglieranno spontaneamente da tutto il mondo attorno al trionfatore, con la stessa rapidità sicura con cui le aquile si raccolgono attorno al carname: Dove (sta) il corpo, là pure sopra s'accoglieranno le aquile.
§ 476. Riassumendo in poche parole l'intero dialogo, troviamo che Gesù ha parlato del regno di Dio ai Farisei e ai discepoli. Ai Farisei egli ha confermato che quel regno è un fatto, non fragoroso o folgoreggiante, ma pur realissimo, tanto che è già in mezzo ad essi: è dunque la predicazione stessa di Gesù, simboleggiata nella stessa maniera per mezzo delle parabole (§ 365 segg.). - Ai discepoli Gesù ha parlato di una nuova venuta del figlio dell'uomo, destinata al trionfo palese di lui ed alla consumazioiie del regno messianico: essa sarà subitanea ed imprevista, e poiché deciderà circa la sorte degli eletti e dei riprovati, tutti devono tenersi pronti col distacco assoluto da ogni bene presente. E’ dunque la parusia del Cristo glorioso, che instaurerà il regno di palese ed universale giustizia e che costituisce l'ultimo risultato della predicazione di Gesù, presentata poco prima ai Farisei egualmente come regno di Dio. Di questa parusia parlerà nuovamente Gesù (§ 525 segg.).

[SM=g27998] Il giudice iniquo. Il fariseo e il pubblicano

§ 477. Il precedente dialogo ebbe uno strascico. Come prospettiva terrena, il dialogo aveva pronunziato parole di colore oscuro, che avevano lasciato prevedere, oltre alla sofferenza suprema ed alla ri­provazione del maestro, anche quei giorni di distretta e di calamità in cui i discepoli avrebbero desiderato invano di vedere uno solo dei giorni trionfali del figlio dell'uomo. Ma, se in quei giorni di prova i discepoli avessero pregato, non sarebbero stati esauditi? La prova non sarebbe stata abbreviata? Iddio non avrebbe reso giustizia ai suoi eletti, facendo un piccolo anticipo ai trionfo finale del figlio dell'uomo? Si, certamente; e Gesù espresse questo insegnamento con una para­boIa molto simile a quella dell'amico importuno (§ 443) e riportata dal solo Luca (18, 18) appunto dopo il precedente dialogo: Diceva poi loro una parabola riguardo alla necessità che essi pregassero sem­pre e non si stancassero. C'era in una città un giudice che non aveva né timor di Dio né riguardo per uomini. Nella stessa città c'era anche una povera ve­dova che, come di solito le vedove nell'antichità, riceveva continui soprusi da un tale. La vedova ricorreva ogni tanto dal giudice racccomandandosi: Rendimi giustizia del mio persecutore! - Per un pezzo il giudice non se lo dette per intesa, ma alla fine, seccato per l'insi­stenza della donna, fece tra sé questo ragionamento: “Se pur non temo iddio né ho riguardo per uomo, tuttavia per il fastidio che mi dà questa donna le renderò giustizia, affinché non venga alla fine a rompermi la testa”. - Finita qui la parabola, Gesù soggiunse: “Udiste che cosa dice il giudice iniquo?
E iddio forse non farà giustizia dei suoi eletti che gridano a lui di giorno e di notte ed è lento a loro riguardo? Vi dico che farà giustizia di essi con celerità! Senonché il figlio dell'uomo, venuto (che sia), troverà la fede sulla terra?”. Quest'ultima proposizione non mostra una chiara connessione logica con ciò che precede, e non senza fondamento si è pensato che essa sia un detto staccato di Gesù proveniente da altro discorso. La pro­posizione sembra aver presenti i tempi in cui i discepoli desidereran­no vedere un solo dei giorni del figlio dell'uomo e non lo vedranno (§ 475); quei tempi saranno così duri e calamitosi che scoteranno la fiducia di moltissimi (cfr. Matteo, 24, 12; Marco, 13, 22), tanto che in tono retorico si può ben domandare se il figlio dell'uomo... troverà la fede sulla terra. Checché sia del senso e riferimento di questa proposizione, è noto che i cristiani delle prime generazioni fecero un particolare assegnamen­to su queste promesse. Stretti fra persecuziom incessanti, essi anela­rono di vedere il giorno del figlio dell'uomo, in cui il Cristo trionfato­re calasse dalle nubi a rendere loro giustizia: e attesero di vedere que­sta giustizia con celerità e di contemplare la grande rivelazione del fi­glio dell'uomo da un giorno all'altro. Ma alla loro ansia furono som­ministrati correttivi già dagli Apostoli, i quali ammonirono di non perturbarsi quasicché sia imminente il giorno del Signore (II Tessa­lonicesi, 2, 2), e di ricordarsi che un solo giornò (e') presso il Signore come mille anni, e mille anni come un solo giorno; non ritarda il Si­gnore la promessa (II Pietro, 3, 8-9). Quei primi cristiani inquadra­vano la promessa di Gesù nel calendario dell'uomo; gli Apostoli in­vece l'inquadravano nel calendario di Dio.

§ 478. La parabola della vedova, esaudita per la sua insistenza nel pregare, porta ad un'altra riguardante l'indole e le disposizioni spi­rituali della preghiera: è la parabola, particolare anch'essa a Luca (18, 9-14), in cui sono attori un Fariseo e un pubblicano, cioè i due estremi della scala su cui erano disposti i valori morali nel giudaismo. La parabola fu indirizzata da Gesù a taluni che confidavano in se stessi di essere giusti e disprezzavano gli altri. Un Fariseo e un pubblicano salgono alla stessa ora nel Tempio di Gerusalemme per pregare. Il Fariseo, nella sua confidente sicurezza di essere giusto, agisce e pensa come tale. S'inoltra egli nell'”atrio de­gli Israeliti” (§ 47), fino al limite più vicino al “santuario” ove dimora il Dio della sua nazione e della sua setta. Quel Dio è un essere potente: ma per lui, uomo giusto e Fariseo rigoroso, quel Dio ha una predilezione singolare, e quindi egli può trattarlo con una cer­ta familiarità; anzi può trattarlo come un monarca, si, ma a cui il suddito viene ad elencare una quantità di belle cose fatte in favore di lui. Il Fariseo infatti, messosi là in piedi come pregavano ordinaria­mente gli Ebrei, comincia il suo elenco: O Dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, o anche come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana (§ 77); pa­go la decima di quanto posseggo (§ 36).

La parabola non prosegue nell'elenco; ma questo poté benissimo prolungarsi assai ed enumerare altre elette virtù del Fariseo, come le sciacquature di mani e di sto­viglie prima di mangiare, l'astenersi dallo spegnere una lampada in giorno di sabbato, la conoscenza a memoria dei 613 precetti della Torah (§ 30), e tante altre egregie doti dell'inappuntabile Fariseo. In conclusione, Dio è stato beneficato dal Fariseo: l'uomo ha fatto con­sistere la sua preghiera nell'elencare i benefizi elargiti da lui a Dio, ossia nello sciorinare quelle giustizie umane di cui l'antico profeta aveva sentenziato: Come panno di mestrui (sono) tutte le nostre giu­stizie (Isaia, 64, 5 ebr.). Nel frattempo il pubblicano, conscio del disprezzo decretatogli dai benpensanti del giudaismo e sicuro che lo stesso disprezzo è condiviso da Dio, si è fermato appena all'ingresso dell'atrio, come un mendico mal tollerato; là lontano, senza neppure osare di alzare gli occhi ver­so il “santuario”, egli sta a battersi il petto implorando: O Dio, sii propizio a me peccatore! Tutta qui è la preghiera di colui che i rab­bini definivano “tanghero” (§ 40), perché egli ha coscienza di non poter donare a Dio nulla di quanto sta donandogli il Fariseo: s'affi­da quindi alla misericordia di Dio confessandosi peccatore in umiltà profonda: … io mi rendei Piangendo a quei che volentier perdona. Orribil furon li peccati miei; Ma la bontà infinita ha si gran braccia, Che prende ciò che si rivolge a lei. Purgatorio, m, 119-123 Il risultato del contrasto tra questi due uomini fu precisamente la smentita delle loro rispettive coscienze. Còncluse infatti Gesù: Vi di­co, questo (il pubblicano) discese giustificato a casa sua a diflerenza di quello: perché chiunque s'innalza sarà abbassato, mentre chi s'ab­bassa sarà innalzato. Nessuno meglio di S. Agostino ha riassunto in poche linee i punti principali della parabola: Che cosa (il Fariseo) abbia domandato a Dio, cercalo nelle sue parole: non troverai nulla. Salì' per pregare; non volle domandare a Dio, ma lodare se stesso. E’ poco non doman­dare a Dio e lodare se stesso: per dippiu', anche insultava chi doman­dava.

Il pubblicano stava lontano, egli tuttavia s'avvicinava a Dio... poco che stesse lontano: neppure alzava gli occhi al cielo... C'e' dippiu', si batteva. il petto... dicendo: “Signore sii propizio a me peccatore!”. Ecco colui che domanda.


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