QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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La Vergine Maria e i Vangeli del canonico Leon Cristiani libro del 1934

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 22:18
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07/09/2012 21:48

Can. Leon Cristiani
LA VERGINE MARIA E GLI EVANGELI
Studio storico e di psicologia mariana


Nihil obstat
Imprimatur Lugduni, 12 martii 1934
F. Lavallée
V. G. Rector
V.o la traduzione italiana di «La Vergine e i Vangeli » se ne approva la stampa
Vu, corrigé et approuvé par l'Auteur Crepieux-La Pape (Ain) le 28 juni 1947
L. Cristiani
___________________

INDICE


Saluto alla Vergine
Il mio Rosario Prefazione

Capitolo I
Gli addii di Gesù
Un tesoro di Bossuet
«Ecco l'Ancella del Signore ».
Il Vangelo orale
Due prove
Obiezioni
Gli antichi Padri e la Vergine

Capitolo II
Nella casa dell' Apostolo Il quarto Vangelo
Il Vangelo mariano Serenità mariana
Il caso di Caifa
Motivo del lungo silenzio di Giovanni

Capitolo III
Carattere unico del Prologo
La parola: Verbo
La preesistenza di Gesù
Il ricorso alle Scritture Gesù nell'Antico Testamento
La Sapienza
Maria e Gesù
Gesù e la Bibbia
Gesù Maestro di Maria
La doppia missione di Maria e di Giovanni Maria e il Prologo
La firma di Maria

Capitolo IV
Maria e i Vangeli dell'infanzia
Un problema difficile
Ipotesi d'una scelta, fatta da S. Matteo e S. Luca
La consegna di Maria
Da dove vengono «i ricordi» di Giuseppe
Le «memorie» di Maria
Osservazioni preliminari
La Sapienza di Maria
Maria e S. Matteo
Maria: e il Vangelo di S. Luca
Importanza dei documenti di S. Luca.

Capitolo V

Scopo della presente opera
Riassunto dei capitoli precedenti
Sedes sapientiae
Ancella del Signore
Origine del «Magnificat».
Reminiscenze bibliche del Magnificat
L'intelligenza di Maria nel Magnificat
Conclusione

Capitolo VI

Gli eroi
Il voto di verginità
L'oracolo di Isaia
Maria e Giuseppe
Il silenzio di Maria e di Giuseppe
La predizione di Simeone
Una parola di Maria
Maria ai piedi della Croce
Maria, Regina dei Martiri
La Passione secondo la Bibbia
La morte di Gesù

Capitolo VII
La divina carità di Maria
Il Cuore Immacolato della Vergine
L'amore dei piccoli
Maria ed Elisabetta
Maria e gli umili
Maria e i dottori
Maria alle nozze di Cana
Maria e i «fratelli di Gesù».
L'umiltà di Maria
Come Maria parla di sé
L'amore divino in Maria
Commento di Bossuet
L'analogia della vita di Gesù
Piena di grazia.

Capitolo VIII
La morte d'amore: l'Assunzione
Il peccato e la morte
La morte per amore
L'Assunzione
___________________

SALUTO ALLA VERGINE

Presso Maria è un Angelo dei Cieli:
Quale messaggio, Gabriel, ci sveli?
Dacché Adamo peccò, noi siamo maledetti:
che cosa apprenderemo dai tuoi detti?
Confermi tu di morte la condanna,
fai brillar la speme in chi si affanna,
la dolce speme dell'eterna vita
che per Maria verrà ristabilita?
«Ave di grazia piena! In Te è il Signore!
Oh, non temere! Ei viene nel tuo cuore
e lo feconda, immacolato Tempio.
«Dio tutto può! » E il verbo, Eterno amore,
in Te si incarna, verginale Fiore,
frutto del Fiat, prodigio senza esempio!
L’Autore

________

Prefazione

Nella prefazione alla sua «Storia di Cristo», G. Papini ha confermato, con la sua testimonianza, il dolcissimo fascino che l'immagine della Vergine esercita su tutti coloro che nel Vangelo leggono i brevi tratti che parlano di Lei.
«Non ho potuto sviluppare - dice - gli episodi dove compare la Vergine Madre per la difficoltà di mostrare di passaggio tutto il ricco fondo di religiosa bellezza che c'è nella figura di Maria».
E facendo una specie di promessa ai lettori aggiunge: «Sarebbe necessario un altro volume e lo scrittore è tentato d'arrisicarsi, se Dio gli darà vita e vista, di «dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna».
È questo, certamente, più che mai il caso a cui si può applicare il, matta dell'Alighieri a proposito di Beatrice: poiché alla Madre di Dio, più che ad altra donna creata esso conviene. Ella infatti, ed Ella soltanto, esce decisamente dai limiti umani ed è posta al di sopra delle nostre miserie ed infermità spirituali.
E tuttavia noi la sentiamo vicina con la sua bontà ed il suo amore.
Il nome di Maria è ormai inseparabile da quello di Gesù. Ed Essa, in modo simile a Lui, è posta in un ordine a sé.
Nelle famiglie ordinarie si è soliti cercare sul volto dei figli i lineamenti fisionomici dei genitori.
Qui, al contrario, bisogna cercare nell'anima di Maria la rassomiglianza col suo Divin Figlio.
Ella fu, si può dire, un preevangelo, ma ebbe anche il tempo e la gioia ineffabile di approfittare di tutte le le luci evangeliche.
Avviene della sua vita (scritta) ciò che avviene delle prefazioni che si scrivono prima di incominciare un libro. Esse, adopera compiuta, debbono essere ritoccate, rimaneggiate, perfezionate poiché nella composizione del libro si sono scoperti dei prolungamenti inattesi dell’idea primitiva.
Maria ha vissuto prima della grande rivelazione ma ha anche vissuto dopo.
Da qui, due metodi da seguire per parlare di Lei. Si può seguire la linea del tempo prendendo le pagine del Vangelo secondo l'ordine cronologico. Seguire, cioè, la vita di Gesù fermandosi più a lungo sulle scene nelle quali interviene Maria. Un po' come si prende separatamente una parte d'una carta geografica per ingrandirne la scala e notarne i dettagli.
Ma si può anche fare della Vita di Maria un seguito di quella di Gesù, un complemento del Vangelo incominciando dagli ultimi anni passati dalla Vergine Madre su questa terra fino a quando si trovano le sue Memorie servendosi per la redazione, del Vangelo di San Luca.
Questa seconda via sarebbe la più interessante se fosse possibile tenerla. Ma sarà possibile? Bossuet non esita a dire di no.
«Dopo l'Ascensione gloriosa del Salvatore Gesù al cielo e la discesa tanto promessa e tanto desiderata dello Spirito di Dio - egli dice - voi non ignorate che la Santissima Vergine dimorò ancora lungo tempo sulla terra. E il dire quali siano state le sue occupazioni e i suoi meriti durante il suo pellegrinaggio credo sia cosa impossibile all'uomo».
Ma questo fu scritto dall'Oratore quand'era ancora giovane. Era il 1651 ed egli non aveva che 24 anni - Dieci anni dopo egli non temette più di trattare un simile argomento. E con l'eloquenza del suo genio.
Anche noi, a nostra volta osiamo incamminarci su questa via oscura e incantevole.

Dopo aver sognato di scrivere un libro intitolato: La Vergine Maria nei Vangeli intraprendiamo a scriverne uno che ha per titolo: La Vergine Maria e i Vangeli. Si è cambiata una sola parola ma l'impostazione dell'argomento è tutta diversa.
Non si tratta più di riprendere e trattare in modo particolareggiato una parte della Vita di Gesù da noi scritta e che abbiamo voluto intitolare: Il libro del giubileo ma si vorrebbe offrire piuttosto una continuazione, un «seguito e fine» dell'opera suddetta. Uno scritto, cioè, destinato a far conoscere l'opera materna di Maria, svolta nel campo spirituale, dopo l'Ascensione di Gesù.
Presentiamo subito le nostre scuse per le inevitabili congetture alle quali abbiamo dovuto dar luogo in un tentativo come il nostro.
Il lettore non condanni subito il lavoro come: antiscientifico. Vi sono congetture che si accordano talmente con le certezze acquisite da far con esse un corpo solo. Sono così le ipotesi che abbiamo costantemente seguito qui.
Al lettore giudicare se i risultati non hanno troppo apertamente tradito le nostre intenzioni!

[Modificato da Caterina63 07/09/2012 21:48]
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07/09/2012 21:52

CAPITOLO I

Sommario:
- Gli addii di Gesù.
- Un tesoro di Bossuet .
- «Ecco l'Ancella del Signore» .
- Il Vangelo orale. Due prove.
- Obiezioni.
- Gli antichi Padri e la Vergine.
- Perché l'umiltà?

***

Gli addii di Gesù. - «Or presso la croce di Gesù stavano sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofe e Maria Maddalena. Avendo Gesù veduta sua Madre e lì presente il discepolo prediletto, disse a sua Madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua Madre. E da quel punto la prese con sé» (Giov. XIX, 25-28). Tali sono le brevi parole di addio di Gesù agonizzante alla sua Santa Madre. Non le troviamo che in S. Giovanni e bisogna meditarle a lungo per scoprirne tutta l'intensità e il significato. Non è azzardato il dire che la scena del Calvario divide la vita di Maria nel senso che essa limita decisamente una fine ed un principio. Per ogni altra donna, specie se si tratta di una vedova, la morte di un figlio unico significa il crollo di tutta l'esistenza.
Una madre che conosce una disgrazia simile non può vivere d'altro che del passato. Gesù aveva incontrato una volta una madre colpita da questo dolore e ne aveva sentito pietà. E risuscitò il figlio della vedova di Naim.
Ma morendo intende dare a sua Madre un compito nuovo. Dandole un figlio, un altro Se stesso, Egli non si limita ad offrirle una specie di consolazione. Secondo Bossuet, anzi, le parole di Gesù esprimono precisamente l'opposto. Si può anche dissentire da questo parere, ma si ingannerebbe chi non vedesse altro che l'attenzione di un buon figlio, il quale non vuole abbandonare sua madre senza appoggio, senza risorse e senza affetto sulla terra. Raccogliamo anzitutto l'interpretazione di Bossuet; si trova nel sermone 1660, per la festa dell'Assunzione. Bossuet afferma che autore dell'idea è S. Paolino; ma egli deve aver fatto molte aggiunte al testo dello scrittore patristico.

Il testo di Bossuet. - «Ella perde persino suo Figlio sul Calvario egli dice parlando della Madonna - e non dico solamente ch'ella lo perde in quanto vede morire questo Figlio amatissimo di una morte crudele; ma perché Egli cessa in qualche modo d'essere suo Figlio, sostituendone un altro al suo posto: «Donna - le dice - ecco tuo Figlio».
Meditate questo punto, o cristiani, e se anche tale pensiero può sembrare un poco strano, vi persuaderete però ch'esso ha il suo buon fondamento. Pare che il Salvatore non la riconosca più per sua Madre; «Donna - le dice - ecco tuo Figlio ». Non parla in questo modo senza un motivo misterioso: Egli è in uno stato di umiliazione ed è bene che anche sua Madre gli sia unita in esso. Gesù ha un Dio per Padre e Maria ha un Dio per Figlio. Il Divin Salvatore ha perduto, il Padre suo e non lo chiama più ora che «Dio». Bisogna che anche Maria perda il suo Figlio; difatti Egli la chiama ora col nome di Donna, non le dà il nome di Madre. Ma ciò che deve essere stato più umiliante per la SS. Vergine è il fatto che Egli le affida un altro figlio, come se Lui non fosse più tale per Lei, e come se Egli volesse rompere il nodo di una santa amicizia: «Ecco - dice - vostro Figlio».
Vediamone la ragione.
Durante il periodo della sua vita terrena, Gesù compiva verso sua Madre tutti i doveri e i servizi d'un figlio. Egli era la Sua consolazione e l'unico appoggio della Sua vecchiaia. Ora che Egli sta per entrare nella gloria, prenderà dei sentimenti più degni di un Dio: perciò lascia ad un altro i compiti della pietà umana e naturale. Maria non ha più suo figlio, Gesù; il suo amatissimo figlio ha ceduto i suoi diritti a S. Giovanni ed essa trascorrerà in questo triste stato i lunghi anni» (1).
Per quanto grande sia il genio di Bossuet, non oseremo accettare su questo punto tutto il suo pensiero. Lui stesso - e l'abbiamo notato - lo trovava «un po' strano». E ciò che principalmente ci scosta da Bossuet è il motivo stesso su cui egli fonda la sua interpretazione: «Gesù - dice - compiva verso sua Madre i doveri e i servizi d'un figlio». E' precisamente questo che si deve meditare ed è questo che ci deve aprire gli orizzonti. No, Gesù non compiva più, dall'inizio della sua vita pubblica, «i doveri e i servizi d'un figlio». Secondo la cronologia che noi abbiamo adottato erano già due anni e tre mesi ch'Egli non abitava più con Lei. Gesù aveva lasciato Nazaret verso la fine dell'anno 27 o nei primi giorni dei 28 e non era ritornato che due sole volte nel villaggio della sua infanzia. Non si accenna alla presenza di Sua Madre al Suo fianco che alle nozze di Cana, poi al momento del tentativo del rapimento dei suoi «fratelli» che non credevano in Lui e in seguito sul Calvario.
Maria quindi era priva di Suo figlio già da molti mesi, e non era vissuta sola durante tutto questo tempo. Ci sono buone ragioni per credere che Ella si fosse unita a sua cugina Maria, moglie e, senza dubbio, vedova di Cleofa, i cui numerosi figlioli venivano chiamati «fratelli di Gesù». Dunque la Madonna viveva nelle vicinanze di questi parenti. Se Gesù, da buon figliuolo quale era, non avesse avuto che lo scopo di trovarsi un sostituto per circondare delle cure necessarie gli ultimi giorni della Sua piissima Madre, potremo dire ch'Egli aveva impiegato troppo tempo per pensarvi. La situazione creata con la sua partenza da Nazaret due anni prima, non poteva prolungarsi? Se nei confronti di Sua Madre tale situazione non fosse stata buona, come mai Egli l'aveva fino allora permessa e tollerata? Se all'opposto fosse stata buona o almeno sufficiente, perché portarvi delle modifiche?
Si potrebbe pensare che Gesù non volesse più lasciare la Madre Sua in un ambiente in cui non si credeva in Lui. Ma giustamente noi abbiamo la certezza che i suoi «fratelli» erano ormai dei credenti, cioè, avevano ora fede nella missione di Gesù. Gli Atti degli Apostoli sono abbastanza espliciti su questa punto. Dopo avere nominato gli Apostoli riuniti nel Cenacolo dall'Ascensione alla Pentecoste, essi dicono: «Tutti in un medesimo spirito perseverarono nella preghiera con alcune donne e Maria Madre di Gesù e i suoi fratelli». Aggiungiamo subito che il testo ora citato contiene l'ultimo degli accenni fatti nei Libri Santi alla SS. ma Vergine Maria. Vedremo più tardi l'importanza di questa osservazione. Per ora è sufficiente concludere che non è certo a motivo dell'incredulità dei Suoi «Fratelli» - fra i quali, due almeno, Giacomo il minore e Giuda, erano Apostoli - che Gesù ha loro tolto la Madre affidandola a S. Giovanni. Al contrario essa abitava presso di loro proprio nel periodo della incredulità e li lascia quando sono ormai entrati nel gruppo dei fedeli.
Non ci spieghiamo facilmente perché Gesù, a dire di Bossuet, avrebbe voluto umiliare la Sua Madre affidandola a S. Giovanni. L'umiliazione sarebbe stata ben più grande lasciandola nello stato in cui era e, senza affidarle alcuna nuova missione inviarla implicitamente a Nazaret.
No, Gesù non ha voluto umiliarla. Egli lascerà alla Madre stessa la cura d'umiliarsi in modo sovrumano. Ci sembra più felice Bossuet quando scrive nello stesso discorso: «Ecco una creatura che si distingue eccellentemente da tutte le altre; ma la Sua umiltà profondissima la spoglierà in qualche modo dei Suoi vantaggi meravigliosi. Essa, che è stata innalzata al disopra di tutti, per la sua dignità di Madre di Dio, si colloca nel ceto comune per la sua qualità di Ancella » (2).

«Ecco l'Ancella del Signore». - Questa volta possediamo la vera spiegazione.
Gesù ha trattato Maria da Figlio divino che onora e ama sommamente Sua Madre. Ella si è abbassata volontariamente e non ha voluto essere che «Ancella ». Era il nome che essa s'era preso fin dal principio. Il messaggio dell'Arcangelo Gabriele pur riempiendola d'una gioia che nessun linguaggio saprebbe esprimere non le aveva minimamente tolta la sicurezza delle sue viste spirituali. «Ecco l'Ancella del Signore » aveva detto. Ed un poco più tardi, nel sublime Suo Magnificat, Ella ripeteva: «Egli ha riguardato la bassezza della sua serva». Quest'ultimo sostantivo per Maria SS. è una definizione; contiene il programma della Sua vita dal quale non ha mai deviato. Su questo punto, durante tutta la sua esistenza, c'è una perfetta unità.
L'umiltà sarà il Suo distintivo attraverso tutte le età. Essa è lontana da quell'orgoglio farisaico di cui Gesù non cesserà di bollare la pretensione e ne è tanto lontana quando lo si può essere.
Fra Gesù e Maria l'umiltà è il primo e principale punto di rassomiglianza. «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore»: questa espressione di Gesù mostra tutta la ricchezza delle virtù dominanti nella Vergine: l'umiltà e la dolcezza. Ne riparleremo più avanti.
Stabilito ben chiaro questo punto di partenza, cerchiamo di scoprire perché l'umile Maria fu affidata a S. Giovanni anziché ai suoi più prossimi parenti e ai figli di sua cugina.
Se non è per umiliare la Sua santa Madre che Gesù le ha dato un altro figlio, allora è senza dubbio per affidare a S. Giovanni un compito eletto verso Maria e a Maria verso il discepolo prediletto. Il dono di Giovanni a Maria fu un dono di amore da parte di Gesù in Croce. E il dono di Maria a Giovanni fu pure una testimonianza tutta speciale di tenerezza verso il migliore degli amici di Gesù.
Maria e Giovanni ricevettero ciascuno una missione reciproca. Ecco quanto si può dire di più verosimile e naturale circa la decisione di Gesù sulla croce.
Qual'era questa missione?
Per scoprirla basta far attenzione alla santità dei personaggi di cui si parla. E' Gesù che li affida l’una all'altro. Chi potrebbe pensare che in quest'ora suprema Gesù pensi soltanto alle cure temporali richieste dalla vecchiaia di sua Madre?
Egli sa, l'ha annunciato, ed il fatto sta per provarlo, che la sua morte non consisterà che in un breve passaggio nella tomba. E non possiamo dubitare che la sua prima visita sia stata per Sua Madre. Il motivo principale di questa certezza nasce dal considerare l'estensione completa della Madonna durante le cure della sepoltura all'indomani del sabato che aveva seguito la morte di Gesù. Mentre le pie donne si affaccendavano, Maria sola rimaneva inattiva. Essa aveva un proprio motivo. Essa aveva compreso il mistero della crocifissione, il mistero delle umiliazioni del suo Gesù più d'ogni altro e così, prima d'altri Maria intuiva la caratteristica inattesa della resurrezione che non mirava «al ristabilimento del regno d'Israele» come gli Apostoli desideravano e speravano. Perciò Ella taceva sull'apparizione di cui era stata favorita. Gli Apostoli dovevano credere lentamente e penosamente e non era conveniente che la parola di Maria in questa circostanza fosse messa in dubbio da loro, come non conveniva che si dicesse che gli Apostoli avevano creduto sulla parola della Madre anziché su argomenti tanto personali quanto irresistibili (3).
Tuttavia, fin dalla prima ora, Maria sembra abbia compiuto la missione affidatale da Gesù. Pure, nel suo silenzio, la serenità del viso parlava, e Giovanni sentiva sciogliersi a contatto con la Madre i suoi timori e i suoi dubbi. Per questa ragione, quand'egli trovò la tomba vuota, credette alla risurrezione prima di ogni spiegazione e prima d'ogni altro Apostolo (Gv 20, 8).
Particolare questo che passò probabilmente inosservato. Trascorsi i quaranta giorni, Gesù salì al Cielo e dieci giorni più tardi lo Spirito di Verità si posava sulla fronte degli Apostoli. Non ci si dice espressamente che Maria si sia trovata in mezzo ad essi; ma il testo pare l'accenni, poiché dopo l'enumerazione di tutti coloro che erano riuniti nel Cenacolo, in numero di circa centoventi, l'Autore degli Atti inizia il racconto della discesa dello Spirito Santo con queste parole: «Il giorno della Pentecoste spuntato, essi stavano insieme in un medesimo luogo ».
E subito incomincia la storia della Chiesa di Gesù Cristo. Maria non ritorna a Nazareth, rimane nella casa del suo secondo figlio, Giovanni, a Gerusalemme. S'indovina che la missione di Giovanni è di parlare alla Madre del suo Gesù, di soddisfare i segreti desideri ch'Ella aveva rintuzzato durante tutta la vita pubblica del Figlio. Maria non aveva mai assistito ai discorsi di Gesù, e non conosceva le frequenti e burrascose discussioni coi farisei, specialmente nel Tempio, che l'avevano condotto al dramma del Calvario.
La missione di Giovanni era precisamente quella di raccontarle tutti questi fatti ed inaugurare il suo magnifico compito di evangelista offrendo alla santa curiosità di Maria, punto per punto, gli episodi più significativi della divina tragedia che si era compiuta sul Golgota.
Riparleremo di questa collaborazione intima fra Maria e Giovanni circa la nascita del quarto Vangelo, così concreto, nello stesso tempo cosi mistico, e ci domanderemo fino a qual punto merita il nome particolare di Vangelo Mariano.
Questo studio ci preparerà a discernere meglio gli elementi d'un problema assai delicato quale la ricerca d'una possibile influenza di Maria sul Vangelo orale che prese allora da Gerusalemme il suo volo verso la conquista del mondo redento da Gesù.

Il Vangelo orale. - Le opinioni generali concordano nel ritenere che il Vangelo orale deve essere quello rimessoci da S. Marco. Questo evangelista era il segretario di Pietro, abitava in Gerusalemme e come testimonio oculare poteva raccontare un certo numero di fatti dell'ultimo periodo del ministero di Gesù. Non diciamo che il suo Vangelo sia stato scritto per primo: la tradizione colloca l'opera di S. Matteo prima della sua. Ma il testo di S. Marco, meno completo di quello di S. Matteo, è composto soprattutto di notizie vive e pittoresche e, all'infuori dei discorsi del Maestro, rappresenta lo stadio più primitivo della predicazione apostolica.
Proprio così Pietro raccontava la storia di Cristo, ed è molto probabile che gli Apostoli abbiano imitato da lui i propri racconti, confermando con la loro testimonianza tutte le sue affermazioni. La questione dell'influenza di Maria sulla nascita del Vangelo orale è relativamente facile da risolvere, ed è certo la più semplice tra quella che esamineremo.
Maria non aveva assistito agli sviluppi della missione del Suo Figlio divino e quindi la sua testimonianza non poteva aggiungere nulla a quelle degli Apostoli. E non poteva nemmeno mettersi alla pari con essi perché non aveva visto né sentito quasi nulla di quello che formava la sostanza della primitiva catechesi.
Non per questo vogliamo dire che Maria non abbia esercitato nessuna influenza nella preparazione di questa prima forma d'apostolato. Meraviglia invece il fatto che le nozioni relative all'infanzia siano completamente assenti dal Vangelo di S. Marco, il quale s'inizia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto. Non vi si accenna all'annunciazione, alla nascita in Betlemme, alla vita nascosta di Gesù a Nazaret. Si può credere che soltanto per puro caso sia passato sotto silenzio tutto ciò che concerne la Madonna, ciò che la può mettere in evidenza e può far risaltare la sua dignità di Madre di Dio parlando delle sue eminenti virtù, tutto ciò che in una parola ne può cantare la gloria? Pietro non ebbe alcuna cura di conoscere chi era Gesù prima che questi iniziasse la divina missione della redenzione del mondo? Non sarebbe stato l'amico di Gesù, il discepolo leale e fedele per eccellenza, non sarebbe stato uomo se non avesse tentato d'informarsi intorno alla nascita ed alla giovinezza del Maestro adorato.
Come prima riga del suo testo S. Marco colloca queste parole: Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.
C'è qui la parola più luminosa fra tutte: quella che proclama la divinità di Gesù. Non c'è alcun dubbio che «il Figlio di Dio » qui deve essere preso in senso letterale. E' l'atto di fede di Pietro e dopo di lui, di S. Marco (4).
Non possiamo credere che Pietro sia stato indifferente a qualsiasi minimo particolare che riguardasse il Maestro amatissimo. Né possiamo dubitare che egli non abbia avuto il tempo d'interrogare la Madonna sui trent'anni della vita nascosta che racchiudevano tanti insegnamenti per i discepoli di Cristo. E' il caso di ritenere come certo che Maria sia stata più volte rispettosamente supplicata di manifestare i divini segreti celati nel suo cuore. E da tutti questi fatti e supposizioni possibili possiamo concludere che l'influenza di Maria sul primitivo Vangelo orale si sia esercitata nella profondità, incomprensibile alla natura umana, d'una umiltà senza precedenti.
«Non parlate affatto dell'Ancella! Non distogliete il vostro sguardo dagli insegnamenti del Maestro. Mirate soltanto alla «buona novella». Le vostre narrazioni proclamino soltanto senza ritardo la grandezza divina, riferiscano i suoi miracoli, ripetano le sue parole, facciano conoscere le resistenze colpevoli che gli si opposero, mettano in evidenza le leggi dello spirito nuovo che Egli ha voluto propagare sulla terra, si diffondano sui grandi fatti dell'ultima settimana: l'entrata del Messia nella città santa, gli ultimi discorsi, il tradimento, il processo, la morte, la resurrezione, Lui, sempre Lui e Lui solo»!
Ecco, questa è la consegna data da Maria agli Apostoli mentre si andava formando il Vangelo orale. Non sapremo comprendere diversamente come il periodo dell'infanzia sia stato escluso. Se il silenzio non fu volontario, rimane incomprensibile, Ma volontario da parte di chi? Degli Apostoli? Non si capirebbe perché le notizie dell'infanzia di Gesù siano narrate nei Vangeli di Matteo e di Luca. Da parte di Maria? E' più naturale e ci sarà più facile capire perché esse non risultino neppure nel Vangelo di Giovanni.

Due prove. - È naturale che la precedente conclusione sarebbe assai più forte se nello stesso Vangelo di S. Marco vi fosse qualche segno positivo che la consolida. A noi pare di riconoscere due segni che corroborano il nostro modo di vedere.
Il primo nella relazione, tutta propria di Marco, della seconda visita di Gesù a Nazareth.
Gli abitanti della cittadina sono malcontenti del loro illustre compatriotta. Aspettano da lui dei miracoli, e sono gelosi di Cafarnao dove si è mostrata la sua potenza. Gesù intuisce il risentimento ed indirizza ai Nazareni una velata ammonizione. Ma mentre S. Luca e S. Matteo mettono in bocca al popolo questa frase irritata: Non è il figlio del falegname? non è il figlio di Giuseppe? Sua Madre non ha nome Maria? Invece S. Marco fa dire questa espressione sorprendente: Non è il falegname, il figlio di Maria? Questi ne parla come se Gesù non avesse Padre. Giuseppe, infatti, non è mai nominato nel Vangelo di Marco. Date le abitudini dei Giudei che su questo punto non erano per nulla diverse da quelle di Roma, è poco verosimile che i Nazareni si siano espressi nel secondo modo, e poiché bisogna scegliere tra i tre Vangeli è preferibile il testo di Matteo e di Luca. Ma perché Marco ha riportato le recriminazioni sotto termini insoliti? forse perché Giuseppe era morto. Ma un figlio continuava a portare, nella designazione comune, il nome del padre, anche se la madre era vedova. Si potrebbe spiegare semplicemente così: Matteo e Luca che hanno raccontato la nascita miracolosa di Gesù, nel riportare quali erano le parole dei Nazareni non potevano temere confusioni nello spirito dei loro lettori. Mentre Marco che non ha accennato all'infanzia di Gesù né alla sua origine soprannaturale, se avesse accennato a Giuseppe poteva motivare nei lettori un'idea falsa intorno alla nascita del figliuolo di Dio fattosi uomo. Perciò lo chiama sent'altro: Figlio di Maria e non tradisce per questo la verità storica poiché egli qui riferisce il senso dell'aspra frase dei Nazareni. Molto significativo è il fatto che Marco non abbia nominato Giuseppe e che egli abbia evitato in questa circostanza, in cui logicamente lo doveva fare, di accennarlo come padre legale e apparente di Gesù. Ciò prova secondo noi, che Pietro era perfettamente informato della miracolosa nascita di Gesù e che egli vedeva chiaramente la necessità di istruire in proposito i fedeli, o almeno di non lasciarli in errore, ma che ne era trattenuto dalla cosiddetta «consegna » della Madonna. E' probabile che risvegliata la curiosità dei cristiani dalle stesse espressioni di cui si serviva S. Pietro, il Vangelo ufficiale sia stato completato da spiegazioni di carattere più o meno confidenziale. La verità non soffriva né l'umiltà di Maria poteva essere offesa.
Il Vangelo orale pare abbia preso fin da principio una forma rituale ufficiale e costante. Ma al di fuori del servizio divino i fedeli dovettero interrogare i testimoni della vita di Gesù. Dopo la morte della Madonna, Pietro avrebbe potuto modificare nel senso voluto il testo del suo Vangelo predicato. I racconti dell'infanzia sono innestati senza il minimo inconveniente in Matteo e Luca e diremo a quale condizione; ma Pietro credette suo dovere restar fedele ai desideri di Maria, sia per rispetto alla sua memoria, sia per l'alta intelligenza della profonda umiltà di Lei.
Ed è proprio da questa che si può ricavare il secondo segno o indizio: l'umiltà di Maria, la sua attenzione a non mettersi in scena per rimanere nell'ombra, la cura costante d'avvolgersi nel silenzio per far concentrare gli sguardi unicamente su Gesù, noi la ritroviamo anche in Pietro. Il suo Vangelo evita per partito preso tutto ciò che può riandare a sua gloria. Giunge persino a tralasciare le parole dell'investitura suprema di cui è fatto oggetto da parte del Maestro.
In S. Marco non si trova nemmeno uno dei tre testi principali sui quali i teologi fondano con ragione il motivo del primato di Pietro e del suo successore. I due più espliciti sono in S. Matteo e in S. Giovanni: (Testo della confessione) (5).
Il terzo è in S. Luca (6).
Il Vangelo orale predicato da Pietro mancava di notizie e ciò si spiega con l'umiltà del capo della Chiesa; senza dubbio Gesù aveva tanto insistito su tale virtù che Pietro ne praticava senz'altro le sue lezioni. Sebbene altro è conoscere la dottrina dell'umiltà ed altro saperne fare l'applicazione. Nel silenzio voluto da Pietro sulle sue prerogative è molto più naturale riconoscervi l'imitazione della Madonna nel silenzio sui propri privilegi. Bossuet ha dunque buona ragione di dire che l'umiltà di Maria la spogliò di tutti i suoi vantaggi. Ed ora possiamo aggiungere che gli Apostoli hanno capito il suo esempio. Maria influisce sulla formazione del Vangelo orale con questa profonda lezione di umiltà e la predicazione di Pietro attesta che la lezione non è andata perduta. Quant'è bella la missione di Maria nel seno della Chiesa primitiva!

Obiezione.
- Maria aveva scelto il silenzio e l'ombra, aveva scelto l'umiltà. Il suo esempio era il più persuasivo ed il più vivo degli insegnamenti. Coloro che l'avvicinavano di più, e Pietro era nel numero, ne erano più profondamente influenzati. L'umiltà di questo apostolo ben visibile nella cura da lui posta nell'accentuare le sue mancanze, tacere i suoi privilegi è certamente per buonissima parte frutto dell'umiltà mariana.
Queste le nostre conclusioni e tutto il libro in seguito lo confermerà. Ma prima di proseguire ci domandiamo: I fatti descritti sopra come base del nostro ragionamento e delle nostre deduzioni, non possono spiegarsi in modo diverso?
Su questo punto delicato si potrebbe dire: Il silenzio del primitivo Vangelo, rappresentato dal testo di S. Marco, sulla Madonna e sull'infanzia di Gesù, può anche essere effetto d'una certa tattica del Capo degli Apostoli. Doveva predicare la divinità di Gesù, far adorare Cristo come un Dio: non era il caso di attenersi semplicemente a questo compito già tanto alto e grave? E poi, soprattutto, dato che occorreva indirizzarsi a dei pagani non era più abile e più logico allontanare le figure puramente umane dall'immediata vicinanza del Salvatore? Era opportuno dare a credere ai convertiti dalle mitologie infantili una storia simile a quella ch'essi trovavano nelle loro assurde favole? Un Dio fattosi carne, una Madre di Dio, e - se si osasse - una dea? Non era più prudente omettere tutto? E allora perché giustificare con l'umiltà della Madonna?
Più tardi il culto mariano avrà dei grandi sviluppi. Le critiche non mancheranno al capo del cattolicesimo e lo si accuserà di far dimenticare la divinità per sviare gli omaggi religiosi su una semplice creatura. Gli si rimprovererà di sopprimere in pratica la distanza infinita che necessariamente esiste fra il creato e l'increato, fra Dio e l'opera sua, fra l'infinito e il finito.
Ottima quindi la previdenza della Chiesa di formare il vuoto intorno a Gesù, di non considerare che Lui e di attirare gli sguardi solo su di Lui e di allontanare dalla sua persona inaccessibile tutta ciò che poteva diminuirlo al livello delle creature ordinarie. A questa obiezione noi rispondiamo che la Chiesa primitiva non ha mai pensato nulla di tutto questo perché nulla è tanto lontano da essa come i timori e i calcoli e coloro che hanno arrossito per l'umile umanità del Redentore sono stati collocati dalla Chiesa fra gli eretici. È vero che per quel poco che possiamo conoscere delle dottrine vaghe ed inconsistenti dei Doceti essi credevano d'ingrandire il Cristo prestandogli un corpo ideale, una semplice apparenza di umanità e quindi una nascita materiale puramente immaginaria. Ma i Doceti (7) sono stati combattuti con la più profonda indignazione dai primi cristiani. S. Giovanni provava un'avversione irresistibile nei loro riguardi e più tardi si raccontava di lui che avendo incontrato il doceta Cerinto ai bagni pubblici avrebbe gridato: «Fuggiamo tosto il primogenito di Satana».
Tutto il mistero della: redenzione afferma soprattutto che un Dio s'è fatto Uomo, veramente e pienamente Uomo morendo per noi, per redimerci. I Vangeli non nascondono nulla dell'umanità di Gesù nelle sue umiliazioni e sofferenze e della sua reale morte in croce.
D'altra parte se si ammette che S. Pietro abbia tolto dal suo Vangelo il racconto dell'Infanzia di Gesù per non creare confusione nello spirito dei convertiti dal paganesimo si può domandarci: Perché Matteo e Luca non ebbero lo stesso timore? Perché la narrazione dell'infanzia ha trovato subito il suo posto nei loro testi evangelici? L'umiltà di Maria poteva essere vinta e tenteremo di dire come e perché. Ora se la tattica detta sopra fosse esistita non c'era motivo perché vi si rinunciasse così presto.

Ma c'è anche di più. E' un errore credere che la Chiesa primitiva trascurasse deliberatamente il nome di Maria. Ciò che non è accennato nel Vangelo di Pietro si ritrova in documenti antichissimi. Il nome di Maria fu posto fin dal principio in quella «Regola di fede» di cui parla Tertulliano e che divenne nel IV secolo il nostro «simbolo degli Apostoli». Ci sono buone ragioni per credere che la formula più antica di questo simbolo fosse così concepito: «Io credo in Dio Padre Onnipotente ed in Gesù Cristo suo unico figliuolo nostro Signore che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu seppellito e risuscitò da morte, il terzo giorno salì al cielo, siede alla destra del Padre, donde verrà a giudicare i vivi e i morti - e nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne».
Tutto il resto sarebbe stato aggiunto in seguito. Ma l'accenno esplicito della «Vergine Maria» corrispondente a quanto abbiamo detto della frase dei Nazareni in S. Marco si trovava già nella prima redazione.
Qualche citazione degli antichi Padri finirà di convincerci che il silenzio del Vangelo orale rappresentato da Marco non può essere attribuito ad alcun timore come quello sopraccennato.

Gli antichi Padri e la Vergine. - S. Ignazio d'Antiochia è quasi contemporaneo degli apostoli. Fra la sua morte e quella di Giovanni non vi sono più di 5 o 6 anni di differenza e difatti la si pone fra il 107 e il 108. Ci è dato di constatare sorprendenti somiglianze fra la sua maniera di parlare del Cristo e quella di S. Giovanni. Lo si può quindi considerare discepolo dell'Apostolo. E poiché sull'esempio di Giovanni egli combatte i Doceti, insiste in ogni circostanza sulla nascita umana di Gesù. Naturalmente nomina Maria. «Il Nostro Dio Gesù Cristo - scrive - è stato portato da Maria nel suo seno: secondo i decreti della Provvidenza, dalla stirpe di Davide da una parte e dallo Spirito S. dall'altra. Egli è nato ed è stato battezzato al fine di purificare l'acqua con la sua passione» (8).
Trent'anni più tardi, verso il 140, S. Aristide scrisse un'apologia del Cristianesimo dedicato ai pagani. Era proprio il caso di non avvicinare ad un Dio-Uomo il nome di una Madre che i pagani non potevano non considerare come una dea. Ma S. Aristide non ha la minima idea di tali scrupoli: crede i suoi avversari abbastanza intelligenti per comprendere la distanza che separa le invenzioni della mitologia dalla dottrina cristiana. E scrive: «I cristiani traggono la loro origine da Nostro Signor Gesù Cristo il quale è proclamato Figlio del Dio Altissimo che nello Spirito Santo discese dal Cielo per la salute degli uomini e generato senza germe né corruzione da una Vergine santa prese carne e si mostrò agli uomini» (9).
Con un altro apologista, S. Giustino, la dottrina mariana riceve il suo primo importante sviluppo. S. Paolo aveva paragonato Gesù ad Adamo, gli aveva dato il nome di ultimo Adamo (10). Niente di più naturale che confrontare il compito di Maria con quello di Eva. Ma non è il caso di temere più qui che in altre circostanze, di accostar troppo una creatura a Dio? Adamo ed Eva sono al medesimo livello, sono della stessa razza umana, c'è perfetta uguaglianza tra di loro dal punto di vista della natura nella scala degli esseri. Ma fare di Maria la «novella Eva» non equivale elevarla allo stesso grado dell'ultimo Adamo? S. Giustino discutendo con il giudeo Trifone non si sente legato da simili probabili obiezioni e scrive senza timore: «Leggendo noi nelle Memorie degli Apostoli (11) che il Cristo è il figlio di Dio, perciò stesso noi lo proclamiamo e comprendiamo come figlio ed è lo stesso che nel libro dei Profeti è nominato: la Sapienza, il Giorno, l'Oriente, la Spada, la Pietra, ecc. E' Lui che s'è fatto uomo per opera della Vergine perché la stessa redenzione arrivasse per lo stesso mezzo con cui era incominciata la ribellione per mezzo del serpente. Eva, ancora vergine pura, accogliendo le parole del serpente, partorì la disobbedienza e la morte. All'apposto Maria, la Vergine, avendo accolto dall'Angelo Gabriele la buona novella che lo Spirito Santo verrebbe su di Lei e la virtù dell'Altissimo la coprirebbe perché il fanciullo nato da Lei sarà il Figlio di Dio, rispose: Sia fatto di me secondo la tua parola» (12).
Ma la teologia mariana prende il suo slancio soprattutto con la grande opera di S. Ireneo: «Contro le eresie» che fu lentamente elaborata fra il 150 e il 200. Ireneo, della scuola di Giovanni attraverso S. Policarpo, non dimentica mai di nominare Maria quando affronta il grande tema dell'Incarnazione. Egli la chiama talvolta semplicemente «la Vergine» perché tale nome le appartiene per titolo esclusivo nella storia; e tal altra la chiama «Maria». Continuando il paragone formulato da Giuseppe tra la Madre di Cristo e la prima Eva ecco come si esprime Sant'Ireneo: «Come Eva, avendo uno sposo, Adamo, ma essendo ancora vergine, commise la disobbedienza per cui fu causa di morte per se stessa e per tutto ìl genere umano, così Maria, avendo uno sposo predestinato e peraltro pure vergine, mediante l'obbedienza è divenuta per se stessa e per tutto il genere umano causa di salute ...
Così il nodo della disobbedienza d'Eva è stato disciolto dall'obbedienza di Maria. Ciò che Eva incatenò con la propria incredulità, la Vergine sciolse con la sua fede » (13).
Dopo S. Ireneo le citazioni si fanno innumerevoli e ci provano con sempre maggior evidenza che il silenzio del primo Vangelo orale primitivo intorno a Maria e alla infanzia di Gesù non poteva essere il risultato d'una qualunque infantile precauzione o di qualche prudenza esitante e subito sorpassata dagli avvenimenti.
Solo l'umiltà superiore di Maria può spiegare la scomparsa del suo nome dopo l'accenno che se ne fa nella Pentecoste e l'ombra assoluta che nasconde ai nostri occhi gli ultimi anni suoi su questa terra.

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07/09/2012 21:55

Capitolo II


Sommario:
- Nella casa dell'Apostolo
- Il quarto Vangelo
- Il Vangelo Mariano
- Serenità Mariana.
- Perché il lungo silenzio di Giovanni?

Nella casa dell'Apostolo. - Se le nostre deduzioni sono giuste bisogna pensare che S. Giovanni, il più vicino a Maria dopo che Gesù gliela ebbe affidata, sia stato colui che ha meno parlato di Lei anche negli episodi in cui il ricordo della Vergine s'imponeva e ciò contrariamente alla comune psicologia. Quanto abbiamo esposto nel capitolo precedente crollerebbe se trovassimo in S. Giovanni un Vangelo dell'infanzia di Gesù più sviluppato che in San Matteo e in S. Luca.
Questo evangelista che non ha saputo tacere la sua felicità per essergli stata affidata la Vergine Madre ed essere stato designato come suo secondo Figlio dal Divin Maestro; questo evangelista che ha assistito Maria nella propria casa per dieci, quindici e forse anche vent'anni, poiché non conosciamo né la data né il genere di morte della Vergine; questo apostolo dal carattere vivo, impetuoso, tenero e fedele, fiore di delicata verginità come la Madonna stessa e Gesù suo Salvatore ed amico, non ha sentito il bisogno di completare gli insegnamenti tanto brevi lasciati dai predecessori intorno a Maria e ai misteri nei quali Ella aveva avuto tanta parte. Non è che Giovanni non sia stato attento a colmare le lacune dei precedenti Vangeli, a corregger lì con discrezione su alcuni punti di secondaria importanza specie date o luoghi da essi riportati; ma nei riguardi della Vergine egli ha aggiunto soltanto ciò che non conosceva da Lei, come il racconto delle nozze di Cana in cui parlava da testimonio. Nel trasmetterci questo episodio prezioso Giovanni ha usato di un suo diritto ed ha insieme assolto un dovere.
Ma delle sue conversazioni con Maria, di tutto ciò che ha imparato da Lei, dei ricordi che gli ha confidato, dei pensieri espressi davanti a lui, niente, neppure una riga né una parola. Non possiamo credere che egli abbia ubbidito alla stessa «consegna» da noi supposta a proposito del Vangelo di Pietro? Notiamo subito che i due atteggiamenti uguali presso i due grandi apostoli si comprendono meglio pensando all'unione e al grande affetto che regnava tra loro. Giovanni, il «figlio del tuono» è diventato talmente umile al contatto della sua «seconda madre», la Vergine Maria, che pare non voglia più agire da sé ma solo desideri di perdersi nell'ombra di Pietro, suo capo ed amico.
L'abate Fouard l'ha ben rivelato: «Sul cuore di Gesù e vicino a Maria il «figlio del tuono» aveva sentito diminuire la foga che più d'una volta il Salvatore aveva dovuto frenare. Tutto in lui si volgeva ora all'amore, alla contemplazione, a impegnarsi nella carità divina di cui divenne l'evangelista nel tramonto della sua vita. Nell'umile casa dove alloggiava la Madre di Gesù, Giovanni aveva preso l'abitudine d'una vita di raccoglimento. Anche quando Maria lo lasciò e s'addormentò l'ultima volta sotto i suoi sguardi per addormentarsi in cielo, la predicazione di Giovanni non prese il volo che presagivano l'impetuosità della sua giovinezza e il suo ardente amore per Gesù. Come i suoi fratelli nell'apostolato Egli evangelizzò senza dubbio; come loro non visse che per far conoscere ed amare il Salvatore, ma il suo ministero non ebbe uno slancio simile a quello di Pietro, di Giacomo, di Paolo soprattutto. La tradizione sempre sobria di dettagli sugli Apostoli, indica almeno però in quali regioni lavorarono, ma per S. Giovanni essa tace. Durante la vita di Pietro e Paolo essa non ne parla e si accontenta di ripresentare ai nostri occhi l'attività di Giovanni soltanto negli ultimi tempi del primo secolo cristiano. Ma allora ce lo mostra in una incomparabile maestà, dominante la fine dell'età apostolica coi suoi scritti divini e col rispetto unanime di cui è investito » (14).
«Completo silenzio»: ricordiamo questa affermazione che riassume almeno quarant'anni della vita apostolica di S. Giovanni. Non crediamo però che Maria abbia cercato e sia riuscita a «spegnere» gli ardori di Giovanni, anzi, è vero il contrario e ne avremo la prova quando egli prenderà la penna. Non è certo spento colui che fra gli evangelisti fu potuto paragonare all'aquila, colui al quale appartengono gli scritti più «brucianti », più entusiasti, più sublimi, soprattutto ciò che la terra, contiene di sacro.
Vedremo più avanti come il silenzio di Maria fosse un silenzio cantante, un silenzio lirico in tutta la forza del termine, in una parola un silenzio contemplativo. Così deve essere stato anche per S. Giovanni: le testimonianze sono d'uria evidenza abbagliante. Basterebbe aver scritto il prologo per prender quota nei più alti gradi della scala della contemplazione.
E' venuto ora il momento di domandarci in quale misura e in quale modo la Vergine Maria ha potuto collaborare al più bello ed al più mistico dei nostri Vangeli.

Il quarto Vangelo . - Il quarto Vangelo è l'opera della estrema vecchiaia dell'Apostolo Giovanni. Secondo la tradizione egli era quasi centenario quando scrisse. Possiamo collocare la sua composizione sotto il regno di Nerva e di Traiano tra l'anno 96 e 100. Senza dubbio era più di mezzo secolo che la Vergine Maria aveva abbandonato la terra e non si fa quindi questione d'una sua precisa collaborazione alla redazione del testo stesso. Ma sarebbe puerile credere che il Vangelo sia nato nello spirito di Giovanni nel momento stesso in cui cominciava a redigerlo. S'egli non lo avesse predicato prima di scriverlo come glielo si poteva chiedere? E se avesse taciuto sessant'anni su quanto conosceva di Gesù e magari non vi avesse neppur ripensato, che cosa dovremmo dire della sua fedeltà al ricordo del Maestro?
Il quarto Vangelo non nacque certo per generazione spontanea. Si dovrebbe dire di Giovanni come di Maria: Egli conosceva tutte queste cose e le viveva nel suo cuore. Ma in realtà non fu per ambedue la stessa cosa.
Vedremo che secondo supposizioni verosimili fu soltanto negli ultimi giorni della sua vita terrestre che Maria acconsentì a manifestare per iscritto sotto dettatura i preziosi segreti della sua memoria. E ci vollero senza dubbio le preghiere dei suoi circostanti, e di S. Giovanni in prima linea, per ottenere che Ella parlasse. Dietro il suo esempio S. Giovanni tenne per altro mezzo secolo nascoste nelle più intime pieghe del suo spirito le pagine immortali di cui si nutriranno le anime mistiche dell'avvenire. Comunque noi terremo prima per certo che Giovanni predicò il suo Vangelo lungamente prima di scriverlo: in secondo luogo ch'egli non incominciò a predicarlo che piuttosto tardi poiché non si trova alcuna traccia d'influenza del particolare contenuto di quella predicazione nella redazione dei tre sinottici. Per chiarire le due osservazioni dette sopra diciamo che se la redazione del testo di S. Giovanni si colloca fra il 96 e il 100 d. C. era più d'un quarto di secolo, trent'anni circa, ch'egli ne esponeva oralmente i commoventi episodi ai suoi uditori privilegiati. Difatti la redazione dei primi tre Vangeli si pone fra il 60 e il 64. Giovanni abitò a Gerusalemme, pare, per lungo tempo, fino a quando il soggiorno nella città santa, divenuta città maledetta, fu possibile. E' là che la casa aveva accolto la Vergine, là ch'Ella ebbe la sua tomba poco lontana da quella in cui aveva riposato Gesù (15) e perciò egli rimase legato a quel luogo per dovere oltre che per amore. Se quindi egli avesse predicato il suo Vangelo per una trentina d'anni, se per di più avesse lasciato capire ch'egli possedeva dei ricordi capaci d'arricchire il Vangelo orale in circolazione dai primi giorni, non si comprenderebbe come S. Matteo così piamente avido di tutto ciò che potesse completare le sue note personali e S. Luca, diligente ricercatore, si siano lasciati sfuggire le notizie di Giovanni e non le abbiano accennate nei loro testi.
Ripetiamo il ragionamento fatto sopra: si può pensare che Giovanni abbia passato gli anni, dal trenta al settanta senza meditare sulla vita del suo Gesù, senza pensarvi tutti i giorni, senza riandare nella sua memoria i suoi discorsi, senza ripassare nel suo cuore ciò che vi conservava? È verosimile, soprattutto, ch'egli abbia vissuto nella medesima casa con Maria Vergine e che abbiano avuto fra loro, nei quindici o vent'anni di sopravvivenza della Madonna, delle innumerevoli conversazioni senza che Gesù sia stato il loro tema ordinario, se non esclusivo, di tali intimità? Ella era la Madre e lui l'amico. Il loro cuore ardeva d'amore per Lui solo. I loro pensieri erano pieni di Lui. Gesù morente li aveva donati l'una all'altro e nelle parole d'un Dio agonizzante c'era ben altro che la preoccupazione d'un figlio buono che pensa agli estremi giorni di sua Madre.
Noi manteniamo una conclusione: che Gesù nell'unire le due vite col nodo indissolubile d'una vera filiazione, aveva l'intenzione che Giovanni rivelasse a Maria ciò ch'egli sapeva di particolare su Gesù e che Maria rivelasse a Giovanni tutto ciò ch'Ella intuiva e ricordava del suo divin figlio. Con Maria e Giovanni viventi sotto lo stesso tetto ed uniti nel medesimo grande amore, Gesù morente creava un centro di contemplazione mistica, una specie di Chiostro senza il nome nel seno della Chiesa nascente. Quelli che ignorano che cosa sia il chiostro e a che cosa serva nella vita della Chiesa sorrideranno a questo pensiero. Una cosa qui ci sembra sicura e cioè che il quarto Vangelo prima d'essere un Vangelo mondiale fu un Vangelo mariano nato dalle conversazioni quotidiane, tenere e commoventi, piene d'adorazione e di slanci d'amore fra Maria e il suo secondo figlio, l'apostolo Giovanni.
Soltanto così possiamo comprendere il silenzio e l'ombra fitta che ricopre da un lato gli ultimi anni di Marra quaggiù e dall'altro l'apparente inerzia di Giovanni, il figlio del tuono, che nulla intraprende, che non predica in alcun posto, non si mostra con Pietro che in due o tre circostanze fino al giorno in cui la voce di Dio, dopo la morte di Pietro e di Paolo, lo chiama ad una vita più attiva e lo propone alla venerazione di tutte le Chiese d'Oriente.

Il Vangelo mariano . - Con la parola «Vangelo Mariano » noi intendiamo un Vangelo in tutta la forza dei termini, cioè una raccolta di narrazioni scrupolosamente esatte e veridiche, di deposizioni sacre provenienti da un testimonio pronto a versare il suo sangue per confermare la sua testimonianza.
Intendiamo anche un Vangelo che per lungo tempo non fu predicato ad alcuno, che fu riservato solo a Maria, che fu composto dalle risposte di Giovanni alle instancabili domande di Maria e che prese la sua forma e il suo rilievo da questa santa curiosità della Madre. Infine intendiamo un Vangelo in cui si compendiano le più profonde speculazioni, o meglio le più ineffabili intuizioni, meditazioni ed aspirazioni della più amante e più santa delle Madri e del più costante, affettuoso e penetrante degli amici. Abbiamo sentito Bossuet proibire agli uomini di ricercare «quali erano le occupazioni e i meriti» della Vergine «durante il suo pellegrinaggio terreno».
Non ci sembra che occorra un grande sforzo d'invenzione per scoprire le occupazioni di Maria, se non forse per misurare i suoi meriti. Si tratta di occupazioni esteriori? Dovevano essere le stesse delle donne ebree del tempo: preparazione dei pasti, riordino dell'umile casa, lavori banali, volgari e fastidiosi a chi non vede che l'esterno, ma che possono e devono illuminare, abbellire, nobilitare e rendere gioioso ed amato il sentimento della presenza di Dio e l'obbedienza alla sua volontà.
Si tratta invece di occupazioni spirituali? Non si può dubitare che questo «Chiostro» esemplare, modello dei secoli futuri, la casa di Giovanni, non abbia riservato ad esse il posto principale ed ancor meno si dubiterà che tali occupazioni non abbiano avuto Gesù, costantemente Gesù, solo Gesù e sempre Gesù per centro, punto di partenza e d'arrivo, tema principale e tema secondario.
- Parlami di Lui, o mio figlio, Giovanni!
- Sì, Mamma, parliamo di Lui, volete che ripetiamo la storia della donna di Samaria? Oppure ricordiamo la conversazione col ricco e saggio Nicodemo che fu tanto buono nell'ora della sepoltura?
- Oh, sì, parliamo di Nicodemo e di come Gesù dicesse: Nessuno è salito al Cielo se non Colui che è disceso dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è nel Cielo.
Desiderate sentire oggi il racconto della guarigione di Betsaida?
- Sì, quanto sono belle le parole del nostro Diletto: Mio Padre agisce sino al presente ed anch'io agisco (16).
- Per queste parole l'hanno trattato da bestemmiatore. Hanno cominciato ad odiarlo, Lui che era l'amore, la bontà, la Verità, la Vita!
- E frattanto egli diceva loro: Voi scrutate le Scritture perché in esse credete di trovare la vita eterna, è sono proprio esse che mi rendono testimonianza, eppure voi non volete venire a me per avere la vita!
- Ciò che essi non hanno voluto fare noi lo faremo. Scruteremo le Sacre Scritture: sono esse che ci parlano di Lui.
Volete che vi ripeta le parole pronunciate a Cafarnao quand'Egli promise di dare la sua Carne in cibo e il suo Sangue in bevanda?
- Non ripeteremo mai abbastanza, figlio mio, le parole tanto commoventi del nostro Gesù: In verità, in verità vi dico, se non mangiate la Carne del Figlio dell'Uomo e non, bevete il suo Sangue non possederete la vita in voi. Colui che mangia la mia Carne e beve il mio Sangue possiede la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultima giorno poiché la mia Carne è veramente cibo ed il mio Sangue è veramente bevanda. Colui che mangia la mia carne dimora in Me ed io in lui. Allo stesso modo che il mio Padre vivente mi ha mandato e che io vivo per il Padre, così colui che, Mi mangia vivrà per Me. Questo è il pane disceso dal Cielo, non quello che i vostri padri hanno mangiato e non ha loro impedito di morire. Colui che mangia di questo pane vivrà eternamente.
- Quale felicità è la nostra di ritrovarlo ogni giorno nella frazione del pane, di nutrire le nostre anime della sua Carne, di sentire il suo Sangue scorrere nel nostro cuore. Pietro aveva ben ragione di dire quando molti lo abbandonavano: Signore, a chi andremo noi? Tu solo possiedi parole di vita eterna e noi crediamo che tu sei il Santo di Dio.
Rappresentiamoci Maria seduta, secondo il sistema giudeo, su un semplice cuscino o su una stuoia, protesa nelle domande all'apostolo ripetendo, dopo di lui, le parole del suo Gesù come nella sua infanzia ripeteva le parole della Bibbia, imparate dalla sua pia Madre e ripetute dai Sacerdoti del Tempio (17).
Immaginiamo soprattutto le emozioni di questa santa Madre quando Giovanni ricordava le violenti dispute di Gesù coi farisei sotto il portico del recinto sacro; quando le richiamava i loro disegni deicidi ma più ancora quand'egli le raccontava i bellissimi episodi della guarigione del cieco nato, della risurrezione di Lazzaro, della lavanda dei piedi e le tragiche peripezie della passione. C'erano episodi che Maria conosceva per essere stata presente o per averli sentiti da altri ma essa si compiaceva in modo speciale in questi discorsi intimi e nelle effusioni di tenerezza del dolce Maestro.
Poteva la Madonna ascoltare senza piangere, Lei la Madre, certe parole che toccano i cuori anche più insensibili dei nostri? Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dona la vita per le sue pecorelle. Colui che è mercenario e non è pastore e le cui pecorelle non sono proprie, vede venire il lupo, lascia le pecore e il lupo le rapisce e le disperde perché egli è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecorelle e loro conoscono me come mio Padre mi conosce ed io conosco il Padre. Io offro la mia vita per le mie pecorelle. Ed ho altre pecorelle che non sono di quest'ovile e bisogna che conduca anche quelle. Ed esse intenderanno La mia voce.

E ci sarà un solo ovile ed un solo pastore.
Quale magnifico slancio di speranza religiosa, quali fervorose implorazioni dovevano suscitare nell'animo di Maria e di Giovanni tali accenti e tali visioni dell'avvenire!
Tentiamo di fare una ricerca delle pagine del quarto Vangelo che più colpivano l'attenzione e la contemplazione della Madonna. Ma come fare una scelta tra tante bellezze? Citeremo i discorsi dopo la cena, quei quattro capitoli meravigliosi che nessuna letteratura sacra e profana è mai riuscita ad eguagliare con qualcosa di simile (18).
Oppure preferiremo i racconti ai discorsi? I più commoventi si trovano ancora in S. Giovanni. Bisognerebbe rivederli tutti, rileggerli attentamente, lentamente, amorosamente, pensando che la Madonna li ha sentiti per la prima, che i racconti sono stati fatti dapprima per Lei sola e che i discorsi sono stati ricostruiti per rispondere ai legittimi desideri del suo cuore. Bisognerebbe soprattutto, meditandoli, tentare di riprodurre in noi le emozioni, i pensieri; le pie aspirazioni, le intime orazioni e tutti i movimenti d'anima che risvegliavano in Lei. Si capisce come tutto ciò abbia nutrito il suo spirito, alimentato per degli anni la sua fede e il suo amore. Ci sono tanti insegnamenti nelle parole e negli esempi del Redentore. Un'intera giornata era necessaria alla Madonna per raccogliere da frasi come le seguenti tutto il loro succo: Io sono la Via, la Verità e la Vita. lo sono la Vite e voi i tralci. Rimanete in Me ed io in voi. Come mio Padre mi ha amato cosi io amo voi. E quale intensità d'emozione è nascosta in quelle due parole di Giovanni a proposito del sepolcro di Lazzaro: Gesù pianse.
Parole di questo genere abbondano nel testo dell'apostolo prediletto ed è qui che giustamente s'indovina la muta cooperazione di Maria in questa potenza di suggestione che emana dal suo testo, in questo carattere concreto, preciso e minuto della sua redazione. A differenza degli altri evangelisti diremo che non è mai stanco di dettagliare i tempi, i luoghi, le circostanze che lo riguardano. Si ha l'impressione che una santa ed infaticabile curiosità lo perseguiti, lo costringa e lo spinga a non omettere nulla, a ricordarsi dei minuti tratti, a mettere ordine ed esattezza in tutti i suoi racconti. In una parola c'è Maria presente con lui. Il figlio deve tener presenti i santi desideri della Madre. E come avrebbe potuto trascurare le sue legittime esigenze? Non era il caso di soffermarsi a quanto era già di dominio pubblico per la catechesi comune. Non che Maria fosse indifferente a quelle sorgenti infinitamente preziose del suo Gesù. Iddio ne scampi. Il quarto Vangelo mostra frequenti ed evidenti armonie con i precedenti per cui nasce la certezza che Giovanni e Maria li conoscessero a fondo. Ma Gesù aveva donato Maria a Giovanni e Giovanni a Maria per uno scopo tutto specifico. Questo scopo era tutta la loro vita e quel che ne è rimasto a noi lontani eredi sia di Maria che del discepolo è appunto ciò che abbiamo chiamato il Vangelo di Maria.

Serenità mariana. - Se il carattere concreto dettagliato del quarto Vangelo lascia intravedere il bisogno d'ordine, di precisione e, possiamo dire, anche la sottigliezza dello spirito e del cuore d'una donna, che cosa dobbiamo dire dell'immensa pace che involge e circonda tutte queste pagine ammirabili? Senza dubbio il quarto Vangelo non offre nulla di eccezionale sotto questo aspetto ché i Sinottici sono anch'essi scritti con una meravigliosa serenità di tono. Ma giustamente siamo portati a credere che tale serenità sia d'origine mariana. Per il testo di Giovanni non possiamo dubitare e tenteremo di dame subito le prove.
Quando si ricordano le invettive che riempiono le querele religiose del XVI secolo, quando si ripensa alle ingiurie d'un Lutero, d'un Calvino, d'un Zuinglio o d'un Knox e si evocano i torrenti fangosi degli oltraggi che costoro si dilettavano di buttare contro i loro avversari: monaci, teologi, prelati e Pontefici, potremo anche meravigliarci di non incontrare nei nostri testi evangelici né una parola di condanna, né frasi di esecrazione a carico di Erode, l'orribile tiranno per la morte dei santi innocenti di Betlemme, né a carico di suo figlio, l'omicida di Giovanni Battista e neppure a carico di Caifa e di Giuda. Neppure un epiteto ignominioso a proposito di quei mostri e ciò è tanto più lodevole quando si pensi che il dolce Gesù aveva detto ad es. di Erode Antipa: Andate a dire a quella volpe ed aveva pronunciato contro i Farisei due requisitorie estremamente severe (19).
I discepoli dovevano essere fortemente tentati di seguire il suo esempio, ma non hanno meno fedelmente riportate le parole del Maestro, né si sono mai permessi di pronunciare delle sentenze contro i loro avversari come Lui aveva fatto. Quale influenza aveva agito nel senso della dolcezza e del perdono! A parere nostro Qui c'è tutta l'influenza della Vergine. Ci si permetta di far intendere meglio il nostro pensiero ricorrendo alla forma artificiale sì, ma comoda e viva del dialogo:
Maria: Figlio mio, che cosa rispose il Signore (20) Quando Pietro gli disse a nome di tutti:
A chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna.
Giovanni: Egli rispose: Non sono io che vi ho scelto tutti e dodici? Eppure uno di voi è un demonio. Egli parlava del miserabile Giuda ...
Maria: figlio mio, non dire miserabile Giuda, dì Giuda Iscariote senz'altro.
Giovanni: Ma il Signore stesso l'ha chiamato demonio. Egli quindi è maledetto anche per noi.
Maria: Il Signore è il Re. E Giudice è Lui solo. Lui solo ha il diritto di portare e dare delle sentenze. A Lui solo appartiene la retribuzione. Non è forse scritto nel libro di Mosè: A me la vendetta e il premio? (Dt 22, 35) Ricordati di ciò che ha detto il Signore quando volevate far cadere il fulmine sui Samaritani perché si erano rifiutati di ricevere Lui e voi. Ricordati come vi ha biasimati per aver impedito d'esorcizzare a colui che cacciava i demoni in suo nome ma che camminava con voi. Noi non siamo che i servitori, non siamo che i sudditi e non abbiamo il diritto d'usurpare il suo potere a meno ch'Egli non l'abbia formalmente delegato.
Giovanni: Come dirò allora parlando di Giuda? Maria: Dì semplicemente: Egli parlava di Giuda figlio di Simone Iscariote poiché lo doveva tradire, lui, uno dei dodici! Così dirai tutta la verità e il delitto di Giuda sarà sufficientemente ricordato. Di fatto nessun epiteto per quanto sforzante può raggiungere la potenza di questa breve formula: lo doveva tradire, lui, uno dei dodici.
Incontreremo un altro esempio nel racconto dell'infanzia come si trova in S. Matteo a proposito di frode (21). E si vedrà che anche tale esempio con tutta verosimiglianza si può far risalire alla Vergine.

Il caso di Caifa . - Il caso di Caifa ci sembra particolarmente sorprendente. Il seguente dialogo immaginario farà vedere come lo intendiamo.
Maria: fu per il fatto che il Signore aveva reso la vita a Lazzaro che i grandi Sacerdoti lo condannarono a morte?
Giovanni: Ciò purtroppo è vero. E' il grande Sacerdote Caifa che ha commesso questo misfatto. Su di lui cadrà la maledizione del cielo.
Maria: Figlio mio, non bisogna soffermarsi alle persone che passano. Bisogna vedere al di sopra degli uomini la mano dell'Onnipotente. Caifa era grande Sacerdote. Parlando come fece, egli profetava ...
Giovanni: Segneremo dunque tra i Profeti questo uomo di cui il Signore ha detto a Pilato: Colui che mi ha mandato a te ha commesso un peccato più grave?
Maria: figlio mio, ti ho detto che il Signore solo scruta le reni e i cuori. Lui solo è giudice dei peccati degli uomini. Tu sei stato per l'addietro il «figlio del tuono». Da quando Gesù ha detto, e l'hai sentito tu stesso: Perdonate loro non sanno quel che si fanno, tu devi essere il figlio della pace e dell'amore. Guardiamo al disopra degli individui. Il Signore ha ripreso i discepoli sul cammino d'Emmaus perché non comprendevano le scritture: Non era necessario che il Cristo soffrisse tutto questo e così entrasse nella sua gloria?
Ciò che Caifa ha detto per far decidere la morte del Signore era già previsto e predetto. C'era nelle sue frasi una cosa che neppure lui comprendeva e che riteneva secondo lo spirito dei Profeti: Voi non riflettete che è nel vostro interesse che un solo uomo muoia per il popolo. Ricordiamo questo Caifa ha servito allo spirito da portatore parlando per caso. Egli l'ignorava ma noi non possiamo ignorarlo, noi, i fedeli servitori che ha redenti col suo Sangue.
Giovanni: E che diremo dunque di Caifa? Maria: Riporterete le sue precise parole poiché la verità ha la precedenza su tutto. Ma invece di condannarlo potete aggiungere: Ora egli non ha detto questo per conto proprio ma essendo Sommo Sacerdote in quell'anno egli profetò che Gesù doveva morire per il suo popolo e non solamente per esso ma per ricondurre all'unità i figlioli di Dio che s'erano dispersi. Così bisogna comprendere ciò che il Signore diceva prima: Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle: ed io ho altre pecore che non sono di quest'ovile. Ed esse intenderanno la mia voce. E vi sarà un solo ovile sotto un solo Pastore.
È vero che in questo campo noi siamo in piena ipotesi, non sono cose che si possono dimostrare come un teorema di geometria o un'analisi di un testo di storia. Ma è umano pensare che l'interpretazione data da Giovanni al linguaggio di Caifa non può essersi presentata di primo acchito al suo spirito, poiché vi si sente il frutto di lunghe e sottili meditazioni in cui si intuisce l'influenza d'uno spirito di donna superiore. Ci si può domandare con un certo diritto come mai il «figlio del tuono» che si ritrova nella immagine grandiosa e terrificante dell'Apocalisse, ha potuto addolcirsi fino al punto riscontrato nei due casi segnalati.
O si ammette che Maria non ha avuto su di lui alcuna influenza - ciò che è affatto inverosimile - oppure bisogna concludere che tanta serenità e una pace tanto perfetta e soprannaturale non possono avere che un'origine mariana.
Se si analizza il racconto di Giovanni relativo al «colpo di lancia» dopo la morte di Gesù in croce, vi si ritrovano le stesse caratteristiche che abbiamo riscontrato nella narrazione del complotto di Caifa. Nel momento in cui la lancia del soldato incosciente trapassò il sacro costato del Signore, Giovanni e le pie donne avranno potuto trattenere un grido di terrore e di riprovazione? non lo possiamo credere. Eppure quando Giovanni riporta il fatto nel Vangelo non vuol più vedere che il simbolo della meccanica crudeltà di Longino. Non vuol ricordarsi che dei Profeti che già l'avevano annunciato.
Noi vedremo che tutta la filosofia religiosa di Maria consiste nel riconoscere Dio in tutti gli avvenimenti, senza arrestarsi agli intermediari umani. Lo studio attento del Magnificat ce ne fornirà la prova e saremo sul solido terreno dei documenti. Intanto si può affermare che Maria ha insegnato al suo secondo figlio la propria arte sublime, come pure l'insegna a noi stessi: non riguardare che Dio in tutte le cose. E' Lui che conduce tutto e nulla accade che non contenga - felice o poco accetto alla natura ­ una lezione o un richiamo di Dio.

Motivo del lungo silenzio di Giovanni. - Possiamo attribuire ancora alla Madonna il lungo silenzio di Giovanni, cioè quella riservatezza ch'egli mantenne per lunghi anni circa gli insegnamenti da lui conosciuti nelle conversazioni con la Madonna: sulla vita e morte di Gesù.
Abbiamo detto che il quarto Vangelo non è stato predicato apertamente prima della caduta di Gerusalemme. Se non fosse così non si potrebbe capire come mai non abbia influito sui Sinottici. D'altra parte se Giovanni non avesse predicato il suo Vangelo prima di scriverlo, come avrebbero potuto i cristiani supplicarlo di non abbandonare questa terra senza lasciarci per iscritto la sua testimonianza personale?
Data la sua impetuosità naturale c'è da pensare che Giovanni non avrebbe aspettato tanto tempo prima d'entrare nella carriera apostolica attiva per predicare ciò che egli aveva sentito e visto e per completare quell'evangelo orale iniziato da Pietro. Chi l'ha trattenuto? Non può essere che la Madre a cui Gesù morente l'ha dato per figlio.
Abbiamo detto in precedenza che il suo Vangelo dovette essere lungamente meditato, ch'esso suppone una gestazione prolungata, parecchi quesiti da parte di Maria e sforzi di memoria per la ricostruzione verbale da parte di Giovanni. Diciamo ora che quest'opera comune alla Madre e al figlio non doveva essere affidata tutto ad un tratto alla pubblicità. Il tatto superiore d'una donna non lo permetteva, ché non conveniva infliggere a Pietro né agli altri apostoli il biasimo implicito di numerose omissioni e dimenticanze importanti e recidive. Il Vangelo orale tessuto da Pietro su testimonianze invincibili soddisfaceva largamente agli inizi dell'evangelizzazione. Se anche gli apostoli non avevano potuto conservare con tutta precisione molti dei ricchi colloqui che ritroviamo nel Vangelo di Giovanni non per questo ne sciuparono lo spirito e il profumo.
I primi fedeli ricevevano nei bei racconti trasmessi da Marco una iniziazione abbastanza completa perché il messaggio di salute fosse perfettamente chiaro. Ci fu dunque fra Maria e Giovanni una santa cospirazione di silenzio. Prestiamo l'orecchio per un momento a quanto si diceva nel «chiostro ».
Maria: Figlio mio, non si deve precorrere i disegni dell'Altissimo: in tutte le cose c'è l'ora segnata da Dio. L'abbiamo notato molte volte durante la vita terrena del Signore. Quando i suoi nemici volevano fari o morire egli sfuggi, senza timore perché la sua ora non era ancora arrivata. Ha parlato egli stesso, più volte, della sua ora. Ha atteso per trent'anni a Nazareth l'ora di incominciare la sua missione di salute. Quando partì per recarsi sulle rive del Giordano a ricevere il battesimo da Giovanni, volle passare ancora quaranta giorni nel deserto fra i digiuni e le preghiere prima di presentarsi come Messia. E quando assistemmo alle nozze di Cana, alla domanda ch'io gli avevo rivolto per quella povera gente che non aveva più vino, egli rispose: Che importa a te e a me, o Donna? La mia ORA non è ancora venuta.

Giovanni: E' vero, Madre mia, ma egli fece ugualmente il miracolo.
Maria: Lo fece, era un atto d'infinita bontà per Colei ch'Egli degnava onorare come sua Madre. Ma la lezione non è stata perduta per me: c'è per ogni cosa un'ora che bisogna saper attendere fino a quando a Dio piacerà. Quando il Signore m'avrà tolta da questa terra d'esilio, aspetterai che Egli ti dia un segno della sua volontà. Gesù in questo tempo è predicato, annunciato a tutte le pecorelle. Ma verrà giorno in cui si sarà felici di raccogliere dalla tua bocca le testimonianze che hanno formato la nostra gioia in questa casa.
Che tale sia stato il pensiero di Maria cercheremo di provarlo anche nello studio dei racconti dell'infanzia. Ma prima d'iniziare questa analisi è bene consacrare un capitolo speciale a quella pagina unica della storia qual è il Prologo di S. Giovanni.

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07/09/2012 21:59

Capitolo III

Sommario:
- Carattere unico del Prologo.
- La parola del Verbo.
- La preesistenza di Gesù.
- I ricorsi alle Scritture.
- Gesù nell' Antico Testamento
- La saggezza - Maria e Gesù
- Gesù e la Bibbia.
- Gesù maestro di Maria.
- La doppia missione di Maria e di Giovanni.
- Maria e il Prologo
- La firma di Maria.

***

Carattere unico del Prologo. - Abbiamo denominato il silenzio di Maria e di Giovanni un silenzio lirico, cantante e, in altre parole, lo abbiamo chiamato un silenzio contemplativo ed entusiasta.
Quando studieremo il Magnificat sotto questo punto di vista avremo un bell'esempio di questo genere di silenzio. Maria non taceva quasi non avesse nulla da dire, ma perché ne aveva troppo; perché si teneva costantemente al cospetto del Signore e parlava sempre a Lui nel suo cuore: La mia anima glorifica il Signore! Lode che riassume perfettamente tutto il suo silenzio e ne traduce il senso profondo.
Per Giovanni il Prologo è la più gloriosa manifestazione del silenzio lirico e cantante dì cui parliamo. E se ci fu qualcuno sensibile al lirismo esso è il grande Bossuet. Non c'è prosa più lirica della sua. Per questo quando s'avvicina al prologo di S. Giovanni egli si sente costretto ad usare questo modo lirico. «Dove mi perdo, dice, in quale profondità, in quale abisso? Gesù Cristo può essere l'oggetto delle nostre conoscenze? Indubbiamente perché proprio a noi è indirizzato il Vangelo. Andiamo dunque! Camminiamo al seguito dell'aquila degli Evangelisti, del prediletto fra i discepoli, d'un altro Giovanni come il Battista, di Giovanni figlio del tuono che non parla affatto un linguaggio umano, che rischiara, tuona, stordisce, che rovescia ogni spirito creato sotto l'obbedienza della fede quando con rapido volo fende l'atmosfera, squarcia le nubi, s'eleva al di sopra degli Angeli, delle Virtù, dei Cherubini, dei Serafini ed intona con queste parole: In principio era il Verbo».
E dopo aver commentata questa frase iniziale di nuovo il grande scrittore si arresta per gridare la sua grande ammirazione: «Dove sono io? Cosa vedo? Cosa sento? Taci, o mia ragione e, senza ragione, senza discorsi, senza immagini sensibili, senza le parole sonore, senza il soccorso di alcun pioniere che batta la strada o d'una immaginazione agitata, senza turbamenti né sforzi umani diciamo nell'intimo con fede ed intelletto piegato e soggetto: Al principio ma senza principio; avanti ad ogni principio e al di sopra di tutti i principii era Colui che è e sussiste sempre: il Verbo, la parola, il pensiero eterno e sostanziale di Dio ». E quando Bossuet ha tentato nuovamente di tradurre nella sua bella e forte lingua il seguito del primo versetto del Prologo non ha potuto trattenersi dal prorompere ancora: «Ah, io mi perdo, non posso, più, non posso più dire che Amen: è così. Il mio cuore dice: E' così. Amen. Quale silenzio; ammirazione, stupore! Quale nuova luce! Ma quanta ignoranza! Io non vedo niente e vedo tutto. Io vedo questo Dio che era al principio, che esisteva nel seno di Dio e non lo vedo affatto. Amen. E' così. Ecco tutto ciò che mi rimane dei discorsi. che sto per fare: un semplice irrevocabile assenso; per amore alla verità che la fede mi manifesta. Amen, amen, ameno Ancora una volta: Amen! Per sempre: Amen».
E' così che l'aquila di Meaux ammira il volo dell'aquila di Patmos (22).
Sappiamo fino a qual punto Bossuet era nutrito della tradizione patristica: Si sente quasi ascoltandolo, la vasta eco di tutti i secoli cristiani (23).
Ed ora oseremo diminuire la gloria di Giovanni?
Gli toglieremo la paternità di questa splendida rivelazione del Verbo? in questi brevi pensieri in cui ogni età ha intravisto i fremiti d'ala dell'aquila noi ci limiteremo a vedere i voli di colomba?
Consideriamo attentamente il problema che ci si pone dinnanzi: questa pagina porta forse le tracce dell'influenza mariana? Giovanni ha scoperto la dottrina del Verbo nel momento di scriverla o la conservava in sé fin dalle lontane conversazioni con Colei che Gesù gli aveva dato per Madre?

La parola: Verbo. - Ma che cosa intendiamo noi per dottrina del Verbo? facciamo questione della parola?
La troviamo già nell'Apocalisse che gli specialisti unanimemente collocano per ordine di tempo prima dell'Evangelo. Giovanni quindi possedeva questa espressione prima di usarla nel Prologo (Ap 19, 13).
Ma da quanto tempo aveva presa l'abitudine di designare con quel nome solenne il Cristo Gesù, il suo Maestro amatissimo? Non lo sappiamo né pretendiamo di far salire l'uso di questo termine al tempo in cui la Vergine abitava a Gerusalemme sotto il suo tetto. Il «chiostro» dove si svolgevano quelle sublimi conversazioni tra lui e la Madre forse non ha mai sentito risuonare questa espressione. Ma del resto ciò non ha molta importanza.
Piuttosto, per dottrina del Verbo noi intendiamo essenzialmente il posto dato a Gesù presso il Padre suo, da tutta l'eternità, l'identificazione del figlio di Dio col pensiero creatore, con quella grande potenza d'ordine e d'armonia in cui lo spio rito amante rivela la magnificenza della natura e della grazia, potenza che si definisce: Sapienza divina.
Porre bene il problema fin da principio con termini chiari vuol dire già facilitarne la soluzione.
Con l'evidenza basata su una certezza psicologica, che non consente alcun dubbio, abbiamo ammesso finora che Maria e Giovanni non hanno potuto vivere insieme dieci, quindici anni senza parlare di Gesù. E come conseguenza di questa prima affermazione si pensa che avranno spesso parlato della sua divinità, della natura profonda della sua persona e della sua preesistenza. Avranno certamente scrutato, e più d'una volta, le Sacre Scritture che erano per essi la parola stessa di Dio, per venerare le qualità profetiche del grande Re dei loro cuori ed unirvi affettuosamente quanto conoscevano della sua vita e del suoi insegnamenti come adempimento dei sacri oracoli. Fra i suoi miracoli alcuni specialmente saranno stati l'oggetto della loro attenzione contemplativa, quelli in cui si traduceva la presenza stessa di Dio Sapienza increata di cui Gesù era per essi la vivente incarnazione.
Ma qui non siamo nel campo delle congetture, o meglio, abbiamo il mezzo e il dovere di uscirne. Nel quarto Vangelo, come opera comune di Maria e di Giovanni, noi dobbiamo trovare le tracci e sicure delle questioni che abbiamo enumerate sopra e cioè, se il quarto Vangelo è più sensibile degli altri alla questione della preesistenza di Gesù; se vi è traccia di ricorsi alle S. Scritture per verificare i titoli profetici che Giovanni gli dà nel suo testo e infine se l'identificazione di Gesù con la Sapienza Creatrice si trova, almeno, come spunto allettatore dei discorsi di Gesù riportati dagli Apostoli.

La preesistenza di Gesù. - Se dubbio vi è su questo primo argomento esso fu sollevato dagli attacchi fatti, al quarto Vangelo, dai negatori della divinità di Cristo. Tutti i secoli avevano riconosciuto al Vangelo di Giovanni una preminenza indiscussa e la preferenza la troviamo anche in Lutero e Calvino. Solo l'epoca delle macchine e del materialismo in nome di una filosofia degna di lei si è riservata il compito di ridurre tutte le cose ad un meccanismo senza cuore, di sopprimere in Dio la Sapienza e la Bontà per non vedere in tutto che un fatalismo inesorabile, di negare il soprannaturale e il miracolo, di nascondere la vita dello spirito nel cigolante congegno della materia cieca e brutale e di mostrarsi per conseguenza d'una severità inesorabile verso il Vangelo mistico e spirituale per eccellenza.
Le generazioni future si meraviglieranno, crediamo, dell'orgoglio dogmatico, della puerilità presuntuosa, delle negazioni ostinate ed infantili di un'epoca ormai giudicata attraverso i suoi risultati miserabili.
Dalle stesse critiche ingiuriose contro il Vangelo di Giovanni risulta la gloria di Gesù più clamorosa che negli altri, la sua divina personalità vi è posta in maggior rilievo e le parole in cui Gesù si è espresso come superiore al tempo e appartenente all'eternità divina vi sono state più accuratamente raccolte. Senza dubbio i Vangeli Sinottici sono espliciti come Giovanni nel dire che Gesù fu condannato quale bestemmiatore per essersi dichiarato pubblicamente - e si potrebbe dire giuridicamente, cioè in pieno tribunale del Sinedrio - Figlio di Dio. Se anche si sopprimesse il quarto Vangelo, gli increduli non avrebbero meno da fare per radiare dalla storia i miracoli di Gesù e le prove della sua divinità. I tre primi Evangelisti hanno narrato tanto bene questi fatti che Giovanni, il quale scriveva appositamente per stabilire la divinità del Cristo (24) non ha trovato la minima necessità di riprodurre dichiarazioni così esplicite come la confessione di Pietro, le parole di Gesù sulla rivelazione del Figlio e del Padre (25), la parabola del cattivo vignaiuolo e soprattutto la risposta solenne di Gesù a Caifa nel momento della sua condanna a morte. Però Giovanni ha fatto parecchie aggiunte a quanto era scritto nei Vangeli precedenti ed è in grazia sua che noi conosciamo l'accusa della bestemmia per cui fu sconfessato dai capi del suo popolo.
Non è necessario riportare tutti i testi di Giovanni relativi alla preesistenza di Gesù per i quali non è il caso di avere dubbi. Ricordiamo solamente la riflessione fatta a Nicodemo: Nessuno è salito al Cielo se non Colai che è disceso dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è in Cielo; la parola detta ai Giudei dopo la guarigione dell'infermo di Betsaida: Mio Padre opera fino al presente ed io opero; la frase di Cristo a proposito di suo Padre nel tempo della festa dei Tabernacoli: Io lo conosco perché sono da Lui ed Egli mi ha mandato; e la frase prodigiosa: In verità in verità vi dico, prima che Abramo fosse nato io sono e infine, alla dedicazione del Tempio: Io e il Padre siamo una cosa sola. Si rileggano i magnifici discorsi di Gesù agli Apostoli dopo la Cena, si ricordi l'identificazione ch'Egli stabilisce fra il Padre e se stesso: Filippo, chi vede me vede mio Padre ... se voi non credete che io sono nel Padre e che il Padre è in me credete almeno a motivo delle opere.
Si capisce bene l'ardente attrattiva d'una Madre come la Vergine benedetta per tanti ricordi che Giovanni le riferiva. Più che la teologia astratta la Vergine Madre cercava la persona stessa del suo divin figlio, si dirigeva direttamente al suo cuore, al suo intimo Essere, alla sua Essenza Eterna. Si sentiva annientata di fronte alla Divinità uscita dall'infinito per incarnarsi nel suo seno.
Prima che Abramo fosse io sono. Se non ci fossero che queste parole nel quarto Vangelo intorno alla preesistenza di Gesù, esse basterebbero a sostenere la nostra tesi. E si intende anche la ragione profonda dell'umiltà di Maria. Il fiat tremante uscito dalle sue labbra nel giorno dell'annunciazione, l'umile espressione: Si faccia di me secondo la sua parola, ritrova la sua sorgente nella visione profonda del tempo in rapporto con l'eternità. Cos'è stato questo fiat? Una parola buttata sulla linea tortuosa dei secoli. Ma il Figlio di Dio domina tutti i secoli e non come potenza che è entrata nel fluttuar delle età, ma con la maestosa immobilità di chi non appartiene al tempo. Maria era ben minima a paragone di tale maestà e si capisce come la dignità di Madre di Dio non poteva essere accordata ad una creatura e portata convenientemente da essa se non si fosse inabissata nel sentimento del suo niente.
Prima che Abramo fosse io sono. Quindi prima che Maria fosse «Egli era». Prima che il mondo fosse «Egli era!» Fin dove arriveremo noi per sapere da quando Egli era? Andremo al di là del tempo fino a quel principio che non ha mai cominciato, fino all'eternità e diremo: Al principio Egli era.
Non c'è dubbio che questi siano stati i frequenti e quotidiani pensieri di Maria. Non sarebbe stata Colei che Ella era, l'unica creatura in cui l'amore d'una creatura per il suo Dio e l'amore d'una Madre per il suo Figlio formavano un solo e medesimo amore, s'ella non si fosse costantemente sentita spingere dal suo amore di creatura ad umiliarsi dinnanzi al suo Dio.

Il ricorso alle Scritture.
- Un'ipotesi che prospettiamo senza timore di temerità è che per poter nutrire il doppio amore che sentiva in sé, il pensiero di Maria deve essersi portato con predilezione verso le Sacre Scritture invogliandone pure il nuovo figlio, Giovanni.
Gesù si era continuamente appellato alle Scritture; aveva detto ai Giudei: Scrutate le Scritture, sono proprio esse che mi rendono testimonianza (Gv 5, 39). Esse costituivano degli argomenti più familiari e più forti e Gesù se ne serviva come di una cattedra preparata da molti secoli. I profeti erano andati a gara nell'annunziare la missione del Messia. Senza dubbio i loro oracoli erano stati a poco a poco oscurati dalle passioni nazionalistiche aggiuntesi ad una precedente materializzazione ed avvilimento del pensiero religioso giudaico. Ma appunto per questo Gesù era intento a restaurare la vera intelligenza dei testi sacri. Nel giorno stesso della sua resurrezione sulla strada di Emmaus Egli s'era incaricato di illuminare con la sua parola tutta la storia messianica contenuta nei libri santi: Non doveva - dice ai discepoli - Cristo soffrire, per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè attraverso tutti i profeti spiega a loro in tutte le Scritture ciò che a Lui si riferiva. Ma abbiamo noi bisogno di questa prova per pensare che Maria e Giovanni si chinavano volentieri sulla Bibbia per ritrovarvi il loro caro Gesù?
Quando noi saremo di fronte ai testi che provengono certamente dalla Vergine stessa, non avremo bisogno di altre prove per persuaderci circa l'ardore instancabile con cui Maria e Giovanni si curvavano sulla Sacra Scrittura per scrutarla in un tempo in cui Gesù non aveva ancora raccomandato di farlo. Per la Madonna, come per ogni altra persona religiosa in Israele, le Sacre Scritture confermavano le sante speranze della tradizione, i lumi che Dio aveva donato al mondo e rappresentavano le sorgenti insaziabili della salute e le regole infallibili dell'amore e del servizio di Dio.
Nei passi delle Scritture ricercheremo quello che più interessava alla Vergine e, cioè, non tanto i dettagli circa la vita di Gesù predetti dai profeti. ma soprattutto la maggior attrattiva per Lei, serva e Madre del suo Signore: la stessa divina persona di Gesù.
Si poneva o non si poneva il problema del Figliuolo di Dio nell'Antico Testamento? E in quali termini? Sono i quesiti a cui si deve rispondere.

Gesù nell'Antico Testamento. - Non ricerchiamo ora quello che nell'antico Testamento riguarda Gesù come Uomo. Maria doveva conoscere meglio di chiunque altro i testi che noi chiamiamo messianici. Anche se essi provenivano solo dalla bocca dei discepoli d'Emmaus, possiamo credere che Ella li avrà raccolti con le cure più materne. Vediamo invece in questo paragrafo l'apporto dell'Antico Testamento alla rivelazione del Figlio di Dio. Gesù stesso aveva detto: Io sono la Luce. Io sono la Via, la Verità, la Vita. Ci sono nella Bibbia delle pagine in cui la luce divina è personificata, dove la Verità e la Vita di Dio ci sono rappresentate come delle persone divine?
La risposta è senz'altro affermativa e non tanto perché si possa insinuare che i Giudei conoscevano la generazione del Verbo divino e ancor meno il Mistero della SS. Trinità, ma in quanto si può affermare cogli esegeti cattolici che i testi in questione senza alcun dubbio sotto l'ispirazione dello Spirito Santo sorpassano l'intelligenza stessa del loro autore storico, chiunque sia stato, e superano nettamente ogni parallelo e allegoria tendenti a far conoscere in Dio una filiazione ineffabile. Ed è sorprendente che si incontrino certi passi nei libri che costituivano per Maria una specie di beni di famiglia, vogliamo dire il Libro dei Proverbi e quello della Sapienza. Il primo era formalmente attribuito a Salomone, figlio di Davide e nella genealogia data da S. Matteo, Salomone figura fra gli ascendenti diretti di Gesù.
È naturale, ad ogni modo, che una figlia di Davide, per tradizione familiare si interessi delle opere illustri d'un antenato immortale. Notevole è il fatto che la liturgia cattolica abbia usufruito spesso di passi dei libri sapienziali per introdurli negli uffici delle feste mariane. Sono passi che non si applicano direttamente a Maria ma essa deve averli recitati con delizia, meditati in estasi e commentati con entusiasmo sia con Gesù come con Giovanni. Lo notiamo di passaggio come un pensiero che può offrire un alimento di più alla pietà cristiana.

La Sapienza. - In compagnia della Madonna leggiamo il più eloquente di questi passi. Essa aveva ripetuto con Giovanni: Il mio Gesù era la Luce, la Verità, la Vita, era comunque la Sapienza per eccellenza, la Sapienza stessa di Dio. Che cosa doveva pensare, in quali trasporti di gioia e di alta contemplazione era elevata quando ripeteva lentamente - con Giovanni accanto, che le faceva eco - dei passi come il seguente: «Il Signore mi ebbe con sé nel principio delle sue opere prima che alcuna cosa fosse creata. Dall'eternità ebbi io principio, ab antico, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi ed io ero già concepita. Non iscaturivano ancora i fonti delle acque, non posavano ancora i monti sulla gravitante loro mole, prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva ancora fatta la terra, né i fiumi, né i cardini del mondo. Quand'Egli dava ordine ai cieli io era presente; quando con certa legge e nei loro confini chiudeva gli abissi, quando laggiù stabiliva l'aere e sospendeva le sorgenti delle acque; quando i suoi confini fissava al mare, dava legge alle acque perché non oltrepassassero i limiti loro, quando gettava i fondamenti della terra, con Lui io era, disponendo tutte le cose ed era ogni dì mio diletto scherzare nell'universo: è mia delizia stare coi figli degli uomini...» (26).
Magnifico tema di commovente meditazione per Maria e per Giovanni! Il loro spirito assisteva quasi al grazioso spettacolo della creazione, trasportato com'era al di là del tempo e delle cose. E nella gioia dell'eternità essi percepivano Gesù sorridente nella sua preesistenza infinita. Prima che Abramo fosse io sono, aveva detto Gesù. Dov'erano le origini del suo Essere? La chiarezza e il lirismo di questo passo doveva attrarre vivamente Maria e Giovanni cui la continuazione della lettura offriva nuove e meravigliose applicazioni al loro Gesù.
Egli aveva detto: Io sono la Vita. Io sono venuto perché abbiano la Vita, e al medesimo capitolo dei Proverbi si leggeva: «Ora dunque, o figliuoli, ascoltatemi: Beati quelli che battono la mia via. Udite i miei insegnamenti e siate saggi e non li rigettate. Beato l'uomo che mi ascolta e veglia ogni dì all'ingresso della mia casa e sta attento sul limitare della mia porta. Chi mi troverà avrà trovato la vita e dal Signore riceverà la salute. Ma colui che mi offende ferisce la sua anima e tutti quelli che mi odiano amano la morte ».
Come non ricordare a questo punto l'odio dei grandi d'Israele verso Gesù, la sapienza divina? Proprio in questi passi Giovanni deve aver intuito le resistenze colpevoli sulle quali piange in un singhiozzo soffocato il versetto del suo Prologo: Venne in casa sua ed i suoi non io ricevettero.
Questa descrizione della Sapienza increata non è la sola nei Libri santi. Un altro passo che la liturgia inserisce nelle festività della Madonna si legge nell'Ecclesiastico. In esso si sfiora l'espressione stessa che sarà in seguito usata anche da S. Giovanni. La Sapienza dice di se stessa: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo.
E che cosa esce dalla bocca se non la parola, il discorso, il Verbo?
Leggiamo tutto il passo: la rassomiglianza col Prologo di Giovanni è innegabile.
«Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e come una nube io copersi la terra. Abitar sulle altezze più elevate e il mio trono era su una colonna di nubi. Sola io percorsi il firmamento e passeggiai nelle profondità dell'abisso. Sulle onde del mare e su tutta la terra, in tutti i popoli e in tutte le nazioni io ho esercitato il mio impero. In tutte le cose cercai dove posarmi e fisserò la mia dimora nell'eredità del Signore. Allora il creatore di tutte le cose parlò e ordinò a me; e quegli che mi creò stabili il mio tabernacolo. E mi disse: Abita con Giacobbe e tuo retaggio sia Israele. Dal principio, prima di tutti i secoli, io sono stata creata e non cesserò di essere fino all'eternità. Ho esercitato il ministero in sua presenza nel tabernacolo. Così ferma stanza io ebbi in Sionne ed anche la santa città fu il luogo del mio riposo ed in Gerusalemme fu la mia reggia. E gettai le mie radici in un popolo glorioso e porzione del mio Dio la quale è suo retaggio ... Io come la vite gettai fiori di odore soave. E i miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza ... poiché dolce è il mio spirito più del miele e la mia, eredità è più dolce del favo del miele ...».
Quali sante emozioni queste righe ispirate dovevano far nascere nel cuore e nello spirito d'una Madre come Maria! Ogni parola ricopriva dei simbolismi dall'infinita prospettiva ed Ella si rammentava del suo Gesù, delle sue parole e bontà, della sua sapienza, soprattutto.
La sua sapienza! Per riassumere i trent'anni della sua vita nascosta la Vergine Maria s'è accontentata di scrivere che il fanciullo cresceva, si fortificava e si riempiva di sapienza. E mentre per il popolo israelita questa parola: sapienza significava la conoscenza perfetta della Legge divina, nessun dubbio che per la Vergine significasse il possesso di Dio e della santa Legge. Ella aveva visto crescere rapidissimamente la scienza sperimentale del suo divin Figlio.
Esaminiamo ora un'altra ipotesi più ardita e giusta (27).

Maria e Gesù. - Abbiamo supposto finora che Maria, dopo la risurrezione ed ascensione del Signore, nelle sue conversazioni con Giovanni abbia. ricercato dei passi scritturali che rischiarassero la «preesistenza eterna » del suo divin figlio. È un'ipotesi, però, troppo timida: possibile che Maria abbia atteso tanto per vivere nella preghiera e nella contemplazione di quelle prospettive meravigliose aperte dall'Arcangelo Gabriele nell'annunciazione e di cui i Libri Santi le fornivano argomento perenne ed inesauribile?
Maria sapeva chi era il suo Gesù! L'Angelo le aveva detto: Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo Padre ed Egli regnerà nella casa di Giacobbe per tutti i secoli. Ed il suo regno non avrà fine.
E aveva aggiunto: Lo Spirito Santo verrà su di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà e per questo il Fanciullo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio.
E Maria non poteva quindi ignorare il carattere, la missione, la divina personalità del fanciullo annunciato dal Cielo e che Ella doveva possedere per trent'anni. Ella dovette assistere alla sua crescita meravigliosa, vederLo «riempire di sapienza », leggere e meditare la Bibbia con Lui. Non sarebbe verosimile pensare ch'Ella abbia avuto bisogno della compagnia di Giovanni per scoprire nella Bibbia i titoli di suo Figlio.

Gesù e la Bibbia. - Per il fatto che trent'anni della vita di Gesù sono riassunti dalla Madonna in una sola frase possiamo pensare ch'Egli abbia incominciato la sua vera missione Quando si portò sulle rive del Giordano dove già predicava il Battista, ma cadremmo anche noi in Quella strana ingenuità di certi critici secondo i Quali Gesù avrebbe preso coscienza della sua missione al momento del suo battesimo. Il Vangelo porta le tracce del profondo studio di Gesù sulla Bibbia. E la sua scienza sperimentale non si è mai arrestata per la presenza di Lui di due ordini di scienze superiori. Quand'Egli a dodici anni ascoltava i maestri e li interrogava in modo tale che coloro che l'ascoltavano érano stupiti della sua intelligenza e delle sue risposte, possiamo essere certi che era la scienza acquistata dalla Bibbia che suscitava l'ammirazione di tutti. E come l'aveva attinta tale scienza? Ai piedi della sua santa Madre come ogni fanciullo giudeo. Egli aveva ripetuto parola per parola le parole sacre ch'Ella Gl'insegnava. Essi avevano percorso insieme, lentamente, assiduamente tutto il ciclo delle Sacre Scritture. La sua scienza messianica s'era svegliata alle lezioni ed alle confidenze di Maria che aveva raccontato i misteri della sua annunciazione, della sua nascita a Betlemme, della fuga in Egitto. Insieme avevano percorso, o meglio, meditati gli cracoli profetici concernenti il Messia e neppure una minima parola deve essere passata inosservata alla loro attenzione. Per questo le risposte di Gesù dodicenne riempirono di stupore i Dottori del Tempio ammirati per la sua dottrina.
In questa circostanza non è il caso di parlare di scienza miracolosa. Il miracolo è essenzialmente un segno e non era giunta l'ora di provare la sua missione con dei segni né Egli avrebbe fatto dei miracoli per meravigliare chi l'ascoltava. Piuttosto Gesù donava così a sua Madre la soddisfazione di rilevare quanto avesse approfittato delle sue lezioni oltre che indicare uno dei suoi impegni futuri affrontando i superbi dottori che poi nella vita pubblica avrebbe incontrato continuamente. Dai dodici ai trent'anni molti giorni dovevano poi trascorrere. Non si suppone che Gesù e Maria abbiano abbandonato le preghiere bibliche e le meditazioni con cui passavano tutte le ore, ma piuttosto ammetteremo che la «penetrazione » delle Sacre Scritture sia andata via via crescendo come lo dimostrano le stesse parole della Vergine in testa al Vangelo di S. Luca quando ripete dopo l'episodio del Tempio: E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia dinanzi a Dio e agli uomini.
Basta ricordare gli insegnamenti di Gesù durante la sua vita pubblica per constatare la sua profondità nella scienza biblica, quella che Maria probabilmente chiamava la «sua sapienza ». Durante il digiuno nel deserto egli risponde alle tentazioni del demonio con parole dei Libri Santi. Più tardi nella sua predicazione si distingue un primo periodo primitivo nel quale Egli, di sinagoga in sinagoga, interpone l'annuncio della «buona novella» nel commento che fa alle letture bibliche. A Nazareth, a Cafarnao e in molti altri luoghi Egli predica così e rileggendo il suo Vangelo si rivela quanto fosse saturato di scienza biblica. Un accenno basta a dimostrare la divina superiorità di questa scienza di Cristo su quella dei più illustri dottori della sua stirpe. Egli solo ha compreso la messianicità secondo il volere di Dio. Ha lottato contro il suo popolo e contro gli Scribi e i Farisei, contro gli Apostoli stessi e i suoi più ferventi partigiani per far prevalere lo spirito sulla carne nelle concezioni messianiche. Tutto il dramma del Vangelo s'aggira su questo punto e nulla ha potuto far deviare Gesù dalla linea di condotta che si era tracciata.
Dopo la sua resurrezione sulla via di Emmaus, Egli, cominciando da Mosè fino ai più recenti profeti, spiega un seguito di passi nei Quali rivela ai discepoli eletti quella «sapienza » che non aveva cessato di crescere sotto gli occhi della Vergine dai dodici anni fino all'inizio della vita pubblica. E infine ricordiamo quel consiglio dato da Gesù ai farisei: Scrutate le Scritture, sono esse che rendono testimonianza alle mie parole. Gesù lo diceva perché le aveva scrutate prima di essi: era Colui di cui era stato detto: Egli comincerà a fare, poi a insegnare. E' da rilevare anche la forza di quelle parole: Scrutate; non si tratta d'una lettura rapida ma d'una lunga e attenta ricerca. In greco, dopo l'epoca di Omero, il vocabolo significa: fare delle investigazioni, per seguire uno studio approfondito.

Gesù Maestro di Maria. - Ritornando alla Madonna non dubiteremo più della vastità della sua scienza biblica attinta alla scuola di Gesù. Quando con l'Apostolo Giovanni ripassava gli avvenimenti casi pieni e ricchi d'insegnamenti e così tragici della vita di Gesù non aveva bisogno di enumerare i titoli della sua divinità: li conosceva da tempo attraverso lo studio fatto col figlio divino. Il quale studio è stato fatto in due modi diversi: una prima volta aprendo l'intelligenza delle sacre pagine a Gesù fanciullo e una seconda bevendo avidamente a questa «Sorgente di sapienza» che s'ingrandiva sempre più nell'anima di Gesù adolescente. Come una mamma intelligente ed istruita guida i primi passi del figliolo nello studio, lo accompagna fino a quando lo vede disimpegnarsi da sé e finisce di mettersi alla scuola dell'uomo che Ella stessa ha formato, casi la Vergine dopo di essere stata la maestra in scienza biblica del suo amato Re, ne è divenuta un giorno la sua prima ed intima discepola. Maria l'ha visto «crescere in sapienza». Che cosa significa tale pensiero se non che Ella è stata testimone dei suoi progressi, ha cercato di seguirlo nel suo volo, ha approfittato delle sue lezioni, ha beneficiato dei suoi lumi divini e si è ricreata, la prima, ai raggi del sole levante?
Nella nostra «Vita di Gesù» descrivendo gli anni della vita nascosta abbiamo detto che Gesti aveva avuto tre Madri: la Vergine, la Bibbia, la Natura. Quanto diciamo qui completa il nostro pensiero.
Maria ha cominciato ad aprire lo spirito del suo Gesù: è il dovere d'una buona madre ed Ella non poteva mancarvi. Di conseguenza sono dolce visione i lunghi anni di Nazareth, anni di lavoro umile e faticoso, ma soffusi e ripieni di meditazioni entusiaste, colloqui sublimi; gioie soprannaturali e carità incomparabile: un paradiso basato sul culto intenso della Legge divina. Anche Giuseppe ne ritrae gloria nella sua esistenza ignorata e splendida per essere stato associato in stretta intimità a tanta bellezza e felicità.

La doppia missione di Maria e di Giovanni. - Forse siamo ora in grado di capire la doppia missione che Gesù morendo affidò a Maria nei riguardi di Giovanni ed a questi Maria stessa.
A noi sembra che non ci sia più bisogno di dimostrare - perché l'abbiamo fatto precedentemente - che le parole di Gesù in Croce non significano la semplice cura d'un buon figliolo che vuol assicurare alla madre una vecchiaia tranquilla e piacevole, e neppure un dono d'un affetto reciproco, tenero e altissimo ma piuttosto daremo alla «terza parola» di Gesù crocifisso un senso degno di Lui, della sua SS. Madre: «Donna, ecco tuo figlio» equivaleva a dire: Signora, Principessa, Regina (28), tutto ciò che tu hai fatto per me nella solitudine di Nazareth lo farai ora per il mio amato discepolo, per Giovanni. Gli aprirai la comprensione delle Sacre Scritture e guiderai il suo spirito nelle più alte regioni della sapienza. Percorrerai con lui per la terza volta il cammino percorso insieme attraverso i Libri divini ed egli imparerà vicino a te lo spirito stesso del Messia che ha tanto amato ma che non ha sempre capito. Lo condurrai nelle alte regioni dell'eternità che noi abbiamo tante volte esplorato insieme. Dove egli non vedeva che l'Amico tu gli additerai il Re. E quando Gesù indirizzandosi a Giovanni disse: Ecco tua Madre era come se gli dicesse: tu metterai tutta la confidenza d'un fanciullo docile. Essa è madre più per lo spirito che per la carne. Io dò il nome di madre a tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8, 21). E nessuna persona ha ascoltato meglio la parola di Dio e l'ha messa in pratica più di Colei che mi ha dato il suo sangue e nutrito del suo latte. Nell'intimità di Nazareth abbiamo scritto insieme il più bel libro ed abbiamo tessuto il più giusto e ricco commentario alla parola di Dio. Abbiamo vissuto anche tutte le tappe della mia vita messianica percorrendo i miracoli divini. Ma c'è un capitolo in cui mia Madre, la Donna secondo il cuore di Dio, la Donna ideale e perfetta, non ha mai avuto un'intera conoscenza. È quel capitolo che io ho vissuto lontano da Lei, in pubblico, nel compimento nel mio dovere, l'aspro dovere di dottore in Israele. Tu, mio apostolo prediletto, ripeterai a Lei fedelmente, a mia Madre, che ora è tua, tutto ciò che hai capito e ritenuto. Ed Ella ti farà afferrare e gustare meglio gli insegnamenti stessi che sei incaricato di riportarle. Essa sarà la madre della tua anima, del tuo cuore, della tua santità.
Lo spirito dell'uomo balbetta nel toccare questi sublimi interessi. In Gesù tutto è semplice, profondo e grandioso. Nei nostri commenti tutto è confuso, imbarazzato, lungo. Una parola della sua bocca racchiude un mondo: un discorso nostro non fa che limitare le possibilità infinite di uno sviluppo ulteriore. Donna ecco tuo Figlio. Non si può dire niente di meglio e di più eloquente insieme. Ecco tua Madre: brevi parole sufficienti ed orientare tutta la vita di Giovanni. Gesù fa nascere dalla circostanza un'ultima parola, la più bella e commovente; Giovanni attraverso ad essa diviene il modello del cristiano che deve circondare Maria della più filiale tenerezza e la Vergine ci riceve tutti come suoi figliuoli. Essa diviene la Madre del genere umano redento, la novella Eva, la Donna per eccellenza, cioè Colei che Dio ha eletta per essere il canale della vita.

Maria e il Prologo. - Le considerazioni precedenti sembrano condurci lontano dal Prologo di S. Giovanni, ma erano necessarie per la soluzione del problema che ci eravamo posti dall'inizio. Toglieremo a Giovanni la gloria del suo Prologo? O ridurremo il volo dell'aquila ad un volo di colomba?
Nessuno ha mai avanzato l'idea che Giovanni abbia scoperto il Prologo con la sola forza del suo genio d'uomo. S. Ilario vi riconosceva un miracolo superiore a quello della risurrezione dei morti. Che il miracolo sia stato compiuto per ispirazione diretta dello Spirito Santo e che la Madonna, istruita dal suo divin figliuolo sul significato delle divine Scritture, abbia servito di strumento alla Provvidenza per guidarlo nel suo volo immortale, ciò non cambia nulla alla gloria dell'Apostolo. E se il volo di colomba ha preceduto e diretto quello dell'aquila dipende dal fatto che Giovanni stesso fu trasportato verso le più alte cime dall'aquila delle aquile, Gesù Cristo stesso.
Ci sembra cosa sicura che Maria e Giovanni abbiano percorso insieme le pagine bibliche; che si siano curvati in dolce comunione sulle caratteristiche del loro Santo, incomparabile Gesù; che abbiano cercato di riannodare quanto conoscevano della sua personalità divina a quello che le Scritture dicevano di più alto e chiaro. Ci sembra pure di poter affermare che in questo attento ed affettuoso studio Maria non aveva nulla da imparare da Giovanni perché essa era stata illuminata dal suo divin figlio ed era in grado di insegnare al discepolo. Infine quando si consideri il favore che i testi riguardanti la Sapienza increata, nel libro dei Proverbi, incontrarono fra i primi cristiani e l'uso che ne fece S. Paolo, l'autore dell'Epistola agli Ebrei, non si può ammettere che la Vergine e Giovanni non abbiano saputo farne l'applicazione a Cristo (29). Piuttosto che fermarci in tale convinzione preferiamo credere che proprio dal gruppo intimo di Maria e Giovanni sia partita, per diffondersi nell'ambiente cristiano, l'identificazione di Gesù con la Sapienza increata che Giovanni doveva riprendere nel suo ispirato Prologo.
È molto probabile che se Giovanni avesse redatto il suo Vangelo nell'uscire dalla sua conversazione con la Vergine avrebbe iniziato il Prologo in termini diversi. Forse avrebbe detto: Al principio era la Sapienza, e la Sapienza era presso Dio e la Sapienza era Dio.
Fu una, trovata linguistica di primo ordine quella parola «Verbo», e soltanto per questo, se non ci fosse altro nell'opera di Giovanni egli meriterebbe la nostra riconoscenza perpetua. La parola Sapienza mantiene in sé un certo carattere di astrazione.
La parola greca «sophia» che noi traduciamo per «Sapienza» era già femminile come si è conservata tra noi e si prestava male ad una interpretazione maschile. La parola «Verbo», in greco «Logos» è invece al maschile anche nella lingua antica. Di più, il Verbo è il frutto d'una specie, di eterna generazione del Figlio dal Padre secondo l'ordine dell'infinita sapienza di Dio. A chi si deve la scoperta della parola «Logos» per personificare il Cristo eternamente preesistente nel seno del Padre come Dio? A Maria? A Giovanni? Oppure a tutti e due? Non lo possiamo dire. La parola pare sia stata usata da Filone, il sapiente giudeo alessandrino, nato circa vent'anni prima dell'èra nostra, cioè pressappoco negli anni stessi della Madonna. E Filone l'aveva senza dubbio attinta da Platone.
Ma fra il Logos di Filone e quello di S. Giovanni non vi è somiglianza che di sillabe. Fu un tratto geniale di S. Giovanni illuminato da Maria, ancella dello Spirito Santo, di riconoscervi quanto egli poteva servirsi di questa nuova espressione.

La firma di Maria.
- Risulta, da quanto abbiamo detto, una stretta collaborazione fra la Vergine e il suo secondo Figlio, l'Apostolo Giovanni, nei riguardi della rivelazione al mondo cristiano della sublime dottrina del Verbo. Dottrina avente la sua radice sia nelle più belle pagine dell'Antico Testamento, sia nelle rivelazioni di Gesù sulla propria persona. Bisognava ritoccare discretamente e con fermezza l'opera stessa di Mosè e dei Profeti ispirati, lavoro infinitamente delicato che uno scrittore eletto poteva osare d'intraprendere soltanto con un mandato dall'alto. Maria e Giovanni hanno ripreso la prima parola della Genesi. Là dove si legge: «Al principio Iddio creò il cielo e la terra la Maria e Giovanni hanno segnato: «Al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui e senza di Lui nessuna delle cose create è stata fatta ...». Ora se noi ammettiamo che Maria ha cooperato alla grande opera, se avanziamo l'idea che per questa missione unica e divina Gesù morente li aveva affidati l'uno all'altro – come per associarli alla più audace e sublime impresa ­ non ci sarà difficile scoprire nella redazione del testo, un indice, sia pur leggero, dell'ispirazione mariana, nella redazione di Giovanni. In altre parole il Prologo, porta o no la firma di Maria?
Forse con un po' d'audacia noi rispondiamo che la firma c'è, ma vi si trova segnata in calce. Se Giovanni avesse lavorato a questa pagina solo, egli doveva a se stesso, doveva alla tradizione profetica e all'uso che stava nascendo nella Chiesa di ricordare la Vergine divenuta sua Madre. Ma che non l'abbia nominata, lui il figlio, quando tutti gli altri testi dove era proclamata l'Incarnazione del Verbo la ricordavano, proprio Questo silenzio equivaleva ad una firma, a quella che chiamiamo un contrassegno a secco.
L'umiltà di Maria: ecco il segno quasi sicuro della sua presenza. Per essa la Vergine ha preso nel Prologo un ricordo che doveva esservi. E ne concludiamo che Maria ha compiuto l'opera in comune con Giovanni. Vediamo di portare appoggio alla nostra asserzione. Noi abbiamo detto che la tradizione profetica dapprima e in seguito l'uso della Chiesa, voleva che la Vergine fosse ricordata ogni volta che si parlasse della venuta del Verbo in mezzo agli uomini. Il grande oracolo del passato concernente l'incarnazione era quello di Isaia, anteriore di circa 700 anni dall'avveramento del grande mistero. Tale oracolo è stato formalmente inculcato da S. Matteo: «Jeova stesso vi darà un segno: Ecco che la Vergine ha concepito e partorirà un Figlio. Ed Ella lo chiamerà l'Emmanuele».
L'uso che S. Matteo fa di questo passo è una prova di quanto vogliamo affermare, che cioè, il fatto dell'incarnazione è legato al ricordo della Vergine predestinata. Ascoltiamo anche S. Paolo nell'Epistola ai Galati: «Quando venne la pienezza dei tempi Dio inviò suo Figlio formato da una Donna...» (Gal 4, 4).
Il più antico dei nostri simboli, il simbolo degli Apostoli, portava già in modo esplicito la formula che è rimasta: «Nostro Signore, nato da Maria Vergine ». Più tardi nel simbolo solennissimo che noi cantiamo nella Messa domenicale, la formola si trasforma così: «Ed Egli si incarnò da Maria Vergine per opera dello Spirito S. ».
Abbiamo accennato ai passi degli antichi Padri come: S. Ignazio d'Antiochia, S. Giustino e S. Ireneo che ebbero cura di nominare Maria ogni volta che parlavano dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Sono tutti della scuola di San Giovanni. S. Giustino il filosofo, si era convertito ad Efeso dove era vivissimo il ricordo di Giovanni e S. Ireneo, attraverso il suo maestro S. Policarpo era il discepolo fidato dell'Apostolo. In questa unanimità solo Giovanni fa eccezione, egli solo può scrivere la frase così eloquente nella sua brevità: «E il Verbo si è fatto carne ...». Senza aggiungere le tre parole che dovevano bruciare le labbra di lui, il figlio adottivo della Vergine Maria.
Ed è ancora più sorprendente il suo silenzio se si pensa che una delle sue intenzioni nella redazione del Vangelo suo è quella di combattere i Doceti, gli eretici la cui audacia consisteva nel negare la realtà del corpo di Gesù. Probabilmente è per essi che Giovanni usa la parola «carne» per dire: «ed il Verbo si è fatto carne». Sarebbe stato dunque naturalissimo nominare la persona umana attraverso alla quale s'era compiuta l'Incarnazione. Gesù era figlio di Maria, figlio di una Donna: aveva dunque un corpo reale. Era veramente uomo.
D'altra parte Giovanni è il solo fra gli Evangelisti che segnali la presenza di Maria ai piedi della Croce e quand'egli riporta le commoventi parole con cui Gesù gli aveva affidata sua Madre, vuoi esprimere la felicità del privilegio insigne che gli è stato accordato. Se ripassiamo il testo evangelico si sente un fremito di fierezza contenuta, ma profonda in questa finale: «E da quel punto il discepolo la prese con sé».
Il suo cuore di figlio gli suggeriva di nominare Maria in una pagina dove era tanto naturale che la sua missione fosse ricordata. A rigore si potrebbe ancora spiegare questo silenzio sulla Vergine se nel Prologo Giovanni non avesse introdotto alcun nome umano. Ma fra l'eternità del Verbo, il grande fatto iniziale della creazione e la misericordiosa incarnazione, Giovanni nomina un personaggio, uno solo che sembra drizzarsi al di sopra di tutte le grandezze intermedie: Giovanni Battista.
«Vi fu un uomo, - egli dice, - inviato da Dio. Il suo nome era Giovanni».

Ponendolo al centro dell'immenso quadro che dipingeva l'Apostolo non poteva meglio glorificare il suo Maestro, colui cui doveva la conoscenza di Gesù. Ma per quanto profonda la riconoscenza verso il Precursore e per quanto grande la missione del Battista né l'una né l'altra potevano paragonarsi ai sentimenti nati in Giovanni verso una Madre che Gesù gli aveva dato né alla sublimità della funzione ch'Ella aveva esercitato nell'incarnazione stessa. Il silenzio di Giovanni, comunque si esamini, sarebbe il segno d'una dimenticanza ben strana se non si pensasse ch'esso è stato la conseguenza d'una formale consegna.
Ed è questo stesso silenzio che interpretiamo come il contrassegno sicuro della collaborazione mariana nella nascita di questa pagina unica. Come Iddio aveva generato il suo Verbo da tutta l'eternità ora aspettava a Maria, dopo averlo generato secondo la carne e lo spirito, di generarlo nuovamente, manifestando al mondo con la più meravigliosa delle formule, la sua eterna preesistenza e la sua sostanziale divinità. Con ciò non togliamo niente a Giovanni. Egli non avrebbe conosciuti i prodigiosi misteri senza la rivelazione di Gesù. Non ci sorprenderemo che Maria avesse ricevuto la missione di dare a queste rivelazioni, nello spirito del più amante ed amato dei discepoli, la loro forma definitiva e nel medesimo tempo fornire a noi le più luminose luci sul divino segreto della nostra redenzione. Maria perciò è stata la Madre di S. Giovanni e la nostra col generare nelle nostre intelligenze la fede esplicita del Verbo incarnato. Le dobbiamo un supplemento di chiarezza sulla verità delle verità. Non sarà mai troppa la nostra filiale riconoscenza.
OFFLINE
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07/09/2012 22:04

CAPITOLO IV

MARIA E I VANGELI DELL'INFANZIA


Sommario:
- Un problema difficile.
- Ipotesi d'una scelta fra Matteo e Luca.
- Ricordi di Giuseppe. La consegna di Maria.
- Da dove vengono i «ricordi» di Giuseppe.
- Le «memorie» di Maria. Cenni preliminari.
- La saggezza di Maria.
- Maria e S. Matteo Maria e il Vangelo di S. Luca.
- Importanza per la psicologia e la storia mariana dei due primi capitoli di S. Luca.

***

Un problema difficile . - Siamo pervenuti finora a due conclusioni importanti: a sapere che l'umiltà profondissima di Maria aveva fatto escludere dal Vangelo orale primitivo i racconti riguardanti l'infanzia e la nascita verginale di Gesù e che nella preparazione lontana del più preciso e mistico Vangelo Maria ha assolto un compito che pare sia stato preponderante.
Anche se nelle nostre deduzioni le congetture hanno avuto larga parte, tuttavia crediamo che esista un legame sufficientemente logico fra ciò che sappiamo degli ultimi anni terreni di Maria e l'altra missione che ammettiamo le sia stata affidata da Gesù morente. Nulla si oppone che le cose si siano svolte come le abbiamo supposte e le leggi più elementari della psicologia ci autorizzano a pensare che realmente dovettero essere così.
Ora affrontiamo una questione più difficile e delicata: quale influenza ha esercitato la Madonna sulla redazione dei racconti dell'infanzia come si leggono in S. Matteo e in S. Luca. Sorvolando finora sulla questione abbiamo solo constatato che Matteo ha riprodotto i ricordi di S. Giuseppe e Luca le memorie di Maria. Un attento esame dei due testi ci dimostra che in S. Matteo vi sono cose che solo Giuseppe ha potuto dire, come le angosce precedenti al suo matrimonio colla Vergine, i diversi sogni nei quali riceveva ordini da Dio, mentre in S. Luca vi sono segreti tutti proprii della Madonna, come le parole dell'Arcangelo al momento dell'Annunciazione, la visita ad Ain Karin, il testo del Magnificat, ecc.
C'è qualche ombra nella spiegazione di questi due fatti e innanzi tutto, come ha potuto San Giuseppe trasmettere i suoi ricordi a S. Matteo dato che egli era morto parecchi anni prima che Matteo divenisse apostolo di Cristo e logicamente molto tempo prima che prendesse la penna come evangelista? E come mai i ricordi di Giuseppe erano sconosciuti a S. Luca o, se li conosceva, perché li ha passati sotto silenzio? E infine, in qual modo S. Luca conosceva le memorie di Maria e perché S. Matteo non ne sapeva nulla oppure sapendole non ne ha fatto uso?
Sono problemi che si suddividono in vari altri ed occorre un certo coraggio nel tentare di far luce su problemi quasi impenetrabili e ci si perdonerà se noi inciamperemo in questa nostra impresa ardita ma insieme rispettosa.
Sgombriamo le ipotesi incerte e improbabili.

Ipotesi d'una scelta, fatta da S. Matteo e S. Luca.
- Ci sembra tanto inverosimile che S. Matteo abbia potuto trascurare le memorie di Maria se egli le conosceva, come è inammissibile che San Luca abbia deliberatamente scartato i fatti resi da Matteo se il Vangelo di quest'ultimo era già in circolazione quando Luca redigeva il suo.
In altri termini: non si può immaginare che Matteo e Luca abbiano fatto, ciascuno per proprio conto, una scelta arbitraria sulla base comune di racconti conosciuti dalla prima generazione cristiana per finire di darci due testi divergenti in modo da non incontrarsi che su pochi punti ma nello stesso tempo abbastanza concordi sull'essenziale da poter innestarsi l'uno nell'altro con relativa facilità.
Sarebbe inutile parlare di libertà di composizione. L'evangelista non è un autore comune. Non scrive per il piacere di scrivere. Lo Spirito Santo lo guida nel suo compito, egli è mosso dal fine principale di manifestare le alte verità per il profitto della Chiesa e mira ad essere il più completo possibile perché in una storia divina anche i minimi dettagli hanno un loro grande valore. S. Luca proclama in termini precisi d'essersi applicato «a conoscere tutto esattamente ». frase che riassume mirabilmente lo spirito fondamentale dell'evangelista. Nessun dubbio che Marco e Matteo non abbiano avuto il medesimo desiderio di essere completi oltre che scrupolosamente esatti. Dirà alcuno, con certi critici, che Matteo si proponeva lo scopo determinato di mostrare l'avverarsi delle profezie nella nascita di Gesù e che scrivendo per i giudei, agli occhi dei quali contava solo il capo, legame della famiglia, egli si era limitato a ripetere i racconti di Giuseppe? E si aggiungerà forse che Luca, scrivendo per i pagani, non si era tenuto agli stessi limiti e che si fosse invece preso il compito di completare i ricordi di Giuseppe con le memoria di Maria? Ma nessuna delle due asserzioni spiega in qualche modo il problema che ci occupa.
Prendiamo il testo di S. Matteo ricco di reminiscenze bibliche, rivela chiaramente la sua intenzione di convincere i giudei, suoi lettori immediati, sul carattere messianico di Gesù. Certo la sua dimostrazione sarebbe stata più concreta se avesse attinto al tesoro dei ricordi della Madonna. Per esempio non era il caso di accennare all'annunciazione ed alla nascita del precursore? Si era guardato al Battista come un grande Profeta e si continuava ad onorarlo come tale, secondo i passi che gli consacra lo storico Giuseppe. Era dunque nel piano previsto da Matteo di parlarci delle sue origini sacerdotali, delle meraviglie riguardanti la sua nascita e delle profezie realizzate in Lui. forse che la presentazione al Tempio con le belle parole del vecchio Simeone fossero senza interesse per lui, per i lettori? Impossibile che Matteo non le conoscesse e non ne abbia tenuto conto: piuttosto sembra ormai asso dato ch'egli conobbe solo i ricordi di Giuseppe e noi ci domandiamo per quale mezzo tali confidenze sono giunte fino a lui.
Le chiamiamo «confidenze» perché uniamo S. Luca nel medesimo ragionamento: è ancor più sorprendente che Luca scrivendo dopo Matteo abbia rivelato le memorie della Vergine e non accenni ai ricordi di S. Giuseppe. In realtà tutto avviene come se un personaggio misterioso, in possesso di tutti i segreti, li avesse distribuiti seguendo una legge oscura, conosciuta da lui solo e seguendo un sistema che secondo una espressione familiare si direbbe: «da contagocce». Chi sarebbe questo personaggio? Sono parecchi o uno solo? Perché non possiamo noi ammettere che S. Luca abbia volontariamente e sistematicamente omesso quanto conteneva il racconto di S. Matteo, ché egli non scriveva, come farà Giovanni, più tardi, un Vangelo «completamente»?
Abbiamo visto ch'egli dichiara di essersi «applicato a conoscere tutto»: segue che egli voleva dire tutto ciò che sapeva. E non ci fu neppure tale intervallo fra il suo Vangelo e quello di Matteo da supporre ch'egli ritenesse inutile ripetersi, anche perché se era lontano dal riprodurre quanto avevano detto bene gli altri prima di lui, non si sarebbe servito con costanza e fedeltà del Vangelo di Marco.
Il silenzio di Luca circa il testo di Matteo non avrebbe avuto il medesimo significato del silenzio di Giovanni in rapporto ai racconti di chi lo precedette. Giovanni scriveva a distanza di quarant'anni dai primi e non avanzò mai l'idea di raccontar tutto. Egli non fece che colmar le lacune dei suoi predecessori rettificandoli, con discrezione, qua e là e ciò che Giovanni sorpassa nei testi dei Sinottici viene a godere, per lo stesso fatto del silenzio, della sua imponente autorità di testimnio attento e meravigliosamente informato. Per S. Luca, invece, niente di simile. Egli riprende dalla base tutti i racconti precedenti; annuncia il suo programma di non omettere nulla, ma di tutto «scrivere con ordine».
In queste condizioni il solo fatto di passar sotto silenzio le informazioni di S. Matteo concernenti l'infanzia di Gesù, equivaleva ad una specie di smentita. Ma se Luca non ha saputo niente di ciò che Matteo aveva scritto, se è ormai positivo per i lettori dei due evangelisti ch'essi abbiano scritto alla medesima epoca ma in luoghi lontani uno dall'altro - Luca senza dubbio a Roma dove era apparso il racconto di Marco e Matteo probabilmente a Gerusalemme - allora le loro divergenze riunite in un racconto essenziale offrono l'argomento più persuasivo in favore della veridicità di ciascuno di essi (30).
Teniamo per cosa sicura che né Matteo ha conosciuto le «Memorie di Maria» né Luca, ha avuto fra mano il testo che riportava i «Ricordi» di Giuseppe.
Non si trattava in fondo di documenti accessibili a tutti, ma piuttosto di fonti confidenziali. L'utilizzazione di tali sorgenti pare sia stata regolata da una volontà ferma alla quale nessuno certo pensava di poter disubbidire.

La consegna di Maria. - La precedente conclusione è singolarmente interessante per noi. Le pagine di questo studio non hanno avuto finora che il risultato di prepararci ad ammettere l'esistenza di una consegna - passateci il termine d'uso militare in mancanza di meglio - imposta da Maria, al principio dell'evangelizzazione, ai primi redattori del Vangelo orale. Per effetto di tale consegna non si doveva parlare della vita nascosta di Gesù né di quanto precedeva la predicazione di Giovanni e il Battesimo di Gesù al Giordano. Ammessa la necessità di questo primo punto, nasce la necessità di dimostrare tre asserzioni.
1. «I Ricordi» di Giuseppe non poterono essere trasmessi che dalla Madonna.
2. «Le Memorie di Maria» emanarono certamente da Lei e da Lei sola.
3. Allargando, secondo un piano provvidenziale, i rigori della primitiva consegna precedente giustifica con larghezza il carattere più o meno «confidenziale» delle comunicazioni di Maria all'uno e all'altro.
È chiaro che se riusciremo a convalidare con probabilità notevoli le tre considerazioni il nostro punto di partenza ne uscirà fortificato. Esiste una regola nella storia secondo la quale il valore di una ipotesi è proporzionale al numero delle ombre ch'essa rischiara ed all'aiuto ch'essa porta per spiegarla.

Da dove vengono ricordi di Giuseppe. - A proposito di questi ricordi un eminente critico inglese, Plummer, ha avanzato l'idea che essi siano stati trasmessi dall'Apostolo Giacomo, cugino di Gesù. Ma non possiamo dargli credito per varie difficoltà evidenti e considerevoli. Per esempio: potremo domandare come mai Giacomo in possesso del meraviglioso segreto per via di confidenza dello zio S. Giuseppe, abbia lasciato a Pietro la cura di proclamare in seno al collegio apostolico la grandezza biblica e divina di Gesù Cristo. Se Giacomo era davvero informato perché non usò della sua influenza sui suoi fratelli e sorelle per avvicinarli a Gesù quando ne erano lontani al punto da far dire: I suoi fratelli non credevano in Lui?
Ma sull'ipotesi di Plummer c'è da fare un'altra obiezione più grave. La confidenza familiare di Giuseppe costituirebbe un'indiscrezione imperdonabile per il padre putativo e una prova di diffidenza ingiustificata verso Gesù e Maria, i due personaggi più sublimi e più rispettati da lui, rimasti in terra dopo la sua morte a propagare, se lo volevano e come loro piaceva, la conoscenza degli ineffabili misteri di cui erano depositari con lui.
E' un'ipotesi quella di Plummer che si può ammettere solo dietro a prove irrefutabili, perché contraria ad ogni verosimiglianza e, diciamo pure, a tutte le convenienze.
S. Giuseppe, morendo, non aveva motivo di preoccuparsi per la diffusione del segreto messianico. Gesù aveva scelto di vivere nascosto per un periodo di trent'anni e Giuseppe era stato testimonio con la Madonna dei suoi costanti progressi nella «Sapienza». Tutto ci fa credere che anche egli sia stato iniziato all'interpretazione esatta del messianismo che ormai solo rarissimi in Israele comprendevano ancora (31).
Non aveva ragione di preoccuparsi del resto, degli avvenimenti, né poteva fare a Gesù e a Maria questa offesa di rivelare ad una terza persona, sia pure in stretta parentela e uomo di provata fiducia, i tanti misteri a cui la Provvidenza l'aveva associato. -Questa ragione decisiva non vale solamente per Giacomo. Vale per qualunque altro intermediario fra Giuseppe e Matteo i quali non hanno potuto conoscersi direttamente. Non è perciò possibile che i «Ricordi» di Giuseppe siano passati attraverso altri che non siano Maria e Gesù e, data la poca probabilità che Gesù abbia fatto à Matteo delle rivelazioni su questo punto, rimane la convinzione che solo Maria abbia potuto dare delle precise informazioni.
Si può obiettare che ci gettiamo in supposizioni inestricabili; perché Maria avrebbe fatto a S. Matteo delle confidenze rifiutate a S. Luca e viceversa? Non turbiamoci prima del tempo, siamo attenti, secondo il celebre consiglio di Bossuet: «a tener bene i due estremi della catena».
Per il momento accontentiamoci di tenerne un capo e cioè sapere che i «Ricordi» di Giuseppe non erano diffusi nel pubblico cristiano, che Luca, il diligente ricercatore, non li incontrò sulla sua strada e che Maria sola ne conservava il prezioso segreto.
Ed eccoci all'altro capo: «Le memorie» della Madonna non erano meno conosciute dal pubblico ed Ella sola poteva, al momento opportuno, introdurre nell'impenetrabile mistero.

Le «memorie» di Maria. - Qui c'è qualche cosa di più delle semplici verosimiglianze; non siamo costretti a laboriose deduzioni. Oltre il fatto che il soggetto non comporta incertezze e che è difficile supporre che Maria abbia confidato a chiunque si presentasse il sacro deposito custodito come un tesoro sotto le volte di un'assoluta e religiosa discrezione, ci sono anche prove di primo ordine che appoggiano la nostra affermazione: Matteo che abitava a Gerusalemme e che poteva di conseguenza consultare Maria e Giovanni ogni qualvolta lo desiderasse, non ha invece saputo nulla dei fatti raccontati da S. Luca. Si vede perciò che la Vergine Maria non ne parlò a nessuno e che Ella rimase fedele alla consegna data al principio della evangelizzazione, nei tempi in cui conveniva segnare le grandi linee del Vangelo orale, di cui S. Marco ci diede gli elementi.
Comunque, tale consegna deve essere stata tolta se noi troviamo in S. Luca le memorie della Vergine. E perché non sorgesse alcun dubbio il redattore fedele ha introdotto nel suo testo a due riprese, questo accenno estremamente significativo ed esplicito: Maria conservava in sé tutte queste cose e le meditava in cuor suo (32).
Questa volta non c'è soltanto un timbro a secco come nel Prologo di S. Giovanni, c'è una firma autentica e per di più doppia. Ed è talmente strano incontrare due attestazioni di questo genere che si può essere tentati che Maria abbia esposto le sue memorie in due riprese.
Nella prima, Ella avrebbe raccontato, col suggello della sua testimonianza, ciò che si riferiva all'annunciazione di Giovanni Battista e di Gesù, una seconda volta Ella avrebbe aggiunto ciò che costituisce gli ultimi trentatré versetti dell'Evangelo dell'infanzia di Gesù in S. Luca, ossia il periodo che va dalla circoncisione alla presentazione al tempio, all'esempio del dodicesimo anno.
Non ci rimane ora che di rendere conto di questa anomalia: la Madonna manifestò a due evangelisti, separatamente, degli insegnamenti differenti sull'infanzia di Gesù. Quale motivo la fece agire così? Perché questa reticenza, queste confidenze parziali emesse in due riprese, fors'anche mentre, una pia curiosità la consultava?

Osservazioni preliminari. - Prima di affrontare la delicata e spinosa questione facciamo due osservazioni che non sono senza importanza.
La prima che se anche non trovassimo alcuna soluzione al problema posto, ciò non toglierebbe nulla alla correttezza e rigorosità delle deduzioni anteriori. Teniamo stretti i due capi della catena, ripeteva giustamente Bossuet, a proposito d'una questione: quella dell'accordo tra la prescienza divina e la bontà umana, di cui conosciamo bene le due estremità, ma non la parte interna. Il fatto certo è che tanto le informazioni riportate da S. Matteo quanto quelle conservate da S. Luca vengono da Maria e non possono venire che da Lei.
Che noi possiamo o non possiamo affatto addurre le ragioni per giustificare la sua cernita e suddivisione dei documenti, non muta nulla delle prime constatazioni.
La seconda osservazione è che se pure fossimo impotenti a rischiarare questo mistero avremo mo ugualmente ottenuto un risultato apprezzabile designando nettamente la sorgente comune dei racconti dell'infanzia di Gesù.
Si possono paragonare i due testi di Matteo e di Luca alle due metà d'un medesimo prezzo d'oro (33).
Vi è infatti una netta distinzione fra i due racconti; eppure i due frammenti si completano nel modo più felice. I personaggi che vi troviamo hanno i medesimi caratteri; le designazioni del tempo e dei luoghi concordano perfettamente. Ora, è più facile intuire che il racconto sia stato diviso in due, volontariamente, da una sola persona piuttosto che immaginare che le due metà si trovassero in possesso di due persone differenti.
Comunque si è fatto un notevole passo nella conoscenza delle fonti dei nostri Vangeli, con lo stabilire che i due racconti dell'infanzia di Gesù provengono da una sola persona e che essa non è che la Vergine Maria.
Si può andare oltre? Possiamo penetrare l'enigma delle intenzioni della Vergine Regina in possesso delle chiavi di tutto questo mistero?
Con tutto il rispetto tentiamo di farlo, e il lettore giudicherà se siamo riusciti a portare un poco di luce su un problema ricco d'interesse per i nostri cuori.

La Sapienza di Maria. - Teniamo ora ben vicino a noi le conclusioni già riscontrate e le minime luci percepite.
Un primo punto da ricordare è che Maria aveva cominciato a trattenere nella memoria e nel cuore quando sapeva. Ella conservava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore. Non ne parlava e l'autorità stessa di Pietro non influirà sulla sua risoluzione. Il Vangelo di San Marco non contiene nulla sull'infanzia del Salvatore. Tutt'al più ci lascia capire che Gesù non era figlio di Giuseppe secondo la carne, ma «figlio di Maria sola».
Abbiamo addotto come primo motivo del silenzio l'umiltà della Vergine. Essa non vuole essere che l'Ancella. Non c'era posto per Lei nel messaggio redentore del suo Gesù. La buona novella, cioè il Vangelo di Gesù Cristo cominciava con la predicazione del Battista nel deserto. E' un'umiltà però che non rappresenta un cieco partito preso d'oblio o d'annientamento, anzi si ammanta della più alta sapienza. Ciò che importava agli uomini di sapere era la divinità di Gesù, le prove della sua missione, le incomparabili ricchezze della sua dottrina, i mezzi di salvezza da Lui apportati al mondo, i segni indimenticabili del suo amore visibili nella gloriosa morte volontaria per l'espiazione dei nostri peccati.
Tutto ciò si trova nel vangelo orale commentato e sviluppato dalla predicazione apostolica di cui gli atti degli apostoli e le epistole di S. Paolo rappresentano l'eco.
Se in seguito la curiosità dei fedeli si attaccò alle origine umane del Salvatore era opportuno attendere che tale curiosità prendesse uri carattere interamente religioso. Necessitava una certa preparazione ai fedeli della prima generazione cristiana per avvicinarsi ai misteri commoventi, ma insieme sconcertanti dell'umile nascita di Gesù in una stalla di Betlem.
Abbiamo visto come la Madonna trattenesse le impetuosità di Giovanni, come sapesse ricordargli, pare, l'importanza dell'ora in tutte le cose. Il suo Gesù le aveva detto a Cana: La mia ora non è ancora venuta. Non sono queste lezioni che si dimenticano e Maria non era stata inutilmente alla scuola della Sapienza. Ella stessa al contatto del suo Gesù era divenuta la creatura più «sapiente» nel significato più forte e profondo che di questa parola il mondo abbia conosciuto.
Non ci sorprende che la Vergine abbia preso infinite precauzioni per introdurre nella tradizione cristiana i documenti di cui conservava il segreto intorno alla nascita verginale. Era un soggetto particolarmente delicato. Maria non dovette lasciar offuscare con alcun dubbio il carattere soprannaturale della concezione e nascita del Cristo.
Ma per far ciò dovette fornire a spiriti già preparati dall'altra predicazione apostolica le prove più irresistibili e fornirle in modo semplice, fermo, categorico e senza ombra di esitazione e di riserva. Ora, c'era stato un uomo, predestinato da Dio, per essere il guardiano, il testimonio, il garante della virtù soprannaturale di Maria. Quest'uomo era Giuseppe.
E il giorno in cui la Vergine giudicò che l'ora fosse suonata, che era tempo di levare la consegna pei primi anni e che era necessario parlare per non tradire il deposito confidatole da Dio, quel giorno Ella trovò ancora il modo di conciliare fra di loro l'umiltà, la sapienza, la discrezione e il rispetto verso Pietro. Essa aveva limitato al primo apostolo - almeno a parer nostro - i dettagli che egli desiderava conoscere sui misteri di Betlemme e di Nazareth. Ed anche manifestandoli a Matteo gli imporrà il segreto per qualche tempo. Non gli aveva fatto che una confidenza intima (34) e confidò dapprima soltanto ciò che poteva mantenere Lei in seconda linea e cioè solamente i «ricordi» di Giuseppe.
Ancora una volta Giuseppe faceva da testimonio; era il garante ed il guardiano. Molti dei lettori di Matteo l'avevano conosciuto, essi potevano sottoscrivere a quelle parole rivelatrici della grande e santa prudenza di Maria: «Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non volendo esporla al disprezzo pubblico, formò il disegno di ripudiarla segretamente».
Riflettendo si ritrova qui una implicita difesa. Ma tutto è così discreto, così puro ed elevato da riconoscervi senza fatica la «sapienza » superiore della Vergine stessa. Era come se dicesse: I nostri Libri Santi contenevano un annuncio che nessuno dei Dottori della legge aveva compreso (35). Il Messia doveva nascere da una Vergine e al di fuori della legge comune alla nascita di tutti gli uomini.
Così è nato. Vediamo due prove. Prima: Giuseppe era un uomo giusto. Tutti coloro che l'hanno conosciuto sono là per testimoniarlo. La sua dignità, la sua pietà, la sua virtù sono sicure garanzie del suo focolare. Se egli ha sposato Maria l'ha fatto in seguito ad un avvertimento divino e in questo era sicuro circa la concezione soprannaturale di Gesù. La seconda prova sta nel fatto che tutto era scritto. Difatti tutto accadeva perché si compisse ciò che il Signore per mezzo del Profeta aveva annunciato: «Ecco che la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato l'Emmanuele, ciò che vuol dire: Dio è con noi».

Maria e S. Matteo. - Ciò che doveva passare fra la Madonna e S. Matteo ce lo rappresentiamo pressappoco così: Da dieci, quindici e forse più anni durava il silenzio della Vergine Maria sulle origini del suo divin figlio. Si predicava ancora soltanto il Vangelo orale di cui il testo di S. Marco offre le linee essenziali.
In Palestina vicino all'abitazione della Madonna viveva l'apostolo Matteo. Pare che egli da principio abbia evangelizzato la Galilea. Ora se poniamo la data della sua partenza dalla Palestina nell'anno 42, ritenuto comunemente come l'anno di separazione degli Apostoli, possiamo anche ammettere ch'egli abbia fatto delle soste presso la Madonna tanto prima del 42 come dopo in occasione di qualche ritorno in Palestina prima della morte di Maria. Comunque sia S. Matteo si era proposto di scrivere ciò che andava predicando, in altre parole di redigere un Vangelo. Possiamo anche credere che egli, vivente Gesù, abbia preso delle note riassuntive dei discorsi del Maestro e ciò è naturalissimo trattandosi di un uomo assuefatto alle registrazioni di ufficio. Nel predicare in Galilea egli aveva avuto modo di ravvivare i suoi ricordi, completarli con le atte stazioni di numerose persone ancora viventi che erano state testimoni della predicazione di Gesù e dei suoi miracoli. Aveva sentito parlare di Giuseppe da molti che l'avevano conosciuto e conservavano per lui la più profonda stima. Però Matteo conosceva soltanto il fatto della nascita verginale ma non sapeva nulla dell'annunciazione né dell'infanzia del Salvatore. Può anche darsi che egli abbia raccolto sul posto questa ingenua domanda: «Ci parlate del Profeta, Gesù di Nazareth? Non era il figlio di Giuseppe, il falegname?»
Deciso a scrivere la storia di Gesù, reso attento ai misteri dell'infanzia del Cristo anche per le questioni e critiche espresse dai suoi uditori, Matteo avrà sollecitato degli schiarimenti dalla Vergine stessa. Nel corso delle sue predicazioni si era reso conto della forte influenza degli argomenti scrittura li sugli uditori Galilei e Giudei. Tutta la vita del Cristo, era tracciata sulle scritture e parecchi passi rimasti fino allora incompresi e falsati nel loro significato s'illuminavano di giusta luce di fronte agli avvenimenti della vita di Gesù.
Era di grande importanza il precisare la discendenza davi dica del Maestro. La sua nascita verginale, conosciuta senza alcuna ombra fin dall'inizio della predicazione cristiana, proiettava una chiarezza nuova su una celebre pagina di Isaia. Per tutte queste ragioni Matteo sentiva il bisogno imperioso di ricorrere a Maria.
Ella sola poteva fornire gli elementi sicuri della genealogia paterna di Cristo, dal punto di vista legale e, soprattutto, Lei sola poteva fornire nei riguardi della nascita reale di Cristo le informazioni indispensabili a spiegare perché, nato a Betlemme, il Fanciullo divino era cresciuto a Nazareth. Tutte ragioni di cui Maria dovette rendersi conto. Dovette pensare ad approvarne la bontà. Non poteva perciò rifiutarsi ai desideri tanto legittimi dell'Evangelista sebbene esistessero ancora in una certa misura i motivi che l'avevano trattenuta sempre dal far confidenze. Maria non voleva, mentre si predicava Cristo, essere messa in scena, almeno fino a tanto ch'Ella rimaneva in questo mondo, ché la vita nascosta di Gesù era diventata il modello della sua vita quaggiù. Ella acconsentì, dunque, ad aprirsi con S. Matteo ma con la riserva che soltanto più tardi sarebbero stati rivelati quell'insieme di documenti in cui, Giuseppe appariva tanto bene in primo piano da poterli denominare i «Ricordi » di Giuseppe. Matteo difatti non li dovette usare che molto tempo dopo la morte della Madonna e in attesa di innestarli nel suo Vangelo è facile che non li abbia comunicati ad alcuno. Anche lui dovette attendere l'ora. Tutti gli uomini debbono saperlo fare, ma più di tutti coloro che si professano seguaci di Cristo, di Colui il quale di questo grande principio di condotta umana ha offerto esempio sorprendente.
Così noi spieghiamo come i documenti entrati in possesso di S. Matteo, probabilmente prima dell'anno 42, non furono messi in circolazione che una ventina di anni più tardi e non furono prima conosciuti da altri, tolto forse S. Giovanni il quale era legato dallo stesso segreto e dallo stesso obbligo del silenzio (36).

Maria e il Vangelo di S. Luca. - Fino ad ora ci pare che i critici più accaniti possano muovere serie obbiezioni alle nostre ipotesi: forse si possono correggere dei dettagli alle nostre congetture ma non si cambierà gran cosa alle conclusioni. È possibile, per esempio, che Matteo non abbia ricevuto direttamente da Maria i documenti che egli utilizzava ma da Giovanni quando la Madonna aveva già lasciato questa terra; possibilità tuttavia, poco probabile. Sembra invece che Matteo fosse già erudito, se così possiamo dire, quando per attingere alla medesima sorgente si presentò un medico zelante, convertito dal paganesimo da S. Paolo e di venuto uno degli assidui compagni del grande apostolo. Il medico, tutti lo sappiamo, era S. Luca.
Luca era d'Antiochia ed era uomo di alta coltura. Maneggiava il greco a perfezione. Il breve preambolo ch'egli ha posto all'inizio del suo Vangelo lo rivela come uno scrittore ben sicuro della sua penna e come uno storico cosciente dei suoi doveri. Egli non aveva conosciuto il Cristo ma dal giorno della sua conversione s'era fatto un dovere di raccogliere tutti gli insegnamenti possibili per poter appoggiare sulla roccia della certezza la sua fede e quella degli altri. Lui stesso ci assicura di questa costante diligenza nelle sue ricerche, «dall'origine» ossia dall'epoca della sua conversione. Egli interrogò senza posa i testimoni oculari della vita, degli insegnamenti, dei miracoli di Gesù e il suo Vangelo difatti porta le tracce della sua assiduità. Luca ha arricchito considerevolmente il Vangelo orale primitivo che egli prese come base fondamentale del proprio testo dopo averne potuto verificare le attendibilità delle notizie. Ciò attestava la sua alta stima per il primo Vangelo al quale aggiunse un buon numero di testimonianze di cui possiamo congetturare le origini: quelle, per esempio, di Maria di Betania, di Giovanna a Chuzo, di Cleofa, uno dei discepoli di Emmaus.
Fra tutte queste fonti ve n'è una sola che Luca si è preso cura di segnalare con una dichiarazione esplicita e cioè, Maria la Madre del Salvatore, che gli fornì un tesoro di informazioni. Come pervenne alle sue mani tale tesoro? Questione non difficile a risolversi se non si complicasse con la seguente: Come mai questo tesoro era alleggerito dalle ricchezze offerte al pubblico cristiano dal Vangelo di Matteo? Ci troviamo di fronte all'enigma affacciato precedentemente.
Abbiamo usato altra volta il paragone della moneta d'oro spezzata in due. Evidentemente se si trattasse davvero d'un pezzo d'oro tutto sarebbe facile. Il primo pezzo è stato dato a Matteo, il secondo a Luca. Ma invece non si tratta che d'un paragone.
Supponendo che Maria avesse di proposito dato a Matteo soltanto ciò che rispondeva strettamente al suo programma, ci si può domandare perché Luca non fu messo al corrente di questi fatti già raccontati circa l'infanzia di Gesù, lui che aveva manifestato la lodevole intenzione di c conoscere tutto esattamente allo scopo di scrivere con ordine»?
Saremo inclinati a credere che S. Luca non abbia conosciuto personalmente la Madonna, per conseguenza egli avrebbe ricevuto i documenti manifestati nel suo Vangelo attraverso un intermediario che a sua volta sarebbe stato legato da una consegna formale. La Vergine non aveva avuto certo il bisogno d'imporre la sua volontà con chiasso e se noi usiamo anche qui la parola consegna lo facciamo con la coscienza precisa di ciò ch'essa contiene di troppo imperativo e di duro. Maria era circondata da troppo rispetto perché il minimo desiderio da Lei espresso non divenisse per i circostanti un dovere dei più sacri.
Seguiamo l'ipotesi dell'intermediario fra Maria e S. Luca.
Chi fu? Viene immediatamente alle labbra il nome di Giovanni, ché Luca alla ricerca dei documenti necessari alla sua storia non poteva mancare di battere a tale porta. Giovanni non lasciò Gerusalemme - si crede - che al momento della partenza generale dei cristiani dalla capitale in decadenza ed in rivolta contro Roma, per ritirarsi a Pella, dunque circa l'anno 66. Luca probabilmente ebbe occasione di vederlo in più riprese e immaginiamo con quale santa avidità l'avrà interrogate. Fra i propositi del pio medico c'era un punto che doveva piacere moltissimo a Giovanni: l'intenzione «di scrivere con ordine». Difatti ciò di cui difettava la catechesi primitiva, con altre parole, il Vangelo orale, era appunto la cronologia. L'esattezza dei fatti non ne soffriva. Poiché nei primi tempi della predicazione il Vangelo era manifestato ai fedeli con frammenti più o meno brevi inseriti nella celebrazione della Cena, l'ordine cronologico aveva importanza relativa. I nostri Vangeli domenicali cominciano uniformemente con le parole: In quel tempo ... Non c'erano inconvenienti anche se i racconti orali degli apostoli erano ogni volta incominciati con formule generiche. Ma dal momento che la prima generazione cristiana stava per scomparire e necessitava quindi la redazione d'un testo per le età future, diveniva pure necessario un ordine storico.

Giovanni aveva tanto ben compreso tale opportunità che il suo Vangelo porterà più tardi le note cronologiche più numerose, più esatte. Ed abbiamo già affermato che l'influenza della Vergine Maria non deve essere stata estranea a tale pia minuziosità.
S. Giovanni era perfettamente in grado di rendere a Luca i preziosi servizi. C'è da osservare però che egli mantenne la sua riservatezza in primo luogo, col non svelare nulla di quel Vangelo «complementare» che portava nel proprio cuore e che aveva elaborato nelle lunghe e quotidiane meditazioni con la Vergine e, in secondo luogo, col non accennare a Luca dei documenti trasmessi dalla Madonna e, forse da lui stesso a nome di Lei a S. Matteo. Sono due considerazioni complementari: la prima ci aiuterà a comprendere meglio la seconda.
Riprendiamo più profondamente le due constatazioni: Giovanni non ha rivelato nulla del proprio Vangelo. E' un fatto che appare evidente: nel terzo Vangelo non c'è alcuna traccia delle idee, delle percezioni teologiche, delle discussioni, paragoni ed allegorie e dei discorsi che si trovano nel quarto Vangelo. Si può dire: Ma Giovanni non doveva stendere tutto il suo racconto che quarant'anni più tardi. Stendere, sì, ma non inventare. Ciò che Giovanni scrisse verso l'anno 100 lo conosceva bene anche nel 60. Ricordiamo quanto abbiamo affermato in precedenza che Egli ha vissuto nell'intimità più filiale verso la Vergine Madre.
Se Maria ha potuto dire che «conservava tutte le parole meditandole in cuor suo» anche Giovanni poteva dire altrettanto dei propri ricordi. Nessun dubbio che egli abbia nutrito il suo fedele amore, la sua anima e la sua fede con i ricordi del suo adorato Maestro. E nessun dubbio che giorno per giorno, d'accordo con Maria e stimolato da Lei, non sia nato un inventario esatto e completo di ciò che poteva arricchire in futuro i fatti del Vangelo orale edificato da Pietro e dagli altri testimoni immediati della vita pubblica. Ma ancora una volta Giovanni attendeva l'ora. Crediamo che non si possa spiegare in altro modo il silenzio volontario da lui osservato fin dopo la morte di Pietro e Paolo, fino a quel momento che possiamo chiamare «la sua provvidenziale entrata in scena».

Noi non ci fermiamo neppure al meschino pensiero d'una riserva dettata da una piccola gloriuzza personale, cioè che il progetto di pubblicare un giorno quanto sapeva sui particolari della vita del Redentore potesse trattenerlo dal manifestare i documenti ad un terzo. E' un'insinuazione indegna del carattere di S. Giovanni. E per di più è contraddetta dai fatti perché se Giovanni. pensava di riservarsi degli «inediti» per usarli in futuro, avrebbe potuto servirsi anche delle preziose «memorie» di Maria. Non l'ha fatto: ciò prova che egli era immensamente più alto dei gretti calcoli di una rinomanza letteraria.
Senza inconvenienti e senza ingiustizia non si possono prestare a Giovanni idee tanto meschine e per giustificare il suo silenzio verso Luca non resta altro che ricorrere alla spiegazione proposta nel secondo capitolo di questo studio: Maria aveva collaborato nella formazione del suo futuro Vangelo e gli aveva raccomandato di aspettare l'ora. Aveva distolto Giovanni da ogni premura. L'una e l'altro sapevano bene che non si deve, come dirà più tardi S. Vincenzo de' Paoli, «anticipare i tempi alla Provvidenza».
Nel periodo in cui Pietro viveva e dirigeva la Chiesa, e per tutta la durata della prima generazione cristiana, era buona cosa, giusta e conforme alla volontà di Dio, attenersi alle forme della predicazione primitiva. Senza alcun dubbio si poté apportare, cominciando dalla seconda generazione, cioè dieci o vent'anni dopo la morte della Madonna, qualche aggiunta complementare circa l'infanzia misteriosa del Cristo e la vita nascosta a Nazareth. Ma anche qui conveniva rispettare il mistero di cui Gesù si era circondato. La vita nascosta doveva rimanere tale in tutto il corso dei secoli.
Supposto che Maria abbia manifestato il suo segreto a Giovanni - e lo si ammette volentieri riconoscendo l'uso fatto dall'apostolo nel Prologo dei passi relativi alla Sapienza - deve poi aver regolato Ella stessa ciò che era il caso di pubblicare a tempo opportuno e ciò che doveva rimanere per sempre nascosto nell'ombra.
Tentiamo di rendere chiaro il nostro pensiero attraverso un dialogo immaginario.

Giovanni: Madre mia, più d'una volta m'avete parlato della visita dell'Angelo quando eravate nella vostra casa di Nazareth. Mi avete raccontato la nascita a Betlemme del mio dolce Maestro. Ho conosciuto, per grazia vostra, le sublimi conversazioni tra voi due quand'egli cresceva in Sapienza e in grazia dinnanzi a Dio e agli uomini. Quanti dei nostri fedeli, guadagnati alla luce dagli sforzi di Pietro e degli altri apostoli, sarebbero stati felici di sapere queste belle cose! Non ci permetterete di dire loro come è nato il Salvatore e quali erano le promesse del cielo sulla sua culla?
Maria: Sì, figlio mio, essi sapranno un giorno ciò che desidereranno. Ma l'ora non è ancora venuta; Un prezioso insieme di «ricordi » è già stato manifestato all'apostolo Matteo che aspetterà per scriverli il momento propizio. Io non ti abbandonerò per raggiungere il Signore senza averti lasciato il racconto di quello che i discepoli debbono conoscere. Ma ciò che è stato consegnato a Matteo, col sigillo provvisorio del silenzio, non sarà toccato. Siamo legati dalla stessa consegna imposta a Lui. Se egli ci domanderà di completare qualche notizia non ci rifiuteremo e seguiremo in ciò le aspirazioni dell'alto. Se qualche altro scrittore si presentasse in nome del Signore non potremo riferire ciò che è stato affidato già a Matteo: sarebbe un fargli offesa. Ma potremo aprire nuovamente il nostro tesoro e confidare ciò che esso ancora contiene.
È facile individuare ciò che d'arbitrario contiene questo dialogo, ma crediamo che Giovanni; unico depositario delle «memorie » di Maria, quando essa fu assunta in cielo, si sia sentito legato dagli impegni resi verso Matteo e non si sia creduto Quindi in diritto di manifestare a dei terzi le confidenze che solo Matteo aveva ricevuto. Come del resto anche quest'apostolo - se Luca lo poté incontrare ed interrogare (37) ­ non credette poter rivelare quelli, che abbiamo chiamato i «ricordi » di Giuseppe. Ciò basta per spiegare il duplice fatto delle differenze dei racconti sull'infanzia e insieme la perfetta coincidenza su punti essenziali.
Maria avrebbe dunque redatto prima di morire o forse ha dettato ciò che si trova nei primi due capitoli di S. Luca. S. Giovanni avrebbe avuto in consegna la preziosa redazione e Luca in cerca di documenti per la storia di Gesù sarebbe stato scelto dalla Provvidenza per portare quel testo a conoscenza della Chiesa della seconda generazione. Una sapienza superiore aveva presieduto a queste rivelazioni parziali e successive. I «ricordi » di Giuseppe dovevano essere conosciuti per primi. Essi presentavano una prima affermazione del dogma della nascita verginale e donavano al dogma stesso l'appoggio della «giustizia » di Giuseppe e il fondamento del testo di Isaia divenuto per la prima volta luminoso. Né si potrebbe pretendere che tutto questo racconto sia stato creato per convalidare un passo - quello di Isaia - poiché nessuno l'aveva compreso fino allora e perché la divinità di Gesù era ormai una certezza acquistata indipendentemente dal racconto della sua concezione soprannaturale. Al contrario le testimonianze indubitabili che la predicazione apostolica aveva accumulato sui miracoli e gli insegnamenti di Gesù, sulla divina sua missione e suo diritto al titolo di Figlio di Dio, aprivano le vie, nel pensiero dei primi cristiani, alla fede più cieca verso le novelle rivelazioni concernenti le sue origini miracolose.

Più si riflette al carattere delicato di queste rivelazioni in cui l'onore della Vergine, e per conseguenza quello del suo Figlio divino, si trovano impegnati; più si ammira la perfetta prudenza di Maria in tutto, più si comprende il suo lungo silenzio e più si intende il motivo delle diverse tappe nella pubblicazione dei racconti dell'infanzia. Non diciamo che tutto sia stato predisposto come poi in realtà avvenne. Tutti gli avvenimenti di questo mondo comportano una parte enorme di oscurità per noi. Comunemente le ombre si chiamano «destino», ma la sapienza cristiana vede dappertutto l'azione della Provvidenza. Gesù aveva detto con parole profonde: «I capelli stessi del vostro capo son tutti contati».
Il problema esaminato è stato dunque risolto da Maria e Giovanni tenendo conto delle circostanze in cui essi riconoscevano la volontà divina. Molte di tali circostanze sono ignote a noi ed è probabile che se le conoscessimo tutto si farebbe più chiaro. Ma non siamo in pericolo di sbagliare ammettendo come fattori essenziali le due virtù dominanti in Maria: la sua umiltà e la sua sapienza.
Importanza dei documenti di S. Luca. - Per lungo tempo questa sapienza e questa umiltà s'erano fuse per privarci degli inapprezzabili documenti racchiusi nei primi due capitoli di S. Luca. Sembra ormai certo che soltanto alla fine della sua vita, Maria abbia aperto il suo tesoro alla posterità, pensando unicamente alla gloria del suo divin Figlio.

Questi capitoli del terzo Vangelo appartengono essenzialmente alla storia di Cristo. Ce ne siamo già serviti nella misura delle nostre forze raccontando l'infanzia del Salvatore (38).
Ma se essi non sono stati pubblicati per sodo disfare a delle semplici curiosità ed ancor meno per servire da piedestallo postumo alla Madonna, essi non sono meno stupendamente utili agli storici desiderosi di scrivere intorno alla Madre di Cristo. Senza di quei documenti non conosceremmo nulla di Lei.
Né il Vangelo di Marco, né quello di Matteo é meno ancora quello di Giovanni forniscono le basi indispensabili alla più modesta analisi psicologica ed al più breve saggio di storia.
Grazie a S. Luca invece, noi possiamo finalmente uscire dalle semplici congetture. Non solamente i suoi due capitoli ci parlano di Maria intrattenendoci su Gesù, ma ciò che è di ben maggiore interesse per noi, essi emanano direttamente da Maria stessa. Essi portano una impronta armonica che tutti gli studiosi hanno notato. Conservano un carattere nettamente preevangelico; formano nel terzo Vangelo un tutto a sé. Se l'Evangelista ha posto qua e là la nota personale del suo stile, come certi critici hanno voluto riconoscere, essi però hanno conservato sotto una debole vernice superficiale, lo stesso testo con cui erano stati espressi a Luca. Possiamo dunque inchinarci con tutta fiducia su questi passi. Se bastano poche espressioni per giudicare un uomo qui abbiamo assai di più del numero desiderato.
Il Vangelo dell'infanzia di Gesù in S. Luca comprende 132 versetti, esclusa la genealogia. È poco ed è pure una ricchezza inestimabile: vi è in essi una densità straordinaria di fatti e di pensieri. Esempi e parole: ciò che ci rimane da meditare.
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07/09/2012 22:07

Capitolo V

Sommario:
- Scopo della presente opera.
- Riassunto dei capitoli precedenti.
- Sede della Sapienza.
- Ancella del Signore.
- Genesi psicologica del Magnificat.
- Riminiscenze bibliche del Magnificat.
- L'intelligenza di Maria nel Magnificat.
- Conclusione.

***

Scopo della presente opera. - Attraverso le pagine che precedono non abbiamo perduto di vista il particolare scopo che cerchiamo di raggiungere con l'opera presente. Non ci siamo affatto proposti la soluzione di qualche spinoso problema di critica storica o di esegesi. Se tali problemi si sono affacciati e si è tentato di risolverli, è stato però con un interesse secondario. Noi vorremmo ricostruire la storia degli ultimi anni di Maria. Ma per ora desideriamo soprattutto contemplare nella lontananza dei tempi un viso di Regina, togliere dall'ombra in cui si è volontariamente nascosta la più bella figura di donna, di madre, di vergine e di principessa che la storia conosca.
Avendo scritto una modesta «Vita di Gesù» abbiamo voluto aggiungere un saggio di Maria. Dicevamo cominciando la prima: «Il Vangelo è un oceano. Ciascuno di noi vi getta la sua rete; Noi portiamo qui il risultato della nostra pesca ».
Abbiamo tentato di nuovo di pescare in un'acqua profonda. E non ci sembra che i nostri sforzi siano rimasti senza successo. La prima impressione che si prova nel considerare l'esistenza terrena della Vergine Immacolata è di sorpresa con una specie di delusione. Non si trova di fronte a sé che silenzio e buio. La vita nascosta di Gesù è durata trent'anni su trentatré. Quella di Maria è durata sempre. È grazia se conosciamo attraverso qualche episodio smagliante di bontà un anno o due della sua lunga carriera quaggiù. Dall'annuncio di Giovanni Battista e dalle perplessità di Giuseppe al ritorno dall'Egitto, sono trascorsi forse diciotto o al massimo venti mesi. Ciò avveniva entro il quindicesimo e il diciassettesimo anno di Maria che ha trascorso su questa terra dai sessantacinque ai settant'anni. Tolti i racconti dell'infanzia di Gesù, non sappiamo più nulla di Lei se non attraverso qualche cenno sparso qua e là. Ignoriamo perfino la data della sua morte. I Libri del Nuovo Testamento non ci dicono nulla dei suoi ultimi anni.
E intanto la devozione a Maria non ha cessato di crescere attraverso i secoli. Ciò che essa aveva annunziato si è realizzato: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata ». Cos'è dunque questa attrattiva divina ch'Ella esercita sugli spiriti dal fondo di questa notte dei secoli? Non c'è da parte nostra un tentativo temerario: quello di dirlo?
Che cosa abbiamo visto finora? Riuniamo in un fascio unico le luci ottenute dagli accostamenti di qualche fatto preciso che conosciamo.

Riassunto dei capitoli precedenti . - L'indomani della festa di Pentecoste Maria è stata ospitata nella casa di Giovanni. E vi resta fino alla sua morte. Non pare che Ella abbia mai lasciato Gerusalemme. Ha fatto forse ancora il viaggio della Galilea e di Nazareth? Non lo sappiamo. Non sappiamo più niente di Lei, e S. Giovanni stesso «il figlio del tuono» sembra aver deposto la impetuosità per non cercare che la solitudine.
S. Giovanni rimane più di trent'anni - in apparenza di meno - lontano dall'attività apostolica comune ai messaggeri di Gesù. Come il suo Maestro egli avrà avuto la sua vita nascosta. Davanti alla casa di S. Giovanni, profumata dalla presenza di Maria, la parola «Chiostro» si presenta da sé allo spirito. Negli ultimi anni del secolo XI e nei primi del secolo XII vi fu un uomo che pare fosse ossessionato dal mistero di questa santa agitazione. Era un contemplativo e insieme un oratore d'una eloquenza irresistibile. Si lasciava tutto per seguirlo. Trascinava le folle dietro di sé, nei suoi spostamenti. Il teatro delle sue predicazioni era la terra d'Angiò e la Bretagna. Si chiamava Roberto d'Abrissel; finì per fondare un Ordine doppio che si chiamò l'Ordine di Fontevrault (1099). Ciò che vi era di particolare in Quest'Ordine è che vi si venerava con un culto speciale il ricordo della clausura della Vergine Maria e di S. Giovanni al punto che era sempre la Badessa di Fontevrault, a mantenere la direzione effettiva dei due Ordini di Religiose e Religiosi, appunto come Maria aveva la prima parola nel Chiostro primitivo dove S. Giovanni riceveva le sue materne lezioni.
Fontevrault è un bellissimo esempio dell'attrattiva esercitata da Maria. Nella solitudine in cui Ella si nasconde, d'accordo con S. Giovanni, non si fatica ad indovinare le ascensioni d'una vita intensa. Di fatto abbiamo visto l'azione di Maria tradursi in fatti sensibili in ciascuno dei quattro gloriosi Vangeli. Quello di Marco ha ricevuto da Lei i limiti a cui attenersi. Il suo sguardo si è trovato così giusto, la sua prudenza così alta e la saggezza tanto consumata che non si può per ciò stesso immaginare che le cose avrebbero potuto essere diverse. Gli elementi più importanti per i quali il primo e il terzo Vangelo differiscono dal secondo e differiscono fra loro, sono pure, abbiamo detto, per una gran parte, da attribuirsi all'influenza della Vergine Maria.
Da Lei ci sono pervenuti in S. Matteo i ricordi di Giuseppe, e ancora per suo intervento leggiamo in S. Luca le deliziose narrazioni che hanno incantato tante anime e le incantano ancora.
Infine c'è un Vangelo che i contemplativi, hanno sempre preferito agli altri, dove hanno meglio ricercato l'alimento delle loro attente elevazioni, dove Gesù ci appare più intimo, più vicino, più amante, e questo Vangelo abbiamo creduto di poterlo chiamare senza alcun pregiudizio, per la gloria di Giovanni, il Vangelo di Maria per eccellenza. Così quest'apparente inazione della Vergine valeva ai nostri occhi un'azione in profondità d'una rara potenza, allo stesso modo che il suo silenzio era un «silenzio lirico», un «silenzio cantante».
È venuto di verificare le nostre deduzioni, di controllare la nostra ipotesi.
Sebbene abbiamo riscontrato, i passi sicuri ci provengono da Maria stessa - quei due primi capitoli di S. Luca dove possediamo le «memorie» della Vergine - ci devono dar modo di ritrovare le grandi linee che tracciano per noi un ritratto psicologico. Senza dubbio una persona che si vede a cinquant'anni e il cui spirito è sempre stato sveglio e la cui anima non ha cessato di progredire deve essere assai diversa da quel che era a quindici anni. Se noi avessimo assistito alle conversazioni fra Gesù e i dottori della legge nel Tempio quando Egli aveva dodici anni troveremmo forse una grande distanza fra la sua «sapienza» precoce e quella dell'età matura. Maria stessa ci è garante che Egli era costantemente «cresciuto in sapienza e in grazia, come in altezza.

Maria pure ha dovuto «crescere». Le sue ascese non hanno mai avuto riposo. Ella ci fa giustamente conoscere, a proposito dell'episodio che stiamo ricordando, che Ella non comprese allora ciò che Gesù le aveva risposto. È un modo di farci capire che Ella lo comprese in seguito. Abbiamo tentato di dire, difatti, ciò che erano stati per Lei i diciotto anni che durò ancora la vita nascosta del suo Divin figliuolo a Nazareth. Non possiamo dunque né dobbiamo attenerci a ciò che rivelano le sue «Memorie» dove non si trovano che alcuni brevi documenti della sua giovinezza. Se ci appoggiamo a questi dobbiamo farlo per trame lo spunto e svilupparli per quanto è in noi, in quel senso che essi ci indicano.
Intanto però non rientra nel nostro piano di riprendere il racconto dei misteri dell'infanzia di Gesù. Tale racconto fa parte della vita del Divin Maestro e noi non abbiamo nulla da aggiungere. Ciò che ci interessa è tutto quanto contribuisce a farci conoscere l'animo di Maria, come i tratti del suo carattere, la sua fisonomia morale, in una parola la sua santità.
La grande difficoltà del nostro compito consiste nel trovare una cornice al ritratto che dobbiamo fare. Quando si trovano le cornici ordinarie ci si accorge che sono misere ed anguste. Si crede comunemente di aver detto tutto intorno a una creatura u'mana quando si è parlato della sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore. Ma questa triplice divisione, così comoda negli altri casi, in quello della Vergine appare penosamente artificiale, non c'è un atto né un disegno in cui non siano impegnati contemporaneamente ed intimamente la nostra sensibilità, la nostra capacità di comprendere e la nostra potenza di decisione. E se ciò è vero per tutte le creature umane, a maggior ragione è vero trattandosi di una delle vite più alte che sia passata sulla terra. Il tutto è nel tutto.
Ma poiché i nostri poveri discorsi non possono contenere la mobile realtà senza piegarsi al gioco delle divisioni e distinzioni, tenteremo di svolgere la nostra interpretazione di uno spio rito così grande nelle tre parti che comporta ogni analisi psicologica e parleremo in questo capitolo dell'intelligenza di Maria, nel seguente della sua volontà e nel terzo del suo cuore.

Sedes sapientiae. - L'intelligenza di Maria? Si dovrebbe dire la sapienza. Ci siamo già spiegati sul significato di Questa parola. Evidentemente la sapienza è stato l'ideale terreno di Maria. Acquistare la sapienza è lo scopo di ogni vita umana. Se ci si domandasse: perché siamo stati creati, noi potremmo rispondere: per possedere la sapienza. E non si creda che si tratti solamente dell'idèale della vita presente. Il possesso della sapienza è l'essenza anche della vita eterna. «La vita eterna - ha detto Gesù parlando al Padre - è che essi conoscano Te, il solo vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cristo».
Come per un lampo che squarci le nubi, noi percepiamo d'un tratto il motivo e la ragione ultima dell'intelligenza.
È la capacità di conoscere. Ma che cosa è che dobbiamo necessariamente conoscere? Solo quello che ci colloca nella linea del nostro immortale destino. Noi veniamo da Dio. Noi ritorniamo a Dio. L'intelligenza saggia è quella che si attacca a Dio, quella che vede Iddio, che abbraccia la catena degli affetti risalendo alla Prima Causa che è Dio. Se la vita eterna consiste nel conoscere Dio e Gesù Cristo, la vita terrena non può avere altro scopo che di iniziarci a tale conoscenza. E si può dire che un'anima è tanto più intelligente quanto più va direttamente, fortemente, intimamente a Dio, attraverso tutti gli avvenimenti e tutte le creature. Certamente siamo ben lontani da certe concezioni della nostra epoca materializzata ed avvilita. L'intelligenza contemporanea si è chiusa negli effetti fino a diventare cieca rispetto alla Causa. Essa non ha voluto avere attenzione che per ciò che passa. Gli alberi le hanno nascosto la foresta. Le onde le sottraggono l'oceano. Ma chiunque pensi al significato della vita dello spirito, comprende la vanità di tutta quella scienza che guarda alle cose caduche ed ignora ciò che è eterno.
Chi non vede al contrario che la sapienza definita come conoscenza di Dio e di Cristo è stata uno dei più eminenti privilegi di Maria? Se rileggiamo le pagine che sappiamo uscite dalla sua mano o almeno dal suo pensiero - ci riferiamo non al Prologo di Giovanni in cui abbiamo creduto di trovare il timbro a secco, ma ai primi due capitoli di S. Luca che portano la sua firma in chiaro - ci stupiremo subito della presenza costante del nome di Dio fin dalle prime linee.
Maria vede Iddio dappertutto. Maria non pensa che a Dio. Egli è il suo Tutto, il Principio e la fine di tutte le cose. Ella parla di Lui con la stessa naturalezza con cui respira. Non si sente nemmeno più la ricerca di Dio in ciò che ella scrive, tanto il pensiero di Dio fa corpo con la sua anima.
Se vuol fare l'elogio della virtù di Zaccaria e di Elisabetta non ne parla come farebbero i narratori del nostro tempo. Ella non dice: «c'erano due buoni vecchi, diritti e giusti, viventi nella pace e nel compimento del loro dovere». Il dovere? E' un'astrazione.
L'intelligenza di Maria vede il concreto, il reale che palpita e vive. Perciò Ella descrive: «essi erano ambedue giusti dinnanzi a Dio vivendo irreprensibilmente secondo tutti i precetti e gli ordini del Signore».
In verità un elogio più bello di creature umane non si può fare. Vuoi presentare Zaccaria , nell'esercizio delle sue funzioni? Ella non dimentica Colui che deve essere il centro di tutti i nostri atti: «Or avvenne che mentre Zaccaria esercitava le sue funzioni sacerdotali secondo il suo turno al servizio di Dio ...».
Un poco più avanti per definire la maestà dell'angelo, noi leggiamo queste parole che per Maria contengono ogni titolo d'amore: «Io sono Gabriele che sto davanti a Dio». A maggior ragione la scena dell'annunciazione è tutta penetrata dalla presenza di Dio. Pare che non fosse necessario dire che Gabriele era mandato da Dio. Veniva da sé. Ma la Vergine precisa nel suo racconto: «Sei mesi dopo, l'Angelo Gabriele fu mano dato da Dio ...».
E quale sarà la prima parola dell'Angelo? «Salute, o piena di grazia, il Signore è con te». Egli sapeva che Ella nella sua vita desiderava una cosa sola: possedere Iddio. Il cielo stesso approva così il suo ideale, canonizza la sua saggezza, incoraggia il procedere ardente del suo spirito.
«Il Signore è con te!» Non si può dire nulla di più consolante e di più forte ad un'anima, ma si suppone da parte di quest'anima un costante sentimento della presenza divina. Dio è con coloro che pensano a Lui. La condizione della sua presenza in noi è l'adesione del nostro spirito a questa presenza stessa.
Egli è in noi quando lo dimentichiamo, ma non è con noi. È in noi a nostra insaputa. Vi è come testimonio e come Giudice. Nulla può distogliere la vigilanza di questo testimonio. Nulla può sfuggire all'autorità di questo Giudice.

Ancella del Signore. - Maria non è che una giovinetta di quindici anni. Vede Iddio in tutte le cose. L'Angelo Gabriele ci è garante, con le parole stesse del suo saluto, che Dio non abbandona mai il suo pensiero. Ma non ci ha detto qual'era la sua disposizione interiore davanti a Dio. È Maria stessa che involontariamente ce lo fa conoscere. Quando l'Angelo le annuncia il suo divino messaggio, quando ha fatto la rivelazione prodigiosa che Ella diverrebbe la Madre di Dio, nella luce abbagliante ed improvvisa di tale annuncio, essa trova la sola parola che può convenire a tale grandezza. E la trova senza sforzo, senza apparenza di riflessione, come una cosa che va da sé, come un'evidenza speciale: «Ecco l'Ancella del Signore, sia fatto di me secondo la sua parola».
Non potremo mai abbastanza estasiarci su tale miscuglio di semplicità e profondità. Chi oserebbe dire che tutto ciò non rientra nella linea più pura di tutto il Vangelo? Chi pretenderebbe dire che la Madre non abbia trovato in quest'occasione tutto ciò che la sapienza del Figlio potrà insegnarci più tardi? Gesù dovette dire ai suoi discepoli: «Quando avete fatto tutto ciò che è comandato dite: siamo servi inutili, non abbiamo fatto che il nostro dovere» (Lc 17, 10).
Ecco la perfezione, rimanere nel novero dei servitori, capire Dio e se stessi. Maria ha avuto questa sapienza. Ciò prova la solidità del suo spirito. Ella ha saputo andar diritta all'essenziale, poiché l'essenziale è di sapere ciò che siamo e ciò che facciamo sulla terra, è di conoscere Dio e se stessi.
«Conoscere Voi! Conoscere me!» Griderà S. Agostino. In verità tutto sta lì. Ed è per questo che non c'è una profonda intelligenza senza una profonda religione. Basta riflettere un momento per vedere la sola parola: «Ecco l'Ancella del Signore» contiene tutto lo spirito della vera religione, cioè di quella che non è semplice speculazione, una velleità superficiale, ma una laboriosa realtà. Che cos'è d'altro la religione se non «servire Dio»? Saper che Dio è il Re, il Maestro, il Sovrano Signore, che noi riceviamo tutto da Lui, che tutto ciò che è in noi è suo, che tutta la nostra vita deve essere orientata verso di Lui, che tutto il resto è illusione e menzogna, fumo e nulla; ecco ciò che costituisce lo spirito religioso e ciò che significa sotto una forma concreta e vivente quella bella parola che fu il motto araldica di Maria «servire»!
Si dirà forse che Ella non aveva inventato il suo motto, ma l'aveva attinto nelle lezioni di sua Madre e nella tradizione della Sacra Scrittura del suo popolo.
Certamente! Ma non è l'invenzione sola che qualifica una intelligenza, è prima di tutto una percezione netta e viva - nell'insieme delle verità che ognuno riceve dal passato, poiché l'uomo è eminentemente un «essere istruito» secondo Lacordaire - dei principi i fondamentali, delle certezze dominanti, degli assiomi da cui deriva la condotta dell'anima. Ora ci sono due cose che sorprendono in quest'incontro dell'Angelo con Maria, che è per noi la prima rivelazione della sapienza che cerchiamo d'analizzare, e queste due cose sono precisamente la chiarezza e la vivacità della percezione intellettuale della Figlia di David.
L'apparizione di Gabriele e l'annuncio del suo messaggio devono essere stati estremamente rapidi. Fu una specie di abbagliamento simile al lampo. Alcuni istanti furono sufficienti per lo svolgimento di tutta la scena. L'Arcangelo si esprimeva con quella «brevità imperiale» in cui gli antichi Romani vedevano il segno dell'autorità. Maria non ha detto che due parole. La prima riguardava il suo voto. Vedremo nel capitolo seguente quali visioni pronte e vaste conteneva la sua domanda quasi angosciata. Le si domandava in un batter d'occhio tutto un cambiamento della sua vita senza neppure che Ella avesse il tempo di prevenire il suo santo fidanzato, Giuseppe, che conosceva il segreto delle sue risoluzioni.
Ma l'Angelo ha ripreso la parola. Istantaneamente Maria intuisce, il suo sguardo si immerge nell'avvenire. La sua vita è cambiata. Ella si affida a Dio per ciò che riguarda la rivelazione che Giuseppe deve ricevere. Con fulminea prontezza Maria distrugge le proprie vedute, annienta le sue concezioni e si inchina davanti alla volontà di Dio. Ma in tutto questo, niente parole, nessuna esitazione, nessun commento: «Ecco l'Ancella del Signore, si faccia di me secondo la sua parola».
E' detto tutto. Il mistero dei misteri è compiuto. Dio s'incarna nel suo seno. E' un attimo questo che non sarà mai sorpassato. Qualunque siano le magnificenze che l'Eterno può far nascere nei cieli e attraverso i mondi, Egli non farà nulla di più grande di quanto è stato fatto in questo momento, in questo luogo e in quest'umile dimora per l'umile accettazione d'una Vergine Immacolata perché non vi è nulla di più grande nei secoli di un Dio fatto uomo. E' quindi vero che Maria aveva attinto la sua sapienza nella sacra tradizione della sua stirpe, ma è ugualmente vero che Ella ha fatto di questa tradizione un uso superiore, ne ha scelto tutto lo splendore, ha ereditato la fede dei Patriarchi, l'entusiasmo civico dei Profeti, ha tolto dai Libri Santi tutta la sostanza che essi contenevano, meglio ancora Ella ha incorporato, per così dire, la Sapienza divina che essi traducevano nella lingua dei Giudei, alla sua vita stessa, alla sua anima, al suo spirito, a tutti i suoi atti, in modo tale che al primo battito, al primo appello questa giovine Vergine di quindici anni si trova miracolosamente al livello della più grandiosa dignità che possa essere affidata ad una donna.
Nei capitoli precedenti abbiamo ammesso che Maria aveva una conoscenza personale molto estesa e profonda della Bibbia; si può dire che Ella pensava Biblicamente e che possedeva tutto quanto è necessario per divenire, al momento opportuno, la maestra del suo divin figliuolo in sapienza biblica, come tutte le madri israelite lo dovevano essere dei propri figliuoli.
E' venuto il momento di provare queste affermazioni per se stesse molto verosimili. Non diciamo che Maria non si sia servita per le sue contemplazioni di quell'altra Bibbia che si chiama natura, noi abbiamo dimostrato, parlando degli sviluppi della scienza sperimentale del Cristo, che Egli aveva preso molti spunti dallo spettacolo della creazione, che Egli aveva penetrato il simbolo così multiplo ed eloquente che Dio ha diffuso nelle cose, al punto che tutte le età della creazione si trovano legate da misteriose corrispondenze significanti in aspetti vari e concordi la sapienza infinita dell'Artista increato (39).
Sarebbe difficile pensare che Maria non abbia avuto, per lo meno in abbozzo, questo dono della lettura dei simboli materiali che ci è valso da parte di Gesù una gran copia di parabole ed allegorie immortali.

Ma per ora sorvoliamo su questo argomento. Se anche la Madonna non avesse chiesto nulla alla contemplazione della natura, le sarebbe bastata la Bibbia. E noi vogliamo semplicemente far vedere fino a qual punto la Bibbia le era familiare e in qual senso Ella l'intuiva.
Ci fa da guida un testo. È breve, ma esprime tutta l'anima di Maria. È tutto vibrante della sua fede biblica. Esso corona le emozioni scatenate in Lei dalla visita dell'Arcangelo. È il solo testo in cui la sentiamo parlare un po' lungamente. E si capisce subito che esso è il Magnificat.

Origine del «Magnificat». - Bisogna anzitutto fare la genesi di questo cantico ammirabile. Non una genesi che tiene conto delle circostanze storiche in cui fu pronunciato, l'abbiamo già detto nel parlare dell'infanzia di Gesù (40); ma una genesi di natura psicologica. Noi vorremmo tentare di indovinare come è nato nello spirito della Vergine, quale fu il cammino del suo alto pensiero dall'istante in cui Gabriele la lasciò fino a quando il Magnificat sgorgò dalle sue labbra. Per una fortuna quasi insperata possiamo ricostruire, con una probabilità che si avvicina alla certezza, le associazioni di pensieri che l'hanno condotta a questa esplosione lirica al momento dell'incontro con Elisabetta.
Tutti sanno che sotto l'effetto d'una viva emozione un flusso di pensieri, di ricordi, di reminiscenze risale spontaneamente al nostro spirito. Avviene ciò che i filosofi chiamano associazione di idee. Si direbbe meglio: suggestione di idee oppure: orientamento d'una corrente di coscienza.
Nulla rivela meglio le qualità d'uno spirito quanto la potenza di suggestione che scaturisce da una grande emozione e la natura delle idee che trasportano in quell'istante il torrente del pensiero interiore.
Partiamo dunque dalle ultime parole dell'Angelo. Egli ha detto a Maria: «Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia ed è già nel sesto mese, lei che era detta sterile».
Maria ha risposto col suo Fiat sublime. L'Angelo è risalito in cielo.
La Vergine comprese subito che la rivelazione di Gabriele, nei riguardi di sua cugina, conteneva una specie di invito di Dio. Ed ella è così sensibile al minimo appello della grazia che si decide senza ritardi a visitare Elisabetta. Senza dubbio è un viaggio lungo, ma che importa? Dio ha parlato e Lei parte.
Con tutta naturalezza, senza che nemmeno Ella se, ne accorga, per semplice gioco di suggestione di idee, il suo spirito si porta ai Libri Sacri che contengono per Lei tutta la sapienza. La sua memoria, ripiena di ricordi biblici, le presenta un esempio, il più vicino a quello di Elisabetta, c'era stata nel passato una madre illustre rimasta per lungo tempo sterile, che aveva pianto per non avere figli e che dopo lunghe insistenze era stata esaudita. Questa Elisabetta della Bibbia era Anna, moglie di Elcana, madre del profeta Samuele.
Maria, affrettandosi nel suo cammino da Nazareth a Ain- Karin, medita sulla rassomiglianza tra sua cugina e la madre d'uno dei grandi profeti del passato. Ella ripete interiormente il cantico di Anna che nella Bibbia letta dai Giudei era nel primo libro di Samuele. Questo canto contiene espressioni di gratitudine religiosa che convengono anche a Maria tanto che essa se le appropria. Le stesse frasi di Anna si accalcano nel suo pensiero, riempiono la sua anima d'una santa esaltazione.
Il mistero dell'Incarnazione compiuto nel suo seno trasporta il suo spirito. Al cantico di Anna si frammischiano dei versetti dei salmi davidici. Una figlia di David li doveva sapere a memoria e recitare costantemente e Maria certo non manca a Questo dovere (41). Così durante i quattro o cinque giorni di cammino, Maria non cessa di benedire interiormente il suo Signore. La sua cosiddetta «tensione interiore» cresce di minuto in minuto, e quando Ella finalmente arriva da sua cugina vi è nel suo sguardo, nel suo viso, nelle parole del suo saluto qualche cosa di talmente soprannaturale, ispirato, rivelatore, che Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, indovina lo splendore del mistero. Ella si sente alla presenza della Madre del suo Messia. E, secondo l'espressione del Vangelo, le «grida» in quell'incontro, la sua ammirazione! «Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del seno tuo. E donde mi è dato che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco infatti appena l'accento del tuo saluto mi è giunto all'orecchio, il bambino mi è balzato per il giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché si adempiranno le cose a te predette dal Signore!»
Questa esplosione di felicità da parte di Elisabetta serve di scintilla allo spirito di Maria. Nello stesso istante una specie di cristallizzazione psicologica si opera in Lei e il sublime Magnificat esce dal suo cuore e dalle sue labbra.
Se la nostra analisi è esatta; non dobbiamo aspettarci di trovare in questo campo delle ricerche d'arte né delle note personali all'infuori dello slancio dell'ispirazione, della fede e dell'amore che rappresentano l'anima stessa del Magnificat. Difatti esaminandolo da vicino ci si stupisce nel constatare che esso dal punto di vista letterario non è che una catena di reminiscenze bibliche.
Per la necessità stessa della nostra dimostrazione tenteremo di rendere la cosa evidente riproducendo lo stesso testo del caotico e sottolineando i punti che sono stati tolti dalla Bibbia.

Reminiscenze bibliche del Magnificat. - L'anima mia glorifica il Signore (42), ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore (43), perché Egli ha rivolto lo sguardo alla bassezza della sua serva, ecco, da questo punto, tutte le generazioni mi chiamano beata; perché grandi cose mi ha fatto Colui che è potente. Il suo nome è santo (44); la sua misericordia si efonde di generazione in generazione su coloro che lo temono (45).
Ha operato prodigi col suo braccio; ha disperso i superbi nei disegni del loro cuore (46).
Ha rovesciato dal trono i potenti ed esaltato gli umili (47).
Ha riempito di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi (48).
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (49).
Come parlò ai padri nostri, ad Abramo ed alla sua discendenza per tutti i secoli (50).
Come si vede il cantico di Maria è un tessuto di espressioni tolte dai libri Sacri. «L'Inno di Maria, dice molto bene il Padre Prat, non è una risposta ad Elisabetta e neppure una preghiera a Dio. E' un'elevazione e un'estasi. Le reminiscenze bibliche si succedono l'una all'altra. La maggior parte delle idee porta l'impronta dei Salmi o dei Profeti. Due o tre espressioni ricordano il grido di riconoscenza di Anna, Madre di Samuele e il grido, di gioia di Lia, madre adottiva di Aser. Ma quale espressione diversa acquistano le loro parole nella bocca della Vergine Immacolata!
Da questo esame sintetico risulta subito che il «lirismo» di Maria è un lirismo disciplinato, diretto, che si mette in una direzione voluta, che si nutre della parola divina con esclusione di ogni altra, che non ricerca affatto la originalità dell'espressione, ma proietta tutta la sua forza e il suo slancio attraverso le parole sacre che già cantano nel suo cuore (51).

L'intelligenza di Maria nel Magnificat. - Ciò che soprattutto dobbiamo. domandare al Magnificat della Vergine sono le indicazioni sullo spirito di questa Madre incomparabile, sulle qualità e le caratteristiche della sua intelligenza, su ciò che si potrebbe chiamare con un nome pretensioso di fronte alla sua semplicità, ma espressivo per noi, la sua filosofia religiosa.
Abbiamo parlato della solidità dell'intelligenza di Maria. Essa va diritto all'essenziale, a ciò che solo conta, a ciò che dura, vale a dire, a Dio e al suo servizio. Abbiamo ricordato la sua vivacità, la chiarezza, la prontezza, l'istantaneità delle sue intuizioni che si ritrovano con tratti più forti e più potenti nelle parole di Gesù, suo figlio divino (52).
Il Magnificat ci permette di intuire altri fatti pure importanti. E anzitutto l'ampiezza della visione in Maria. Ella abbraccia tutti i tempi, prima e dopo di Lei. Se si tratta del passato esclama: «Secondo la promessa fatta ai nostri padri ad Abramo ed alla sua discendenza per tutti i secoli».
Oppure: «E la sua misericordia si estende di generazione in generazione su coloro che lo temono».
Si potrebbe dire ch'Ella si libra al di sopra delle età, come l'aquila che ha gli occhi fissi nel sole e sorvola sulle pianure e le vallate.
Se si tratta dell'avvenire: la medesima estensione di veduta profetica. «Tutte le generazioni - Ella dice - mi chiameranno beata».
Nel passato Ella non vede che Dio e le sue promesse, che per nulla affatto potranno venir meno. In breve Ella riassume tutta la storia della sua stirpe. Le parole dette ad Abramo sono così vicine e vive per Lei come se fossero state pronunciate la vigilia e nell'avvenire Ella contempla in anticipo la gioia della redenzione, la riconoscenza delle anime fedeli, la fierezza che esse proveranno nell'appartenere alla famiglia di Adamo tanto onorata da Gesù e da Maria.
Ma in questa visione d’una ampiezza immensa Maria percepisce un ordine, un'armonia, una regola di giustizia sempre all'opera. Ed è tale percezione che noi abbiamo chiamato la sua filosofia religiosa. I Greci avevano riassunto la loro sapienza nella dottrina misteriosa della Nemesi. Ma essi non avevano saputo introdurvi pensieri di una sapienza superiore. La loro Nemesi - il nome stesso: vendetta, indica ciò che è - appare come una specie di gelosia degli dèi verso la felicità degli uomini. Quanto è più puro, più alto, più giusto, più penetrante il pensiero di Maria. Nel suo cantico il mistero dell'incarnazione non è affatto nominato, eppure è presente in ciascuna parola, dalla prima all'ultima.
Maria vi riconosce nettamente il centro della storia umana. E per lei tale mistero è una decisiva e brillante applicazione delle principali leggi morali del governo del mondo da parte di Dio: il castigo riservato, in questa vita e nell'altra, all'orgoglio, alla potenza ingiusta, alla ricchezza colpevole; la perennità dell'equilibrio mistico dell'universo, la supremazia della giustizia divina, l'infinità della misericordia celeste: tutte queste certezze e questi grandi pensieri formano la trama stessa del cantico mariano.
L'anima che ha sentito, pensato, affermato e proclamato tutto ciò, è qualcosa più d'un'anima geniale, è un'anima di profeta e non è senza motivo che la chiesa l'ha nominata Regina dei Profeti. Aggiungiamo a quanto Sopra un non so che di agilità, di dolcezza, di freschezza verginale, una certa ingenuità diffusa su tutto il brano e si capirà bene il perché la devozione secolare della cristianità ha fatto del Magnificat il cantico rituale e popolare insieme delle sue gioie, e della sua riconoscenza.

Conclusione. - Ed ora concludiamo il capitolo. La sapienza di Maria - nel senso in cui Ella stessa intendeva questo vocabolo - l'abbiamo vista come un possesso largo e tranquillo di Dio, come il frutto delle assidue meditazioni sulla parola di Dio, come una conoscenza già assai profonda, in questa giovane vergine di quindici anni, dei misteri divini! Maria è al disopra dei suoi simili e delle vedute comuni. Non siamo sorpresi di constatare il rispetto con cui le parla un Arcangelo. Non possiamo meravigliarci che Ella abbia potuto sostenere il dialogo con Gabriele. Sono due spiriti della stessa famiglia in due piani diversi di creazione. fra l'Angelo e la Vergine vi è in fondo una intima somiglianza. I teologi ci assicurano che l'intelligenza degli Angeli non è discorsiva e ragionatrice come la nostra. Gli Angeli sono degli intuitivi, mentre noi discutiamo e concludiamo essi vedono. Anche Maria, benché appartenga alla discendenza di Adamo, è dotata d'intuizione diretta più che di ragionamento. I grandi contemplativi sono tutti così. E Maria li sorpassa tutti. Se collochiamo l'intensità di visione della Vergine che conta solo quindici anni, in un domani spirituale, che cosa ci dovremo aspettare da Lei quando Ella avrà formato il suo Gesù e ricevuto nel suo spirito il riflesso della sua c sapienza che cresce »?
E quando noi sappiamo che Ella ha vissuto dieci anni e più in compagnia di S. Giovanni, come una madre presso suo figlio, abbiamo pure motivo di credere che i grandi colpi d'ala del Magnificat hanno dovuto naturalmente sboccare nei grandi slanci del Prologo di Giovanni.
Così, attraverso un giro, ritorniamo alle conclusioni dei capitoli precedenti quando sembrava che noi fossimo in piena congettura, senza trovare in nessun posto dove posare il piede sul suolo sicuro della storia.

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07/09/2012 22:10

Capitolo VI

Sommario:
- Gli eroi.
- Il voto di verginità.
- L'oracolo d'Isaia.
- Maria e Giuseppe.
- Il silenzio di Maria e Giuseppe.
- La predizione di Simeone.
- Una parola di Maria
- Maria Regina dei martiri
- La passione secondo la Bibbia
- La morte di Gesù.

***

Gli eroi. - La sapienza è per l'intelligenza o facoltà di conoscere ciò che l'eroismo è per la volontà o facoltà di decidere e di agire. Si riconoscono i sapienti dal vigore del pensiero, dalla concentrazione interiore del giudizio, dalia visione profonda delle anime e delle cose e dalla sinteticità d'espressione nel linguaggio. Sì riconoscono gli eroi dall'energia, dalla costanza e dall'altezza ch'essi spiegano nell'azione. La sapienza è contemplativa. L'eroismo è fattivo. La vera sapienza è inseparabile dall'eroismo. Socrate insegnava che la scienza conduce sempre alla virtù, che basta sapere per fare. Avrebbe avuto ragione se egli avesse potuto parlare d'una sapienza soprannaturale e non d'una scienza superficiale. Aveva torto perché avrebbe dovuto dire con San Paolo: «Io non faccio ciò che voglio, e faccio il male che non voglio perché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma veggo un'altra legge nelle mie membra che combatte contro alla legge deila mia mente e mi trae in cattività sotto la legge del peccato che è nelle mie membra » (Rom 8, 15-23).
Socrate ignorava il peccato originale. La sapienza stessa ch'egli preconizzava e che - ben compresa - poteva condurre a una certa virtù; non era che una sapienza umana e molto imperfetta. S. Paolo invece ha posto una legge universale, dalla quale Maria sola per virtù dei meriti del suo divin figlio fra stata preservata.
Intanto, dato che non facciamo uno studio di teologia sistematica ma un'analisi di psicologia umana, noi consideriamo gli atti di Maria, almeno per quel poco che conosciamo, sotto la forma concreta con cui ci si presentano nei testi.
Non cercheremo di distinguere la parte della natura e quella della grazia, come non abbiamo fatto parlando della sua sapienza nella quale non abbiamo inteso distinguere fra l'impiego delle sue native facoltà e intervento divino di ispirazione celeste.
Con questa premessa accostiamoci ancora una volta a questa grande anima. Non riflettiamo più, sui pensieri della Madonna, ma sulle sue decisioni. In un'età in cui la maggior parte degli esseri non pensa che al piacere di vivere, come mai Ella si era tracciata una sua via nella vita? Era giovane: la tradizione parla di quindici anni circa. Era l'età del matrimonio per le giovani giudaiche. Chi le suggeriva quella sapienza precoce che abbiamo ammirato in lei?

Il voto di verginità. - Maria si è distinta da tutte le sue compagne per una decisione veramente eroica; ha fatto, giovanissima, il voto di verginità e di verginità nel legame del matrimonio. E' un fatto che esige una riflessione attenta, perché esso è completamente fuori dalle norme ordinarie e pone Maria al di sopra delle leggi della psicologia comune. Ci rivela in Lei una qualità dell'anima per cui ci mancano parole appropriate a definire. Questo voto è tanto più eloquente quanto più suppone in Lei una scelta difficilissima a farsi. Intendiamoci bene. Ciò che troviamo di eroico in questa santa risoluzione non è la disciplina che esso imponeva alla natura. Ora lo sappiamo che Maria non aveva da vincere gl'istinti oscuri e violenti che si agitavano nel cuore delle altre creature e di cui il freudismo ha preteso di fare il centro reale di tutta la psicologia. Abbiamo da poco citato un testo di S. Paolo che parla di questa «legge delle membra che combatte contro la legge della mia mente e mi trae nella cattività del peccato». Questa legge non pesa affatto sulla futura Madre del Salvatore. Non è dunque nella materia stessa del voto di verginità che risiede l'eroismo della sua decisione. Si consideri invece ciò che rappresentava, in seno al suo popolo e specie alla sua dinastia, la grande attesa del Messia. Tutta la sua nazione sperava e si protendeva verso il giorno della grande liberazione. Tutte le donne d'Israele, almeno tutte quelle della dinastia di David, avevano l'ideale d'appartenere in un modo più o meno lontano, alla genealogia messianica.
Senza dubbio le tradizioni relative alla nascita del Messia s'erano qua e là oscurate nel popolo (53). Ma è permesso credere che almeno la discendenza di Davide conservasse gelosamente il ricordo del privilegio riservato alla famiglia del gran re.
Quando si pensa alla formazione biblica di Maria, allo slancio religioso che la portava ai Libri Sacri, si può essere sicuri che l'attesa del Messia era l'anima della sua anima, che Ella pensava più di ogni altra persona alla venuta del Redentore d'Israele e che tutte le sue orazioni, riflessioni ed aspirazioni erano in certo modo tese verso il grande giorno. In queste condizioni fare un voto di verginità diveniva un atto di vero eroismo, una testimonianza di abnegazione sublime, l'offerta a Dio d'un sacrificio sovrumano. E lo scopo di tale sacrificio non è difficile ad indovinare. Ella si chiamerà l'Ancella. La parola riassumeva tutta la sua vita anteriore. «Io rinuncio ad essere la Madre, per essere sempre soltanto l'ancella ». Tale sembra sia stato il senso del suo voto. Era un atto di rinuncia e di umiltà, un atto di consacrazione totale al servizio di Dio. Nessuno in Israele aveva avuto fino allora una simile inspirazione. Era inaudita trovata dell'umiltà mariana e proprio per essa Maria senza saperlo, inconsapevolmente, si rese degna di ottenere quella dignità che il suo giudizio, profondamente umiliato dinnanzi alla sovranità di Jehova, si sforzava di allontanare. Per ammettere questa interpretazione, bisogna porre il principio che la profezia di Isaia che doveva realizzarsi in Lei, non era stata compresa da nessuno e che neppure Maria non aveva colto il significato vero. Su questi due punti dobbiamo insistere brevemente.

L'oracolo di Isaia. - Abbiamo già detto ciò che bisogna pensare dell'opinione comune in Israele circa l'argomento della nascita del Messia. Il silenzio degli autori giudaici sarebbe da sé solo un motivo molto forte per dimostrare che nessuno di essi pensava a una concezione verginale per il Messia. Ma si può far valere una prova secondo noi più forte ancora. Se il testo d'Isaia fosse stato approfondito come lo è stato dopo l'avvenimento, è evidente che l'interesse per il messianismo avrebbe condotto a un culto nazionale, per così dire, della verginità.
L'oracolo difatti non portava data. In tutti i periodi di emozione religiosa la spinta delle aspirazioni verso, il restauratore della gloria d'Israele avrebbe provocato una fioritura di vergini «candidate» potremmo dire, alla maternità messianica. Se si fosse ritenuto come cosa sicura o almeno probabile che il Messia doveva nascere da una vergine, le vergini non sarebbero mancate nella nazione come non mancavano a Roma le vestali per mantenere il fuoco sacro. Questo motivo ci pare decisivo sopra ogni altro. Noi riteniamo con certezza che il testo profetico di Isaia era interpretato da tutti nel senso che ogni giovane sposa, ancora vergine, avrebbe dato nel suo primo nato Colui che la nazione aspettava. La sua nascita non doveva avere assolutamente nulla di speciale; ci si fermava soprattutto al seguito della profezia, senza attribuire particolare importanza alla parola Vergine adoperata dal grande profeta (54). Non meravigliamoci troppo di questa incomprensione. Ve ne furono per numerosi altri testi messianici. Tutto il dramma del Vangelo giustamente consiste nel fatto che il messianesimo di Gesù non era quello stesso del suo popolo e che Egli è morto per dimostrare che le concezioni giudaiche erano divenute estranee alle divine profezie del passato.
Vi è chi ci conferma nella certezza di questa universale incomprensione: Maria stessa, Maria, così delicata, così penetrante, così «sapiente » nel senso biblico e profondo della parola. Maria non aveva ancora intuito nelle frasi di Isaia ciò che esse esprimevano in realtà. La Madonna non fu illuminata che dalle parole dell'Angelo. Siamo persuasi che essa fu la prima persona in Israele a conoscere esattamente il senso della pagina inspirata, dove la sua maternità divina era annunciata con settecento anni di anticipo.
E siamo persuasi che solo per merito suo i primi cristiani hanno imparato a capire questa pagina gloriosa e che solo alla scuola di Maria S. Matteo può citare la profezia come compiuta per Lei e in Lei.
Riprendiamo ancora una volta il commovente racconto in cui Maria stessa ci riporta il suo dialogo con l'Angelo. Noi pensiamo che tale dialogo sarebbe incomprensibile se Maria avesse saputo che la Madre del Messia doveva essere una vergine rimasta vergine nella concezione e nel parto stesso.
E l'Angelo le disse: «Non temere, o Maria, poiché tu hai trovato grazia presso Dio. Ecco tu concepirai e darai alla luce un figlio e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato figlio dell'Altissimo. E il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe: e il suo regno non avrà mai fine».
Non si poteva parlare più chiaramente. Certo in Israele non si poteva trovare una giovanetta di quindici anni capace di dubitare sul significato di Queste parole. Una figlia di Davide come Maria, nutrita delle speranze della sua dinastia, non poteva non comprenderla anche se Ella non avesse avuto la profonda scienza di Dio che il Magnificat avrebbe presto rivelato. Tutto il discorso dell'Angelo significava: sei tu eletta da Dio: e da te nascerà il Messia. Se Maria, unica nel suo popolo avesse intuito per una particolare ispirazione il significato della profezia di Isaia, se Ella avesse abbracciato la verginità. sempre sotto un impulso celeste, ma con la cosciente intenzione di mettersi in istato di attuare la grande profezia, non solamente avrebbe mancato alla sua ingenua virtù e alla spontanea sua umiltà, - ciò che è dimostrativo per noi - ma la sua risposta all'Arcangelo sarebbe totalmente incomprensibile.
«Come avverrà ciò se io non conosco uomo?» Risposta straordinaria. Se Maria avesse capito la profezia antica, avrebbe potuto rispondere: «Così sia, poiché io non conosco uomo ». Invece ha detto tutto l'opposto. La sua frase in fondo è molto facile a capirsi. Essa ha uno stile biblico accentuato. Non vuol dire in conclusione che Ella rinnega il suo fidanzata Giuseppe o che non lo considera come sposo. Ma piuttosto la sua risposta significa: «Il Signore sa bene che il mio fidanzato ed io siamo decisi di unirci in matrimonio per consacrarci unicamente al suo servizio e che abbiamo fatto il voto di vivere in una unione di anima e di cuore che non sarà unione di sensi e di carne. Quale segno potrò dare a Giuseppe di questa volontà del cielo, perché conosca, che il nostro voto non è gradito a Dio e che debbo divenire madre?»
L'Angelo comprende molto bene ciò che Lei vuol lasciargli capire, perché le parole che egli aggiunge ritornano all'argomento: «Non è da un'unione umana che dovrà nascere il Messia. Il vostro voto di verginità è stato gradito a Dio, ma pur rimanendo vergine tu diventerai madre. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà; per questo il Santo che nascerà da te, sarà chiamato figlio di Dio ...».
Allora tutto s'illumina per Maria. Ella aveva voluto essere l'ancella e non la madre. L'Angelo le porta il decreto celeste; Ella si inchina ma si inchina rimanendo nella schiera già scelta: «Ecco l'ancella del Signore». Ora la profezia di Isaia acquista ormai il suo vero significato. L'Angelo stesso vi accenna adoperando le medesime parole dello scrittore sacro: Ecco, tu concepirai e partorirai... E Maria capisce pure che questa nascita verginale ha la sua ragione d'essere nel mistero stesso che sta per compiersi. Suo figlio sarà un Dio fatto uomo. Non avrà dunque altro padre che Dio. La sua missione sarà di redimere la razza umana ed è perciò necessario che l'onda vitale iniziatasi da Adamo sia tagliata e ripresa con la specie «ricominciamento». Per Iddio che aveva creato in seno alla natura il primo Adamo non sarà difficile creare nel seno della Vergine il novello Adamo. Comunque l'Angelo ha la buona attenzione di lasciare un segno a Maria: «Sua cugina Elisabetta ha concepito un figlio nella vecchiaia, come prova che nulla è impossibile a Dio». Quest'ultima frase doveva però essere familiare a Maria. Era pure una frase biblica. Chi era in Israele che ignorasse la storia della nascita di Isacco nato da una madre «fuori d'età»? Chi non ricordava queste parole del Genesi: «Perché Sara ha riso dicendo: Ed io avrò veramente un figlio, vecchia come sono? C'è nulla d'impossibile a Jehova?»

Maria e Giuseppe. - Tutto riesce perfettamente chiaro nel racconto dell'Annunciazione. Il concepimento di Gesù doveva essere miracoloso. Esso possederà una caratteristica che sarà unica attraverso tutti i secoli, rimaneva però un punto nel quale l'Angelo non aveva risposto e che pur non rappresentava una preoccupazione infima in Maria: cosa dovrà dire a Giuseppe per quanto le accade? Il voto di verginità era gradito a Dio. Ma per tutto il tempo in cui Giuseppe non sarà informato del mistero che secondo le scritture stava per compiersi, in quale oceano di inquietudine, di tormenti si troverà? Che cosa doveva fare Maria? Dire tutto al promesso sposo? Ne aveva il diritto? Essa portava il segreto del mondo, il segreto di Dio. Aveva il diritto di violare tale segreto? Non conveniva piuttosto confidare da un lato nella provvidenza infinita di Dio e dall'altro nella rettitudine del «giusto » Giuseppe? Dov'era il più perfetto per Lei? Dov'era la volontà di Dio? Maria scelse la parte eroica: c'era da aspettare che il cielo parlasse. Ella restò fedele alla regola essenziale della sua vita: il silenzio, un silenzio lirico, un silenzio ripieno di canto riconoscente e di parole, di abbandono a Dio solo. Ella era stata eroica nei fare il voto di verginità: lo fu di nuovo nell'accettare, sia pure per breve tempo, le apparenze dell'infedeltà.
Per intendere bene il momento drammatico di questa situazione e tutta la grandezza d'animo di Maria in questa occasione bisogna rappresentarci precisa la sua situazione legale. Essa era promessa a Giuseppe. Aveva avuto sufficiente autorità morale o prestigio di «sapienza» per fargli accettare il principio d'un matrimonio tutto spirituale (55).
Ella dunque era, ormai legata e in modo tale che solo Giuseppe poteva rompere il legame per mezzo d'un libello di ripudio. Giustamente il testo di Matteo nel ragguagliarci sulle angosce di Giuseppe ci indica insieme l'estensione dei diritti conferiti allo sposo con l'atto del fidanzamento. Ci dice difatti che Giuseppe pensò a «ripudiare Maria segretamente». Ripudiare? Era dunque già sposo? Sì, perché secondo l'uso giudaico, il fidanzamento costituiva l'essenza del matrimonio, salvo la coabitazione sotto il tetto del marito. I due fidanzati potevano usare del loro diritto di sposi se lo volevano. La legge giudaica puniva con la massima severità la cattiva condotta della giovane e colpiva ugualmente di morte il delitto di violazione e di seduzione. L'infedeltà d'una fidanzata era punita con lo stesso rigore in uso per Le donne maritate, ma ciò non impediva affatto le relazioni intime fra fidanzati, e la nascita d'un bimbo concepito durante il fidanzamento non era considerata come disonorante. La nostra parola «fidanzamento» non rende con esattezza il termine corrispondente degli Ebrei. Allo stesso modo che il lavacro o battesimo provvisorio contiene l'essenza stessa del battesimo e le cerimonie che si aggiungono non rappresentano che un complemento rituale, così il matrimonio giudaico non faceva che completare l'atto di fidanzamento con delle cerimonie puramente profane. Questo precisamente significa la parola «ripudiare » che S. Matteo adopera nei riguardi di S. Giuseppe (56).
La conoscenza della legislazione ci permette pure di dare tutto il suo significato alla parola della Vergine: Io non conosco uomo. Ella era sposata. Ma era d'accordo col fidanzata sposo di non usare del matrimonio in virtù d'una promessa fatta a Dio.
Ora Maria, legata a Giuseppe, ha ricevuto la visita dell’Angelo. Ha preso l'eroica decisione di non parlare allo sposo del grande segreto che era nel suo cuore. E parte da Nazareth, dove Ella e anche Giuseppe abitavano, per andare ad Ain Karim. Rimane assente tre mesi, tutta dedita alle caritatevoli cure per la cugina Elisabetta. Quando Maria ritornò al proprio paese i segni della maternità non tardarono a manifestarsi in Lei. Giuseppe ne è avvertito subito oppure l'intravede da sé? I suoi amici lo felicitano perché presto sarà padre. Ma mentre le congratulazioni affluiscono - almeno lo si suppone ­ la lotta più tremenda si scatena nel suo cuore.
Maria tace sempre. Ma vi è nel suo sguardo, nel suo contegno, in tutto il suo essere un irraggiamento di candore, di sincerità e di allegrezza celeste. Si sa che fin dal suo arrivo ad Ain Karim le semplici parole di saluto indirizzate a sua cugina, erano state per questa una vera rivelazione. Sotto l'ispirazione dello Spirito Santo aveva tutto intuito e la sua gioia era esplosa in sante esclamazioni. Maria anche là non aveva detto nulla di più. Il suo Magnificat stesso non conteneva alcun accenno esplicito dell'incarnazione messianica. Anche stavolta, pure in circostanze più tragiche, Ella pone in Dio tutta la sua confidenza. L'Altissimo saprà far conoscere tutta la sua volontà. Non sarà essa che intralcerà le sue vie. Frattanto però non ignora i rigori della legge. Ella sa che Giuseppe ha il diritto di denunciarla come colpevole. Sa che un'accusa da parte sua può portare alla pena della lapidazione. E vi sono tre cose che le premono più della morte: l'onore del Figlio che parla nel suo seno, il suo onore stesso e la tranquillità intima di Giuseppe. Date tali condizioni sembra che una spiegazione leale, completa e circostanziata da parte di Maria avrebbe messo fine a tutte le perplessità di Giuseppe, a tutte le angosce che Maria stessa doveva superare a forza di abbandono.
Ogni giovane figliuola avrebbe ragionato in questo modo. L'eroismo consisteva nel tacere, nell'attendere. una decisione divina. Dopo tutto, lo sposalizio con Giuseppe era sempre nei disegni di Dio? Maria aveva intuito in un lampo la profezia di Isaia. Essa accennava chiaro ad una vergine. Si era sempre interpretato l'oracolo nel senso d'una vergine. Ma ora era manifesto che si trattava d'una vergine nel pieno senso della parola. Quali erano le ulteriori intenzioni del Signore? Chiarirebbe a tutti gli occhi d'Israele il vero senso della profezia? Era conveniente che la Vergine Madre vivesse senza lo sposo legale? Le parole della Bibbia non contenevano alcuna luce a questo riguardo. Vi era la questione della vergine e nulla del padre del Messia?
Pare che Maria abbia risolto il formidabile e difficile problema nel modo seguente: Giuseppe è troppo giusto per usare alla leggera una misura scandalosa e Dio è troppo buono e misericordioso per non consolarlo al momento voluto. La luce verrà. Io non sono che l'ancella. Spetta al Signore far conoscere la sua santa ed adorabile volontà. E noi che conosciamo il seguito soffriamo nel cogliere la violenza della lotta intima che dovette svilupparsi in Lei e tutto il peso delle ansietà di Giuseppe. Ma non rimane dubbio che da ambedue le parti vi furono delle ore in cui, davanti a Dio, essi chiedono tutta la misura della loro dirittura d'animo e della loro volontà di obbedienza e di sottomissione. Per tutti gli uomini la vita è una prova. Iddio domanda a ciascuno che passa chi è, che cosa può portare. Occorre una prova rara per delle anime eccezionali. Un fatto del genere occorso a Maria non si è presentato due volte nel corso dei secoli. L'eroismo della Vergine risalta con maggior evidenza. Nessuna luce umana poteva guidarla. Per i nostri atti migliori noi ci inspiriamo spesso agli esempi dei grandi cuori che ci siamo scelti a modello. Maria doveva inventare, rinnovare, creare senz'altro impulso oltre quello della grazia e del proprio cuore.
Essa ha scelto il silenzio. E non si è sbagliata.
Maria aveva prima di tutto contato sul buon Dio ed anche su Giuseppe. La sua fiducia fu ricompensata. Giuseppe fu in realtà tale quale essa aveva presentito. Abbiamo detto in precedenza le ragioni per le quali crediamo che i «Ricordi» di Giuseppe come si trovano in S. Matteo, siano stati trasmessi da Maria stessa. In tutti i modi anche se si supponesse che Giuseppe abbia lasciato uno scritto ignorato da Maria e raccolto da Matteo all'insaputa della Vergine ­ ipotesi del resto inverosimile - non potrebbe essere Giuseppe che ci dice di se stesso: Poiché egli era giusto e non voleva esporla all'infamia, pensò di rimandarla segretamente ...
Se invece si ammette che la Vergine trasmise i suoi «Ricordi » all'Evangelista le parole: Poiché egli era giusto costituiscono da parte di Maria un magnifico elogio al suo sposo venerato ed amato. Ma pronunciando tale elogio qualcosa di esso si rifletteva su di Lei. Tutte le apparenze le erano contro. La sua assenza di tre mesi rendeva ancor più gravi tali apparenze. Occorreva una incomparabile dirittura in Giuseppe per escludere qualunque ombra di dubbio circa la virtù di Maria. Ma era pure necessaria nella Vergine altezza di carattere, nobiltà d'animo a tutta prova, «sapienza» evidente e sicurissima perché nonostante i segni esteriori Giuseppe potesse essere capace di allontanare ogni sospetto infamante. Dobbiamo aggiungere se la profezia di Isaia fosse stata chiara, data la stima straordinaria che Giuseppe nutriva per la promessa sposa figlia di Davide come lui, egli non avrebbe esitato ad indovinare la realizzazione in Maria, ma tale profezia non divenne chiara che attraverso il fatto stesso compiuto. Giuseppe aveva abbracciato la verginità a fianco di Maria in piena comunione d'anima con Lei. Aveva rinunciato come Lei ad una paternità che lo poteva collocare nella linea genealogica del Messia atteso. Non poteva dunque comprendere, senza una speciale rivelazione, il mistero compiutosi in colei alla quale aveva promesso fedeltà. Il modo con cui fu avvertito dal cielo prova che nello spirito di Giuseppe si andava delineando un rispettoso timore.
Egli intuiva in Maria l'irraggiamento d'un segreto divino. E nello stesso tempo in cui Le si chiedeva se lo sposalizio con Giuseppe era nei disegni di Dio, o se la Vergine di Isaia doveva mantenersi estranea ai legami di nozze, crediamo che anche Giuseppe, presentendo un intervento divino nella sua fidanzata «temeva » ormai di prenderla in sposa (57).
In questo senso interpretiamo le parole che gli furono indirizzate dall'Angelo del Signore apparso in sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere teco Maria, la tua consorte (58) perché ciò che è nato in Lei è dallo Spirito Santo. Partorirà un figlio cui porrai nome Gesù, perché sarà Lui che salverà il popolo dai suoi peccati ».
Al colmo della gioia Giuseppe venne ad annunciare a Maria l'ordine ricevuto da Dio. Insieme essi confrontarono le rivelazioni che avevano ricevuto separatamente. Anche alla Vergine era stato anticipato il nome da dare al Bambino. Bastava questa coincidenza come prova che risolveva ogni dubbio. Ma il ritorno alla profezia di Isaia, rivelatasi ormai in tutta la sua chiarezza, dovette apparire loro come la più meravigliosa delle conferme. D'altro lato l'avvenimento dimostrava l'ottima condotta di Maria nel tacere e come il suo silenzio fosse stato approvato da Dio. Giuseppe lo comprese e tutti e due posero la regola di non svelare ad alcuno il mistero ineffabile di cui erano divenuti depositari o meglio gli attori principali, dopo Dio.

Il silenzio di Maria e di Giuseppe. - Le provvidenziali nozze di Maria e di Giuseppe furono dunque celebrate. Si capisce che dopo la prova tanto delicata che essi avevano subito si era accresciuta la stima reciproca tra i due sposi. Giuseppe fu per Maria ancora più che per il passato, il «giusto» per eccellenza, ciò che nel suo proprio significato voleva dire: «l'uomo che cammina in tutti i comandamenti e le osservanze del Signore» (59), l'uomo che ha sempre lo sguardo fisso sulla volontà di Dio, l'uomo probo, integro, diritto ed onesto, l'uomo riflessivo e profondo.
E Maria, Madre del Salvatore, perché tale è il senso del nome preannunciato di Gesù, non poteva essere per Giuseppe che l'oggetto della più religiosa tenerezza e del rispetto più sacro. Maria aveva dato l'esempio del silenzio. L'aveva dato in circostanze che rendevano pienamente eroica la sua decisione. D'accordo che tale silenzio sarebbe stato osservato verso tutti senza eccezione e fino alla fine. E lo fu difatti per trent'anni, ché nessun seppe nulla del mistero della concezione messianica. Durante i trent'anni i parenti più prossimi di Maria e Giuseppe, i nipoti stessi, che saranno chiamati «i fratelli di Gesù», ignoreranno ogni cosa circa la sua grandezza divina, la sua missione futura, le confidenze che i membri della santa famiglia si scambieranno nell'intimità di Nazareth. Nessuno conoscerà gli accenni biblici sul vero messianismo che Gesù acquistava giorno per giorno in Quegli anni in cui Maria ci dice che Egli cresceva in «sapienza, età e grazia», espressione che in precedenza abbiamo inteso cosa voglia significare.
È superfluo rifare qui la storia della nascita di Gesù a Betlemme, della presentazione al tempio, adorazione dei magi, fuga in Egitto e ritorno a Nazareth. Attraverso tutti questi avvenimenti, la fede, la sottomissione, l'abbandono totale dei due sposi alla Provvidenza furono. messi di nuovo e a più riprese alla prova. La forza d'animo di Maria ebbe modo di svilupparsi costantemente ed Ella non conobbe mai la minima debolezza.
In verità nulla è maestoso come questa costanza, questo allontanarsi da ogni ricerca, questa docilità ai minimi cenni della volontà divina, questo disprezzo volontario ed immutabile di tutte le vanità terrestri: della gloria come della fortuna.
Proprio in quest'atmosfera impregnata della presenza divina, il figlio di Dio doveva crescere fino al giorno della sua entrata nella vita pubblica.
E si dovrebbe pensare che la felicità stessa del Paradiso terrestre fosse stata ritrovata nell'intimità di Nazareth se la terribile visione dal formidabile compito che l'attendeva non avesse costantemente gravato su questi anni di raccoglimento e di pace trascorsi nel lavoro e nella preghiera.

La predizione di Simeone. - Maria e Giuseppe sapevano che la missione del loro Gesù sarebbe stata circondata dalle più drammatiche difficoltà. Il bambino non aveva che quaranta giorni quando il vecchio Simeone pronunciò all'indirizzo di sua Madre la profezia che Ella stessa ci ha trasmesso: «Ecco, Egli è posto a rovina e a risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, anche a te una spada trapasserà l'anima affinché restino svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 11, 34-35).
Senza dubbio Simeone aveva parlato per il futuro. Ma poteva annunciare una spada per l'anima di Maria senza conficcarla nel medesimo temo po nel più profondo del suo cuore? Una madre è sempre chinata sul destino del proprio figliuolo; non pensa che a lui. Egli rappresenta per lei tutto l'avvenire della vita.
Trattandosi della Madonna i sentimenti comuni alle madri erano trasferiti in un ordine infinitamente superiore. L'avvenire del suo Gesù non costituiva solo il futuro di lei, ma l'avvenire stesso della sua gente, del suo paese, dell'universo intero. La profezia di Simeone dava la nota esatta del vero messianismo di Gesù, un messianismo profondamente diverso da quello che allora si aspettava in Israele. Non possiamo credere che Maria abbia avuto bisogno delle parole di Simeone per liberarsi dalle opinioni correnti circa il regno del Messia; ma tali parole non facevano che confermare il carattere tragicamente arduo del compito che attendeva suo Figlio. Abbiamo ammesso precedentemente che Maria, penetrata di spirito biblico, non aveva smesso di meditare sulle pagine dei libri sacri e di farlo conoscere anche a Gesù fanciullo fino al giorno in cui da Maestra di scienze bibliche - se così si può dire - si era trasformata a sua volta in allieva nella scuola di Gesù adolescente.
Ora è il caso di aggiungere che questa lettura assidua delle Scritture fu costantemente per Maria una lettura «trafiggente» nel senso vero della parola. La profezia di Simeone influiva continuamente sul suo pensiero e nelle sue preghiere. Israele non capiva più le pagine consacrate al Messia sofferente, nella Legge e nei Profeti. L'uomo ignorante su questo punto non aveva idee molto diverse da quelle dei più rinomati dottori.
Gli scritti, più o meno, erano tutti ligi alla legge farisaica. Ora i farisei dovevano essere i peggiori avversari di Cristo. Maria poteva ascoltarli senza presentire i conflitti che più tardi sarebbero scoppiati fra essi e il suo divin figliuolo? Parlavano bene del Messia. Dicevano di aspettarlo, come tutto il resto del popolo. Ma essi si erano formati sul suo conto delle idee conformi ai loro interessi e ai loro pregiudizi settari.
Si rappresentava la sua venuta come smagliante di gloria. Credevano che Egli si manifestasse in modo improvviso ed inatteso. Il Cristo, Figlio di David, sarebbe un re dalla maestà irresistibile, un guerriero vittorioso. Egli si metterebbe alla testa dei popoli d'Israele e li condurrebbe alla conquista del mondo. Gerusalemme diventerebbe la capitale dell'universo e il Messia, dopo aver vinto tutti i popoli, vi regnerebbe in pace, esercitandovi il supremo sacerdozio. Senza dubbio una rivolta generale delle nazioni provocherà la fine del Messia, ma la sua caduta sarà il segnale della fine del mondo (60).
In mezzo a queste aspirazioni nazionali non rimaneva che poco spazio per le cose dell'anima. L'eterna lotta fra la materia e lo spirito era finita presso i Giudei in un decadimento generale di tutte le loro speranze religiose. I Farisei mantenevano un rito tutto esteriore: le preghiere uscivano ancora dalle labbra, ma non scaturivano più dal cuore. Non vi era nulla di cambiato nella fedeltà materiale al culto tradizionale. Tutte le osservanze erano più in onore che mai. La carità sola, la carità divina, era sempre più assente, tanto nei rapporti con Dio come fra gli stessi uomini. La ricerca delle ricchezze e degli onori divenivano la cura principale dei maestri di Israele.
Alla Madonna bastava leggere i Libri Sacri per comprendere la distanza spaventevole che separava ormai il pensiero dei suoi concittadini dalla volontà divina.

Una parola di Maria. - Nel raccontare l'episodio del dodicesimo anno della vita di Gesù una parola ci è apparsa particolarmente rivelatrice (61).
Al lamento di sua Madre Gesù aveva risposto: Perché mi cercate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? E Maria aggiunse questa riflessione: Ed essi non intesero le parole dette loro da Lui.
Ora che cos'è che essi non compresero? Forse il principio enunciato da Gesù? Ma era proprio lo stesso principio che Maria gli aveva insegnato ogni giorno, ciò che Lei stessa e Giuseppe compivano costantemente. Compiere la missione che «il Padre» gli ha dato; occuparsi senza soste «delle cose del Padre», in quello consiste il programma e il dovere di tutta la nostra vita, di tutta l'esistenza umana. Maria non poteva ignorarlo. Ciò che essi non compresero allora, ma che capirono più tardi, senza dubbio, è il modo con cui tale principio si applicava in quella circostanza.
Maria non l'aveva intravisto in quest'occasione perché le pareva che la scienza del suo Gesù non avesse nulla da guadagnare a contatto degli orgogliosi dottori della legge. Questa scienza essa l'aveva vista crescere e doveva vederla aumentare ancora. Aveva dato per di più a tale scienza un orientamento tutto opposto allo spirito della sapienza corrente. Maria doveva intendere in segreto che per prepararsi alla propria sacra missione Gesù aveva bisogno di conoscere per esperienza i metodi di discussione, le opinioni e gli insegnamenti dei maestri in Israele. Ascoltandoli Egli si occupava dunque delle cose del Padre suo. Ma la Vergine non ne sapeva nulla. Questo primo incontro fra Gesù e gli scribi non poteva avete i caratteri degli incontri ulteriori, al tempo della vita pubblica. Anche se le riflessioni del fanciullo li aveva scossi nel loro pacifismo di dottori abituati agli omaggi degli ignoranti, non avevano però potuto irritarsene. Piuttosto essi avevano ammirato con aria di accondiscendenza e senza perdere nulla della loro alterigia imperturbabile, le risposte del piccolo Nazareno ancora sconosciuto. Ma tutto ciò non aveva avuto nessuna conseguenza per essi.
Ci piacerebbe conoscere su quale punto della scienza biblica Egli aveva portata la discussione e se fosse sul messianismo e il suo carattere.
Ma il Vangelo non accenna nulla in proposito.
Comunque, noi possiamo stare sicuri che le idee di Gesù come quelle della sua Santa Madre e del suo Padre adottivo circa il compito assegnato al Messia delle Sacre Scritture, erano completamente in contrasto con ciò che pensavano i Farisei e il popolo sul medesimo soggetto (X).
Il pensiero dell'avvenire non poteva che esser pieno d'angustia per Maria. Immaginare la vita a Nazareth come una specie d'idillio piacevole e dolce sarebbe forse conforme al nostro gusto di tranquillità e di riposo. Ma ciò non rientra nello spirito del Vangelo che fu soprattutto il libro della lotta.
«Io non sono venuto a portare la pace ma la guerra», dovette dire Gesù. Ed è impossibile credere che la prefazione del libro sia stata troppo estranea al libro stesso. La vita nascosta non fu che una prefazione; e il Vangelo dovette essere una battaglia continua e finalmente una tragedia di dolori infiniti. La profezia di Simeone assillò dunque il cuore e il pensiero di Maria. Una madre che conosce in anticipo quali avversità minaccino il suo figliuolo non può non pénsarvi in modo costante. Diventa per lei una specie di santa, naturale ossessione e si crederebbe indegna se tentasse allontanarla. Maria è ben superiore alla più amante delle madri.
Suo Figlio era più che il fanciullo più delicato per la più tenera delle madri. Egli era il suo Dio. Era il Messia. Il Salvatore unico e necessario. Essa s'era proclamata non la Madre ma l'Ancella. Se un Francesco d'Assisi non poteva addormentarsi pensando che il mondo ripaga Gesù con la indifferenza e l'oblio e si sentiva gridare con profondi sospiri: «L'Amore non è amato! L'Amore non è amato! », che cosa diremo di Maria? Come dovevano essere grandi le sue angosce pensando alle ingratitudini degli uomini, alla durezza di cuore riscontrata intorno a sé, alla rozzezza di spirito cui gli stessi suoi compatrioti ne davano spettacolo e alla meschinità generale di pensieri e di aspirazioni! Ma la sua vocazione era l'eroismo. E (62) la Vergine portava coraggiosamente il suo fardello ogni giorno. Lo portava in segreto, senza lamentarsi. Sapeva che quelle stesse contraddizioni facevano parte della via della Provvidenza per risollevare la miseria umana.
Noi avanziamo delle ipotesi, senza prove positive, è vero; ma le nostre affermazioni hanno tutta la verosimiglianza, posto che le pagine bibliche nelle quali vengono descritti i dolori e le ingiurie del Messia misconosciuto erano senza tregua presenti allo spirito della Vergine e la profezia del vecchio Simeone le aveva dato di quelle pagine una esauriente spiegazione.
Essa viveva in anticipo la passione del suo Gesù. La vita per Lei, vicina al suo Divin Figliuolo e nell'intimità col «giusto» Giuseppe, era in sostanza una gioia soprannaturale ed insieme martirio ineffabile.

Maria ai piedi della Croce. - Giunta l'ora, non siamo sorpresi d'incontrarla ai piedi della croce su cui spira Gesù. Era stata associata alla preparazione e dovette assistere all'esecuzione. E pensiamo che non presenziò in maniera che in termini impropri i potrebbe dirsi passiva, ma collaborò, in uno slancio supremo, al sacrificio redentore del Figlio di Dio.
Volendo studiare l'eroismo di Maria, la dobbiamo appunto osservare ai piedi della croce. Soltanto il Vangelo di Giovanni ci segnala la sua presenza. A lui è stato riservato di raccontarci la scena commovente in cui divenne il figlio adottivo di Maria. Si dirà che gli altri evangelisti non hanno voluto entrare in argomento per non usurpare il terreno di altri. Ma è probabile che essi obbedissero sempre a quella consegna del silenzio che abbiamo visto imposta da Maria nella predicazione primitiva per tutto ciò che la riguardava. Allo stesso modo che il Vangelo di Marco non dice nulla dell'infanzia di Gesù ed accenna solo a Maria, così gli altri evangelisti riferiscono soltanto ciò che è stato loro comunicato sul fatto dell'infanzia ed hanno omesso tutto il resto. Ma questo ha poca importanza. La testimonianza di Giovanni, oltre che testimone, attore nella scena dell'addio di Gesù a sua Madre, ci basta pienamente. In nessun punto la sua deposizione precisa si è trovata manchevole, anzi dappertutto egli si mostra il più esatto e minuzioso di tutti i nostri testi evangelici. E non è certo un episodio che gli era particolarmente chiaro ch'egli poteva ingannarsi e ingannarci. Or, egli dice, presso la croce di Gesù si trovavano sua Madre e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa e Maria Maddalena ...
Tutte le sfumature del passo acquistano un loro valore. Ora è positivo che la parola usata da S. Giovanni per dire «si trovavano » significa essere diritti. Si potrebbe quindi tradurre: «presso la croce di Gesù stavano ritte sua Madre ...» ed è sempre così che la tradizione cristiana l'ha vista ai piedi di Gesù morente. Maria era diritta. In tal modo rimaneva più vicina al sacro viso del suo divin figlio. Gesù in croce era ad una certa altezza levato dal suolo; una persona diritta vicino a Lui non raggiungeva il livello del suo cuore.
Maria doveva quindi essere diritta per essere vicina alla bocca divina, da cui erano uscite tante sublimi parole e dalla quale Ella stessa aveva raccolto tanti memorabili insegnamenti.
Se nonostante la gioia di possederlo, la sua vita a Nazareth era stata un lungo martirio, la sua vera passione era cominciata con quella del figlio e raggiunse il parossismo della tortura morale durante l'agonia di Gesù in croce. Allora fu svelato a Maria tutto il senso della profezia di Simeone nel giorno della presentazione. Erano trentatré anni che Ella portava in cuore la spada annunciata dal santo vegliardo. Iddio aveva voluto così. Le madri comuni non sono private delle loro illusioni prima del tempo. Maria aveva conosciuto tutto in anticipo: privilegio degno della sua forza e del suo eroismo. Ma altro è sapere e altro è vedere. La conoscenza avuta prima non attenuava l'intensità della sua partecipazione alle sofferenze di Gesù. Anzi si può dire che la sua vita era stata una preparazione a quest'ora suprema.
Dal momento in cui Dio si era degnato di affidarle un compito nella redenzione del genere umano: - Quello ch'Ella aveva costantemente scelto; cioè di Ancella del Signore - Ella non aveva ormai più avuto che l'unico scopo di eseguire tale compito con tutta la perfezione possibile, quando l'Ora sarebbe suonata. Fra la sua anima e quella di Gesù era sempre regnata l'unione più stretta. Nel momento supremo tale unione diviene ancora più intima, se ciò è possibile. Essi formano in realtà. un'anima sola per soffrire e per espiare. Tutte le sofferenze di Gesù si riflettono nel cuore di Maria come nello specchio più fedele, ma nel riflettersi vi scavano un solco e vi fanno sentire il loro morso.
Nonostante tale agonia Maria rimane diritta.
Una forza sovrumana la sostiene. Ella non sarà abbattuta, non la vedremo prostrata per terra, non la si sentirà gemere, né maledire. E non perderà la minima parte dei dolori benedetti a Lei riserbati da tutta l'eternità.

Maria, Regina dei Martiri. - Il Vangelo che ci ha tramandato il Magnificat della gioia, non ha fatto altrettanto per il Magnificat del dolore. Parole umane non potevano avere la forza necessaria per comporlo.
«A chi ti eguaglierò per consolarti, vergine, figliuola di Sion?
«Perché il tuo pianto è grande come il mare; chi ti medicherà? »
Aveva detto il profeta Geremia nella seconda elegia sulla rovina della città santa (63).
No, niente poteva consolare Maria in quell'ora in cui agonizzava il suo Gesù. Essa si abbandonava dunque alle sue lacrime unendosi al Figlio amatissimo.
Non possiamo immaginare in Lei un dolore superficiale, solamente sensibile, senza pensieri e come esaurito nei singhiozzi e nelle lacrime. Tutta la sua vita ci ha invece preparati a intravvedere il suo spirito orientato verso una crocifissione morale qual è quella a cui andò incontro. Sappiamo che in tutte le circostanze essa si rivolgeva alla parola di Dio per attingervi luce e forza. Quest'agonia della Regina dei martiri rimane pienamente cosciente e si trasforma costantemente in orazione. Fu la contemplazione più sublime e più dolorosa della sua vita.
Maria conosceva a sufficienza il suo divin figlio per sapere che il suo unico pensiero era il compimento perfetto di tutte le profezie che il popolo aveva dimenticato e nelle quali erano predette le umiliazioni e le sofferenze del Messia. Senza dubbio Maria e Gesù avevano meditato insieme più volte queste pagine immortali e velate agli sguardi comuni. La sofferenza terrena costituisce per tutti gli uomini un fatto assai misterioso. Se essa non viene intesa come la più grande testimonianza d'amore del Maestro, se non troviamo che ce la dà perché sia la preservazione nostra e la nostra corona, è rarissimo che non si ritenga come lo scandalo più sconcertante, cioè come obbiezione alla bontà e per conseguenza all'esistenza di Dio stesso. Se però ci si mette ai piedi della croce, se si cerca di interpretare i sacri dolori del Cristo e di sua Madre, se si vedono da un lato la bassezza umana e dall'altro la maestà di Dio, se si mettono in bilancio le crudeltà dei carnefici che uccidono Gesù e il sacrificio volontario di Lui che muore per salvare coloro che lo odiano, non si può non intuire qualche cosa della bontà morale della sofferenza, al piano dell'economia divina.
Del resto la Vergine non si perde in tali considerazioni meschine. Il suo Gesù ha scelto di soffrire e di morire per la salute del mondo e per la gloria del Padre. La sofferenza per ciò stesso diviene sacra ai suoi occhi. Si deve misurare la grandezza delle cose dalla loro utilità e la loro utilità in quanto attuano la divina volontà. Non si considera un rimedio dalla sua amarezza, ma solo dalla sua efficacia. Solo i fanciulli allevati nelle mollezze rifiutano la salute perché la medicina è poco gradevole al gusto.
Ma quanti uomini purtroppo non sono che bimbi viziati quando si incontrano col dolore e con la morte!

La Passione secondo la Bibbia. - Non facciamo una semplice supposizione quando diciamo che Maria ha vissuto interiormente tutti i passi biblici riguardanti le umiliazioni del Messia. Il Vangelo è là se non per provarlo almeno per insinuarlo. Basti pensare che Maria seguiva sul viso di suo Figlio le minime impressioni che vi poteva cogliere. E' una supposizione tanto naturale che si può ritenerla una certezza morale. Che cosa facciamo vicino ad un morente? Cerchiamo di indovinare le sue parole, di cogliere la direzione del suo spirito. Maria era troppo abituata a leggere nelle espressioni di Gesù, conosceva troppo il suo carattere e l'inclinazione volontaria data a tutti i suoi pensieri per non accompagnarlo nel suo lungo viaggio attraverso i secoli della storia profetica del Messia.
Un sublime pellegrinaggio che dura tre ore, tre ore di preghiera, di silenzio, di agonia, di sacrificio sacerdotale. Possediamo su questo punto le prove più evidenti. Tra la terza parola, quella dell'addio a sua Madre, e la quarta, occorsero circa tre ore. E quando Gesù parlò di nuovo, lo fece per indicare chiaramente quali erano stati i suoi pensieri nell'intervallo. Infatti egli gridò con voce forte il primo versetto del salmo XXII (64).
Il versetto è una rivelazione: ci dice che Gesù ripete interiormente la passione seguendo il suo antenato Davide. La Vergine dovette trasalire nell'intendere la parola del grande salmista da cui traeva la propria origine e il suo sangue. Ed è certo che questo salmo saturo di realtà era stato più volte oggetto delle loro comuni meditazioni a Nazareth. Tutte le sofferenze del Messia vi erano descritte in anticipo in termini d'una forza irresistibile. Non si trova che in Isaia una profezia tanto bruciante. Se le prime parole del salmo esprimono una tortura atroce simile ad una disperazione, il cantico si chiude in uno slancio di confidenza nella certezza della prossima liberazione. E questo è perfettamente conforme al doppio movimento che riscontriamo nell'anima di Gesù in croce, il movimento della natura oppressa ed accasciata e quella dello spirito ardente di sommissione alla volontà del Padre.
Maria ripeteva con Gesù le parole del salmo davidico. Tutta la sua vita era trascorsa in attesa dell'ora della loro attuazione. Tale ora scoccava in quell'istante. Era più che mai il momento di ripetere: «Non si faccia la nostra ma la vostra volontà, o Signore! Ecco l'Ancella del Signore, sia fatto di me secondo la vostra parola!»
La sofferenza della sete è accennata come particolarmente insopportabile nel corso dello stesso salmo. Per questo la quinta parola di Gesù fu la richiesta commovente: Ho sete, in cui era palese l'immenso amore di Gesù per le anime, assai più che il lamento d'un agonizzante sfinito.
E di nuovo la Vergine trasale per una santa compassione. Come intuisce questa sete soprannaturale di suo Figlio! E come si offre a dividerla! Anch'Ella sente ora una sete ardente nel più profondo del suo cuore immacolato: è la stessa sete di Gesù. Sete di anime. In quell'istante la sua maternità si allarga a tutto il mondo. Abbiamo visto come Maria fosse abituata alle vaste visioni di tempi e di popoli. Essa sa che la morte del suo Gesù è fatta per tutti gli uomini senza eccezione. E pure per tutti Ella soffre, ed a tutti Ella estende la sua sete materna.
Ormai il sacrificio si chiude; tutte le prescrizioni rituali sono state compiute, niente è stato omesso né dimenticato. Le profezie hanno avuto il loro compimento. Un rapido sguardo di Gesù e di sua Madre sulle Scritture dimostra loro che tutto ciò che era stato detto ora è fatto. Perciò Gesù pronuncia la sesta parola: Tutto è consumato!
Sì, Madre, tutto è consumato! Il vostro Gesù ha compiuta la sua missione. Voi l'avete assistito fino alla fine, non avete obliato un istante il pensiero di Lui, non vi siete piegata sotto il peso, vi siete tenuta sempre diritta vicino alla croce. A Lui tutto è mancato: il suo popolo l'ha rinnegato, i suoi discepoli l'hanno abbandonato. Ma Egli ha vicino sua Madre e con Lei l'amico fedele e qualche pia donna. Il mondo non è dunque maledetto: questa terra ingrata produce ancora dei fiori, grazie al sangue di Gesù. Il più bello ed il più splendido di questi fiori è il Cuore di Maria!

La morte di Gesù. - Tutto era consumato per il Cristo, ma non per la sua pia Madre. Ella l'intese gridare con voce forte: «Padre, nelle tue mani io rimetto il mio spirito», come se Egli volesse attestare che le forze della vita non erano spente in Lui e che moriva per un atto di volontà, immolandosi per noi, così come l'aveva predetto.
E Maria senza dubbio avrebbe voluto morire con Lui. Quale madre non avrebbe lo stesso pensiero? Bossuet dice che la vita della Vergine dovette essere, a partire da questo momento, un miracolo continuo. «Il miracolo continuo - egli dice - era che Maria potesse vivere separata dal suo unico bene» (65).
Dopo aver analizzato la potenza di volontà della Vergine ed aver trovato numerose prove del suo prodigioso eroismo fino alla morte del Figlio dobbiamo aggiungere che il resto della sua esistenza fu un nuovo martirio d'amore, un atto costante della sua eroica volontà per obbedire alla volontà di Dio. Questo ci fa intravvedere una nuova luce nella missione che il Cristo le aveva affidato presso S. Giovanni. Dicendole: «Ecco tuo figlio» egli rispondeva in certo modo a una domanda segreta della sua amatissima Madre: «Figlio mio, Signore Gesù, non mi chiamerai con te? Mi lascerai su questa terra dove non posso vivere senza di Te? » «Sì, o Donna, ti lascerò ancora quaggiù. Io sono venuto ad accendere il fuoco sulla terra ... In attesa che i focolai in seno alla chiesa si illuminino io ti costituisco come braciere dell'amore celeste col mio amato discepolo Giovanni. Tu hai una nuova missione da compiere vicino a Lui. La tua ora non è ancora venuta».
E Maria una volta di più mormora: Ecco l’Ancella del Signore. Non dimentichiamo che vi fu un momento in cui fra la morte di Gesù, l'apostasia di tutto un popolo, la desolazione invasa d'ombra dagli apostoli, non rimase acceso che un unico lume su questa terra, dinanzi all'Eterno, non c'era più che un'anima, una sola in cui brillavano la fede, la speranza, la carità e quest'anima era quella di Maria!
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07/09/2012 22:14

CAPITOLO VII

LA DIVINA CARITÀ DI MARIA


Sommario:
- Il Cuore Immacolato della Vergine.
- L'amore dei piccoli
- Maria ed Elisabetta
- Maria e gli umili
- Maria ed Erode
- Maria e i Dottori
- Maria alle nozze di Cana
- Maria e i «fratelli di Gesù »
- L'umiltà di Maria
- Come Maria parla di se stessa
- L'amore divino in Maria
- Commentari di Bossuet
- Analogia della vita di Gesù
- «Piena di grazia ».

***

Il Cuore Immacolato della Vergine. - Quando Gesù ha voluto definire se stesso l'ha fatto riferendosi al suo cuore piuttosto che alla sua potenza e sapienza. È vero ch'Egli ha detto: «Io sono la Via, la Verità, la Vita », ma ha pure dichiarato: «Ricevete le mie lezioni, poiché io sono mite ed umile di cuore » (66). S. Tommaso d'Aquino ha detto molto bene a proposito di queste parole: «con la dolcezza l'uomo è messo nell'ordine riguardo al prossimo, con l'umiltà è messo nell'ordine rispetto a Dio e a se stesso» (67). In questo pensiero Gesù ci ha mostrato il segreto del suo cuore divino. Bisogna intendere bene che cosa si vuol dire parlando del cuore. Non si tratta naturalmente dell'organo materiale il quale non è che un simbolo, l'emblema della capacità d'amare. Quando si è parlato della sapienza e dell'eroismo della Vergine non s'è detto della sua potenza d'amore. Parlando della sapienza si è visto il magnifico espandersi dell'intelligenza nella luce della ragione e della fede.
Per l'eroismo il glorioso spogliarsi della potenza d'azione sotto l'impulso della sapienza e dell'amore. E' l'amore stesso la base di tutto l'essere. L'ha detto bene S. Paolo parlando della fede che giustifica che ha definito difatti la fede che opera nella carità. La fede sotto a questo aspetto corrisponde a ciò che noi chiamiamo sapienza.
Una fede luminosa, piena, nutrita costantemente dalla parola di Dio è appunto ciò che trasforma l'uomo in un sapiente, non nel senso socratico ma nel senso cristiano. Ma la sapienza deve manifestarsi in azioni e più queste sono grandi più suppongono una sapienza profonda. Soltanto che per passare all'azione, per aggiungere l'eroismo alla sapienza, occorre una sapienza nuova, è necessario l'amore: è questo che noi chiamiamo il cuore.
I nostri catechismi usano una formula che dice la stessa cosa quando ripetono che l'uomo è creato per conoscere, amare e servire Dio.
Conoscere Dio è la sapienza; servirlo è il destino dell'uomo e verso di esso debbono tendere tutte le energie del volere. Ma il grande segreto, il grande motore intimo di tutto è l'amore. Si può dire che avviene della creatura come di Dio stesso. I libri sacri contengono tre definizioni di Dio le quali corrispondono a tre gradi di religione. Nell'Esodo Dio stesso si definisce a Mosè: Io sono Colui che è. Dio è l'Essere, è l'Onnipotenza. Tutto proviene da Lui. Tutto dipende dai suoi decreti. Non si concepisce una religione che non cominci da una definizione di Dio, riferendosi alla potenza. Ma se si sta alla definizione di potenza in Dio non si esce dalle religioni inferiori, quelle che fanno tremare l'uomo dinnanzi all'infinito.
Il Prologo di S. Giovanni ha riportato una seconda definizione mostrando il Verbo nel seno di Dio e dicendo: Ed il Verbo era Dio. Qui alla nozione di Potenza si aggiunge quella di Sapienza ed Ordine Supremo. I grandi pensatori di tutti i tempi, senza andare fino alla nozione precisa del Verbo, hanno concepito la divinità come una sapienza ordinatrice. Dopo Anassagora questo pensiero fu familiare ai filosofi greci. Ma la terza definizione di Dio è propriamente cristiana. Essa non fu sospettata che vagamente da qualche isolato pensatore. E' racchiusa tutta in questa parola di Gesù: Padre nostro. E S. Giovanni gli ha dato la sua formula definitiva dicendo: Dio è amore (1Gv 4, 8).
Per questo bisogna risalire fino al cuore, fino alla divina carità, nel tentativo d'analisi del carattere della Vergine se vogliamo, sia pure imperfettamente comprenderla.
Il cuore spiega tutto e dà la chiave di tutto il resto. Mentre invece non vi è nulla che spieghi il cuore perché il cuore è per così dire, la persona e, per lo meno, dà di essa la misura reale e la sua posizione nella scala dei valori.
Difatti trattandosi di una creatura noi chiamiamo valore il suo grado di bontà e di partecipazione alla bontà in creata. Ora la bontà tende al dono di sé e si misura dalla potenza del dono. E tale potenza è il cuore, è l'amore.

L'amore dei piccoli. - Si comprende bene perciò la logica interna della religione di Cristo. Tale religione ha per fine di farci imitare Iddio. Siate perfetti come è perfetto il padre vostro. Se dunque l'attributo essenziale di Dio è la Bontà e la Paternità infinita, in una parola l'Amore, tutto lo sforzo della vera religione deve mirare a produrre l'amore nel cuore degli uomini. Tutto il progresso dell'amore sulla terra è un progresso di civiltà ed ogni posto nello spirito d'odio, di rivolta, d'egoismo, e di violenza è un regresso verso le barbarie (68).
Ma la religione non ha altro scopo che generare l'amore. Se Gesù ha riassunto la sua missione dicendo: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, ne consegue direttamente e immediatamente che vi sono due comandamenti essenziali: l'amore a Dio e quello del prossimo. In tal modo si è espressa la sapienza infinita del Verbo incarnato, nella famosa risposta al problema degli scribi: Maestro qual è il primo e il più grande comandamento della legge? Perciò avremo detto tutto intorno al Cuore immacolato di Maria quando avremo studiato il suo grande amore al prossimo e a Dio. Gesù stesso ci dà un segno infallibile per discernere le qualità dell'amore che portiamo al prossimo. Quando fai un pranzo invita i poveri, gli storpiati, gli zoppi, i ciechi, e tu sarai felice del fatto ch'essi non sono in grado di contraccambiarti (69).
Ricordiamo il principio che è di una chiarezza senza ombre: Se tu dai perché l'altro ricambi, questo non è amore, è calcolo. Il vero amore è quello disinteressato; perciò il vero amore sarà essenzialmente l'amore degli umili e dei piccoli (70).
Gesù ha praticato questo amore degli umili in modo luminoso. Si è dato ai semplici. Ha richiesto ad essi soltanto il loro amore di cui non aveva alcun bisogno, ma che è però l'unica condizione della loro salute eterna.
Si è identificato ad essi. È stato il buon Pastore che ricerca le pecorelle smarrite e che dona la vita per il suo gregge.
Anche il poco che conosciamo della vita della Vergine ci prova ch'ella ebbe l'amore ai piccoli, agli umili e che il suo amore era spoglio di ogni ricerca personale e di ogni calcolo egoista.

Maria ed Elisabetta. - Il primo atto di amore del prossimo, in ordine cronologico, che noi riscontriamo in Maria è la sua visita ad Ain-Karim. Anzitutto è interamente spontaneo: Maria non è aspettata. Elisabetta, la cugina veneranda, non l'ha avvertita del suo stato, né Maria ha fatto domande. E' stata informata dall'Arcangelo Gabriele che però non le ha dato alcun ordine da parte di Dio. Ma non importa: con lo slancio che contrassegna l'amore vero, Maria parte immediatamente. Il Vangelo usa al riguardo una parola che stupisce. Maria così saggia, calma, riflessiva, lontana da ogni premura inutile, Maria - ci dice il testo che proviene da Lei stessa: c Si mise in viaggio per recarsi frettolosamente sulla Montagna».
Notiamo bene la situazione: L'Arcangelo sta per lasciare Maria. Il prodigioso mistero dell'Incarnazione si è compiuto in Lei. Maria è quindi la Madre di Dio, titolo per il quale nessuna parola umana vale a rendere la dignità, e lo splendore. La sua anima diventa il primo Tabernacolo della Vittima Santa ed è inondata di lumi e di grazie. Essa si conosce regina d'un regno infinitamente superiore a quello di Davide suo antenato. Ma il motto del suo regno è già quello di Gesù, Ella vuole «servire e non essere servita». Le parole dell' Arcangelo non contengono per Lei che una breve indicazione. Il Suo cuore immacolato è stato sensibile ai minimi inviti divini che nell'accenno dell'Angelo vede l'espressione d'un desiderio di Dio su di Lei. Il suo amore, la sua vita d'unione con Dio, il suo gusto dell'orazione, non sono affatto qualcosa di teorico, di unicamente contemplativo; non sono semplici parole. Ella riunisce in sé tutte le bellezze delle due vite che più tardi saranno simboleggiate in Marta e Maria di Betania.
La frase Evangelica ci mostra Maria che strappandosi alle estasi dell'Incarnazione e della Maternità Divina, si decide con prontezza, esce dalla Sua abitazione e s'incammina in tutta fretta verso le strade della montagna della Giudea, dove abita la cugina. Una singolare impressione di forza di volontà, ma soprattutto di carità scaturisce da questa visione presentata dal testo sacro. Una carità spontanea, rigorosa, pronta, che è soprattutto una carità spirituale: lo si rileva dall'effetto prodotto col suo saluto nell'incontrare Elisabetta. Maria non viene soltanto a portare un aiuto materiale, e per questo alle sue prime parole il nascituro trasalisce nel seno della cugina. Maria dunque pensa soprattutto al bimbo, prega per lui, vede la sua futura missione ed offre a Dio per lui e il suo avvenire gli slanci della sua anima. Se il bimbo di Zaccaria e di Elisabetta è santificato prima di nascere, ciò non avviene per caso né per un'azione incosciente ed involontaria della Vergine; evidentemente essa ha influito sulla Bontà di Dio, ha invocato per Lui l'Emmanuele che era propria carne.
E durante i tre mesi del suo soggiorno ad Ain- Karim la Vergine ha mantenuto senza dubbio l'atmosfera di santa gioia e di entusiasmo soprannaturale che inaugurò all'inizio del Magnificat.

Maria e gli umili. - Non sappiamo se Zaccaria ed Elisabetta si possano collocare tra i semplici, cioè fra coloro che nella vita presente non conoscono né onori né fortune, ma tuttavia abbiamo la prova che Maria dimostra una predilezione spiccata per gli umili del mondo. Tale predilezione si rivela nel suo stesso cantico. Vi si parla di punizione per i «superbi » , di atterramento per i «potenti», di spogliazione dei «ricchi». Maria non si scandalizza per quanto avviene nella storia; Essa sa che il tempo è nulla dinnanzi a Dio e non vuol vedere che la fine. Dappertutto vede in opera la giustizia di Dio e contempla la sua misericordia; «Egli ha esaltato gli umili » grida -, «ha saziato di bene gli affamati ». Pare di sentire Gesù che ai suoi discepoli ripete: «felici coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati... » Oppure: «Maledizione a voi, o ricchi... ».
È il caso di rilevare che Maria, unica depositaria dei «Ricordi di Giuseppe» e dei proprii, ha introdotto il racconto della visita dei Magi che non erano certo dei «piccoli » di questo mondo ma certamente anime diritte e degne del Vangelo, in quella parte che in S. Matteo noi abbiamo trovato i «Ricordi di Giuseppe », mentre le proprie «Memorie » pubblicate da S. Luca riferiscono il fatto commovente dell'adorazione dei pastori. Questi almeno erano certamente gli umili. Per di più avevano un cattivo nome in Israele. I farisei li ritenevano per dei maledetti. «Questa razza di uomini - scrive P. Prat riguardo loro - erano assai disprezzati dagli israeliti devoti. Vivendo nomadi e quasi selvaggi, lontani dal tempio e dalle sinagoghe, riusciva loro impossibile di conformarsi alle osservanze legali. Abba Gorio aveva l'abitudine di dire: «Guardatevi dallo scegliere per i vostri figli il mestiere dell'asinaio o del cammelliere, del barbiere, barcaiolo, merciaiolo e pastore: questi sono mestieri da ladri ». Soprattutto, i pastori del deserto erano sospettati di non rispettare abbastanza le proprietà altrui. Un fariseo si sarebbe fatto scrupolo di acquistare la loro lana e latte per timore di cooperare ad un furto. I pastori erano uguagliati ai pubblicani e la loro testimonianza non era valevole nei giudizi » (71).
Si trattava dunque di urtare l'opinione comune raccontando che i primi adoratori del Bambino Gesù non erano stati degli scribi, dei dottori, e dei ricchi personaggi d'Israele; ma i più diseredati e screditati fra i giudei, i più umili fra gli umili, i piccoli pastori di Betlemme. Eppure Maria non ha esitato. Non conosceva il rispetto umano e non temeva di affrontare i suoi giudizi. Mostra altamente l'amore del suo Gesù e di Dio stesso per gli umili e prova, così, dove si orienta la intima scelta del proprio cuore.

Maria e i dottori. - Non bisogna però aspettarsi di trovare nelle sue «Memorie» delle invettive personali contro i potenti del giorno e neppure contro quelli da cui ricevette motivi di sofferenza.
Più tardi Gesù maledirà i Farisei non per spirito di vendetta o di rancore personale, ma perché ora era necessario smascherare questi gretti settari distruttori di anime e ladri di stima da parte degli umili da loro stessi ingannati.
Maria non ha le medesime ragioni di Gesù per battere degli avversari. Abbiamo notato al principio del libro là grande serenità che distingue i nostri racconti evangelici ed abbiamo creduto di scorgervi l'influenza della pace mariana. Il caso di Erode, dicemmo, è particolarmente evidente. Erode aveva perseguitato col suo odio il Bambino Gesù. Solo la fuga in Egitto intrapresa per ordine di Dio aveva salvato il Cristo Re. Erode aveva compiuto il suo orrendo misfatto col massacro degli innocenti. Crediamo che S. Matteo abbia avuto tutti i dettagli sul fatto dalla Madonna eppure non si trova un fremito d'indignazione e di collera nel suo racconto. Le prove della collera divina sono visibili nella fine terrificante del tiranno eppure non son riportate. Non c'è un epiteto ignominioso a carico del vecchio tigre e non si può dire se sia per prudenza o per timore di rappresaglia che il Vangelo di Matteo conserva una tale maestosa, impassibilità. La famiglia di Erode era già da tempo nell'impossibilità di nuocere quando uscì il primo Vangelo.
Appare difficile spiegare l'immensa pace che emana da tutti questi racconti senza ricorrere alla grande carità di Maria che rimette a Dio solo il giudizio e non vuol pensare ai colpevoli se non per benedire la provvidenza, per i doni che ci hanno impedito di cadere nei loro delitti e nei loro peccati. Che cosa hai tu che non abbia ricevuto? direbbe volentieri con S. Paolo la Vergine. E se tu hai ricevuto tutto perché te ne glorii come se non avessi ricevuto nulla?
Quello che diciamo a proposito di Erode può illuminare quanto abbiamo congetturato intorno ai dottori della legge. Maria non comprese che Gesù chiamò il suo primo contatto coi maestri del Tempio: occuparsi delle cose del Padre suo. Essa non provava per i dottori alcuna simpatia e non poteva non tremare pensando ai conflitti inevitabili che essi avrebbero fatto sorgere al grande restauratore della legge, il Messia, quando l'avessero avuto di fronte. Conosceva troppo il loro spirito e quello della legge che essi tradivano commentandola; e intuivano troppo bene quale sarebbe il compito di Cristo quando volesse rimettere in ordine la casa di Dio. Nonostante tutto questo non le sfugge commento alcuno. Soltanto per deduzione noi possiamo formulare, nell'episodio del Tempio una insinuazione contro i falsi sapienti che disonorano la cattedra di Mosè.
Da parte di Maria, sempre il medesimo rispetto per i sovrani diritti di Dio. Egli solo è il giudice. Egli solo ha il diritto di pronunciare delle sentenze.

Maria alle nozze di Cana. - Non è audacia affermare che il primo miracolo di Gesù è stato compiuto in favore di povera gente e in seguito alle preghiere di Maria. C'è in esso, evidentemente, un'attenzione della Provvidenza. Maria si trova fra gli invitati ed è quindi amica della famiglia: si trova a tutto suo agio fra i «semplici» La venuta del suo Gesù accompagnato dai suoi primi discepoli può forse essere stata la causa della penuria di vino. Maria lo intuisce per la prima e la sua sollecitudine si dimostra nello stesso pronto intervento. È vero si trattava di cosa di poca importanza e soprattutto per Lei che sappiamo continuamente immersa nei pensieri di eternità. Che importanza aveva infatti la piccola confusione di questi semplici di fronte ai loro invitati? Del resto è l'appunto che farà Gesù stesso: O Donna, che cosa importa a me? Quando si vivono i misteri dell'anima questi meschini dettagli di cucina o di cantina sono qualcosa di così infimo!
Ma la Vergine ha un «debole» per i «piccoli» non può vedere la pena di questa buona gente senza commuoversi. Conosciamo quanto accadde. Ella non disse che questa parola: Non hanno più vino. Quanta discrezione in questa preghiera! Quale fede nell'onnipotenza di Colui che non ha ancora fatto alcun miracolo! Però l’ora non è ancora venuta, Gesù glielo dice, ma c'è nel suo sguardo e sul suo viso la luce che rassicura Maria: suo Figlio non le oppone il rifiuto: fate ciò che Egli vi dirà - essa mormora verso i suoi servitori. Il miracolo è compiuto. L'ora è stata anticipata dalla preghiera di Maria. È stata una scena commovente per le sue sfumature fini e delicate. Crediamo che Gesù abbia voluto insegnare al mondo quanto vale la preghiera di Maria e come Egli gradisce l'amore verso gli umili.

Maria e i «fratelli di Gesù». - Oltre l'episodio delle nozze di Cana che il Vangelo orale primitivo non accenna, in tutta la predicazione d'inizio non si parla della Madonna che a proposito di un oscuro incidente. Abbiamo raccontato questo incidente al suo posto cronologico nella «Vita di Gesù» (72). Ritorniamoci brevemente.
I parenti di Gesù erano stati avvertiti di quel che accadeva intorno a Lui. Era talmente pressato dalla folla che non aveva neppur più il tempo di mangiare. Qualcuno per spirito di carità o con ironia fece sapere alla sua famiglia: che egli era fuori di sé, che si uccideva, vivendo in quel modo, senza prendere un istante di riposo. Il dito dei farisei ci entrava senz'altro nel gioco. I parenti di Gesù s'allarmarono per Lui e stabilirono di venire a prenderlo per riportarlo con la forza a Nazareth. Prendono dunque con sé la Madonna e si mettono in cammino arrivando fino a Lui. Ma la folla è talmente fitta che non possono avvicinarlo e perciò gli fanno dire che gli debbono parlare. Qualcuno allora dice al Maestro: Ecco là tua Madre e i tuoi fratelli che ti cercano. E Gesù risponde semplicemente: Chi sono mia Madre e i miei fratelli? E gettato uno sguardo su coloro che gli stanno intorno, Egli dice: Ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque fa la volontà del Padre mio, costui è mio fratello, mia sorella e mia madre.
Non commenteremo queste magnifiche parole meravigliose per toccare il cuore a tutti coloro che non sono della stirpe né della parentela temporale di Gesù. Quello che ci interessa in questo momento è la ragione della presenza di Maria e la parte che essa ha rappresentato nell'episodio.

Tre cose appaiono evidenti:
1. I «fratelli» di Gesù, cioè i parenti più prossimi conoscevano la grande influenza di Maria su Gesù. La chiamano con sé perché la sola sua presenza dà una forza irresistibile alla commissione che compiono.
2. Maria verso i suoi «nipoti» continua ad osservare il silenzio circa il grande segreto messianico. Gesù solo poteva autorizzarla a romperlo. Per più di trent'anni il segreto era stato conservato. I «fratelli» di Gesù l'avevano visto crescere al villaggio senza avere dubbi sulla sua vera origine e sulla sua identità. Soli Maria e Giuseppe sapevano tutto, ma nulla era trapelato del divino mistero.
3. Maria accetta di unirsi a loro. Qui la storia non ha un seguito immediato. Gesù non corre il minimo rischio di essere portato via dai «suoi» perché ad essi basta di venire a vedere per rinunciare al loro progetto piuttosto ingenuo. Difatti non si sa che essi abbiano fatto un minimo tentativo né la Madonna riferisce la minima parola di quest'occasione.
Tutto è servito solo ad ottenere una sentenza molto bella e commovente da parte di Gesù. Che cosa risulta da tutto questo? quale conclusione ne viene per la Madonna? Ci sembra di non sbagliare pensando che il suo scopo in quest'occasione era di mettere i suoi nipoti in presenza di Gesù, nella certezza che la sola sua presenza avrebbe dato una impressione decisiva. Notiamo che l'episodio accade durante l'intervallo delle due visite di Gesù a Nazareth. La prima volta che Egli vi è venuto non è stato accolto male, nella seconda invece aveva trovato gli spiriti troppo eccitati contro di Lui.
Non sappiamo tutta la causa di tale cambiamento. È probabile che i farisei c'entrassero per qualche cosa. Si può immaginare come Maria, messa al corrente dai proprii nipoti di tutto ciò che si diceva e tramava contro Gesù, seguisse con inquietudine e lacrime i primi segni dell'offensiva contro il suo Dio. Certo dovette sforzarsi di conquistare almeno i propri parenti che non credevano in Lui», ma sempre tenuta al segreto sulla nascita soprannaturale di Gesù, si sarà limitata, con superiore tatto, a fare delle esortazioni.
Li avrà incoraggiati nel tentativo di avvicinarsi a Lui e Lei stessa si sarà offerta per accompagnarli. Cammin facendo, e ormai sottratti all'influenza del proprio ambiente, la Madonna avrà loro parlato in termini tali che gli umili popolani, giunti nel luogo dove Gesù predicava, non avranno più osato manifestare la primitiva intenzione. Si sono accontentati di domandare un'udienza, mettendo innanzi il nome della Madre per ottenerla. Ma Gesù, che vede nel fondo dei cuori, ha senza dubbio giudicato che i loro pensieri non erano abbastanza diritti. Sembra che Egli non abbia gradito la loro preghiera ed essi ricevano una risposta di cui non comprendono l'importanza.
Quando li ritroviamo mescolati alla folla sia a Nazareth nel tempo della seconda visita di Gesù, sia nel momento in cui Gesù si prepara a lasciare la Galilea nel periodo della festa dei Tabernacoli, essi sono ripieni di incredulità. Eppure ne uscirono. A poco poco il prestigio di Maria si è imposto. Il loro messianismo terra terra si è piegato finalmente dinnanzi al messianismo tutto spirituale di Gesù. Si sono convertiti dopo la risurrezione nonostante la smentita che essa dava alle loro inveterate credenze come a quelle degli apostoli.
Gesù non ha cambiato affatto le cose temporali. Ormai si è avverato che il suo regno non è di questo mondo. Non si è vendicato dei suoi nemici. La sua risurrezione è stata una manifestazione fra le più inaspettate, mentre il regno d'Israele non è stato restaurato.
Ma i «fratelli» di Gesù sono stati ugualmente conquistati. Da tutto questo si rivela che la Madre di Dio ha predicato verso di loro la più eccelsa carità, che ha continuamente pregato per la loro salute finché li ha condotti al Salvatore ed è riuscita finalmente vittoriosa in questa lotta prolungata dalla fede contro l'incredulità.
È un fatto di cui conosciamo soltanto le grandi linee. I particolari ci sfuggono in massima parte ma a giudicare dai risultati, siamo invitati a concludere che la Madonna, senza uscire dalla riservatezza imposta a sé e agli apostoli, per quanto riguardava l'infanzia di Gesù per tutta la durata della prima generazione cristiana, aveva saputo con la nobiltà della sua vita, la sua serenità, la sua dolcezza e le sue preghiere agire sui cuori ed esercitare intorno a sé una potente influenza secondo le intenzioni del suo Gesù.
In ogni modo Ella rimaneva ancora e sempre l'Ancella del Signore.

L'umiltà di Maria. - Con la parola ora scritta: «l'Ancella del Signore» noi raggiungiamo alla fine dello studio, il punto di partenza: è difatti a questo titolo di Ancella che ci siamo riferiti costantemente. Ci soffermeremo ora sulla divina carità di Maria verso il suo Figliuolo che era pure il suo Dio. Avviciniamo per l'ultima volta i due titoli: Madre ed Ancella; titoli nei quali è racchiuso quanto si può spiegare dell'amore di Maria per Gesù. Ma come si osa dire: spiegare quando bisognerebbe dire: balbettare? Siamo arrivati al centro.
Tentiamo di entrare nell'intimo del Cuore Sacro, del Cuore immacolato di Maria. Il primo dovere che si impone è di comprendere la logica possente dei sentimenti di Maria; S. Tommaso ha detto bene: Attraverso l'umiltà l'uomo è messo nell'ordine in rapporto a se stesso e in rapporto a Dio. Per questo non esiste amor di Dio né amore in genere senza l'umiltà. L'orgoglio difatti consiste nel ricondurre tutto a sé, nel rimettersi al di sopra di tutti o per lo meno fuori dell'ordine che conviene. L'orgoglio è la base dèll'egoismo e niente si oppone all'amore come la ricerca personale. Il vero amore esige l'oblio di sé. E' quindi legato all'umiltà ed è la prima condizione della carità. Più ci si distacca da se stessi e più si può immergersi in Dio solo.
Meno ci si preoccupa dei proprii interessi, delle proprie inclinazioni, gusti e desideri, più ci si può mettere al servizio di Dio. Il nome di Ancella del Signore implica dunque la più perfetta definizione dell'umiltà, più necessaria condizione. dell'amore divino.
L'aver enunciato questi elementari principi è sufficiente per intuire che l'umiltà sola ci dona il decreto della carità incomparabile della Vergine. Abbiamo constatato il suo amore al silenzio, la ricerca dell'ombra, l'allontanamento da ogni pubblicità, il desiderio di passare inosservata, di perdersi interamente nella scia del Signore. Sembra talvolta al comune Buon senso che tutto ciò non sia esente da qualche esagerazione, che tante precauzioni non fossero necessarie, che non fosse il caso di ricercare l'oscurità con tale costanza e tenacia quando la Vergine poteva con tutta la semplicità coprirsi del suo titolo di Madre, poiché dopo tutto tale titolo era propriamente suo e nessuno poteva contestarglielo.
Ma come si possono proferire i nostri giudizi, le nostre intuizioni alle superiori certezze di Maria? Chi ha ragione? La Vergine o il buon Senso che invochiamo? Porre la questione è già risolverla.
In proposito interroghiamo il Vangelo. Ognuno ricorda la risposta di Gesù a quella donna che gridò dal mezzo della folla: Felice il seno che ti ha portato! Beate le mammelle che hai succhiato! Ecco il linguaggio spontaneo del comune buon senso. L'ingenua esclamazione della donna sconosciuta è completamente conforme all'opinione del volgo. Ma che cosa rispose Gesù? Molto più felici coloro che ascoltano la parola del Signore e la mettono in pratica!
E con le sue parole voleva dire, come nella risposta riportata sopra ai «fratelli»: non sono i legami della carne che importano. Nel regno dello spirito c'è una cosa sola che conta ed è il servizio di Dio. Ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica, ecco ciò che solo vale. Sarebbe stato dunque nulla essere la Madre del Cristo se nello stesso tempo non fosse stata l'Ancella del Signore per eccellenza. Il titolo di Madre di Dio dà un solo diritto a Colei che lo porta, quello di sorpassare ogni altra donna nell'amore e nel servizio di Dio. Più essa è Madre e più deve essere Ancella, e che Maria l'abbia compreso lo si rivela da tutta la sua vita.
Tutti i suoi atti ci attestano che il suo titolo di Madre di Dio le è apparso costantemente come un impegno per servire. Maria sorpasserà dunque tutte le creature nell'amore, perché le sorpasserà nell'umiltà. Da ciò il suo silenzio, la sua vita nascosta a tutti gli sguardi, la sua volontà di passare inosservata. Dio solo poteva giudicare se essa portava degnamente la sua dignità di Madre, poiché per portarla degnamente era necessario spogliarsene senza posa. Ma poteva dunque ornarsi di un titolo di cui gli uomini avrebbero visto soltanto la gloria esteriore; ma che bastava considerare un istante solo per sapere fino a qual punto tutte le creature dovessero sentirsene oppresse.
In questa umiltà della Vergine si riuniscono tutte le osservazioni fatte fin qui sulla sapienza, l'eroismo e la divina Carità di Maria.
Essere umile, come lo fu la Madonna, è la sapienza suprema, il perfetto eroismo e l'amore sovrano.

Come Maria parla di sé. - Avremmo torto però se volessimo dare all'umiltà di Maria un aspetto che la facesse uscire dalla verità. Tale umiltà sarebbe falsa. La grandezza dell'umiltà scaturisce appunto dal fatto che essa non è che l'espressione del vero. Noi siamo nulla davanti a Dio. Il niente non conta dinanzi all'infinito. E se noi siamo al di fuori del niente, lo dobbiamo a Dio solo. L'umiltà ha la sua sorgente nel fatto iniziale della creazione. Maria stessa, sebbene fosse tutta pura, sebbene nessun peccato alterasse il suo splendore originale, Maria stessa non era che una creatura. L'umiltà per Lei era il corollario dell'adorazione, il primo atto di ogni religione che consiste nel riconoscere il sovrano dominio di Dio. Perciò non doveva fare alcun sforzo per ricercare l'ombra: non vedendo che Dio solo Ella vi si trovava a tutto suo agio.
Di conseguenza, parlando di sé, il suo linguaggio non si rivestiva di affettazione e non si esprimeva in formule di volontaria abiezione. L'umiltà affettata non è che una caricatura, una forma più raffinata dell'orgoglio. Maria, esempio perfetto di umiltà, non conosceva affettazioni: rimase semplice, giusta, sincera e di una ingenuità meravigliosa.
Se consideriamo l'insieme di quei racconti di S. Luca che abbiamo chiamato «Le sue memorie» notiamo che Ella non cerca di fare del meraviglioso mistero dell'Annunciazione il principio di un'era novella. La venuta dell'Arcangelo a Nazareth è posta dopo l'apparizione a Zaccaria che è presa come punto di partenza della sua cronologia. Difatti essa introduce l'Annunciazione con queste parole: Ora, al sesto mese ... ciò che per Lei significa: al sesto mese, dopo la concezione di Giovanni Battista. Eppure Ella sa bene che il concepimento del figlio di Dio è infinitamente più importante di quello del Precursore. E da esso conveniva far cominciare un'epoca nuova.
Ma la Vergine non si cura di tali minuzie della storia; segue il piano divino, tale come si è svolto senza cercare di mettersi al primo piano. E' da queste finezze che si misura l'abisso di verità in cui si radica l'umiltà del suo cuore senza macchia. Lo stesso avviene quando, si tratta di raccontare la scena dell'adorazione dei Magi. Maria non esita a dettare nei «Ricordi» di Giuseppe: «Ed entrati nella capanna essi videro il Fanciullo con Maria sua Madre». Di Giuseppe non si parla. Evidentemente in questa frase in cui Ella si mette in scena - se si omette la nostra ipotesi sulla trasmissione di questi «ricordi» - Maria obbedisce semplicemente al rispetto della verità. Dappertutto e sempre, in lei come in tutti i santi della storia, umiltà e verità si confondono.

L'amore divino in Maria. - Eccoci quindi al centro. Tutti i veli sono stati scostati e ci appare il Cuore Immacolato di Maria. La sua umiltà ci conduce direttamente alla sua potenza d'amore. Più Ella dimentica se stessa, più è capace di donarsi; l'amore non è altro che il dono di sé. Maria ha vissuto completamente per una missione divina. Quando si pensa alla sublimità di questo compito, non si spera più di poter abbracciare l'immensità del suo amore. Siamo costretti a prendere appoggio in constatazioni più accessibili a noi. Succede delle nostre deduzioni relative alla carità soprannaturale di Maria come dei calcoli usati dai geometri per misurare, con sommità intermedie, l'altezza d'una cima gigante. Anche noi vediamo una cosa lontana e ci serviamo di strumenti appropriati alla nostra debolezza. Cercheremo di eseguire quello che i tecnici chiamano una triangolazione, per mezzo cioè di visioni successive.
Per valutare sia pure approssimativamente l'altezza dell'amore divino in Maria noi abbiamo un primo metodo, usato da Bossuet e preso in prestito da un autore più antico. Amedeo di Losanna, vescovo del XII secolo, aveva scritto: «Per formare l'amore di Maria, due amori si sono riuniti in uno solo, poiché la Vergine Santa rendeva a suo Figlio l'amore che essa doveva a un Dio e rendeva al suo Dio l'amore dovuto ad un Figlio».
Tale veduta, veramente penetrante e superiore, è tutta giusta. Lasciamo a Bossuet la parola di commento: «Se voi intendete bene queste parole, vedrete che non si può pensare nulla di più grande, di più forte, né di più sublime per esprimere l'amore della Vergine Santa. Poiché il santo Vescovo vuol dire che la natura e la grazia concorrono insieme per scavare, nel cuore di Maria, le impressioni più profonde. Nulla più forte, né preme di più dell'amore che la natura sente per un figlio, né di quello che la grazia dà per Iddio.
Questi due amori sono due abissi, di cui non si può penetrare il fondo, né comprendere l'immensità. Possiamo dire col Salmista: «Abyssus abyssum invocat». Un abisso chiama un altro abisso; poiché per formare l'amore della Vergine è stato necessario fondere insieme ciò che la natura ha di più tenero e la grazia di più efficace. La natura c'era perché l'amore abbracciava un figlio: la grazia agiva perché l'amore riguardava un Dio».
Eppure Bossuet stesso trova insufficiente questa prima considerazione. L'amore materno è un abisso insondabile presso le nature migliori. L'amore dei Santi per il loro Dio è un altro abisso, per usare l'immagine del grande oratore, oppure ritornando alla nostra, questi due amori sono sommità che si perdono nelle nubi e che la purezza delle nevi eterne ricopre. Ma quando si tratta di Maria - poiché essa è la Madre, poiché a Lei sola il Cielo ha mormorato parole che la terra non ha mai sentito, poiché si può dire di Lei: «ciò che non è stato detto mai di alcun'altra», né si può sperare di sentire più la ricchezza di quel saluto dell'Angelo: «Salve, piena di grazia, il Signore è con te», allora si sente che è necessario elevarsi da un lato al di sopra della natura e dall'altro, dalla grazia comune. La nostra prima mira è dunque troppo corta. Bisogna salire ancora: Come faremo?

L'analogia della vita di Gesù. - Cercheremo un'analogia nell'insieme della vita di Gesù. Da un po' di tempo i contemplativi ed i teologi hanno fatto un'osservazione che acquista la forza di una legge: nella storia di Cristo ad ogni passo si ritrova la doppia natura che Egli possedeva nell'unica persona del Verbo. Vi è un costante parallelismo nei fatti della sua esistenza terrena. Si vede dappertutto simultaneamente e come una simmetria voluta e provvidenziale: Dio e l'Uomo.
Ad es. nasce in una povera stalla ma gli angeli annunziano la sua nascita ai pastori ed una stella guida i Magi. Fugge in Egitto, ma si sottrae per un miracolo all'odio di Erode. Riceve il battesimo come uomo e i cieli si aprono sul suo capo mentre una voce celeste pronuncia le parole: «Ecco il mio Figlio prediletto». Egli predica, sopporta la fatica, la fame, la persecuzione; ma semina i miracoli, apre davanti agli uomini gli orizzonti dell'eternità, diffonde una dottrina in cui risplende la sapienza di un Dio. Muore sulla croce ma risuscita il terzo giorno. E sarebbe facile seguire questo dualismo di aspetti fino ai minimi particolari.
Dallo studio dei racconti dell'infanzia noi abbiamo creduto di poter trarre la seguente regola: «tutte le condizioni spirituali intorno a Gesù sono superiormente perfette; tutte le condizioni spirituali e terrene sono state volontariamente disdegnate» (73). Si dirà che nell'enorme lotta fra la carne e lo spirito, lotta che domina tutti i secoli e spiega tutta la storia degli uomini, Gesù ha voluto che la sua propria vita offrisse, a chiunque vuol riflettere, la chiave di tutti gli enigmi. La nostra epoca ha scelto la carne. Gesù aveva optato per lo spirito. Nessuna epoca è stata più anticristiana della nostra. Essa prometteva agli uomini, una felicità ben diversa da quella di cui parla il Vangelo. E se essa fosse riuscita a darcela avremo mo avuto nella storia umana lo scandalo degli scandali. Ma ora è chiaro che essa ha fallito e nel modo più miserabile. L'era del progresso minaccia di sommergersi nell'ignominia. Una volta di più si dimostra la verità del Vangelo.
Applichiamo la regola accennata sopra al caso unico di cui cerchiamo l'intelligenza. Gesù è nato da una donna. Ecco il lato umano. Dove troveremo il lato divino dato che la legge del parallelismo ci comanda di cercarlo? Lo troveremo anzitutto nel fatto che è nato da una concezione soprannaturale. È nato da una vergine ed è stato concepito dallo Spirito Santo. La sua nascita è stata un «ricominciare», come già quella di Adamo era stata un «inizio».
Ma proseguiamo il nostro studio. La Vergine Maria è stata spogliata di tutto. La sua dimora era una grotta più che un palazzo. Aveva per sposo un umile carpentiere. Ha vissuto fra i più modesti lavori d'una abitazione giudaica. Ecco il lato umano, le condizioni terrene.
Ed ecco ora le condizioni spirituali: Maria aveva la Sapienza, l'Eroismo, l'Amore. E possedeva queste qualità al punto di essere degna di un Dio.
Degna d'un Dio, ecco la nostra seconda «mira». Questa volta non possiamo andare più alto né più lontano. Vediamo dinanzi a noi la cima contemplata ad una altezza quasi incalcolabile. Degna di un Dio... Come intenderemo queste parole? Gabriele aveva detto: Piena di grazia e noi intenderemo la prima espressione «degna d'un Dio» nel senso d'una pienezza di grazie, sorpassante ogni altra grazia creata. Impiegandosi a fondo in questa via così sicura e logica la tradizione cristiana ha intuito la incompatibilità di qualunque macchia col titolo di Madre di Dio che la Chiesa ha tradotto molto giustamente nel dogma dell'Immacolata Concezione.
Ma non servirebbe a nulla capire il significato della dignità mariana con l'esenzione da tutti i peccati e dallo stesso peccato originale, se non si vedesse subito l'applicazione positiva del medesimo principio: non solo Maria ha avuto un privilegio unico nella esenzione da ogni macchia, ma l'ha avuto anche nelle ascensioni della sua anima nell'amore divino. Se pensando alla discendenza degli uomini in Adamo, noi dobbiamo dire di Lei: questa legge era fatta per tutti, ma non per la Madre di Dio, la stessa cosa e, se possibile, con più forte ragione, dobbiamo ripetere pensando alla grazia. Le leggi poste da Dio per la distribuzione delle grazie più sublimi, la scala delle grandezze della santità, la possibilità aperta nel possesso della grazia e della visione beatifica, tutto ciò serve per il resto delle creature, ma non per Maria.

Piena di grazia. - Quando parliamo della pienezza di grazia in Maria o, in altre parole, della pienezza d'amor divino che fu insieme il principio e il frutto di tale grazia (74), noi dobbiamo pensare a qualche cosa di unico nell'insieme della creazione. E c'è difatti nel linguaggio dell'Arcangelo Gabriele, il rispetto d'un suddito per una regina.
Possiamo intanto ritornare a Bossuet. Dopo aver ricordato e spiegato la parola di Amedeo di Losanna sul doppio amore che nel cuore di Maria produce una fiamma immortale, egli aggiunge: «E' necessario salire più in alto. Permettetemi, o cristiani, di portare oggi i miei pensieri al disopra della natura e della grazia e di cercare la sorgente di questo amore nel seno stesso dell'Eterno Padre. Mi sento obbligato per il motivo che il Divin figlio di cui Maria è Madre è in comune con Dio ». Colui che nascerà da te - Le disse l'Angelo - sarà chiamato Figlio di Dio. «Così Ella è unita con Dio Padre diventando la Madre del Suo unico figlio ». «Ch'Ella possiede in comune soltanto col Divin Padre per il modo con cui l'ha generato».
Ma saliamo ancora: vediamo donde Le viene questo onore e come Ella ha generato il figlio di Dio. Si capisce a prima vista che non fu per la sua fecondità naturale, con questa avrebbe potuto generare un uomo; per renderla atta a generare un Dio fu necessario, dice l'Evangelista, che l'Altissimo la coprisse con la sua virtù, che cioè Le comunicasse la sua fecondità. Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà (Lc 1, 35). Ed è così che la Vergine fu associata alla generazione eterna. Ma questo Dio che Le volle donare il suo figlio, comunicarle la sua virtù, dotarla della sua fecondità, dovette anche far discendere in quel casto petto un raggio o qualche scintilla dell'Amore che Egli porta al suo figlio unico che è lo splendore della sua gloria e la viva immagine della sua sostanza (75).
«Di là è scaturito l'amore di Maria; esso s'è effuso dal cuore di Dio nel cuor della Vergine; e l'amore che ella ha per il suo figliuolo viene dalla stessa sorgente da cui le venne il figliuolo stesso» .
Vedere in questa pagina soltanto un'amplificazione, vorrebbe dire conoscere male Bossuet e il soggetto che egli tratta. Cresciuto alla scuola dei Padri antichi, Bossuet sapeva che la verità si serve con l'esattezza e la causa di Gesù Cristo con la probità scientifica. Ma la ragione ch'egli pone qui è di una forza irresistibile. O bisogna rinunciare a capire anche solo elementarmente i disegni di Dio, o bisogna riconoscere una sapienza superiore in tutto ciò che Egli fa. Non sappiamo supporre neppure un istante che Iddio abbia deciso di dare una Madre al suo Figliolo senza che tale Madre ricevesse tutti i doni che caratterizzano le madri: una potenza di generosità e di devozione e una capacità d'amore superiore a tutto quanto la terra conosce. E Iddio ponendo questa meraviglia dell'amore materno alla culla del Verbo incarnato, non poteva metterglielo che in uno stato di perfezione superiore a quanto lo spirito creato può concepire.
In una parola la Vergine senza amore non sarebbe stata madre e non avrebbe potuto essere madre di un Dio senza un amore dato al Dio fatto uomo. Questa considerazione ci trasporta al di sopra di tutte le altezze. Una madre come Maria non poteva essere che una santa senza alcun confronto con le altre santità, e poiché la santità si misura dal grado d'amore, ripensiamo ad un amore che sorpassa ogni altro. Dal cuore di Dio stesso sono scese nel cuore immacolato di Maria delle fiamme che la rendono degna del cuore di Gesù e la uniscono eternamente a Lui.

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07/09/2012 22:16

CAPITOLO VIII

LA MORTE D'AMORE: L'ASSUNZIONE


Sommario:
- Il peccato e la morte
- La morte per amore
- L'assunzione.

***

Il peccato e la morte. - Eccoci alla fine delle nostre analisi. Non è soltanto uno studio psicologico che abbiamo voluto tracciare, ma anche una storia mariana. Una storia che differisce da tutte le biografie comuni perché i fatti che abbiamo raccolti sono tutti interiori, per così dire. Quegli stessi che furono esteriori non possono essere compresi che guardandoli interiormente. Così è un fatto storico che Gesù è nato da Maria; ma la maternità del la Vergine non può essere valutata che spiritualmente. Essa fu molto più Madre per il suo amore invisibile che per il pianto visibile. «Ella concepì con lo spirito prima di concepire con la carne» (76).
Dal punto di vista biografico non sappiamo nulla di Lei e si può dire che non conosciamo neppure i particolari della sua vita. Questa nostra ignoranza in proposito è stata voluta da Lei, dagli apostoli e da Dio stesso. Perché tutta la sua gloria è interiore. Il nome stesso dei suoi genitori è giunto a noi attraverso tradizioni non canoniche. - Ma a che cosa ci servirebbe conoscere il luogo della sua nascita e della sua morte? Siamo meglio informati sulla sua concezione senza macchia e sulla sua morte d'eccezione attraverso il ragionamento e la meditazione più che non lo potremmo essere per le testimonianze contemporanee. Tali testimonianze non potrebbero fornirci che l'esteriore e il solo titolo di Madre di Dio ci ha manifestato più notizie che gli stessi libri sacri i quali, senza quel titolo, prenderebbero tutto un altro senso (77).
E poiché non conosciamo alcuna delle circostanze che accompagnarono la morte della Vergine, ricorriamo ancora al titolo di Madre di Dio per avere lumi su questo punto.
Abbiamo visto precedentemente che il magistero della Chiesa ha solennemente confermato il giudizio del senso cristiano per il quale il peccato è incompatibile con la maternità divina. Perciò il dogma dell'Immacolata Concezione è implicitamente rivelato in quello della divina maternità della Vergine.
Ma la morte è il castigo del peccato originale. Non è questo il momento per dimostrarlo e noi supponiamo che tale principio sia bene conosciuto dai nostri lettori (78).
Esente dal peccato originale Maria avrebbe dunque potuto essere esente dalla morte. Ma noi l'abbiamo contemplata ai piedi della Croce. Con Bossuet abbiamo detto: questa incomparabile madre avrebbe voluto morire col suo Divin Figliolo. Da allora la sua vita diventa una specie di miracolo, di eroismo. Essa vive per obbedienza e per amore. Ma ricevuta una missione da Gesù agonizzante, compirà tale missione fino alla fine. Ma quando il suo compito sarà finito, quando finalmente l'ora sarà suonata, il miracolo cesserà da sé. Avendo sopravvissuto per amore, non potrà morire che per amore, onde imitare il suo Gesù anche nella morte.

La morte per amore. - «Voi pretendete - ha detto ancora Bossuet - di capire l'unione di Maria con Gesù Cristo? Se non siete capaci di intendere la sua forza e veemenza credete di potervi immaginare i suoi movimenti e slanci? Cristiani, tutto ciò che noi possiamo capire è questo: che non vi fu al mondo uno sforzo superiore a quello fatto da Maria per riunirsi al suo Gesù, né una violenza simile a quella che Maria sopportò per questo distacco. Se voi siete del mio parere, o anime sante, non avrete bisogno di ricercare altre cause della sua morte. Questo amore era così ardente, forte ed infuocato che non poteva trarre un respiro senza rompere i legami del suo corpo mortale, non poteva formulare un desiderio per il cielo senza attirare con esso anche l'anima di Maria» (79).

L'Assunzione. - Potremo fermarci a questo punto. Maria ha avuto la più bella delle morti. Non le rincresceva nulla della terra: aveva vissuto nell'eterno prima d'essere madre d'un Dio. La sua divina maternità l'aveva elevata ancor più al disopra delle contingenze terrene. Dopo la morte, resurrezione ed ascensione del suo Gesù, la sua esistenza si può concepire solo come un esilio eroicamente accettato. La morte fu per lei la grande liberazione poiché andava a raggiungere suo figlio e il suo Dio. Essa non pensava affatto al suo premio, ma Dio vi pensava per lei. E la corona proporzionata al suo amore dovette essere incomparabile.
Si potrebbe credere di avere detto tutto su di Lei quando la si mostra in atto di prendere in cielo il suo posto di regina, a fianco di Cristo-Re. Invece la tradizione cristiana ha voluto per Lei un segno particolare. Se essa ha subito la morte per assomigliare a suo figlio, non poteva però subire la corruzione della tomba. La somiglianza con suo figlio giunge fino alla morte, ma le impedisce la dissoluzione ...
S. Giovanni Damasceno citava nell'VIII secolo il passo d'uno storico nel 5° secolo nel quale era riportata la testimonianza del patriarca Giovenale del medesimo tempo (80). Questi affermava che «un'antica e molto vera tradizione» assicurava che il corpo di Maria, deposto al Getsemani in una tomba che fu venerata per lungo tempo, non vi era rimasto che tre giorni (come quello di Cristo) e che gli apostoli, non trovandola più nel sepolcro non poterono pensare che così «allo stesso modo ch'era piaciuto al Verbo e Signore della gloria d'incarnarsi in Lei e divenire uomo, come aveva voluto conservare tutta pura la sua verginità, così gli era ugualmente piaciuto, quando Ella ebbe lasciato questo mondo, di onorare il suo corpo intatto e immacolato con l'incorruttibilità e la assunzione al Cielo prima della risurrezione universale e comune ».

Questa antica e molto vera tradizione può contenere degli elementi leggendari. Se un giorno il fatto dell'Assunzione sarà eretto a dogma, esso non si fonderà solo su questa tradizione ma anche e principalmente sul titolo di Madre di Dio e sul dogma dell'Immacolata Concezione.
Se Maria ha dovuto sottostare alla morte ciò non avvenne per un debito personale. Preservata da ogni macchia, ebbe la morte che doveva avere: Maria Santissima morì d'amore e il suo corpo verginale fu portato in Paradiso dagli Angeli!

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07/09/2012 22:18

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Note

1 Opera oratoria, Edizioni Labarq, III, 459-496
2 Opera oratoria, Edizioni Labarq, III, p. 495.
3 Su tutto questo vedi:«Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore », III, 335 e segg.
4 Sul significato di questo primo versetto vedere: «Il Vangelo secondo San Marco di Lagrange, Parigi, Gabalda 1920, pag. 3. La parola Vangelo in questo libro non significa il libro del Vangelo, ma piuttosto messaggio redentore di «Gesù ».
5 Testo sugli Agnelli di cui sarà il Pastore supremo, nell'apparizione sulle rive del lago di Tiberiade, in S. Giovanni XXI, 15. Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore » II, 82 e II-III 360 e segg.
6 Luca XXII, 31-32. «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore » III, 167.
7 I Doceti credevano che il Logos o Verbo Divino avrebbe subito una corruzione nell'unione colla materia o carne che essi ritenevano la fonte di tutti i mali. Questa eresia apparve nel primo secolo. Essa è stata confutata da Giovanni e dalla sua scuola: Ignazio d'Antiochia, Policarpo, Ireneo.
8 Epistola ai Cristiani di Efeso, XVIII, 2.
9 Apologia di Aristide, XV.
10 Ai Corinti, XV, 45.
11 Si osservi questa espressione: Si riferisce ai Vangeli che Giustino verso l'anno 150 chiama le Memorie degli Apostoli indicando in una parola l'incomparabile valore storico ch'egli conosceva ad essi.
12 Dialogo con Trifone.
13 Contro haereses, III, 22-4
14 Fouard, S. Giovanni, 95-96.
15 Secondo il parere del P. de la Broise, di M. Fouard e di molti altri noi rigettiamo fa tradizione poco fondata che fa vivere e morire la Vergine ad Efeso o nei suoi dintorni. La tradizione è molto più sicura in favore di Gerusalemme. La tomba della Madonna era verso il giardino del Getsemani.
16 Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », II, 30 e segg.
17 Sappiamo che presso i Giudei le fanciulle non erano inviate alla scuola. La loro educazione si faceva ai piedi della madre, al focolare domestico. La fanciulla ripeteva frase per frase le pagine della Bibbia, seguendo la Madre.
18 Vedere questi capitoli nel Libro del Giubileo; III, 165 e segg.
19 Su Erode Antipa vedere Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, II, 331 e segg. Sui Farisei soprattutto il III, 63 e segg.
20 Non ci meraviglierà se mettiamo questa espressione sulle labbra di Maria parlando del suo Gesù. Nell'ordine puramente naturale le formule del rispetto sono strettamente obbligatorie anche da parte della Regina Madre quando si tratta del Re. Si pensi alla deferenza della Regina Claudia di Francia per suo figlio Francesco. Maria era una figlia di re, meglio ancora Egli era Dio. Ella non voleva essere che l'umile ancella.
21 Su Erode Antipa vedere «Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore », II, 331 e segg. Sui Farisei soprattutto il III, 63 e segg.
22 Elevazione sui Misteri, VII elev.
23 Abbiamo citato anche noi commentando il glorioso Prologo, la frase in cui S. Ilario paragona la scienza soprannaturale di Giovanni ai più grandi miracoli di Cristo. Vedere «Gesù Cristo» I, Pag. 4. Là abbiamo tentato una spiegazione completa di questa pagina sublime, qui cerchiamo timidamente dare la spiegazione storica delle sue origini.
24 Giov. XX, 31: «Questo è stato scritto affinché crediate che Gesù è il Cristo Figlio di Dio.
25 Alludiamo al passo di Luca X, 21 e Matteo XV, 85. Vedi «Gesù Cristo … » II, 236 e seg.
26 Proverbi di Salomone VII, 22-32. Il versetto: «Era presso di lui come un fanciullo » talvolta è tradotto così: «Io ero all'opera presso di Lui ». Noi adoperiamo da questo punto la traduzione del P. Lebreton. Dopo di questo passo la nostra Volgata segna la seguente frase la cui autenticità è dubbia: «E trovando la mia delizia fra i figlioli degli uomini». I fedeli possono leggere questa pagina dei Proverbi nella liturgia della festa dell'Immacolata e in quella del S. Rosario.
27 Vedere per questo dove abbiamo trattato della vita nascosta di Gesù nel «Gesù Cristo» I, 92 e segg.
28 Siamo del parere che la parola «Donna » rivolta da Cristo a sua Madre è il più grande dei titoli onorifici. Come Egli aveva scelto per sé il nome di Figlio dell'Uomo che significava semplicemente l'Uomo più grande, il nuovo Adamo in opposizione al vecchio Adamo, come S. Paolo aveva ben intuito. Così Egli dava a Maria il nome di Donna cioè di novella Eva come i Padri della scuola di S. Giovanni, S. Giustino e S. Ireneo la chiamarono subito.
29 S. Paolo, Epistola ai Colossesi 1, 16-19 - Epistola agli Ebrei 1, 1 e segg.
30 Si possono trovare tracce dell'influenza di Matteo nella prefazione di S. Luca, ma sono poco numerose e si spiegano facilmente, vedremo più avanti come.
31 Alludiamo a Zaccaria, alla sua sposa Elisabetta, a Giovanni Battista, alla profetessa Anna ed al vecchio Simeone. Ma queste erano anime ispirate e per di più perfettamente isolate da Israele.
32 La prima volta: Luca II, 19 - la seconda in termini quasi identici, Lura II, 51: e «sua Madre conservava tutte queste cose in cuor suo».
33 Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio » I, p. 60.
34 Diciamo confidenze intime in quanto Luca interrogando Matteo pare abbia ricevuto da Lui soltanto delle note sui discorsi di Gesù, ma nessun insegnamento sulla sua infanzia mentre Matteo ne era già in possesso.
35 Siamo sicuri che la nascita verginale di Gesù, come il profeta Isaia l'aveva annunciata, non era stata capita da alcuno, nemmeno da Maria prima dell'annunciazione. Da un lato è vero che non si trova alcuna traccia di questa generazione verginale del Messia negli scritti dei Giudei ma d'altra parte se Maria avesse conosciuto tale oracolo nel suo significato vero si sarebbe posta nella possibilità di divenire Madre del Messia facendo voto di verginità e la sua risposta all'Angelo: «come avverrà questo se io non conosco uomo»? sarebbe stata almeno un controsenso.
36 Non dimentichiamo che S. Luca non dovette conoscere da S. Matteo i racconti dell'infanzia di Gesù; egli prese da Matteo soltanto i discorsi che nel suo Vangelo non sono posti nello stesso ordine usato da Matteo. E' questo che ci fa collocare il Vangelo di quest'ultimo ad una data poco anteriore a quella di Luca e in una zona lontana da quella in cui scrisse Luca.
37 Sembrerebbe in verità che Luca abbia conosciuto le note di Matteo da Lui - pare - utilizzate in certe pagine simili a quelle del suo predecessore. Ma forse la conoscenza avvenne attraverso un intermediario a noi ignoto.
38 L'autore si riferisce alla sua opera «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore »
39 Vedi «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, 98 e segg.
40 Vedi «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, 34 e segg.
41 Abbiamo già accennato come tale pensiero sia consolante per il Sacerdote o il Monaco che recitano l'ufficio divino.
42 Cantico di Anna:
- Il cuor mio giubila nel Signore:
Il mio corno è innalzato per lo Signore
La mia bocca è allargata contro ai miei nemici Perciocchè, o Signore, io mi son rallegrata nella tua salute.
43 Salmo 113 (Volgata 112) Il Signore è eccelso sopra tutte le nazioni La sua gloria è sopra i cieli Che riguarda a basso cielo e terra.
44 - Salmo 111 (Volgata 110) Il tuo nome è santo e tremendo
Il principio della sapienza è il timor del Signore.
45 - Genesi XXX, 13 - Grido di Lia alla nascita di Aser:
Le figlie mi chiameranno felice.
Salmo 103 - (Volg. 102):
Come un padre ha compassione dei suoi figli cosi Egli è pietoso con coloro che lo temono.
46 Vedere ciò che è stato detto nella parabola del buon Samaritano in: «Gesù Cristo » ecc. - II. - 244.
Salmo 89 (Volg. 88):
Sei tu … che disperdi i tuoi nemici con la forza delle tue braccia.
Altro canto di Davide riportato al secondo Libro di Samuele XXII, 28:
Tu salvi gli umili in mezzo al popolo.
E col tuo sguardo abbassi gli orgogliosi.
47 Cantico di Anna:
Iehova fa morire e vivere, fa discendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. Iehova impoverisce e arricchisce, abbassa ed eleva.
Salmo 147 (Volg. 146):
Jheova viene in aiuto ai piccoli ed abbassa i cattivi fino a terra.
2 Giobbe V, II
Rovescia i potenti,
Esalta quelli che sono abbassati.
48 Cantico di Anna:
Quelli che erano saziati si sono allogati per aver del pane e quelli che erano affamati non hanno più fame.
Salmo 34 (Volg. 3):
Non c'è povertà per coloro che la temono … Coloro che cercano Iehova non sono privati di alcun bene ...
Salmo 107 (Volg. 106)
Ed egli ha dissetato l'anima divorata dalla sete ed ha colmato di beni l'anima sossata dalla fame.
49 Isaia XLI, 8-9:
Tu, Israele, mio servitore ...
Tu, che io ho preso per mano all'estremità della terra.
Salmo 98 (Volg. 97):
Egli si è ricordato della sua bontà e della sua fedeltà verso la casa d'Israele ...
50 Genesi, XVII, 7: «Stabilii la mia alleanza, un'alleanza perpetua, con te e i tuoi discendenti dopo di te, di età in età, per essere il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti».
Genesi XVIII, 18: «Iehova disse: nasconderò io ad Abramo ciò che sto per fare? Poiché Abramo deve divenire una nazione grande e forte e tulle le nazioni della terra saranno benedette in lui».
Genesi XXII, 17: «Io ti benedirò e ti darò una posterità numerosa come le stelle del cielo e coma i granelli di sabbia in riva al mare … E nella tua posterità saranno benedette tutte le nazioni della terra....
Michea. VII, 20: «Voi farete vedere a Giacobbe la vostra fedeltà, ad Abramo la misericordia che avete giurato ai nostri padri nei giorni antichi».
51 Accenniamo di passaggio che i tre cantici contenuti nel nuovo Testamento si trovano nei «Ricordi » di Maria. Sotto un aspetto essa è l'unico salmista della Nuova Legge. Senza dubbio Ella è autrice soltanto del Magnificat ma è Lei che ci ha trasmesso il Benedictus e il Nunc dimictis. Lei che aveva un'altitudine spiccata per i canti religiosi. Li ricordava, li «conteneva nel suo cuore » per parlare come Lei. Un confronto attento fra i tre cantici dimostra che essi hanno conservato nella sua memoria il carattere proprio a ciascuno o, per meglio dire, il loro sapore d'origine. Zaccaria non canta come Simeone, né Simeone come Maria.
La memoria di Maria era fedele ed essa era troppo scrupolosamente attaccata alla verità e all'esattezza per modificare sia pure il minimo di quanto ripeteva. Ci ritorneremo su questo pensiero. Consideriamo come cosa certa che Maria, nell'intervallo che separa gli avvenimenti della nascita di Gesù e la redazione dei suoi «Ricordi » avrà ripetuto nel suo cuore e forse anche a viva voce, i tre cantici ripieni di tanti e cari ricordi per Lei.
52 Vedere ciò che si è detto della parabola del buon Samaritano in «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore ». II, 244.
53 Vedere le note 19 e 20.
54 Noi non facciamo caso del senso reale della parola ebraica che la Volgata ha tradotto per Vergine. E' affare di filologia. Noi constatiamo semplicemente che nessuno in Israele aveva intuito in questo passo un annuncio di maternità verginale messianica. Ci sembra evidente invece, e il fatto lo dimostra, che lo Spirito Santo, inspirato il testo, aveva in mira la concezione verginale del Cristo.
55 Ciò non impediva affatto al matrimonio d'essere un vero matrimonio. Poiché esso sostanzialmente è il dono reciproco degli sposi l'uno all'altro. Questo dono conferisce a ciascuno di essi un diritto sul proprio congiunto, un diritto esclusivo.
Il voto di verginità consisteva in questo caso non nel distruggere il diritto ma nel sospenderne l'uso. Va da sé che tale voto rendeva doppiamente colpevole ogni infedeltà che oltre violare il voto sarebbe andato contro il diritto del coniuge.
56 Leggi concernenti il matrimonio nel Deuteronomio, XXII e seg.
57 Certi autori hanno ammesso che Giuseppe «temeva » soprattutto di associarsi ad un atto delittuoso prendendo per sposa una fidanzata forse infedele. Me se egli avesse avuto il minimo sospetto non doveva o provocare spiegazioni o denunciare Maria? Non era questo che un uomo «giusto » doveva fare? Dal momento che «poiché egli era giusto » non voleva esporre Maria all'infamia pubblica è segno che non aveva alcun dubbio sulle sue virtù. Da ciò si intuisce che egli poteva temere di prenderla in isposa in quanto ignorava se tali nozze erano conformi alla volontà di Dio.
58 Sottolineiamo questa espressione la quale prova chiaramente che Maria, fidanzata a Giuseppe, è già legalmente la sua donna. Perché essa sia considerata come donna maritata non le rimane che di entrare nell'abitazione del marito.
59 È Maria stessa che dà queste definizioni della giustizia a proposito di Zaccaria ed Elisabetta. (Luca, I, 6).
60 Lagrange: Il Messianismo presso i Giudei, p. 263.
61 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p.102 e segg.
62 La frase dolorosa di Giovanni: «E i suoi non lo ricevettero» non sarebbe una eco del martirio della Vergine?
63 Lamentazioni di Geremia, II, 13.
64 Su questo punto vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore», III, p. 294.
65 Opere oratorio, Edizioni Labarq, III, p. 448.
66 Matteo XI, 29. Noi traduciamo questo come il Lagrange non come si traduce generalmente: «Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore ».
67 Citate dal lagrange, Matteo, 230.
68 Si giudichi da questo il pericolo che corre la civilizzazione nell'ora attuale!
69 Vedere Gesù Cristo, etc. II, 336-337.
70 Quando gli umili e i semplici dispongono d'una cosa che si desidera da essi, come ad es. il loro voto elettorale, può essere che si ostenti per essi un grande amore. Ma è disinteressato tale amore?
71 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 88.
72 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 358.
73 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 96.
74 Insieme principio e frutto in quanto la grazia precede il nostro amore, ma il nostro amore attira e merita una nuova grazia. E' un'ascensione continua.
75 Sono termini usati nell'Epistola agli Ebrei (II, 3) richiamiamo le espressioni già studiate a proposito della Sapienza Increata (Proverbi, 8)
76 Abbiamo già citato queste parole di Leone il Grande, in «Gesù Cristo», ecc. I, 96.
77 È chiaro che le parole dell'Angelo «piena di grazia » indirizzate a un'altra persona che non fosse Maria, non significherebbero una pienezza pari alla sua. Essa ha ricevuto la pienezza che conveniva alla Madre di un Dio.
78 «Per un solo uomo (Adamo) il peccato è entrato nel mondo e col peccato la morte ». Vedere questo passo nell'Epistola di S. Paolo ai Romani V, 11.
79 Questa citazione e quella del capitolo precedente sono tolte dal medesimo discorso di Bossuet, per la festa dell'Assunta «Opere Oratorio» Edizione Lebarq, III, 485-488.
80 Questo passo di S. Giovanni Damasceno riportato nel Breviario romano, nella festa dell'Assunzione è riguardato oggi come un'interpolazione. Ma non vi è attestazione così antica come la credenza nell'Assunzione di Maria.

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