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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 21:11
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06/08/2012 20:31

Il discorso escatologico

§ 523. La giornata volgeva oramai al tramonto; Gesù s'avviò per uscire dal Tempio e passar la notte fuori della città, come soleva fare in quella settimana (§ 510). Attraversato l'atrio dei gentili, egli fiancheggiò le sottocostruzioni che s'elevavano lungo la valle del Cedron ed offrivano uno spettacolo di vera potenza e magnificenza. A quella vista tornarono spontaneamente alla memoria dei discepoli che lo seguivano le ultime parole di lui, pronunziate poco prima con­tro i Farisei e ch'erano balenate come tetra minaccia: Ecco, e' lasciata a voi la vostra casa deserta. La prima e più amata casa di ogni buon Israelita era la casa del Dio Jahvè, il Tempio della città santa e unico di tutto il mondo; quel Tempio non poteva non essere eterno come era richiesto dalla fede comune e anche dimostrato dalla gran­diosità delle sue costruzioni. In che senso, dunque, aveva Gesù potuto dire che quella casa sarebbe rimasta deserta? Si ricollegava forse questa predizione con le altre angosciose predizioni fatte nel passato dal maestro? Ci fu qualche discepolo che volle scandagliare il pensiero di Gesù: senza darsene l'aria, gli si avvicinò mentre la comitiva sfilava lungo le sottocostruzioni del Tempio e cominciò ad esaltare quell'edificio gigantesco con termini entusiastici, non dissimili certamente da quelli che si ritrovano nelle ampie descrizioni di Flavio Giuseppe (Antichità giud., xv, 380-425; Guerra giud., v, 184-226). Le lodi del resto non erano esagerate, perché stando a questo testimonio oculare appunto quelle sottocostruzioni e le parti del Tempio rivolte verso il Cedron presentavano il seguente aspetto: Il tempio inferiore, nella parte piu' bassa, fu dovuto tener su con muri di 300 cubiti (circa 150 metri) e in certi posti anche piu': tuttavia l'intera profondità delle fondamenta non appariva, perchè (i costruttori) colmarono buona parte dei bur­roni volendo livellare le stradicciuole della città.

Nella costruzione (delle fondamenta) furono (impiegate) pietre di 40 cubiti di gran­dezza (20 metri)... Di tali fondamenta erano degne anche le fabbriche sovrastanti. Doppi erano infatti tutti i portici, e sostenuti da colon­ne di 25 cubiti d'altezza (metri 12,50), ch'erano monoliti di marmo bianchissimo ricoperti con impalcature di cedro; la loro magnificenza aturale, la levigatura e l'aggiustamento offrivano uno spettacolo am­mirevole... (Guerra giud., v, 188-191). Senonché le parole entusiastiche dei discepoli non riuscirono a scuo­tere la pensierosità di Gesù; solo dopo qualche tempo egli, rialzando il capo e dando uno sguardo fugace alle decantate costruzioni, rispo­se gravemente: Non vedete tutte queste cose? In verità vi dico non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta. E subito si chiuse nel suo silenzio. I discepoli rimasero come fulminati da quelle parole; la pensierosità del maestro si diffuse sui discepoli, e la comitiva proseguì oramai muta il cammino, attraversando il Cedron e poi risalendo sull'opposto pendìo del monte degli Olivi. Quando fu sulla cima del mon­te, Gesù si sedette di fronte al Tempio (Marco, 13, 3) e rimase lì muto a guardare: lo si sarebbe detto un pilota che dalla riva ri­guardi accoratamente la sua amata nave su cui ha navigato lunghi anni, ma che ha dovuto abbandonare perché sa che di lì a pochi mo­menti sprofonderà per sempre. Gli sgomentati discepoli approfittarono di quella sosta per tornare sul­l'argomento di prima e domandare al maestro qualche schiarimen­to sulla sua nerissima predizione. Lo interrogavano privatamente Pietro e Giacomo e Giovanni e Andrea; e Gesù rispose con quello che comunemente è designato come il “discorso escatologico”.

§ 524. Il discorso escatologico è riferito dai soli Sinottici (Matteo, cap. 24; Marco, cap. 13; Luca, 21, 5-36) ma con le solite divergenze che si riscontrano anche altrove fra loro; inoltre Luca ha già antici­pato al cap. 17 vari elementi di questo discorso (§ 474 segg.), e lo stesso in minor parte sembra aver fatto anche Matteo (10, 17-23). E’ dunque palese anche qui l'intervento redazionale dei singoli evan­gelisti, del quale il lettore odierno deve tener conto per una retta esegesi del discorso. Ma bisogna aver presente anche un altro fatto importante. Le tre re­dazioni del discorso presso i Sinottici dipendono come al solito dalle rispettive catechesi ch'essi rappresentano (§ 110 segg.), e rispecchiano perciò l'animus Ecclesia; ora tale animus, nel presente caso, si tro­vava in condizioni di delicatezza estrema essendo pervaso da quella perplessità e ansia dubbiosa che molti punti del discorso avevano su­scitata nella mente dei primitivi cristiani, non esclusi gli evangelisti. Si confronti infatti l'impressione che il discorso fa in un lettore odier­no con l'impressione ch'esso faceva nei fedeli della prima generazione cristiana, e si ammetterà senza esitazione che la giusta interpretazio­ne del discorso è oggi assai più facile di allora. In realtà il tempo è spesso un ottimo coefficiente per una retta esegesi; e il lettore odier­no, che ha a sua disposizione venti secoli di storia, può oggi comprendere bene almeno alcuni punti del discorso escatologico, mentre quei primitivi cristiani non avevano questo prezioso aiuto.

Il discorso, infatti, tratta di due grandi avvenimenti, ambedue futuri in un tempo più o meno remoto, ma idealmente ricollegati in qual­che maniera fra loro. Come futuri, questi avvenimenti erano ambe­due velati di mistero per chi aveva ascoltato il discorso dalla bocca di Gesù o degli Apostoli; poco più tardi, durante la stessa prima ge­nerazione cristiana, il meno remoto dei due avvenimenti accadde di fatto e allora una parte del mistero fu svelata tuttavia, per contrac­colpo, l'altra parte s'avvolse in un'oscurità più ansiosa e palpitante. Se si era avverata cosi puntualmente la prima predizione che appari­va idealmente ricollegata con la seconda, non si avvererebbe presto anche la seconda? Il primo avvenimento non era come l'immediato precursore del secondo? E su queste domande i primi cristiani riflet­terono trepidanti per molti anni. Oggi si riconosce concordemente che il primo dei due fatti si è av­verato durante la prima generazione cristiana, ma non sorgono piu' le ansie di quella generazione riguardo al susseguirsi immediato del secondo fatto: i venti secoli di storia hanno attribuito il loro giusto valore alle parole di Gesù che ponevano tra i due fatti un interstizio di tempo incommensurabile. Fatta però la luce sul primo fatto e sull'interstizio, l'oscurità si è raccolta oggi tutta sul secondo fatto, ri­guardo al quale il lettore odierno è non meno dubbioso della pri­ma generazione cristiana, sebbene non ansioso come quella. Confrontando poi accuratamente fra loro le tre recensioni del di­scorso, e anche i tratti paralleli solitari, appare molto probabile che la sua forma più antica e meno sottoposta a redazione sia quella tra­smessaci da Marco, ossia la forma della catechesi di Pietro (§ 128 segg.): prendendo questa per guida, senza perder d'occhio le altre testimonianze, possiamo riassumere la sostanza del discorso nella ma­niera seguente.

§ 525. La domanda rivolta a Gesù dai quattro discepoli sulla cima del monte era consistita in queste parole: Dicci, quando saranno queste cose, e quale (sarà) il segno allorché stiano per conterminarsi tutte queste cose? (Marco, 13, 4). L'espressione queste cose si riferisce la prima volta alla distruzione del tempio, di cui Gesù aveva predetto che non sarebbe rimasto pietra sopra pietra; ma la seconda volta ha certamente un significato più ampio, e si ri­porta alla catastrofe addirittura universale in cui dovevano aver ter­mine tutte queste cose, cioè il “secolo” o mondo presente, come sug­gerisce anche il termine conterminarsi che è tipico per designare la fine del mondo (§ 638). Ciò del resto è messo fuor d'ogni dubbio dal parallelo Matteo (24, 3), ove la domanda dei discepoli suona: Dicci,quando saranno queste cose, e quale (sarà) il segno della tua “pa­rusia” e della conterminazione del “secolo”? I discepoli dunque, al sentire annunziata da Gesù la distruzione del Tem­pio, avevano ripensato alle varie promesse da lui fatte che il regno d'iddio sarebbe venuto in possanza (§ 401) e che nella rigenerazione si sarebbe assiso il figlio dell'uomo sul suo trono di gloria (§ 486), non­ché ai vari accenni delle parabole, e spontaneamente avevano fuso tutto insieme, contemplando o simultanei o almeno in una immedia­ta concatenazione di tempo ambedue gli avvenimenti, sia quello del­la distruzione del Tempio sia quello della parusia e della fine del “secolo”. Gesù pertanto dovrà rispondere ad ambedue i punti della domanda, quando sarà la distruzione del Tempio e quando la fine del mondo; inoltre dovrà descrivere i segni precursori dell'uno e del­l'altro avvenimento. Egli infatti comincia col mettere in guardia i suoi discepoli contro insidie ingannevoli, e perciò nella prima sezione della sua risposta descrive i segni che precederanno la distruzione del Tempio (Marco, 13, 5-23). - Si faranno avanti molti predicatori menzogneri spaccian­dosi per il Messia e attireranno in errore molti, così pure avverran­no guerre, sedizioni, terremoti e carestie in luoghi diversi: ma tutto ciò non (e') ancora la fine, bensì soltanto l'inizio delle doglie la grande tribolazione infatti si scaricherà diretta­mente sui discepoli di Gesù, che saranno deferiti a sinedri, sinagoghe e governatori, saranno battuti e imprigionati, saranno traditi dai più stretti parenti, e odiati universalmente a causa della loro fede: ma ciò nonostante e appunto durante questo tempo in tutte le genti dap­prima dev'esser predicata la « buona novella ».

Infine la “grande tribolazione” entrerà nella sua stretta finale: l'abominio della desola­zione predetto da Daniele (9, 27) sarà stabilito nel Tempio, e Geru­salemme sarà circondata da armate; allora i discepoli rimasti fedeli a Gesù si diano immediatamente alla fuga per salvare le loro vite. Quelli saranno giorni di vendetta afinché siano adempiute tutte le cose scritte nei libri sacri (Luca, 21, 22), e sarà tribolazione quale non e' stata siffatta, dal principio della creazione che creò Iddio, fino ades­so e non sarà (cfr. Daniele, 12, 1), sebbene la sua durata sarà abbre­viata per far sì che ne scampino gli eletti (Marco, 13,19-20). Fin qui, come si sarà notato, il discorso non ha fatto alcun accenno al tempo ma solo ai segni della “grande tribolazione”. Che poi que­sta si riferisca alla distruzione del Tempio e di Gerusalemme è dimo­strato dai termini impiegati, ed è inoltre confermato dall'importante rilievo che pure Flavio Giuseppe, accingendosi a narrare lo stesso fatto, impiega espressioni somigliantissime, dicendo: In realtà le sven­ture di tutti i secoli mi sembrano restare al di sotto con frontate con quelle dei Giudei (Guerra giud., I, 12), e definisce anche la guerra tra Roma e la Giudea la più grande non solo di quelle del nostro tempo ma quasi anche di quelle che udimmo per fama esser scop­piate fra città e città o fra nazioni e nazioni (ivi, 1, 1). Né fa ostacolo la condizione che, alla distruzione del Tempio, in tutte le genti dap­prima dev'essere predicata la “buona novella”; altrettanto afferma­va, come di cosa fatta, S. Paolo egualmente prima che Gerusalemme fosse distrutta (§ 401). Ora, la distruzione di Gerusalemme avvenne nel quarantennio successivo al discorso, ossia nello spazio di tempo computato dai Giudei come una “generazione”. Troviamo infatti che Gesù in seguito - quando ha finito di descrivere i segni e passa a parlare dei tempi - afferma: In verità vi dico che non passerà questa generazione fino a che tutte queste cose avvengano (Marco, 13, 30).

§ 526. Passando ora ai riscontri storici noi troviamo che, sullo scor­cio del previsto quarantennio, si svolge un periodo il quale fu defi­nito, da uno storico romano che lo conosceva assai bene. Dal canto suo Flavio Giuseppe, occupandosi par­ticolarmente della Palestina, ci fornisce quelle notizie sulle agitazioni interne e soprattutto sul ribollimento del messianismo politico che ricordammo occasionalmente più volte. La conclusione di tutto fu la catastrofe del 70, ove perirono Tempio, capitale e nazione. Quanto ai discepoli di Gesù, durante questa “grande tribolazione” essi su­birono quelle persecuzioni dentro e fuori la Palestina che sono attestate sia dagli Atti e altri scritti del Nuovo Testamento, sia dagli storici romani, e che erano mosse tanto da connazionali e da con­giunti quanto da estranei e da pagani; ma coloro che ressero alle lusinghe dei falsi profeti e alle violenze dei persecutori, allorché vide­ro il Tempio di Gerusalemme profanato dai sanguinari Zeloti (Guer­ra giud., iv, 151 segg., 305 segg., 381 segg.), si attennero all'ammoni­zione del discorso escatologico e fuggendo dalla città si ritirarono a Pella in Transgiordania, come narra Eusebio (Hist. eccì., nì, 5, 3).

§ 527. Fin qui Gesù ha risposto soltanto al primo punto della domanda rivoltagli dai discepoli, descrivendo i segni che precederanno la distruzione del Tempio; un netto e preciso distacco, a guisa di con­clusione, si ritrova infatti al termine di questa sezione ove Gesù fini­sce ammonendo: Voi quindi guardate: (io) vi ho predetto tutte le cose (Marco, 13, 23). Adesso manca che Gesù risponda al secondo punto della domanda, comunicando i segni della fine del mondo. La nuova sezione (Marco, 13, 24 segg.) comincia con le parole Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole s'oscurerà, ecc. Qui l'espressione in quei giorni è la solita formula, impiegata frequentis­simamente nell'Antico e nel Nuovo Testamento, per introdurre un nuovo argomento ma senza un preciso valore temporale, significan­do tutt'al più in un certo tempo..., a suo tempo..., in una data epo­ca. In questa epoca imprecisata, che si svolgerà dopo la “grande tribolazione”; avverranno insieme la fine del mondo e la parusia, che sono descritte con termini presi in gran parte dall'Antico Testamento e comuni alla letteratura apocalittica (§ 84 segg.): il sole e la luna s'oscureranno, le stelle cadranno, le potenze dei cieli saranno scosse, e allora comparirà sulle nubi il figlio dell'uomo che verrà con possanza e gloria e invierà i suoi angeli ai quattro venti a ra­dunare gli eletti; con ciò il “secolo” presente è chiuso e il “secolo” futuro è inaugurato. Questa descrizione dei segni della parusia è più breve, in tutti e tre i Sinottici, della descrizione dei segni della “grande tribolazione”. Quanto poi all'indicazione del tempo in cui avverrà la parusia, la troviamo subito appresso all'indicazione del tempo assegnato alla “grande tribolazione”; ma, mentre per quest'ultima l'indicazione è stata precisa e netta - ossia la presente generazione - per l'altra è talmente negativa: Circa poi a quel giorno o all'ora nessuno sa (alcunché) né gli angeli.

Nei secoli iv e v, ai tempi delle focose dispute ariane e cristologiche si usò ed abusò largamente di questo passo per misurare la scienza del Figlio divino confrontata con quella del Padre, e per attribuirgli una certa ignoranza. Ma appunto la difficoltà della frase, che sem­bra affermare questa ignoranza nel Figlio, è una ragione di più per considerarla autentica frase di Gesù pervenutaci nella forma più precisa e genuina: come pure la stessa difficoltà fu probabilmente la ragione per cui tutta la frase fu omessa da Luca nel suo van­gelo, e per cui l'allusione al Figlio scomparve anche nel passo cor­rispondente di Matteo (24, 36) da vari codici greci e dalla Vulgata latina, volendosi evitare una spiacevole sorpresa nei rispettivi lettori. Ma, superate le controversie ariane e cristologiche, si convenne gene­ralmente nell'interpretare la frase come una fin de non recevoir da parte di Gesù, che non vuol essere interrogato su questo punto per­ché il rispondervi non entra nella sua missione: Gesù, che già aveva risposto ai figli di Zebedeo non esser còmpito suo ma del Padre as­segnare i seggi nel glorioso regno messianico (§ 496), in questa oc­casione dixit nescire illum diem quia in magisterio eius non erat ut per eum sciretur a nobis, mentre invece entrava nella sua missione appunto il tener nascosto quel giorno; tamquam enim magister scie­bat et docere quod proderat et non docere quod oberat (S. Agosti­no, Enarration. in Psalm. xxxvi, sermo i, 1). Ai nostri giorni la dif­ficoltà è stata ripresa in pieno dalla scuola escatologica (§ 209 segg.), secondo cui Gesù era sicuro che la parusia sarebbe avvenuta nel cor­so della generazione contemporanea, sebbene confessasse di non co­noscere il preciso giorno e la precisa ora (§ 529).

§ 528. Presentato in questa maniera il discorso escatologico è chiaro, in quella misura che può essere concessa dal suo argomento. La sua prima sezione tratta dei segni della “grande tribolazione”, cioè de­gli avvenimenti che precedettero ed accompagnarono la distruzione di Gerusalemme, la seconda sezione tratta dei segni della parusia e della fine del mondo. Dopo le trattazioni dei segni vengono le fissazioni dei rispettivi tempi: per la “grande tribolazione” è fis­sata la generazione contemporanea, mentre per la parusia è riserbato un arcano silenzio. Ma la difficoltà sta in questo, che la fissazione di ciascun tempo non è soggiunta immediatamente appresso alla rispettiva trattazione dei segni cioè la presente generazione appresso alla “grande tribola­zione”, e il silenzio appresso alla parusia - bensì ambedue le fissa­zioni dei tempi sono relegate assieme in fondo, dopo ambedue le trattazioni dei segni. Perché mai questa collocazione che sembra vio­lenta e tale da provocare equivoci? Appunto qui è da scorgere l'ope­ra redazionale degli evangelisti e l'influenza delle circostanze in cui si svolgeva - come accennammo (§ 524) - la primitiva catechesi della Chiesa. Questa collocazione simultanea in fondo, che a noi oggi sembra violenta e tale da provocare equivoci, era invece pru­dentissima quando scrivevano i Sinottici, quando cioè non si sapeva nulla non solo del tempo della parusia ma neppure del preciso tem­po della « grande tribolazione »: Gerusalemme infatti ancora era in­colume e prospera, e nulla faceva umanamente sospettare che dopo pochi anni essa sarebbe ridotta a un ammasso di macerie. Neppure risultava chiaramente in quale relazione stessero fra loro la « gran­de tribolazione » e la parusia, che almeno idealmente apparivano ri­collegate fra loro la prima non sarebbe forse la preparazione imme­diata della seconda, e la venuta del Messia glorioso non sarebbe l'immediato premio a chi aveva superato la grande prova?
Molti cri­stiani infatti ritenevano imminente la parusia, e la risposta di Gesù in proposito, se non implicava necessariamente tale opinione, nep­pure la escludeva con evidente chiarezza: il figlio dell'uomo poteva comparire inatteso in ogni momento, come ladro notturno. Ma an­che se fra la « grande tribolazione » e la parusia doveva cadere un interstizio, chi poteva dire se questo interstizio sarebbe stato breve o mediocre o lungo o lunghissimo? Di tutto ciò nessuno sapeva alcunché con certezza, prima di quel tragico anno 70; oggi invece, edotti da venti secoli di storia, noi sia­mo perfettamente informati della “grande tribolazione” che cuI­minò nel 70 e dell'interstizio ch'è di una durata incalcolabile, men­tre ci è rimasto impenetrabilmente occulto il tempo della parusia. Per queste ragioni gli evangelisti sinottici, nell'oscurità che li avvol­geva, divisero il discorso escatologico secondo la materia in esso trat­tata, collocando prima i segni e poi i tempi, e lasciando alle opinioni dei lettori il ricollegamento delle singole parti fra loro: tanto più che, su questa palpitante questione della parusia le singole comu­nità ricevevano particolari ammaestramenti dai loro direttori, come per la comunità dei Tessalonicesi apprendiamo occasionalmente da Paolo (II Tessal., 2, 5) e per le comunità dell'Asia Minore da Pietro (II Pietro, 3, 1 segg.); e quindi i lettori dei vangeli potevano e forse dovevano rivolgersi per schiarimenti a tali autentici interpreti, sem­pre in virtù del principio che la catechesi scritta non pretendeva mai di sostituire la catechesi orale, bensì la presupponeva in più mo­di (§107).

§ 529. La moderna scuola escatologica desume i suoi principali ar­gomenti da questo discorso, ma appunto confondendo dati e referen­ze, e attribuendo all'unico avvenimento della parusia ambedue le fissazioni cronologiche, sia quella della presente generazione sia quella del giorno e dell'ora. Già rilevammo che siffatta teoria è in contrad­dizione con le testimonianze storiche pervenuteci da quell'epoca (§ 212); qui sarà opportuno spendere appena una parola sull'attribu­zione del giorno e dell'ora. I suddetti studiosi sono costretti a interpretarli in senso rigoroso, ossia giorno per 24 ore e ora per 60 minuti: cosicché Gesù avrebbe confessato di non conoscere in quale gruppo di 24 ore e in quale gruppo di 60 minuti sarebbe avvenuto il cataclisma universale, pur essendo certo che sarebbe avvenuto nella generazione a lui contemporanea. E serio tutto ciò? E’ serio che un presunto “visionario”, tutto vibran­te nell'aspettativa che entro breve tempo il mondo intero vada in pezzi, si rammarichi di non sapere il preciso momento in cui avverrà la conflagrazione?
I veri visionari, appunto perché tali, non sono calcolatori cosi sottili, ritrovandosi totalmente assorbiti dalla visione principale: un visionario di questo genere è come un uomo che abbia sotto i piedi una mina con la sua miccia accesa, e non possa in alcun modo fuggire; la certezza assoluta dell'imminente scoppio gli fa totalmente dimenticare l'incertezza del preciso momento in cui lo scoppio avverrà. Gesù invece è un calcolatore sottile, e distin­gue nettamente le sue due fissazioni di tempi in rapporto alle due precedenti descrizioni dei segni. Ecco pertanto nella sua integrità il passo relativo ai tempi, nel quale ognuno può riconoscere il netto distacco che riporta ciascuna fissazione di tempo alla rispettiva descri­zione dei segni: ìn verità vi dico che non passerà questa generazione fino a che tutte queste cose avvengano. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Circa poi a quel giorno o all'ora nessuno sa (alcunche'), né gli angeli in cielo né il Figlio, se non il Padre (Marco, 13, 30-32; cfr. Matteo, 24, 34-36).
[Modificato da Caterina63 06/08/2012 20:31]
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