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Ultimo Aggiornamento: 06/08/2012 21:11
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06/08/2012 20:48

LA SETTIMANA DI PASSIONE. IL VENERDÌ

Il Gethsemani


§ 554. Giovanni, appena ha finito di riferire gli ultimi colloqui, prosegue: Avendo detto queste cose, Gesu' uscì con i discepoli suoi di la' dal torrente del Cedron, ove era un giardino nel quale entrò egli e i discepoli suoi. Sapeva però il luogo anche Giuda, che lo tradiva, perché spesso si era raccolto cola Gesu' con i discepoli suoi (Giov., 18, 1-2). L'indicazione che il prediletto giardino era di là dal torren­te del Cedron già basta per concludere che era nella zona del monte degli Olivi: ciò del resto è affermato esplicitamente dai Sinottici, i quali comunicano anche che il giardino si chiamava Gethsemani. L'appellativo, presuppone un oliveto, munito del suo pressoio e protetto forse da un recinto, il tutto in pieno accordo col nome del monte stesso; una tradizione, che è nettissima già dal secolo IV, indica come il Gethsemani un luogo poco oltre il Cedron e lungo l'odierna strada da Gerusalemme a Bethania, dove sono tuttora superstiti olivi di straordinaria grandez­za e di età milleniaria. Il cammino dal cenacolo al Gethsemani non era piu' che una comoda passeggiata. Nella chiara notte di plenilunio, alla frizzante aria primaverile, i reduci dal cenacolo scesero dalla Città Alta giu' nel Tyropeon, seguendo probabilmente l'antica strada a gradini recen­temente scoperta, attraversarono il quartiere del Siloe (§ 428), usci­rono quindi dalla città per la Porta della Fonte, e risaliti verso il set­tentrione oltrepassarono il Cedron raggiungendo il Gethsemani. Il giardino doveva appartenere a qualche discepolo o ammiratore di Gesù, e questi perciò se ne serviva liberamente. Chi sa che il suo proprietario non fosse lo stesso padrone del cenacolo? Ciò spieghe­rebbe più facilmente come mai fosse presente nel giardino il giovi­netto con la sola sindone, se costui è veramente Marco (§ 561): ma trattandosi di ipotesi poggiata su altre ipotesi, non è il caso di insi­stere.

Come altri poderetti di quel genere, anche il Gethsemani do­veva avere vicino all'ingresso una casipola per riparo dell'ortolano e per deposito di roba; più in là c'era probabilmente pure una grotta scavata nel fianco del monte, e nella grotta era stato collocato (come si preferisce fare anche oggi) il torchio che dava il nome al luogo. In quella notte pasquale la zona era deserta, trattenendosi quasi tutti nell'intimità delle proprie case. Alla solitudine esterna corrispondeva lo stato d'animo della comitiva: come Gesù si mostrava triste lungo il cammino, così gli Apostoli rimasero taciturni e pensierosi. Giunti che furono al giardino, Gesù invitò la comitiva ad allogarsi alla meglio per passare la notte: e fu cosa facilissima per quegli orientali che erano abituati a dormire all'aperto ravvolti nel loro mantello, mentre questa volta trovarono il vantaggio di un ricovero e di foglie secche nella casipola o nella grotta. Al congedarsi da loro Gesù disse: Restate qui, mentre io vado più in là a pregare. Pregate per non entrare in tentazione! - Al momento poi di allontanarsi, egli prese con sé i tre testimoni della trasfigurazione, i prediletti Pietro, Giacomo e Giovanni (§ 403), conducendoli verso il luogo ove voleva pregare.

§ 555. Discostati che furono, i testimoni dell'antica gloria compre­sero subito che adesso avrebbero assistito a ben altra manifestazione, perché a un tratto Gesù cominciò a sgomentarsi ed angosciarsi. Rivolto poi ai tre, allorché avranno tentato di consolarlo, esclamò: Tristissima è l'anima mia fino a morte! Restate qui, e vegliate con me! Anche quella compagnia, però, non gli dava sollievo. Nella sconfi­nata angoscia che l'opprimeva, egli cercò ancora di restar solo per pregare. Facendo uno sforzo immenso, con il volto illividito, le ginocchia va­cillanti, le braccia tese in cerca di sostegno, egli si staccò da essi quanto un lancio di sasso, e alfine stremato cadde sul suo volto pre­gando. Non era il modo di pregare solito ai Giudei, che stavano ritti; era l'accasciarsi a terra di chi non ha più forza di reggersi in piedi e vuole pregare prostrato giù nella polvere. Intanto i tre testimoni, certamente turbati anch'essi, osservavano quello stramazzato gemente: nella serenità plenilunare, alla distanza forse di una quarantina di passi (un lancio di sasso), essi potevano vedere e udire distintamente tutto. Lo stramazzato gemeva: Abba (Padre)! Tutto e' possibile a te! Allontana questo calice da me! Tut­tavia (sia fatto) non ciò che io voglio, ma ciò che (vuoi) tu! Il cali­ce era un'espressione metaforica, frequente negli scritti rabbinici, per designare la sorte assegnata a qualcuno; la sorte qui prevista da Gesù è la suprema prova attraverso la quale il Messia deve perve­nire al trionfo (§ § 400, 475, 495), è l'ora decisiva in cui il chicco di grano caduto in terra si disfà e muore ma per sprigionare nuova vita (§ 508). Quale differenza, pertanto, fra le disposizioni di spirito della dome­nica precedente e quelle di questa notte!
Allora, nel Tempio, Gesù aveva prontamente e risolutamente respinto ogni titubanza davanti alla prova suprema (§ 508); in questa notte, a pochi momenti dal­l'inizio della prova, egli non solo è titubante ma prega esplicitamente il Padre celeste affinché la prova sia risparmiata: tuttavia la preghie­ra è condizionata al beneplacito supremo del Padre e la volontà dell'uomo è subordinata alla volontà di Dio. Non mai, in tutto il resto della sua vita, Gesù appare cosi veracemen­te uomo. Davvero che in quell'ora non già il cavaliere romano Pon­zio Pilato, ma l'umanità intera avrebbe dovuto presentare Gesù al balcone dell'universo proclamando: Ecce homo! D'altra parte in quella stessa ora, più chiaramente forse che in seguito, si può misu­rare la smisurata angoscia che si riversò nello spirito di Gesù durante la sua passione: perciò a quella proclamazione terrestre Ecce homo! avrebbe forse risposto una voce celeste proclamando Ecce Deus!

§ 556. La preghiera al Padre dovette essere ripetuta più e più volte, con l'uniformità di chi non chiede altro, con lo spasimo di chi si ritrova in indigenza estrema. Gli apparve però un angelo dal cielo, confortandolo. Il solo Luca (22, 43), che non è uno dei tre testi­moni oculari ma si è informato da essi, dà questa notizia; egualmente egli solo, da psicologo e da medico, ha raccolto taluni particolari di ciò che allora avvenne: E fatto in agonia, piu' intensamente pregava. E divenne il sudore di lui quasi globuli di sangue scen­denti giu' sulla terra. L'agonia era per i Greci ciò che si svolgeva nell'”agone”, cioè il concorso degli aurighi e la tenzone degli atleti che lottavano per il premio: e la lotta esigeva dalle membra e dagli spiriti i più lace­ranti sforzi, le violenze più spossanti, onde nessuno si avvicinava a quella lotta senza un interno pavore e una trepidazione ansiosa. Più tardi, infatti, agonia significò in genere pavore o trepidazione, ma specialmente di chi è implicato nella somma lotta Contro la mor­te: tale il caso di Gesù. E fatto in agonia, piu' intensamente pregava.
La preghiera, a cui egli sempre aveva fatto particolare ricorso nelle circostanze più solenni della sua vita, diventa suo unico rifugio in quest'ora suprema. E l'agonia si prolunga, e l'agonizzante o lottatore manifesta sul suo corpo gli effetti della lotta: trasuda, e il sudore di lui diviene quasi globuli di sangue scendenti giu' sulla terra. Alla distanza di un lancio di sasso, sotto il chiarore plenilunare que­sto fenomeno poté essere osservato abbastanza bene: anche più di­stintamente poté essere riscontrato dai tre testimoni poco dopo, quan­do Gesù si recò presso di loro avendo tuttora sul volto le rigature rosseggianti, i grumoli e le altre tracce dei globuli di sangue.
Un fenomeno fisiologico, designato come ematidrosi cioè “sudore sanguigno” è noto ai medici: l'osservazione era stata fatta già da Aristotile, che impiega anche il termine là ove dice “taluni sudaro­no un sanguigno sudore”. Il fenomeno avvenuto in Gesù potrà essere oggetto di ricerche scien­tifiche dei fisiologi, pur avendo presenti le singolari circostanze del paziente: il fisiologo Luca, trasmettendo egli solo questa notizia, sem­bra tacitamente invitare a tali ricerche. Ma appunto in questa notizia, che mette tanto in rilievo la realtà della natura umana di Gesù, trovarono scandalo taluni antichi cri­stiani al leggere il vangelo del medico Luca. Essi giudicarono che, sebbene il medico aveva narrato un fatto vero, era meglio che la narrazione non fosse ripetuta, perché sembrava fornire una conferma alle calunnie dei nemici del cristianesimo: probabilmente gli attac­chi di Celso contro la persona di Gesù (§ 195) avevano suscitato tale preoccupazione.

Perciò avvenne che la narrazione del sudore di san­gue, insieme col precedente accenno all'angelo confortatore, comin­ciò a scomparire dai codici del III vangelo, soppressa per questo infondato timore. Oggi essa manca in vari codici unciali, fra cui l'auto­revolissimo Vaticano, in alcuni minuscoli e in altri documenti, e questa mancanza era già stata segnalata nel IV secolo da Ilario e Girolamo. Tuttavia, allorché quella vana preoccupazione si dissipò col cessare degli attacchi contro il cristianesimo, cessò anche la soppres­sione dell'ombroso passo; del resto le testimonianze in suo favore - sia di codici, sia di scrittori antichi a cominciare da Giustino (Dial. cum Tryph., 103) e Ireneo - sono così nume­rose e gravi da non lasciare alcun serio dubbio sulla autenticità del passo.

§ 557. L'agonia frattanto si prolungava: la mezzanotte doveva es­sere già passata. I tre testimoni, da principio turbati per ciò che ve­devano, in seguito erano entrati a poco a poco in una specie di tor­pore fatto di tristezza, di stanchezza e di sonnolenza: alla fine si erano addormentati tutti e tre. A un certo punto Gesù, nella sua sconfinata angoscia spirituale, sentì anche la desolazione della solitudine umana e quindi cercò nuovamente la compagnia dei tre prediletti: forse si riprometteva soltan­to una buona parola, un gesto amichevole, qualcosa che gli facesse sentire di non essere solo sulla terra. Ma giunto presso di loro li tro­vò addormentati tutti e tre, compreso Pietro che poco prima aveva fatto scorrere fiumi di parole per attestare la sua fedeltà (§ 549). Gli disse allora Gesù: Simone, dormi? Non fosti capace di vegliare per una sola ora? Vegliate e pregate, afinché non veniate in tentazione! Lo spirito bensì e' pronto, ma la carne inferma. Tutto qui fu il con­forto che Gesù ritrovò fra i suoi prediletti. E così lo spasimo continuò; ond'egli, lasciati gli uomini, tor­nò nuovamente a Dio. L'unica domanda prima fu rivolta ancora adesso al Padre celeste, e i testimoni da poco ridesti la udirono: Padre mio! Se non può questo (calice passare se (io) non (1') abbia bevuto, sia fatta la volonta' tua! Trascorse ancora del tempo.

La notte era silenziosa e monotona. Dopo qualche resistenza i tre testimoni furono vinti di nuovo dal sonno: Gesù, tornato di nuovo, li trovò dormienti, giacché gli occhi loro erano aggravati, e non sapevano che cosa rispondergli. In quest'ultima osservazione di Marco (14, 40) si riconosce facilmente una confessione del suo informatore, il testimonio Pietro. E lasciatili, di nuovo andatosene pregò per la terza volta, dicendo lo stesso discorso di nuovo (Matteo, 26, 44). Quanto durasse questa terza ripresa della preghiera non sappiamo: forse non molto. A un certo punto Gesù si ripresentò ai tre assonnati, e in tono questa volta diverso disse loro: Dormite ormai e riposate. Basta! Venne l'ora: ecco, il figlio dell'uomo e' consegnato nelle mani dei peccatori. Alza­tevi, andiamo! Ecco, chi mi tradisce si e' avvicinato. Le prime parole Dormite ormai e riposate non sono certamente un invito a fare ciò che dicono; è anche poco probabile che valgano in senso interroga­tivo; più giusto sembra interpretarle come un'antifrasi, quasi una fa­miliare ironia che affermi il contrario di ciò a cui mira, come se di­cesse: « Si, si, dormite pure! Non vedete che giunge il traditc­re?...». Si sentiva infatti rumore di folla che giungeva dalla strada di Geru­salemme: si intravedevano anche, in quella direzione, lumi di lan­terne e fiaccole. Gesù ricondusse i tre sonnolenti testimoni là dove stavano gli altri otto Apostoli, immersi certamente nel più profondo sonno. Svegliò tutti, e rivolgendo loro parole di esortazione rimase in attesa.


[SM=g27998] L'arresto

§ 558. E mentre egli parlava ancora, ecco Giuda uno dei dodici ven­ne, e con lui (era) molta folla con spade e bastoni (mandata) dai som­mi sacerdoti ed anziani del popolo. A questa notizia dei Sinottici, Giovanni aggiunge alcuni particolari riguardo alla molta folla; essa in maggior parte era composta di inservienti del Tempio (cfr. Luca, 22, 52), ma c’era anche una coorte con un tribuno (Giov., 18, 3. 12). Ora, questi armati venivano certamente da parte del procuratore romano (§ 619); come erano andate dunque le cose? Non è arrischiato ricostruirle così. Quando Giuda uscì dal cenacolo (§ 543) si recò dai maggiorenti giudei, i quali l'attendevano e ave­vano compiuto nel frattempo i loro preparativi materiali e morali: materialmente, perché avevano dato ordine ai loro inservienti di te­nersi pronti per una piccola ma delicata spedizione; moralmente, perché erano andati dal procuratore o dal tribuno, e dipingendo quel galileo di Gesù come un mestatore politico circondato da altri me­statori suoi compaesani e tutti pronti a suscitare sommosse nella ca­pitale, avevano ottenuto facilmente una scorta armata. Questa scor­ta non poteva essere l'intera coorte (circa 600 uomini) di stanza a Gerusalemme, ma soltanto una minima parte alla quale qui Giovan­ni dà il nome dell'intero: ad ogni modo la presenza dei soldati di Roma aveva un grande valore morale, tanto più che con essi era venuto anche il tribuno che li comandava. Con questa gente, adunatasi a notte fatta, si trattava di rintracciare ed arrestare Gesù. Dove trovarlo per impadronirsene alla chetichella e senza timore di reazioni popolari?

A tale impresa nessuno poteva servire meglio di Giuda, che era stato pagato soprattutto per questa parte del programma; già udimmo infatti da Giovanni che il luogo del Gethsemani era ben noto anche a Giuda perché spesso si era rac­colto cola' Gesu' con i discepoli suoi (§ 554), e il traditore sapeva bene che Gesù dopo la cena pasquale non poteva essersi recato fino a Be­thania troppo lontana: dunque doveva essere al prediletto Gethse­mani, o giù di lì. Nel prendere gli ultimi accordi con i sommi sacerdoti, Giuda stabilì un segno speciale per far riconoscere Gesù: Quello che io abbia ba­ciato e' lui! Afferratelo! Nell'antico Oriente, infatti, i discepoli bacia­vano per rispetto le mani del maestro: gli amici invece, trattandosi alla pari, si baciavano sulla faccia. Nel segno scelto da Giuda c'era dunque come un avanzo di pudore, per cui il traditore non si sentiva il coraggio di additare palesemente alle guardie il suo maestro ed arnico gridando « E’ lui! »; così avrebbe fatto chi avesse avuto un vero odio per Gesù, perché quel grido già sarebbe stato uno sfogo all'odio: invece il segno convenuto pretendeva salvare le apparenze. Ma anche qui riappare l'enigma di Giuda. Non sapeva egli forse che al maestro il tradimento era noto? Non aveva egli stesso udito quel misericor­dioso Tu l'hai detto! dalla bocca di Gesù poche ore prima (§ 543)? Se tali sconcertanti pensieri s'affacciarono in realtà alla mente di Giuda, egli si sarà rinfrancato ripensando ai 30 sicli e voltandosi per vedersi spalleggiato dai soldati di Roma: ad ogni modo questo pu­dore di finzione era anch'esso un certo avanzo dell'amore per Gesù, amore allora sopraffatto da quello per l'oro; invece, poche ore più tardi, l'amore per l'oro rimarrà soccombente, il tradimento sarà rin­negato, ma l'amore per Gesù non sarà abbastanza puro e forte da ricercare il perdono di lui (§ 534).

§ 559. Avvenne tutto secondo il convenuto. Gesù stava ancora par­lando con gli Apostoli testé risvegliati, quando Giuda entrò nel giardi­no seguito a poca distanza dalle guardie; si avvicinò egli al gruppo dei dodici e sbirciando nella penombra degli olivi riconobbe Gesù. Andatogli allora dappresso, gli pose le mani sulle spalle e lo baciò in faccia esclamando: Salute, Rabbi! Gesù lo guardò, e a mezza voce gli disse: Amico, per che cosa sei qui? E passato qualche istante: Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell'uomo? Non venne alcuna risposta; Giuda aveva compiuto l'incarico che si era assunto verso coloro che gli stavano alle spalle. Visto eseguito il segnale convenuto, le guardie vennero avanti alla rinfusa. Gesù allora, staccatosi dal gruppo degli Apostoli, mosse in­contro a loro e domandò: Chi cercate? Risposero: Gesu' il Nazoreo. E Gesù: Sono io. A queste parole i più vicini vacillarono e poi cad­dero all'inverso in terra. Anche di altri personaggi dell'antichità, co­me di Mario e di Marco Antonio, si legge che abbiano atterrito solo con la loro presenza o voce persone inviate ad assassinarli, ma si trat­tava di sicari singoli e di circostanze speciali: nel caso di Gesù può darsi benissimo che le guardie subissero ad un tratto la potenza della sua persona e ne rimanessero sgomentate, forse anche ripensando alla triste fine fatta dagli armati spediti a catturare Elia (II[IV] Re, 1, 10 segg.) o altri antichi profeti; tuttavia è certo che Giovanni, il quale è solo a narrare questo episodio, vuole qui presentarlo come fatto taumaturgico, anche per dimostrare la libertà con cui Gesù accettava la sua cattura. Rialzatisi e ripetuto che cercavano Gesù il Nazoreo, Gesù rispose ancora: Vi dissi che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che costoro se ne vadano. Con delicato accorgimento Gesù chiama gli Apostoli costoro, dissimulando cioè la loro qualità di disce­poli particolari per non esporli a violenze. Alla risposta di Gesù le guardie gli misero le mani addosso e l'afferrarono. Coloro che eseguirono l'arresto dovettero essere gli inservienti del Tempio, giacché appunto un servo del sommo sacerdote ne risentì per primo le conseguenze, e Gesù appena arrestato fu condotto avanti al sommo sacerdote e non all'autorità romana; al contrario i soldati della coorte romana rimasero da parte inoperosi, pronti a intervenire solo nel caso che fosse successo qualche tafferuglio grave.

§ 560. La delicatezza di Gesù che si preoccupava per prima cosa di salvare gli Apostoli, e d'altra parte il vedere improvvisamente l'amato maestro caduto in potere di quella gente e così umiliato, risvegliò negli Apostoli quei propositi bellicosi che essi avevano manifestato poche ore prima nel cenacolo e che erano stati senza dubbio soggetti­vamente sinceri (§ 549). Spintisi allora nel tafferuglio fin presso a Gesù gli domandarono: Signore, percoteremo di spada? Ma Pietro non sarebbe stato Pietro se si fosse frenato in attesa della risposta di Gesù; egli invece, senz'al­tro, avendo una spada la sfoderò e colpì il servo del sommo sacerdote e gli mozzò l'orecchio destro: il servo aveva nome Malcho. E’ Solo Giovanni (18, 10) nomina Pietro e Malcho: i Sinottici invece parla­no del ferimento ma senza nominare né il ferito né il feritore, proba­bilmente per quella prudenza suggerita dal tempo in cui scrivevano e che vedemmo applicata altrove (§ 493, 535). Gesù intervenne subito e disse a Pietro: Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quei che impugneranno una spada periranno di spada! Ovvero credi che non posso pregare il Padre mio ed (egli) mi apprestera' subito piu' che dodici legioni di angeli (§ 347)? Come pertanto si compirebbero le Scritture (le quali dicono) che così deve avvenire? Messo a posto il feritore, Gesù mise a posto anche il ferito risanandogli l'orecchio col semplice tocco di mano; anche questa gua­rigione è narrata soltanto dall'evangelista medico (Luca, 22, 51). Dis­se quindi alla turba, fra cui erano sommi sacerdoti, capitani del tem­pio (§ 54) e anziani:” Come verso un ladrone usciste con spade e bastoni? Essendo io ogni giorno con voi nel tempio, non stendeste le mani addosso a me; ma questa e' l'ora vostra e la potestà delle te­nebre” (Luca, 22, 52-53).

§ 561. L'arrestato fu legato; si cominciò a condurlo via. Gli Apostoli, a cui dapprima la sonnolenza e poi il subitaneo sdegno non avevano permesso di rendersi ben conto della realtà dei fatti, soltanto allora compresero il maestro era veramente arrestato, era condotto via come un volgare delinquente. Allora forse, meglio che a tutte le passate affermazioni di Gesù, essi cominciarono a intravedere quale fosse la durissima prova, quali i patimenti supremi, attraverso cui il maestro aveva predetto più volte di dover passare per giungere alla sua gloria. A tale tristissima veduta, a tali mestissimi ricordi, quegli undici si sentirono schiantati. Della futura lontana gloria del Messia essi non si ricordarono affatto; badarono soltanto al tintinnio delle catene, al luccicore delle spade, all'umiliazione del maestro: al­lora, totalmente smarriti, abbandonarono ogni cosa dandosi alla fu­ga, tutti dal primo all'ultimo. E Gesù uscì dal Gethsemani circondato dalla sola sbirraglia: non gli stava dappresso neppure un amico. O meglio, un amico c'era ancora, sebbene non stesse molto dappresso. Qui infatti avviene l'episodio del giovanetto con la sola sindone. Come già vedemmo, è possibile che quel giovanetto fosse l'evangeli­sta Marco (§ 134).
Se egli era figlio o altro parente del proprietario del cenacolo (§ 535), il quale forse era proprietario anche del Geth­semani (§ 554), si può supporre che terminata l'ultima cena egli per simpatia avesse seguito la comitiva di Gesù al Gethsemani ed ivi si fosse intrattenuto per qualche tempo con gli otto Apostoli n­coverati nella casipola o grotta, e dopo un certo tempo anch'egli si fosse messo a dormire. L' importante il particolare che egli fosse avvolto d'una sindone sul nudo: la sindone di lino era infatti usata, stando in letto, soltanto da persone facoltose, mentre i popolani, come gli Apostoli, dormivano ravvolti nelle stesse vesti del giorno; probabilmente, dunque, quel giovanetto era abituato a passar talvolta la notte nella casipola del Gethsemani, ove in un angoletto avrà avuto il suo giaciglio e l'occorrente per dormire da persona agiata. Se queste ipotesi corrispondono alla realtà, tutto diventa chiaro. il giovanetto, risvegliato improvvisamente dal vociar delle guardie e dalle grida del ferito e degli Apostoli, si alza dal giaciglio e balza fuo­ri vestito come si trova: assiste all'ultima scena dell'arresto di Gesù e alla fuga degli Apostoli; allora, sia per la sicurezza d'un padrone che si ritrova sul terreno suo proprio, sia per la vivacità giovanile accresciuta dall'affetto per l'arrestato, egli si mette a seguire le guardie che s'allontanano; le guardie poco dopo s'accorgono di quel giovanet­to che sta pedinando in quello strano abbigliamento, e insospettite lo prendono. Ma afferrano la sola sindone: perché l'agile ragazzo, sgu­sciando dal di sotto, lascia la sindone in mano alle guardie e fugge via tutto nudo. E cosi Gesù fu abbandonato anche da quest'ultimo amico: un adolescente privo di veste.


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