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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 12:45

LE LETTERE

di Santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa

l'Opera mantiene la numerazione originale, le Lettere sono 383 e saranno inserite in diversi thread per una lettura più agevole e continuata....

Parte Prima


1 A monna Lapa.

2 A uno prete detto ser Andrea da Vincione.

3 Al proposto di Casole e a Giacomo di Mancio dal detto luogo.

4 Ad un monaco di Certosa essendo in carcere.

5 A messer Francesco da Monte Alcino dottore in lege civile.

6 A monna Lapa sua madre.

7 A messer Pietro cardinale d'Ostia.

8 A frate Giusto da Volterra, priore del monastero principale dell'ordine di Monte Oliveto presso a Chisure del contado di Siena.

9 A una donna che non si nomina.

10 A Benincasa suo fratello.

11 A missere Pietro cardinale d'Ostia.

12 All'abate di santo Antimo.

13 A Marco Bindi mercatante.

14 AI tre suoi fratelli in Firenze.

15 A Consiglio giudeo.

16 Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

17 Al venerabile religioso frate Antonio da Nizza dell'ordine dei Frati Eremitani di santo Augustino a Selva di Lago.

18 A Benincasa suo fratello, essendo in Firenze molto tribolato.

19 A Nicolaccio di Caterino dei Petroni.

20 Questa è una lettera la quale manda santa Caterina detta a Benincasa suo fratello, ed essendo egli tribolato, sendo egli a Firenze.

21 A uno lo nome del quale per lo meglio non si scrive per alcune parole usate in essa lettera.

22 All'abbate Martino di Passignano dell'ordine di Valle Ombrosa.

23 A Nanna figlia di Benincasa in Firenze, sua nipote verginella.

24 A missere Biringhieri degli Arzocchi piovano d'Asciano.

25 A lo soprascritto Tommaso dalla Fonte dei frati Predicatori.

26 A sorella Eugenia sua nipote nel monasterio di Sancta Agnesa a Montepulciano.

27 A missere Martino abbate di Pasignano dell'ordine di Valle Ombrosa.

28 A messer Bernabò signore di Milano,

29 A madonna la Regina, donna dello soprascritto signore di Milano, per li detti ambasciadori.

30 Alla badessa del monasterio di santa Marta da Siena e a sorella Nicolosa del detto monasterio.

31 A madonna Mitarella donna di Vico da Mogliano, senatore che fu a Siena nel 1373.

32 A frate Giacomo da Padova priore del monasterio di Monte Oliveto di Firenze.

33 All'abbate di Monte Oliveto volendogli rimettere nelle mani uno frate uscito dell'Ordine suo.

34 Al Priore dei frati di Monte Oliveto presso Siena

35 A frate Nicolò di Ghida e a frate Giovanni Zerri e a frate Nicolò di Giacomo di Vannuccio di Monte Oliveto.

..... l'elenco continua in basso con il collegamento al nuovo thread


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1. A monna Lapa (la mamma di Caterina)

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero cognoscimento di voi medesima e de la bontà di Dio in voi - ché senza questo vero cognoscimento non potreste participare la vita de la grazia -; e però dovete con vera e santa sollicitudine studiare di conoscere voi non essere, e l'essere vostro riconoscerlo da Dio, e tanti doni e grazie quante avete ricevute da lui e ricevete tutto dì.

A questo modo sarete grata e conoscente, e verrete a vera e santa pazienza, e non vederete le picciole cose per grandi, ma le grandi vi parranno picciole a sostenere per Cristo crocifisso. Non è buono lo cavaliere se non si pruova in sul campo de la battaglia; così l'anima nostra si debba provare a la battaglia de le molte tribulazioni, e quando allora si vede fare prova buona di pazienza - e non volta lo capo indietro per impazienzia scandalizzandosi di quello che Dio permette - può godere ed essultare, e con perfetta allegrezza aspettare la vita durabile, poiché s'è riposata ne la croce; e confortasi con le pene e con gli obbrobrii di Cristo crocifisso, e ragionevolmente può aspettare l'eterna visione di Dio. Poiché Cristo la promette a loro, ché coloro che sono perseguitati e tribolati in questa vita, sono poi saziati (Mt 5,6 Lc 6,21) e consolati (Mt 5,5) e alluminati nell'eterna visione di Dio, gustando pienamente e senza mezzo la dolcezza sua; ed eziandio in questa vita comincia Dio a consolare coloro che s'affaticano per lui.

Ma senza lo cognoscimento e di noi e di Dio, non potremmo venire a tanto bene: Perciò vi prego, quanto so e posso, che v'ingegniate d'averlo, affinché noi non perdiamo lo frutto de le nostre fatiche. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

[Modificato da Caterina63 19/10/2012 14:43]
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2. A uno prete detto ser Andrea da Vincione.

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e padre, per rispetto al dolcissimo sacramento, in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato di vero e perfettissimo lume affinché cognosciate la dignità nella quale Dio v'ha posto, poiché senza il lume non la potreste conoscere; non conoscendola non rendereste gloria e lode alla somma bontà che ve l'ha data, e non nutrireste la fonte della pietà per gratitudine, ma la fareste disseccare nell'anima vostra, con molta ingratitudine. Poiché la cosa che non si vede non si può conoscere; non conoscendola, non s’ama; non amandola, non si può essere grati né riconoscenti al suo Creatore: Perciò c’è bisogno di illuminazione interiore.

O carissimo fratello, questa è tanto necessaria che se l'anima la considerasse quanto è necessario, sceglierebbe piuttosto la morte che amare o cercare ciò che può impedirgli questa dolce e forte illuminazione. E se voi mi diceste: «Ho voglia di fuggirla, quale è quella cosa che me la toglie?», io vi risponderei, secondo il mio basso intendimento, che solo la nuvola dell'amor proprio passionale ce la può togliere.

Questo è uno albero di morte che tiene la radice sua nella superbia - unde dalla superbia nasce l'amore proprio e dall'amor proprio la superbia, perché subito che l'uomo s'ama di questo amore presumme di sé medesimo -, e i frutti suoi generano tutti morte, toglendo la vita della grazia nell'anima che li possiede e li mangia col gusto della propria volontà, cioè che volontariamente caggia nella colpa del peccato mortale che germina l'amore proprio.

Oh quanto è pericoloso! Sapete quanto? che egli priva l'uomo del cognoscimento di sé, unde acquistarebbe la virtù de l'umilità - nella quale umilità sta piantato l'amore e l'affetto dell'anima che è ordenata in carità -, e privalo del cognoscimento di Dio, del quale cognoscimento trae questo dolce fuoco della divina carità.

Poiché di suo principio le tolse lo lume con che conosceva: e però si trova spogliata della carità, perché non cognobbe. Senza lo cognoscimento è fatta simile all'animale, sì come per lo conoscere con lume di ragionell’uomo diventa uno angelo terrestro in questa vita.

E spezialmente i amministri, i quali la somma bontà chiama i cristi suoi: questi debbono essere angeli e non uomini; e veramente così sonno, se non si tolgono questo lume, e dirittamente hanno l'offizio dell'angelo. L'angelo ministra a ognuno in diversi modi, secondo che Dio l'ha posto, e sonno in nostra guardia dati a noi per la sua bontà; così i sacerdoti posti nel corpo mistico della santa Chiesa da amministrare a noi lo sangue e il corpo di Cristo crocifisso - tutto Dio e tutto uomo per la natura divina unita con la natura nostra umana: l'anima unita nel corpo, e il corpo e l'anima unita con la deità, natura divina del Padre eterno -, lo quale die essere ed è ministrato da quegli che hanno vero lume, con fuoco dolce di carità, con fame de l'onore di Dio e salute delle anime, le quali Dio v'ha date in guardia affinché il lupo infernale non le divori. Questi gusta i frutti delle virtù che danno vita di grazia, che escono dell'albero del vero e perfetto amore.

Lo contrario, sì come di sopra dicemmo, fanno quegli che tengono l'albero della morte nell'anima loro, cioè dell'amore proprio: tutta la vita loro è corrotta, perché è corrotta la principale radice dell'affetto dell'anima. Unde se sonno secolari essi son gattivi nello stato loro, commettendo le molte ingiustizie, non vivendo come uomini ma come l'animale che s'involle nel loto vivendo senza veruna ragione: così questi cotali non degni di esser chiamati uomini - perché s'hanno tolta la dignità del lume della ragione -, ma animali, ché s'invollono nel loto della immondizia, andando dietro a ogni miseria secondo che l'appetito loro bestiale gli guida.

Se egli è religioso o cherico, la vita sua egli non la guida non tanto come angelo né come uomo, ma, come bestia, molto più miserabilmente che spesse volte non farà un secolare. Oh di quanta ruina e riprensione saranno degni questi cotali! La lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo; ma bene lo proverà la tapinella anima, quando sarà messa alla pruova. Preso hanno, questi cotali, l'offizio deli demoni: i demoni, tutto lo loro studio ed essercizio è di privare l'anime di Dio per conducerle a quello riposo che ha in sé medesimo; così questi cotali si sonno privati della buona e santa vita, perché hanno perduto lo lume e vivono tanto scelleratamente quanto voi e gli altri che hanno cognoscimento possono vedere. Essi son fatti crudeli a lor medesimi essendosi fatti compagni deli demoni, abitando con loro inanzi lo tempo.

Questa medesima crudeltà hanno verso le creature, perché sonno privati della carità della carità del prossimo. Egli non sono guardatori d'anime, ma devoratori, ché essi medesimi le mettono nelle mani del lupo infernale. O miserabile uomo, quando ti sarà richiesta ragione dal sommo giudice, non potrai renderla; e non rendendola tu ne cadi nella morte eternale: ma tu non vedi la pena tua, perché tu ti sei privato del lume e non cognosci lo stato nel quale Dio t'ha posto per la sua bontà. Oimé, carissimo fratello! egli l'ha posto come angelo, e perché sia angelo da amministrare lo corpo de l'umile e immacolato Agnello; ed egli è dirittamente uno demonio incarnato. Non tiene vita di religioso, ché in sé non ha veruno ordine di ragione; né vive come cherico, che deve vivere umilmente con la sposa del breviario a lato, rendendo lo debito dell'orazioni a ogni creatura che ha in sé ragione, e la substanzia temporale ai poverelli e in utilità della Chiesa, anco vuole vivere come signore, e stare in stato e in delizie con grandi adornamenti, con molte vivande, con gonfia superbia, presumendo di sé medesimo. Non pare che si possa saziare: avendo uno beneficio, egli ne cerca due; avendone due, egli ne cerca tre, e così non si può saziare. In iscambio del breviario son molti sciagurati (così non fusse egli!) che tengono le femmine immonde, e l'arme come soldati, e il coltello a lato, come si volessero difendere da Dio, con cui hanno fatto la grande guerra: ma duro gli sarà al misero a ricalcitrare a lui, quando distenderà la verga della divina giustizia. Della substanzia ne nutre i figli, e quelle che sonno dimoni incarnati con lui insieme.

Tutto questo gli è nato dall'amore proprio di sé - lo quale ponemmo che era uno albero di morte, i frutti suoi erano puzze di peccati mortali - lo quale dà la morte nell'anima, perché ci ha tolta la grazia essendo privati del lume. Ora aviamo veduto che solo la nuvola dell'amore proprio è quello che cel tolle: poiché tanto è pericoloso, è da fuggirlo e da fare buona guardia, affinché non entri nell'anima nostra; e se egli ci è intrato, pigliare lo rimedio.

Il rimedio è questo: che noi stiamo nella cella del cognoscimento di noi, conoscendo noi per noi non essere, e la bontà di Dio in noi; riconoscendo l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere da lui, e in noi vedere i difetti nostri, affinché veniamo a odio e pentimento della sensualità. E coll'odio fuggiremo questo amore proprio, trovarenci vestiti del vestimento nuziale (Mt 22,11) della divina carità, del quale l'anima debba essere vestita per andare alle nozze di vita eterna. All'uscio della cella porrà la guardia del cane della conscienzia, lo quale abbaia subito che sente venire i nemici delle molte e diverse cogitazioni nel cuore: e non tanto che abbai ai nemici, ma essendo amici sì abbaierà, venendo alcune volte santi e buoni pensieri di volere fare alcuna buona opera: si desterà questa dolce guardia, la ragione, col lume dello intelletto, perché vegga s'egli è da Dio o no. E per questo modo la città dell'anima nostra sta sicura, posta in tanta fortezza che né demonio né creatura gliele può togliere; sempre cresce di virtù in virtù, infine che giogne alla vita durabile, conservata e cresciuta la bellezza dell'anima sua col lume della ragione, perché non v'è stata la nuvola dell'amore proprio: ché se l'avesse avuta, già non l'avrebbe conservata. Considerando questo l'anima mia, dissi ch'io desideravo di vedervi illuminato di vero e perfetto lume. Perciò voglio che ci destiamo dal sonno della negligenzia, esercitando la vita nostra in virtù col lume affinché in questa vita viviamo come angeli terrestri, anegandoci nel sangue di Cristo crocifisso, nascondendoci nelle piaghe dolcissime sue. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Ricevetti la vostra lettera; intesi ciò che dice. Sappiate che di me non si può vedere né contare altro che somma miseria: ignorante e di basso intendimento. Ogni altra cosa si è della somma eterna Verità: a lui la reputate, e non a me. Teneramente mi raccomando alle vostre orazioni. Gesù dolce, Gesù amore.
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19/10/2012 12:49

3. Al proposto di Casole e a Giacomo di Mancio dal detto luogo.

In nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi padri e fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguire l'Agnello dissanguato per noi in su lo legno de la santissima croce, lo quale fu nostra pace e mediatore poiché intrò in mezzo tra Dio e l'uomo, e de la grande guerra fece la grandissima pace, non raguardando a le nostre iniquitadi, ma raguardando a la inestimabile bontà sua.

Voi dunque, membri e schiavi ricomprati di così prezioso e glorioso sangue, dovete seguire le vestigie sue: bene vedete che la prima dolce Verità s'è fatta regola e via. Così dice egli: "Ego sum via, veritas et vita" (Jn 14,6). Egli è quella via di tanta dolcezza e di tanto lume che colui che la segue non cade in tenebre; e noi ignoranti, miseri miserabili, sempre ci partiamo da la via de la luce e andiamo per la via de le tenebre, dove è morte perpetua. Unde, carissimi padri e fratelli, io non voglio che facciamo più così; ma voglio che seguitiate la via dell'Agnello dissanguato con tanto fuoco d'amore.

Già abiamo detto che egli si fece mediatore a fare pace tra Dio e l'uomo; e però questa è dunque la via che io voglio che seguitiate, cioè che voi medesimi siate mezzo fra voi e Dio - cioè tra la parte sensitiva e la ragione -, cacciando l'odio per l'odio, e l'amore per l'amore: cioè che abiate odio e pentimento del peccato mortale e dell'offesa fatta al vostro Creatore (e odiare la parte sensitiva, legge perversa che sempre vuole ribellare a Dio), e odio e pentimento dell'odio che avete col prossimo vostro, poiché l'odio del prossimo non è altro che offesa di Dio. Unde più doviamo odiare che noi odiamo perché se ne offende la prima Verità - ché non dobiamo odiare i nemici nostri che ci fanno ingiuria -; e debbolo avere, questo odio, inverso di me, poiché colui che sta in odio mortale odia più sé che il suo nemico.

Unde voi sapete che tanto è maggiore l'odio quanto è maggiore la cosa che è offesa; e però maggiore odio ha colui che è offeso ne la persona che colui che è offeso in parole o nell'avere, poiché veruna cosa è che sia tenuta tanto cara quanto la vita: e però l'uomo s'areca a maggiore ingiuria l'essere offeso ne la persona, e concepe più odio. Or pensate dunque voi che non è comparazione da l'offesa che è fatta ad alcuno per la creatura a quella che si fa esso medesimo. Che comparazione si fa da la cosa finita a la infinita? non veruna. Unde se io sono offeso nel corpo, e io viva in odio per l'offesa che m'è fatta, segue che io offendo l'anima mia e uccidola, tollendole la vita de la grazia e dandole la morte eternale, se la morte gli viene nel tempo dell'odio: che non n'è sicuro.

Perciò io debbo avere maggiore odio verso di me che uccido l'anima, che è infinita - poiché non finisce mai quanto ad essere -: poiché, perché finisca a grazia, non finisce ad essere, che verso di colui che m'uccide lo corpo, che è cosa finita, poiché o per uno modo o per un altro a finire ha: egli è cosa corruttibile e che non dura la verdura sua; ma tanto si conserva e vale, quanto lo tesoro dell'anima v'è dentro. Or che è egli a vedere quando la pietra preziosa n'è fuore? è uno sacco pieno di sterco, cibo di morte e cibo di vermini. Perciò io non voglio che per questa ingiuria che è fatta contro a questo corpo finito - ed è tanto vile -, che voi offendiate Dio e l'anima vostra che è infinita, stando in odio e in rancore.

Avete dunque materia di concepere maggiore odio inverso di voi che inverso di loro; e a questo modo cacciarete l'odio con l'odio, poiché con l'odio di voi cacciarete l'odio del prossimo, gittarete uno colpo e satisfarete a Dio e al prossimo: poiché levando l'odio dall'anima vostra voi fate pace con Dio e fate pace col prossimo. Perciò vedete, fratelli carissimi, che a questo modo voi seguitarete l'Agnello che v'è via e regola; la quale tenendo, vi conduce a porto di salute.

Questo Agnello fu quello mezzo che in su la croce satisfece a la ingiuria del Padre, e a noi diede la vita de la grazia; e de la grande guerra si fece la grandissima pace, solo per questo mezzo. Levasi questo dolce Agnello con odio de la colpa commessa per l'uomo, e de la ingiuria che è fatta al Padre per l'offesa fatta; e piglia questa offesa e fanne vendetta sopra a sé medesimo, e non la punisce sopra colui che ha offeso, ma puniscela sopra a sé medesimo, lo quale non contrasse mai veleno di peccato. Tutto questo ha fatto l'odio e l'amore: amore di virtù e odio del peccato mortale. Or dietro a questa regola dovete tenere voi.

Voi sapete che per gli molti peccati mortali siamo in odio e in dispiacere di Dio: fatta è la guerra con lui.

Ma è vero che, poi che questo Agnello ci dié lo sangue, noi possiamo fare questa pace, unde se ogni dì cadessimo in guerra, ogni dì possiamo fare la pace, ma con modo, ché senza modo non si farebbe mai.

Questo è il modo a participare lo sangue di Cristo crocifisso: di levarsi con odio e amore, e ponersi per obiettivo l'obbrobrio, le pene e il vituperio, i flagelli e la morte di Cristo crocifisso, pensando che noi siamo coloro che l'abiamo morto; e ogni di l'uccidiamo peccando mortalmente: poiché non è morto per le sue colpe, ma per le nostre.

Allora l'anima conceperà questo perfettissimo odio verso la colpa sua, come detto abiamo, lo quale odio spegnarà lo veleno del peccato mortale; e non vorrà fare vendetta del prossimo, anco l'amarà come sé medesimo, e cercarà pure in che modo egli possa punire le colpe sue. E la ingiuria che gli è fatta da la creatura non la pigliarà in quanto fatta da creatura, ma pensarà che il Creatore permetta quella ingiuria o per gli peccati presenti, o per gli peccati suoi passati; unde non se la recarà a ingiuria, ma parragli, come egli è, che Dio gli l'abbi permesso per grande misericordia, volendo più tosto punire i suoi defetti in questo tempo finito che serbargli a punire nel tempo infinito, dove è pena senza alcuna misericordia. Or questo è dunque lo modo, e pensate che non c'è altra via; ma ogni altra via ci conduce a morte, eccetto che questa.

In questa via di Cristo dolce Gesù non ci può stare morte, ma tolleci la morte; non fame, poiché ci ha perfetta sazietà: poiché egli c'è Dio e uomo. Ella è via secura, che non teme dei nemici, e non teme demonia né uomini; ma quelli che vanno per essa sono fermi, e dicono col dolce innamorato di Paulo: «se Dio è per noi, chi sarà contro noi?» (Rm 8,31) E voi sapete bene che se voi non sete contro a voi medesimi, stando ne le miserie dei peccati mortali, che Dio non sarà mai contro voi, ma sempre vi terrà in sé con la misericordia e con benignità.

Per l'amore dunque di Cristo crocifisso non schifate più la via, né fuggite la regola che v'è data per lo vostro capo Cristo crocifisso, dolce e buono Gesù; ma levatevi su virilmente e non aspettate lo tempo, poiché il tempo non aspetta voi, poiché noi siamo pur mortali: doviamo morire, e non sappiamo quando. è vero che senza la guida non potreste andare, e però la guida è questa: odio e amore, sì come dicemmo, poiché con l'odio e con l'amore Cristo satisfece e punì le nostre iniquitadi sopra di sé. Orsù virilmente! E non dormite più nel letto de la morte, ma cacciate l'odio con l'odio e l'amore con l'amore, poiché con l'amore di Dio - lo quale siete tenuti e obligati d'amare per dovere e per comandamento -, e con amore de la salute dell'anima vostra - la quale sta in stato di dannazione, stando in odio col prossimo suo -, con esso amore dico che cacciarete l'amore sensitivo, lo quale sempre dà pena e morte e tribolazione a colui che il segue: e in questa vita gusta la caparra dell’inferno.

Or non è questa una grande cecità e oscurità a vedere che potendo in questa vita gustare vita eterna, cominciando l'abitazione in questa vita conversando per affetto e amore con Dio, ed egli si voglia fare degno dell'inferno, cominciando per odio e rancore la conversazione con le demonia? Non è creatura che potesse imaginare quanta è questa stoltizia. Di questi cotali non si potrebbe fare vendetta, e non pare che vogliano aspettare lo sommo giudice che lo' dia la sentenzia ne la compagnia de le demonia, poiché essi medesimi se la danno, e - prima che essi abbiano separata l'anima dal corpo - la pigliano in questa vita, mentre che sono viandanti e peregrini, (He 11,13 1P 2,11) vedendosi correre come lo vento verso lo termine de la morte, e non se ne curano: unde come pazzi e frenetici fanno.

Oimé, oimé, aprite l'occhio del cognoscimento e non aspettate la forza e potenza del sommo giudice, ché altro è lo giudice umano e altro è lo giudice divino. Dinanzi a lui non si può appellare, né avere avvocati né procuratori, poiché lo giudice vero ha fatto suo avvocato la conscienzia, che sé medesima in quella estremità condanna e giudica sé essere degna de la morte. Or giudichianci in questa vita, per l'amore di Cristo crocifisso, giudicando noi peccatori, e, confessando d'avere offeso Dio, domandiamo misericordia a lui, ed egli ce la farà, non volendo noi giudicare né fare vendetta del prossimo nostro, poiché quella misericordia che io voglio per me mi conviene donare.

Facendo così gustarete Dio in verità, e permarrete ne la via sicura, e sarete veri tramezzatori fra voi e Dio, e nell'ultimo ricevarete l'eterna visione di Dio; e però, considerando me e avendo compassione all'anime vostre, non volendo che stiate più in tanta tenebre, mi sono mossa a invitarvi a queste dolci e gloriose nozze, poiché non sete creati né fatti per altro fine. E perché mi pare che la via de la verità sia chiusa in voi, per l'odio che avete, e quella de la bugia e del demonio, che è padre de le bugie, sia molto larga e aperta in voi, voglio che al tutto usciate di questa via tenebrosa, facendo pace con Dio e col prossimo vostro, e reduciatevi ne la via che vi dà vita. E di questo vi prego da la parte di Cristo crocifisso, che non mi dineghiate questa grazia. Non vi voglio più gravare di parole.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 12:51

4. Ad uno monaco di Certosa essendo in carcere.

Al nome di Cristo e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello mio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedere lo cuore e l'anima vostra unito e trasformato nel consumato amore del Figlio di Dio, poiché senza questo vero amore non possiamo avere la vita della grazia, né portare con buona e perfetta pazienza.

E questa vera carità non vego, carissimo fratello, che possiamo avere, se l'anima non raguarda lo inestimabile amore che Dio ha avuto a lui, e singularmente vederlo dissanguato in sul legno de la santissima croce: solo l'amore l'ha tenuto confitto e chiavellato. Dicovi che non sarà nessuna amaritudine che non diventi dolce, né sì gran peso che non diventi leggiero ne la memoria del sangue del Figlio di Dio.

Ho inteso la molta fatica e tribolazione le quali voi avete: ciò riputiamo noi tribolazioni, e se noi upriremo l'occhio del conoscimento di noi medesimi e de la bontà di Dio, ci parranno grandi consolazioni. Del conoscimento di noi, dico, cioè che noi vediamo noi non essare; ma sempre siamo stati operatori d'ogni peccato e 'niquità. Quando l'anima raguarda sé avere offeso lo suo Creatore, sommo eterno bene, cresce in uno odio di sé medesima in tanto che ne vuole fare vendetta e giustizia; è contenta di sostenere ogni pena e fatiche per sodisfare all'offesa che ha fatta al suo Creatore. Grandissima grazia si riputa che Dio gli abbi fatta, che egli lo punisca in questa vita e non l'abbi riserbato a punire nell'altra, due sono pene infinite.

O carissimo fratello in Cristo Gesù, se noi considerassimo la grande utilità che è a sostenere pene in questa vita, mentre che siamo pellegrini che sempre corriamo verso lo termine de la morte! I ci ha molti beni in essare tribolato: l'uno si è ched i si conforma con Cristo crocifisso ne le pene e obrobii suoi. Or che può avere maggiore tesoro l'anima, che essare vestita degli obrobii e pene sue? L'altro si è che punisce l'anima sua, scontiando i peccati e difetti suoi; acresce la grazia, e porta lo tesoro ne la vita durabile per le sue fatiche che Dio li dà, volendolo rimunerare de le pene e fatiche sue.

Non temete, carissimo fratello mio, perché vedeste o vediate che il demonio, per impedire la pace e la pazienza del cuore e dell'anima vostra, mandasse tedii e tenebre nell'anima vostra, mettendovi le molte cogitazioni e pensieri; eziandio lo corpo vostro parrà che voglia essare ribelle allo spirito. Alcune volte lo spirito de la bastemmia vorrà contaminare lo cuore in altre diverse battaglie, non perché creda che l'anima caggia in quelle tentazioni e battaglie - poiché già sa ched egli ha deliberato d'eleggiare la morte inanzi che offendare Dio mortalmente coi la volontà sua -, ma fallo per farlo venire a tanta tristizia, parendoli offendare, colà due non offende, per ch'egli lassarà ogni essercizio: ma non voglio che facciate così. Non debba mai venire in tristizia per nessuna battaglia che avessea, né lassi mai veruno essercizio o offizio o altra cosa, se non dovesse fare altro se non di stare dinanzi a la croce e dire: «Gesù Gesù, io mi confido "in Domino nostro Jesu Cristo"». Sapete che, perché vengano le cogitazioni e la volontà non consente, anco vorrebbe inanzi morire, non è peccato: ma sola la volontà è quella cosa ch'offende.

Perciò vi confortate ne la santa e buona volontà, e non curate le cogitazioni, e pensate che la bontà di Dio permette a lo demonio che molesti l'anima nostra per farci umiliare e riconosciare la sua bontà, e ricorrire a lui dentro ne le dolcissime piaghe sue; come il fanciullo ricorre a la madre noi benignamente saremo ricevuti da la dolce madre de la carità. Pensate che non vuole la morte del peccatore, ma ched i si converta e viva, e tanto smisurato amore lo muove a dare le tribolazioni, e permettare le tentazioni, quanto la consolazione, e poiché la sua volontà non vuole altro che la nostra santificazione. E per darci la nostra santificazione, dié sé medesimo a tanta pena: all'obrobiosa morte de la santissima croce.

Rimanete ne le piaghe dolci di Cristo, e ne la santa carità di Dio.





5. A missere Francesco da Monte Alcino dottore in lege civile.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato nella vera e santa pazienza, considerando me che senza la pazienza non potremo piacere a Dio, anco gustaremo la caparra dell'inferno in questa vita.

Oh quanto sarebbe semplice l'uomo che voglia gustare l’inferno, colà dove può avere vita eterna! Che se io considero bene, in vita eterna non è altro che una volontà pacifica, acordata e sottoposta alla volontà dolce di Dio - ché non possono desiderare né volere se non che quello che esso Dio vuole -: e ogni diletto che hanno i veri gustatori è fondato sopra questa volontà pacifica. Così per lo contrario coloro che sono ne l'inferno gli arde e gli consuma la mala volontà perversa, nella quale volontà ricevono crudeli tormenti con impazienzia odio e rancore: con essi si rodono e si contristano. E di questo tutto sì fa degno la ignoranza e cecità dell’uomo; ché se fusse stato savio in questa vita, mentre che egli era nel tempo della grazia - cioè che era atto a ricevere la grazia -, se egli avesse voluto avrebbe schifata questa cecità e ignoranza.

O fratello carissimo, accordatevi coi veri gustatori, che in questa vita cominciano a gustare Dio facendo una volontà con lui; poiché in altro non sta la pena nostra se non in volere quello che non si può avere.

Se la volontà ama onore, ricchezze, delizie e stati, o sanità di corpo, se le vuole e desidera con disordinato affetto, ed egli no le può avere - ma spesse volte perde di quelle ch'egli ha -, ha pena grandissima perché s'ama troppo disordinatamente. Sì che la volontà è quella che lo' dà pena; ma tolletemi via la volontà propria e sarà tolta ogni pena. In che modo ce la potremmo togliere? Che noi ci spogliamo di questo uomo vecchio di noi medesimi, e vestianci dell’uomo nuovo, dell'eterna volontà del Verbo Dio e uomo. E se voi cercarete che vuole questa dolce volontà dimandatene Pavolo, che dice che non vuole altro che la nostra santificazione. E ciò che egli ci dà o permette a noi, o pena o infermità, per qualunque modo elle si sono, egli le dà e permette con grande misterio per nostra santificazione e necessità della salute nostra.

Perciò non doviamo essere impazienti di quello che è nostro bene, ma con uno santo ringraziamento, reputandoci indegni di tanta grazia quanta è a sostenere pena per Cristo crocifisso: cioè reputarci indegni del frutto che segue doppo la fatica; faccendoci degni della fatica per pentimento e odio di noi medesimi, e di questa parte sensitiva che ha ribellato e offeso al suo Creatore. E se noi dicessimo: «Questa sensualità non pare che si voglia acordare a portarle», poniamole il freno con una santa e dolce memoria di Cristo crocifisso, lusingandola e minacciandola dicendo: «Porta oggi, anima mia. Forse che domane sarà termenata la vita tua: pensa che tu debbi morire e non sai quando». E se noi raguardiamo bene, tanta è grande fatica quanto è il tempo; e il tempo dell’uomo è quanto una ponta d'aco, e più no. Perciò come diremo che veruna fatica sia grande? Non è da dirlo: che ella non è.

E se questa passione sensitiva volesse pure alzare il capo, mettialle il timore e l'amore adosso, dicendole: «Guarda che il frutto della impazienzia è la pena eterna; e nell'ultimo dì, del giudicio, sosterrai pena con con me insieme. Meglio t'è dunque a volere quello che Dio vuole, amando quello che egli ama, che a volere quello che tu vuogli tu, amando te medesimo d'amore sensitivo. Virilmente io voglio che tu porti, pensando che non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che Dio ha apparechiata a coloro che il temeno, e che si vestono della dolce volontà sua» (Rm 8,18).

Poi pensate, dolce fratello e padre, che quando l'anima s'ha tenuto così bene ragione, ed ella apre l'occhio del cognoscimento e vede sé non essere - perché ogni essere che ha procede da Dio -, pruova la sua inestimabile carità: ché per amore, e non per debito, l'ha creata a la imagine e similitudine sua, perché ella goda e participi la somma ed eterna bellezza di Dio, che per altra fine non l'ha creata. Questo ci mostrò la dolce prima Verità - che egli non creò l'uomo per altro fine -, quando in sul legno della santissima croce, per renderci questo fine il quale avevamo perduto, svenò e aperse il corpo suo, che da ogni parte versa abondanzia di sangue con tanto fuoco d'amore, che ogni durezza di cuore si dovarebbe dissolvere, ogni impazienzia levare e venire a perfetta pazienza. Non è veruna cosa sì amara che nel sangue dell'Agnello non diventi dolce, né sì grande peso che non diventi leggiero.

Or non dormiamo più, ma questo punto del tempo che ci è rimaso corritelo virilmente, attaccandovi al gonfalone della santissima croce con bona e santa pazienza, pensando che il tempo è poco, e la fatica è quasi non nulla, e il prezzo e il frutto è grande. Non voglio che schifiate il grande bene per piccola fatica: ché per dolersi e lagnarsi non si solèvano le fatiche, anco si radoppia fatica sopra fatica, perché io pongo la volontà in volere quello che io non posso avere.

Vestitevi, vestitevi di Cristo dolce Gesù, che è sì forte vestimento che né dimonia né creatura vel può togliere, se voi non volete. Egli è somma eterna dolcezza che dissolve ogni amaritudine; in lui si gusta ogni dolcezza; in lui s'ingrassa e sazia l'anima per sì-fatto modo che ogni cosa fuore di Dio reputa sterco e loto: dilettasi degli obbrobrii, degli strazii e villanie, e non vuole altro che conformarsi con Cristo crocifisso. Ine ha posto l'affetto e ogni sua sollicitudine; e tanto gode quanto si vede in pene, poiché vede che quella è la via dritta: verun'altra è che il faccia tanto conformare con Cristo crocifisso quanto la via delle dolci pene.

Voglio che mi siate uno cavaliere virile che per Cristo crocifisso non schifiate il colpo della infermità.

Pensate quanta è la grazia divina, che nel tempo della infermità pone freno a molti vizii e difetti i quali si cometterebbero avendo la sanità; e scontia e purga i peccati commessi, i quali meritano pena infinita: e Dio per la sua misericordia gli punisce con pena finita. Orsù, virilmente per l'amore di Cristo crocifisso: conficcatevi in croce con Cristo crocifisso, dilettatevi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.
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19/10/2012 12:52

6. A monna Lapa sua madre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vera serva di Cristo crocifisso, fondata in vera pazienza, poiché senza la pazienza non possiamo piacere a Dio.

Ne la pazienza mostriamo lo desiderio de l'onore di Dio e de la salute delle anime; e dimostra ancora che l'anima è conformata e vestita de la dolce volontà di Dio, poiché d'ogni cosa gode, ed è contenta di ciò che l'aviene. Unde la creatura, essendo di così dolce vestimento vestita, ha sempre pace, ed è contenta di sostenere pena per gloria e loda del nome di Dio, e dona sé e i figli e tutte le cose sue e la vita per onore di Dio.

Or così voglio che facciate voi, carissima madre, cioè che tutta la vostra volontà, e me indegna miserabile vostra figlia, offeriate al servizio e onore di Dio e salute delle anime, con vera e buona pazienza, notricandovi del frutto de la santissima croce col dolce inamorato e umile Agnello; e a questo modo nessuna cosa vi parrà fatica. Spogliatevi del proprio amore sensitivo, poiché egli è tempo di dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo; ed essendo spogliata del proprio amore, andarete con diletto e non con fatica. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





7. A missere Pietro cardinale d'Ostia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legato nel legame della carità, sì come sete fatto Legato - secondo che ho inteso -; della quale cosa ho molto singolare letizia, considerando me che voi per questo ne potrete fare assai l'onore di Dio e bene della santa Chiesa.

Ma pur per questo legame, senza altro legame, non fareste questa utilità, e però vi dissi che io desiderava di vedervi legato nel legame de la carità; poiché voi sapete che veruna utilità di grazia né a noi né al prossimo possiamo fare senza carità. La carità è quello dolce e santo legame che lega l'anima col suo Creatore; ella legò Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio: questa carità inestimabile tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in su. legno della santissima croce. Costei acorda i discordi; questa unisce i separati; ella arricchisce coloro che sono povari della virtù, perché dà vita a tutte le virtù. Ella dona pace e tolle guerra; dona pazienza, fortezza e longa perseveranza in ogni santa e buona opera; non si stanca mai; non si stolle mai da l'amore di Dio e del prossimo suo, né per pena né per strazio né ingiuria né scherni né villania. Non si muove per impazienzia né a delizie né a piacimento, per delizie che il mondo gli potesse dare con tutte le lusinghe sue.

Chi l'ha, è perseverante che giamai non si muove, perché egli è fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù; cioè, che ha imparato da lui a amare lo suo Creatore, seguitando le vestigie sue. In lui ha letta la regola e la dottrina, perché egli è via verità e vita, e chi legge in lui, che è libro di vita, egli tiene per la via dritta: attende solo all'onore di Dio e alla salute del prossimo suo. Così fece esso Cristo dolce Gesù, e non ritrasse questo amore de l'onore del Padre e salute nostra né per pena, né per tormenti, né per lusinghe che gli fussero fatte, né per ingratitudine nostra; egli persevera infine all'ultimo che egli ha compito questo desiderio, e compita l'opera che gli fu messa in mano dal Padre, di ricomprare l'umana generazione: così adempie l'onore del Padre e la salute nostra.

Or in questo legame e amore voglio che seguitiate, imparando da la prima dolce Verità, lo quale v'ha fatta la via che vi dà vita, e datavi la forma de la regola, e insegnata la dottrina della verità. Voi dunque, come vero figlio e servo ricomprato del sangue di Cristo crocifisso, voglio che seguitiate le vestigie sue con uno cuore virile e sollicitudine pronta; non staccarvi mai né per pena né per diletto: perseverate infine a la fine questa e ogni altra opera che voi pigliate a fare per Cristo crocifisso.

Attendeteci a l'iniquità e miserie del mondo, dei molti difetti che si commettono - che tornano a vitoperio del nome di Dio -, e voi, come affamato de l'onore suo e salute del prossimo, adoperate ciò che voi potete per remediare a tanta iniquità. Sono certa che essendo voi legato nel legame dolce della carità, voi usarete la legazione vostra, la quale avete ricevuta dal vicario di Cristo, nel modo che detto è. Ma senza lo primo legame de la carità questo non potreste usare, né farlo per quello modo che dovete, e però vi prego che vi studiate d'avere in voi questo amore. Legatevi con Cristo crocifisso - con vere e reali virtù seguitate le sue vestigie -, e col prossimo per fatto d'amore.

Ma io voglio che noi pensiamo, carissimo padre, che se l'animo nostro non è spogliato d'ogni amore proprio e piacere di sé e del mondo, non può mai pervenire a questo vero e perfetto amore, legame di carità, perché è contrario l'un amore all'altro. In tanto è contrario che l'amore proprio ti separa da Dio e dal prossimo, e quello t'unisce; questo ti dà morte, e quello vita; questo tenebre, e quello luce; questo guerra, e quello pace; questo ti strigne lo cuore che non vi capi né tu né il prossimo, e la divina carità lo dilarga, ricevendo in sé amici e nemici e ogni creatura che ha in sé ragione, perché s'è vestito dell'affetto di Cristo, e però segue lui.

L'amore proprio è miserabile e partesi da la giustizia, e commette l'ingiustizie; ha uno timore servile che non gli lassa fare giustamente quello che deve, o per lusinghe o per timore di non perdare lo stato suo: questa è quella perversa servitudine e timore che condusse Pilato a uccidere Cristo. Questi cotali non fanno giustizia, ma ingiustizia; essi non vivono giustamente e virtuosamente con affetto di divino amore, ma ingiustamente e viziosamente con amore proprio tenebroso. Questo cotale amore voglio che sia al tutto tolto da voi, sì che siate in vera e perfetta carità, amando Dio per Dio - in quanto è degno d'essere amato perché è somma ed eterna bontà -, amando voi per lui, e il prossimo per lui, non per rispetto di propria utilità. Or così voglio, padre mio, Legato del nostro signore lo papa, che voi siate legato nel legame della vera ardentissima carità: questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico.

Confortatevi in Cristo dolce Gesù; siate sollicito e non negligente in quello che avete a fare: a questo m'avedrò se sarete legato, e se avarete fame di vedere levato lo gonfalone della santissima croce.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





8. A frate Giusto da Volterra, priore del monastero principale dell'ordine di Monte Oliveto presso a Chisure del contado di Siena.

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi mangiatore e gustatore delle anime, imparando dalla prima dolce Verità che per fame e sete che aveva, d'ansietato desiderio, della salute nostra, gridava in sul legno della santissima croce, quando disse "Sitio" (Jn 19,28) - quasi dica: «Io ho più sete e desiderio della salute vostra, che io con questa pena finita mostrare non vi posso», perché la sete del santo desiderio è infinita e la pena sua è finita -, sì che ci dimostra la sete ch'egli ha dell'umana generazione, poniamo che anco corporalmente fusse afflitto di sete.

O dolce e buono Gesù, insiememente manifesti la sete, e domandi che ti sia dato bere: e quando è che domandi bere a l'anima? Allora quando ci mostri l'affetto e la carità tua, Signore mio. Vedete bene, carissimo padre, che il sangue ci manifesta l'amore ineffabile: ché per amore ha donato lo sangue, e con esso amore ci chiede bere, cioè che colui che ama richiede d'esser amato e servito. Cosa convenevole è che chi ama sia amato, e allora dà bere l'anima al suo Creatore quando gli rende amore per amore; ma non gli può rendere per servizio che possa fare a lui, ma col mezzo del prossimo: e però si vòlle l'anima con tanta solicitudine a servire al prossimo suo in quel servizio che vede che più piace a Dio; e in quello si essercita.

E sopra tutti quanti gli altri servizii che piacciono al nostro Salvatore si è di trarre l'anime delle mani del demonio - trarle dello stato del secolo, della bocca delle vanità del mondo -, e reduciarle allo stato santo della religione. E non tanto che sia da lassargli e fuggirli, quando con tanto desiderio vengono, ma egli è da mettarsi alla morte del corpo per potergli ritrare. E questo è quello santo beveraggio lo quale chiede lo Figlio di Dio in su la croce: non doviamo esser negligenti a darglili, ma soliciti, poiché vedete bene che per questa sete muore. E non doviamo fare come fecero i Giuderi che gli deron aceto (Mt 27,47 Mc 15,36 Jn 19,29) e fiele: allora riceve aceto e fiele da noi, quando noi stiamo in un amore proprio sensitivo, in una negligenzia radicata in uno parere e piacere del mondo, con poca vigilia e orazione, con poca fame de l'onore di Dio e della salute delle anime. Veramente questo è uno aceto e un fiele mescolato con grande amaritudine, della quale amaritudine è suo lo dispiacere, perché gli dispiace; e a noi torna l'amaritudine e il danno.

Che dunque ci è bisogno di fare a non dargli questo bere? Non ci è bisogno altro che l'amore; e l'amore non si può avere se non dall'amore. E con lume si leva l'amore a tirare a sé l'amore: cioè che levando l'occhio dello intelletto nostro con affetto e desiderio, ponsi nell'obiettivo di Cristo crocifisso, lo qual obiettivo ci ha manifestata la volontà e amore del Padre eterno, col quale ci creò solo per questo fine, perché avessimo vita eterna. Lo sangue del Verbo dell'unigenito Figlio di Dio ci manifesta questo amore, lo fine per mezzo del quale fummo creati. Allora l'affetto nostro, avendo aperto l'occhio de lo intelletto nell'affetto di Cristo crocifisso, traie a sé l'amore: trovasi amare quello che Dio ama, e odiare quello ch'egli odia. E perché il peccato è fuore di Dio, l'ha in tanto odio e dispiacere che non tanto che si diletti d'esso peccato, ma egli darebbe mille vite corporali, se tante n'avesse, per campare l'anime dal peccato mortale.

Datemegli bere, carissimo padre, ché vedete con quanto amore egli ve ne chiede; crescetemi uno desiderio santo e buono verso questo grazioso cibo.

E non mirate mai per veruna dignità, né per grandezza né per bassezza, né per l'essere legittimi né illegittimi: ché il Figlio di Dio, le cui vestigie ci conviene seguire, non schiffòe né schifa mai persona per veruno stato né altra generazione, né giusti né peccatori; ma aguegliatamente ogni creatura che ha in sé ragione riceve con amore, pure che si voglia levare dal fracidume del peccato mortale, dalla vanità del secolo, e tornare a la grazia. Questa è quella dottrina che è data da lui; e poniamo ch'ella sia data a tutti, molto maggiormente è data a voi e agli altri governatori e amministri dell'Ordine: che quando delle buone piante vi vengono alle mani, e vengono con fame e desiderio de l'Ordine, e per amore della virtù escono del secolo e corrono al giogo dell’obbedienza, non è da fuggirle, né da schifare per veruna cosa. E siano nati come si voglia; ché non spregia Dio l'anima di colui che è conceputo in peccato mortale, più che di quello che è conceputo ne l'atto del sacramento del matrimonio: egli è accettatore dei santi e buoni desiderii, lo dolce Dio nostro.

E però vi prego e voglio che questa pianta novella la quale lo priore vi mandò, chiedendo che fusse ricevuta all'Ordine, voi lo riceviate caritativamente: ché egli ha una santa e buona volontà, e la condizione naturale è anco buona; e ha posto per amore l'affetto alla religione, e singularmente lo Spirito santo lo chiama all'Ordine vostro. Non dovete, e io so che voi non volete, fare resistenza allo Spirito santo.

Maravigliami molto che la risposta venne del no; e ònne avuta grande amirazione. Forse che fu difetto di chi fece l'ambasciata, che non seppe forse meglio fare: non che egli adoperasse altro che bene, ma non seppe più. Ora vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi al tutto vi disponiate a ricevarlo, che sarà onore di Dio e dell'Ordine; e non mel lassate, però ch'egli è buono giovane, e se non fusse buono io non vel mandarei. E questo vi domando per grazia; e per debito lo dovete fare secondo l'ordine della carità. A chi viene a voi a chiedarvi bere, non ne siate scarso: datenegli. A questo m'avedrò se voi starete in sulla croce, a dare bere a l'asetato che vi chiede bere: ché per altra via non vedo che possiamo esser piacevoli a Dio. E però dissi ch'io desideravo di vedervi affamato gustatore e mangiatore del cibo delle anime per onore di Dio. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 13:02

9. A una donna che non si nomina.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi alluminata della verità di Dio, poiché in altro modo non potreste participare la vita della grazia: in questo mondo sareste in continova amaritudine, e nell'ultimo ricevareste l'eterna dannazione, perché, essendo privata del lume, vi scandalizzareste in tutti i suoi misterii, giudicando quello che vi dà per amore, in odio, e quello che vi desse per vita, in morte.

E che verità dobiamo conosciare, carissima sorella? Dobiamo vedere che Dio sommamente ci ama, e per amore si mosse a crearci a la immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per darci a godere l'eterna sua visione. Chi ci manifesta questa verità e questo amore? Il sangue dell'umile e immacolato Agnello, ché essendo noi privati, per lo peccato di Adam, della visione di Dio e isbanditi di vita eterna, fu mandato questo dolce e amoroso Verbo dal Padre a sostenere morte per rendarci la vita, e a lavare le colpe nostre col suo prezioso sangue; ed egli come inamorato corse a l'obrobriosa morte della croce per compire l'obedienzia del Padre, e salute nostra. Non c'è nascosa questa verità: il sangue ce la manifesta, ché se Dio non ci avesse creati per lo fine che detto è, e non ci amasse inestimabilmente, già non ci arebbe dato sì-fatto ricompratore.

L'anima dunque, alluminata di questa verità, subito riceve ne l'occhio dell’intelletto suo lo lume della santissima fede, tenendo per certo che ciò che Dio dà e permette in questa vita a la sua creatura, il dà per amore, e perché s'adempia questa verità in noi. Unde subito è fatta paziente che di nessuna cosa si turba, ma rimane contenta di ciò che l'è permesso da la divina bontà, portando - con vera e santa pazienza - infermità, privazione di ricchezze, di stato, di parenti e d'amici. E non tanto che con pazienza le porti, ma ella l'ha in debita riverenzia come cosa mandata a lei dal suo dolce Creatore, per amore e per sua santificazione. E chi è quel matto e stolto che del suo bene si possa turbare? Solo chi è privato del lume, perché non conosce la verità né il suo bene.

Voglio Perciò, carissima sorella, che apriate l'occhio de lo intelletto vostro svellendo e dibarbicando ogni radice d'amore proprio e tenerezza di voi, affinché potiate conosciare questa verità, e che vediate che Dio è sommo medico e sa e può e vuole darci le nostre necessità e la medicina che ci bisogna a la nostra infermità, sì che con una dolce santa e reale pazienza portiate la medicina ch'egli v'ha data per singulare amore. A questo v'invito, dolcissima sorella, affinché per impazienzia non perdiate lo frutto delle vostre fatiche, ma in questa vita stiate in perfetta pace, acordata cola dolce volontà di Dio; e di nessuna cosa vi turbiate, se non solo de l'offese che son fatte a lui e del danno delle anime. Facendo così, dimostrarete d'essere alluminata della verità, e nell'ultimo riceverete infinito frutto de le vostre fatiche.

Òvi avuto compassione del caso avenuto; ma se vi vederò acordata con la volontà di Dio, e trarne quello che dovete, me ne godarò con voi insieme. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





10. A Benincasa suo fratello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi annegato e bagnato nel detto sangue, lo quale vi farà forte a portare con vera pazienza ogni fatica e tribulazione, da qualunque lato elle vengano.

Faravvi perseverante, che fino alla morte sosterrete con vera umilità, perché in esso sangue sarà illuminato l'occhio dello intelletto vostro della verità, cioè, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione, perché ineffabilmente ci ama, ché, se non ci avesse molto amati, non arebbe per noi pagato sì-fatto prezzo. State, dunque, state contento in ogni tempo, in ogni stato e luogo, perché tutti vi sono conceduti dall'eterno Padre per amore. Godetevi nelle tribulazioni, e reputatevene indegno che Dio vi mandi per la via del suo Figlio; e in ogni cosa rendete gloria e lode al suo nome. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.





11. A missere Pietro cardinale d'Ostia.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e non timoroso, a ciò che virilmente serviate a la dolce Sposa di Cristo adoperando per onore di Dio spiritualmente e temporalmente, secondo che nel tempo d'oggi questa dolce sposa ha bisogno.

Sono certa che se l'occhio dell'intelletto vostro si levarà a vedere la sua necessità, voi lo farete sollicitamente e senza alcuno timore o negligenzia. L'anima che teme di timore servile, nessuna sua opera è perfetta; e in qualunque stato si sia, nelle piccole cose e nelle grandi, viene meno, e non conduce quello che ha cominciato alla sua perfezione. Oh quanto è pericoloso questo timore! Egli taglia le braccia del santo desiderio, egli acieca l'uomo che non gli lassa conoscere né vedere la verità, perché questo timore procede da la cecità dell'amore proprio di sé medesimo. Poiché subito che la creatura, che ha in sé ragione, s'ama d'amore proprio sensitivo, subito teme; e questa è la cagione per che teme: perché ha posto l'amore e la speranza sua in cosa debole che non ha in sé fermezza né stabilità alcuna, anco passa come lo vento.

Oh perversità d'amore, quanto sei dannoso ai signori temporali e alli spirituali, e ai sudditi! Se egli è prelato, egli non corregge mai, perché teme di non perdere la prelazione, e di non dispiacere ai sudditi suoi; e così medesimamente al suddito, poiché umilità non è in colui che s'ama di così-fatto amore, anco v'è una radicata superbia e il superbo non è mai obediente. Se egli è signore, non tiene giustizia; anco commette molte inique e false ingiustizie, facendole secondo lo piacere suo o secondo lo piacere delle creature. Così dunque per lo non correggere, e per lo non tenere giustizia, i sudditi ne diventano più gattivi, perché si notricano nei vizii e nelle malizie loro.

Poi, dunque, ché tanto è pericoloso l'amore proprio, col disordenato timore, è da fuggirlo, e da aprire l'occhio dell'intelletto nell'obiettivo de lo immacolato Agnello, lo quale è regola e dottrina nostra; e lui doviamo seguire, perciò che egli è esso amore e verità, e non cercò altro che l'onore del Padre e la salute nostra. Egli non temeva i Giudei né loro persecuzione, né la malizia deli demoni, né infamia né scherni né villania; e nell'ultimo non temette l'obrobiosa morte della croce.

Noi siamo gli scolari, che siamo posti a questa dolce e suave scuola. Voglio dunque, carissimo e dolcissimo padre, che con grandissima sollicitudine e dolce prudenzia apriate l'occhio dell'intelletto in questo libro della vita - lo quale vi dà sì dolce e suave dottrina -, e non attendiate a nessuna altra cosa che a l'onore di Dio e alla salute delle anime, e al servigio della dolce Sposa di Cristo. Poiché con questo lume vi spogliarete dell'amore proprio di voi, e sarete vestito dell'amore divino; e cercarete Dio per la sua infinita bontà, e perché egli è degno d'essere cercato e amato da noi; e amarete voi e le virtù, e odiarete lo vizio per Dio, e di questo medesimo amore amarete lo prossimo vostro.

Voi vedete bene che la divina bontà v'ha posto nel corpo mistico della santa Chiesa, notricandovi al petto di questa dolce sposa, solo perché voi mangiate a la mensa della santissima croce lo cibo de l'onore di Dio e della salute delle anime. E non vuole che sia mangiato altro che in croce, portando le fatiche corporali con molti ansietati desiderii, sì come fece lo Figlio di Dio, che insiememente sosteneva i tormenti nel corpo e la pena del desiderio; e maggiore era la croce del desiderio che non era la croce corporale. Lo desiderio suo era questo: la fame della nostra redenzione per compire l'obedienzia del Padre eterno; ed erali pena infine che nol vedeva compito. E anco come sapienza del Padre eterno, vedeva coloro che participavano lo sangue suo, e quelli che nol participavano per le colpe loro; il sangue era dato a tutti, unde si doleva per l'ignoranza di coloro che nol volevano participare. E questo fu quello crociato desiderio che egli portò dal principio infine al fine; data che egli ebbe la vita, non terminò lo desiderio, ma sì la croce del desiderio.

E così dovete fare voi e ogni creatura che ha in sé ragione, cioè dare la fatica del corpo e la fatica del desiderio, dolendovi dell'offesa di Dio e della dannazione di tante anime quante vediamo che periscono.

Parmi che sia tempo, carissimo padre, di dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo; non è dunque da avere più sé con amore proprio sensitivo, né con timore servile, ma con vero amore e santo timore di Dio adoperare. Voi sete posto ora nello spirituale e nel temporale: e però vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che facciate virilmente, e procuriate l'onore di Dio quando e quanto potete, consigliando e aitando che i vizii sieno sparti e le virtù sieno essaltate. Sopra l'atto temporale, lo quale alla santa intenzione è spirituale, fate virilmente, procacciando quanto voi potete la pace e l'unione di tutto lo paese.

E per questa santa opera, se bisognasse dare la vita del corpo, mille volte, se fusse possibile, si dia.

Ché oscura cosa è a pensare e a vedere, a vederci a guerra con Dio per la moltitudine dei peccati dei sudditi e dei pastori, e per la ribellione che è fatta alla santa Chiesa, con guerra dei corpi; dove la guerra ogni fedele cristiano debba essere apparecchiato a mandarla sopra gl'infedeli, e i falsi cristiani la fanno l'uno contro all'altro. E così scoppiano i servi di Dio per dolore e amaritudine di vederli tanto offendere, e per la dannazione delle anime che per questo periscono; e i demoni godono, ché veggono quello che vogliono vedere.

Bene è dunque da darci la vita per essemplo del maestro della verità, e non curare né onore né vituperio che lo mondo ci volesse dare ne le penose pene e morte del corpo. Sono certa che se voi sarete vestito dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù, e spogliato del vecchio (Ep 4,22-24 Col 3,9-10), cioè della propria sensualità, che voi lo farete sollicitamente, perché sarete privato del timore servile; poiché in altro modo nol fareste mai, anco cadareste nei difetti detti di sopra.

Considerando dunque me che v'era necessario d'essere uomo virile e senza alcuno timore, e privato dell'amore proprio di voi - perché sete posto da Dio in offizio che non richiede timore se non santo timore -, però vi dissi che io desideravo di vedervi uomo virile e non timoroso. Spero nella divina bontà, che farà grazia a voi e a me, cioè d'adempire la volontà sua, e il vostro desiderio e il mio. Pace pace pace, padre carissimo. Raguardate voi e gli altri, e fate vedere al santo padre più la perdizione delle anime che quella delle città, poiché Dio ci richiede l'anime più che le città. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







12. All'abbate di santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, venerabile e reverendissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi si racomanda, con desiderio di vedervi bagnato e affogato nel sangue del Figlio di Dio, lo quale sangue ci farà parere ogni amaritudine dolce, e ogni gran peso leggiero; faràvi seguire le vestigie di Cristo - lo quale disse che è pastore buono -, che poneva la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11).

E così desidera l'anima mia di vedere, padre, che voi siate uno vero pastore, perduto ad ogni amore proprio di voi medesimo, e con desiderio virile avesseate e teniate l'occhio fisso, che non si serri mai, a raguardare l'onore di Dio e la salute de le creature. Fate, fate buona guardia che il demonio non imboli le pecorelle vostre. O quanto sarà dolce e soave a voi e a me, se io vedrò che voi non curiate né morte né vita, né onori né vitoperio, né scherni né ingiurie, né nessuna persecuzione che il mondo vi potesse dare o i sudditi vostri: solo attendare e curare dell'ingiurie che sono fatte a Dio. E qui ponete la vostra sollecitudine, sì che dimostriate da essere pastore e uno vero ortolano: pastore per correggere, e ortolano per rivollare la terra sottosopra, cioè rivollare la disordenata vita nell'ordenata, divellarne lo vizio, piantarvi le virtù, quanto sarà possibile a voi, con l'aiutorio de la dolce e divina grazia, la quale viene abbondantemente all'anima che avarà fame e desiderio di Dio.

Questa fame acquistaremo in sul legno de la santissima croce, poiché ine trovarete l'Agnello dissanguato e aperto per noi, con tanta fame e desiderio dell'onore del Padre e de la salute nostra, tanto che non pare che possa mostrare in effetto per pena nel corpo suo quant'egli ha desiderio di dare. Questo parbe che volesse dire, quando gridò in croce: «Sitio» (Jn 19,28), quasi dicesse: «Io ho sì gran sete de la vostra salute, ch'io non mi posso saziare. Datemi bere». Dimandava lo dolce Gesù di bere coloro ched i vedeva che non participavano la redenzione del sangue suo; non gli fu dato bere altro che amaritudine. Oimé, dolcissimo padre, continuamente vediamo che, non tanto al tempo de la croce, ma poi e ora, continuamente ci adimanda questo bere e dimostra continua sete.

Oimé, disaventurata a me, non mi pare che la creatura gli dia altro che amaritudine e puzza di peccati.

Perciò bene ci doviamo levare, con fame e sollecitudine, a raguardare la fame sua, affinché, inebriata, l'anima non possa altro desiderare né amare, se non quello che Dio ama, e odiare quello che Dio odia: singularmente voi che sete pastore. Corrite corrite, venerabile padre, senza negligenzia e ignoranza, ché il tempo è breve ed è nostro. Mandastemi a dire che avavate trovato l'orto senza piante. Confortatevi e fate ciò che potete, ch'io spero ne la bontà di Dio che l'ortolano de lo Spirito santo fornirà l'orto, e provedarà in questo e in ogni altro bisogno. Mando a voi costui che vi reca la lettara: ragionaravi di monna Moranda, donna di misser Francesco da Monte Alcino, che ha per le mani alcuna giovana e fanciulla che ha uno buono desiderio di fare la volontà di Dio, per la quale cosa ella vorrebbe rinchiudarle per modo che a me non piace troppo. Per la qual cosa io vorrei che voi ed ella fuste insieme; e quanto fusse la vostra possibilità di poterlo fare, di trovare uno luogo ordenato, affinché si potesse fondare uno vero e buono monasterio, e mettarvi dentro due buoni capi, ché de le membra n'abiamo assai per le mani. Credo che, facendolo, sarebbe grande onore di Dio. Prego la somma bontà che ne dispensi lo meglio, e voi faccia sollecito in questo e in ogni altra vostra opera, in tanto che voi diate la vita per Cristo crocifisso.

Prego che mi mandiate a dire se il monisterio di Santo Giovanni in Valdarno è sotto la cura vostra, per alcuno caso che vi dirà costui che vi reca la lettara. Altro non dico.

Rimanete nella santa carità di Dio.

Io, serva inutile, mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù.

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19/10/2012 13:04

13. A Marco Bindi mercatante.

Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, poiché in altro non potremmo piacere a Dio, ma perdaremmo lo frutto delle nostre fatiche, e però c'è bisogno questa gloriosa virtù della patientia.

E se voi mi diceste, carissimo fratello: «Io ho le grandi fatiche, e non mi sento forte ad avere questa pazienza; né non so in che modo acquistarla», io vi rispondo che neuno è che voglia seguire la ragione che non la possa avere. Ma bene vi confesso che noi siamo fragili e debili per noi medesimi, secondo la sensualità, e spezialmente quando l'uomo ama molto sé e le creature e la sustanzia temporale sensualmente. Unde amandole tanto d'un amore tenero sensitivo, quando poi le perde ne riceve intollerabile pena.

Ma Dio che è nostra fortezza, se noi vorremo con la ragione, con la forza della volontà, e con la mano del libero arbitrio conculcare la fragilità nostra, Dio non dispregiarà la forza che faremo a noi medesimi per non dolerci disordenatamente. Poiché egli è acettatore dei santi desiderii e daracci questa dolce e reale virtù; e portaremo ogni fatica con vera e santa pazienza. Sì che vedete che ognuno la può avere, se vorrà usare la ragione che Dio gli ha data e non seguire solamente la fragilità. Poiché sarebbe cosa molto sconvenevole che noi, creature ragionevoli, non usassimo altra ragione che gli animali bruti, poiché essi non possono usare la ragione, perché non l'hanno; ma noi, perché l'aviamo, la doviamo usare e, non usandola, veniamo a impazienzia e scandalizzianci ne le cose che Dio ha permesse a noi; e così l'offendiamo.

Che modo dunque possiamo tenere ad avere questa pazienza, poi che io la posso e debbo avere, e senza essa offendarei Dio? Quattro cose principali ci conviene avere e considerare. E prima dico che ci conviene avere lo lume della fede, nel quale lume della fede santa acquistaremo ogni virtù; e senza questo lume andaremmo in tenebre, sì come lo cieco a cui lo dì gli è fatto notte. Così l'anima senza questo lume: quello che Dio ha fatto per amore - lo quale amore è uno dì lucido sopra ogni luce - ella se il reca a notte, cioè a notte d'odio, tenendo che per odio Dio gli permetta le tribulazioni e le fatiche che egli ha: sì che vedete che ci conviene avere lo lume della santissima fede.

La seconda cosa si è - la quale s'acquista con questo lume, cioè che in verità ci conviene credere, e non tanto credere ma esserne certi, come egli è -, che ogni cosa che ha in sé essere procede da Dio, eccetto lo peccato, che non è. La mala volontà dell’uomo che commette lo peccato non fa egli, ma ogni altra cosa, o per fuoco o per acqua o per altra morte, o qualunque altra cosa si sia, ogni cosa procede da lui. E così disse Cristo ne l'evangelio, che non cadeva una foglia d'arbolo senza la sua providenzia; dicendo ancora più, cioè che i capelli del capo nostro sono tutti numerati (Mt 10,30 Lc 12,7), e neuno ne cadeva che egli nol sapesse. Se dunque così dice de le cose insensibili, molto maggiormente ha cura di noi creature ragionevoli; e in ciò che egli ci dà e permette usa la providenzia sua, e ogni cosa è fatta con misterio, per amore e non per odio.

a terza cosa è questa: che egli ci conviene vedere e conoscere in verità, col lume della fede, che Dio è somma ed eterna bontà, e non può volere altro che lo nostro bene, poiché la volontà sua è che noi siamo santificati in lui; e ciò che egli ci dà e permette, ci dà per questo fine. E se noi di questo dubbitassimo, che egli volesse altro che lo nostro bene, non ne possiamo dubbitare se noi raguardiamo lo sangue de l'umile e immacolato Agnello. Poiché Cristo aperto, appenato e afflitto di sete in croce, ci mostra che lo sommo ed eterno Padre ci ama inestimabilemente: poiché per l'amore che egli ebbe a noi, essendo noi fatti nemici per lo peccato commesso, ci donò lo Verbo dell'unigenito suo Figlio e il Figlio ci dié la vita, correndo come inamorato all'oprobiosa morte della croce.

Chi ne fu cagione? l'amore che egli ebbe alla salute nostra; sì che vedete che lo sangue ci tolle ogni dubbitazione che noi avessimo, che Dio volesse altro che lo nostro bene. E come può la somma bontà fare altro che bene? non può. E la somma ed eterna providenzia, come usarà altro che providenzia? Colui che ci ha amati prima che noi fussimo, e per amore ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), non può fare che egli non ci ami, e che non ci provegga in ogni nostro bisogno, nell'anima e nel corpo.

Sempre ci ama in quanto creature sue; ma solo lo peccato è quello che egli odia in noi, e però egli ci permette molte fatiche in questa vita sopra i corpi nostri, o nella sustanzia temporale in diversi modi, secondo che egli vede che noi abbiamo bisogno. E sì come vero medico, dà la medicina che bisogna alla nostra infermità; e questo fa, o per punire i nostri difetti in questo tempo finito - a ciò che meno pene riceviamo nell'altra vita -, o egli lo fa per provare in noi la virtù della pazienza: sì come fece a Job, che per provare la pazienza sua gli tolse i figli e tutta la sustanzia temporale che egli aveva (Jb 1,13-19), e nel corpo suo dié una infermità (Jb 2,7) che continuamente menava vermini; la moglie gli riserbò per sua croce e stimolo, poiché sempre tribolava Job con molta villania e rimproverio (Jb 2,9). E poi che Dio ebbe provata la pazienza sua, gli restituì a doppio ogni cosa (Jb 42,10). Job mai in queste cose non si lagnò, anco diceva: «Dio me le dié e Dio me l'ha tolte; sempre sia benedetto lo nome suo » (Jb 1,21).

Alcune volte Dio ce le permette a ciò che noi cognosciamo noi medesimi, e la poca fermezza e stabilità del mondo; e perché tutte le cose che noi possediamo, e la vita e la sanità, moglie e figli, ricchezze, stati e delizie del mondo, tutte le possediamo come cose prestate a noi per uso da Dio, e non come cose nostre; e così le doviamo usare. Questo c'è a noi manifesto che egli è così, poiché nessuna cosa possiamo tenere che nostra sia che non ci possa essere tolta, se non solo la grazia di Dio: questa grazia né dimoni né creature (...) - né per alcuna tribulazione ci può essere tolta - se noi non vogliamo. Quando l'uomo conosce questo, cioè la perfezione della grazia e la imperfezione del mondo e de la vita nostra corporale, gli viene in odio lo mondo con tutte le sue delizie e la propria fragilità sua, che è cagione spesse volte, quando ama sensitivamente, di tollarci la grazia; e ama le virtù che sono strumento a conservarci nella grazia.

Sì che vedete che Dio per amore ce le permette, a ciò che con cuore virile ci stacchiamo dal mondo con ogni santa sollicitudine, col cuore e con l'affetto; e cerchiamo un poco i beni immortali, e abandoniamo la terra con tutte le puzze sue e cerchiamo lo cielo; poiché noi non fummo fatti per notricarci di terra, ma perché noi in questa vita stiamo come pellegrini che sempre corriamo al termine nostro di vita eterna, con vere e reali virtù. E non ci doviamo ristare tra via per alcuna prosperità o diletto che lo mondo ci volesse dare, né per aversità, ma corrire virilmente e non vollarsi a loro né con disordenata allegrezza né con impazienzia, ma con pazienza e santo timore di Dio tutte trapassarle.

Di grande necessità v'era questa tribolazione: Dio vi dava lo desiderio di sciogliarvi i molti legami, e sviluppare la conscienzia vostra, onde da l'uno lato vi tirava lo mondo e da l'altro Dio. Ora Dio, per grande amore che egli ha alla salute vostra, v'ha sciolto e datavi la via, se voi la saprete pigliare: a loro ha dato vita eterna, e voi chiama col tesoro della tribolazione, perché voi non ne siate privato, ma perché in questo punto del tempo che v'è rimaso cognosciate la bontà sua e i difetti vostri.

La quarta cosa che ci conviene avere per potere venire a vera pazienza, è questa: che noi consideriamo i peccati e i defetti nostri, e quanto aviamo offeso Dio, lo quale è bene infinito: per la quale cosa succederebbe - non tanto che de le grandi colpe, ma d'una piccola - pena infinita; e degni siamo di mille inferni, considerando chi siamo noi miserabili che aviamo offeso lo nostro Creatore, e chi è lo dolce Creatore nostro che è offeso da noi. Vediamo che egli è colui che è bene infinito, e noi siamo coloro che non siamo per noi medesimi, poiché l'essere nostro e ogni grazia che è posta sopra l'essere aviamo da lui; noi per noi siamo miseri miserabili.

E non di meno che noi meritiamo pena infinita, egli con la misericordia ci punisce in questo tempo finito, nel quale tempo, portando le fatiche con pazienza, si scontia e merita; che non aviene così de le pene che sostiene l'anima nell'altra vita, poiché se ella è alle pene del purgatorio, sì scontia, ma non merita. Bene doviamo dunque portare volontariamente questa fatica piccola: piccola si può dire questa e ogni altra, per la brevità del tempo, poiché tanto è grande la fatica quanto è grande lo tempo in questa vita. Quanto è lo tempo nostro? è quanto una punta d'aco; Perciò bene è vero che ella è piccola: la fatica che è passata io non gli ho, poiché è passato lo tempo; quella che è a venire anco non gli ho, poiché non sono sicura d'avere lo tempo, con-ciò-sia-cosa-che io debbo morire e non so quando. Solo dunque questo punto del presente c'è, e più no.

Perciò, bene doviamo portare con grande allegrezza, poiché ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. E Paulo dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che riceve l'anima che porta con buona pazienza» (Rm 8,18). Or a questo modo potrete portare, e acquistare la virtù della vera pazienza; la quale pazienza, acquistata per amore e col lume della santissima fede, vi rendarà lo frutto d'ogni vostra fatica. In altro modo perdareste lo bene della terra e il bene del cielo, poiché altro modo non ci ha. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, e così vi prego che facciate. Abbiate memoria del sangue di Cristo crocifisso, e ogni amaritudine vi tornarà in dolcezza, e ogni grande peso vi tornarà leggiero. E non vogliate scegliere né tempo né luogo a vostro modo, ma siate contento nel modo che Dio ve l'ha date.

Òvi avuta compassione del caso avenuto: secondo l'aspetto pare molto forte, e non di meno egli è fatto con grande providenzia e per vostra salute. Pregovi che vi confortiate, e che non veniate meno sotto questa dolce disciplina di Dio. Altro non vi dico se non che sappiate conoscere lo tempo, mentre che voi l'avete.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





14. Ai tre suoi fratelli in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo Gesù, risoviemmi dello smisurato amore che ebbe lo nostro dolce salvatore, che dé a sé la morte per dare a noi la vita della grazia. Non volse fare altro lo nostro dolce salvatore se no che, vedendo che noi uscivamo dell'ordine della carità, per rendarci questa unione della carità volse essere unito con la più vituparosa morte che potesse scegliere. Oimé, che il nostro salvatore vedeva noi infermati per lo appetito disordinato che noi abiamo in noi medesimi a queste cose transitorie, che passano come il vento e vengono meno, o elle a noi o noi a loro.

E però vi priego io, indegna serva e inutile, Caterina, che voi vogliate porre la vostra speranza in Dio, e non fidarvi in questa vita mortale. Pregovi, come servi ricomperati, che il vostro desiderio e l'affetto dell'anima vostra lo poniate con ogni sollecitudine al Signore vostro, che v'ha ricomperati, come dice san Piero: «Non v'ha ricomperati d'oro né d'argento, ma del suo prezioso e dolcissimo sangue» (1P 1,18-19). E però vi prego, fratelli carissimi, che voi questo dolce prezzo teniate molto caro, cioè che l'amiate, e, per dimostrare che voi l'amiate, sempre siate amatori e osservatori dei comandamenti di Dio.

E singularmente vi priego e costringo, da parte di Cristo crocifisso, del primo e ultimo comandamento di Dio, cioè della carità e dell'unione di Dio (Mt 22,36-38 Mc 12,28-30). Di questa carità santa vi voglio vedere tutti inamorati, e piene l'anime vostre, e questo è l'animo mio. Volendomi voi mostrare questa carità, sempre vi voglio vedere uniti e legati con questo dolce vincolo della carità, affinché né demonio né detto di nessuna persona vi possa partire.

Ricordomi della parola che disse Gesù Cristo, che chi s'umilia, sarà esaltato (Mt 23,12 Lc 14,11). E però ti prego, Benincasa, tu che sei lo maggiore, che tu voglia essere lo minore di tutti; e tu, Bartolomeo, voglia essere lo minore del minore; e tu, Stefano, prego che tu sia soggiogato a Dio e a loro, e così dolcemente vi conservate in perfettissima carità. Dio vi dia sempre la sua perfettissima grazia.

Altro non vi scrivo.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.







15. A Consiglio giudeo.

Laudato sia Gesù Cristo crocifisso, figlio de la gloriosa vergine Maria.

A te, dilettissimo e carissimo fratello, ricomprato del prezioso sangue del Figlio di Dio (1P 1,18-19) come io, essendo io indegna Caterina costretta da Cristo crocifisso e da la sua dolce madre Maria ch'io vi preghi e costrenga che doviate uscire e abandonare la durezza e la tenebrosa infedelità: doviatevi riducere e ricevare la grazia del santo battesimo.

E dico che senza il battesimo non potete avere la grazia di Dio: chi è senza il battesimo non participa lo frutto de la Chiesa santa, ma come membro putrido, tagliato da la congregazione dei fedeli cristiani, passa de la morte corporale a la morte eterna. Ragionevolmente riceve pena e tenebre, perché non s'è voluto lavare nell'acqua del santo battesimo e ha tenuto a vile lo sangue del Figlio di Dio, il quale è sparto con tanto amore.

O carissimo fratello in Cristo Gesù, apre l'occhio de lo intendimento a riguardare la sua inestimabile carità, che ti manda invitando co.le sante inspirazioni che ti sono venute nel cuore, e per li servi suoi ti richiede e t'invita che vuole fare pace con te, non raguardando a la lunga guerra e ingiuria che ha ricevuta da te per la tua infedelità; ma egli è tanto dolce e benigno lo Dio nostro che, poi che venne la legge dell'amore, che il Figlio di Dio venne ne la vergine Maria e sparse l'abbondanza del sangue in sul legno de la santissima croce, possiamo ricevere l'abbondanza de la divina misericordia.

Sì come la legge di Moisè era fondata in giustizia e in pena, così la legge nuova, data da Cristo crocifisso, vita evangelica, è fondata in amore e in misericordia - in tanto ch'egli è dolce e benigno, pur che l'uomo ritorni a lui umiliato e fedele - e credare per Cristo avere vita eterna; e pare che non si voglia ricordare dell'offese che noi gli facciamo: non ci vuole dannare etternalmente ma sempre fare misericordia.

Perciò levati, fratello mio, in quanto tu vogli essare legato con Cristo; non dormire più in tanta cecità, ché Dio non vuole, né io non voglio, che l'ora de la morte ti truovi cieco, ma desidera l'anima mia di vederti pervenire al lume del santo batesimo, sì come lo cervio desidera l'acqua viva (Ps 41,2). Non fare più resistenza a lo Spirito santo che ti chiama, e non spregiare l'amore che t'ha Maria né le lacrime e l'orazioni che sono fatte per te: troppo ti sarebbe grande giudicio.

Permane ne la santa carità di Dio, e io prego lui, che è somma verità, che t'allumini e riempia de la sua santissima grazia, e adempi lo mio desiderio di te, Consiglio. Data a te questa da parte di Cristo Gesù.

Laudato sia Cristo crocifisso e la sua dolcissima madre Maria dolce.







16. A uno grande prelato.



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi affamato del cibo delle creature per onore di Dio, imparando dalla prima dolce Verità che, per fame e sete che egli ha della nostra salute, muore.

Non pare che questo Agnello immacolato si possa saziare; grida in croce satollato d'obrobrii, e dice che ha sete (Jn 19,28): poniamo che corporalmente egli avesse sete, ma maggiore era la sete del santo desiderio che egli avea della salute delle anime. O inestimabile dolcissima carità, i non pare che tu dia tanto - dandoti a tanti tormenti - che non rimanga maggiore lo desiderio di più volere dare tutto: n'è cagione l'amore. Non me ne maraviglio, ché l'amore tuo era infinito, e la pena era finita: e però gli era maggiore la croce del desiderio che la croce del corpo.

Questo mi ricordo che il dolce e buono Gesù manifestava una volta a una serva sua: vedendo ella in lui la croce del desiderio e la croce del corpo, ella dimandava: «Signore mio dolce, quale ti fu maggiore pena, o la pena del corpo, o la pena del desiderio?» Egli rispondeva dolce e benignamente, e diceva: «Figlia mia, non dubitare; ch'io ti faccio sicura di questo: che veruna comparazione si può fare dalla cosa finita alla infinita. Così ti pensa che la pena del corpo mi fu finita; ma lo santo desiderio non finisce mai: però io portai la croce del santo desiderio. E non ti ricorda egli, figlia mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo pargolo nato con la croce in collo? Perch'io ti faccio sapere che come io, Parola incarnata, fui seminata nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch'io avevo di fare l'obbedienzia del Padre mio e d'adempire la sua volontà nell'uomo, cioè che l'uomo fusse restituito a grazia: ricevesse lo fine per mezzo del quale egli fu creato. Questa croce m'era maggior pena che verun' altra pena che io portasse mai corporalmente. E però lo spirito mio essultò con grandissima letizia, quando mi viddi condotto a l'ultimo, e spezialmente nella cena del giovedì santo, e però dissi: «con desiderio io ho desiderato» (Lc 22,15), cioè di fare questa pasqua di fare sacrifizio del corpo mio al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perché vedevo apparecchiare lo tempo disposto a tollarmi questa croce del desiderio, cioè che quanto più mi vidi giognare ai fragelli e ai tormenti corporali, tanto mi scemava più la pena: ché con la pena corporale si cacciava la pena del desiderio, perché vedevo adempito quello ch'io desideravo».

Ella rispondeva e diceva: «O Signore mio dolce, tu dici che questa pena della croce del desiderio ti si partì in croce. In che modo fu? Or perdesti tu lo desiderio di me?» Egli diceva: «Figlia mia dolce, no: ché morendo io in su la croce, terminò la pena del santo desiderio a un'ora con la vita, ma non terminò lo desiderio e la fame ch'io ho della salute vostra. Ché se l'amore ineffabile che io ebbi e ho all'umana generazione fusse terminato e finito, voi non sareste; poiché come l'amore vi trasse del seno del Padre mio, creandovi con la sapienza sua, così esso amore vi conserva: ché voi non siete fatti d'altro che d'amore.

Se retraesse a sé l'amore con quella potenza e sapienza con la quale egli vi creò, voi non sareste. Io, unigenito Verbo Figlio di Dio, sono fatto a voi uno condotto che vi porge l'acqua della grazia. Io vi manifesto l'affetto del Padre mio, poiché quello affetto che egli ha, e io ho; e quel che ho io, sì ha egli, perché sono una cosa col Padre e il Padre è una cosa con con me (Jn 10,30), e per mezzo di me ha manifestato sé. E però dissi io: «Ciò ch'io ho avuto dal Padre, io ho manifestato a voi » (Jn 15). Ogni cosa, n'è cagione l'amore».

Perciò ben vedete, reverendo padre, che il dolce e buon Gesù amore egli muore di sete e di fame della salute nostra: io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi vi poniate per obiettivo la fame di questo Agnello. Questo desidera l'anima mia, di vedervi morire per santo e vero desiderio, cioè che per l'affetto e amore che voi avarete a l'onore di Dio, salute de l'anime ed essaltazione della santa Chiesa, ho volontà di vedervi tanto crescere questa fame, che sotto questa fame rimaneste morto. Ché, come lo Figlio di Dio, come detto abiamo, di fame morì, così voi rimaniate morto a ogni amore proprio di voi medesimo; e a ogni passione sensitiva rimanga morta la volontà e appetito, a stati e delizie del mondo, al piacere del secolo e di tutte le pompe sue. Non dubito che, se l'occhio del cognoscimento si vòlle a raguardare voi medesimo, conoscendo voi non essere trovarete l'essere vostro dato a voi con tanto fuoco d'amore. Dico che il cuore e l'affetto vostro non potrà tenersi che non si spasimi per amore: non ci potrà vivere amore proprio; non cercarà sé per sé per propria sua utilità - ma cercarà sé per onore di Dio -, né lo prossimo per sé, per utilità propria, ma amarallo e desiderarà la salute sua per loda e gloria del nome di Dio, perché vede che Dio sommamente ama la creatura.

E questa è la cagione che subito i servi di Dio amano tanto la creatura, poiché veggono sommamente che l'ama lo Creatore; e condizione de l'amore è d'amare quello che ama colui che io amo. Dico che non amano Dio per sé, ma amanlo in quanto è somma eterna bontà degno d'essere amato. Veramente, padre, che costoro hanno messa a uscita la vita, perché non pensano di loro più: eglino non vogliono altro che pene, strazii, tormenti e villanie; eglino hanno in dispregio tutti i tormenti del mondo, tanto è maggiore la croce e pena che portano di vedere l'offesa e il vituperio di Dio e la dannazione della creatura. è sì grande questa pena che dimenticano lo sentimento della vita propria; e non tanto che fuggano le pene, ma essi se ne dilettano e vannole cercando. Acordansi con quel dolce innamorato di Pavolo che si gloriava nelle tribulazioni per l'amore di Cristo crocifisso (2Co 11-18ss.): or questo dolce banditore voglio e pregovi che seguitiate.

Oimé, oimé, disaventurata l'anima mia! Uprite l'occhio e raguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singularmente nel corpo della santa Chiesa. Oimé, scoppi lo cuore e l'anima vostra a vedere tante offese di Dio! Vedete, padre, che il lupo infernale ne porta la creatura - le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa -, e non si trova chi si muova a traglili di bocca. I pastori dormono nell'amore proprio di loro medesimi, in una cupidità e immondizia: sono sì ebbri di superbia che dormono, e non si sentono. Perché veggano che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della grazia in loro, e anco quella dei sudditi loro, essi non se ne curano; e tutto n'è cagione la perversità dell'amore proprio. Oh quanto è pericoloso questo amore nei prelati e nei sudditi! S'egli è prelato ed egli ha amore proprio, egli non corregge lo difetto dei suoi sudditi - poiché colui che ama sé per sé cade in timore servile -, e però non riprende; che se egli amasse sé per Dio non temarebbe di timore servile, ma arditamente con virile cuore riprendarebbe i difetti, e non tacerebbe né farebbe vista di non vedere. Di questo amore voglio che siate privato, padre carissimo.

Pregovi che facciate che non sia detto a voi quella dura parola con riprensione dalla prima Verità dicendo: «Maledetto sia tu che tacesti!» (Is 6,5). Oimé, non più tacere! Gridate con centomiglia di lingue. Vedo che, per lo tacere, lo mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impalidita; tolto l'è lo colore perché l'è succhiato lo sangue da dosso, cioè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, eglino sel furano con la superbia, tollendo l'onore che deve esser di Dio, e dannolo a loro; e si robba per simonia, vendendo i doni e le grazie che ci son dati per grazia col prezzo del sangue del Figlio di Dio. Oimé! ch'io muoio e non posso morire. Non dormite più in negligenzia; adoperate nel tempo presente ciò che si può.

Credo che vi verrà altro tempo che anco potrete più adoperare; ma ora per lo tempo presente v'invito a spogliare l'anima vostra d'ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reali e vere, a onore di Dio e salute de l'anime. Confortatevi in Cristo Gesù dolce amore, ché tosto vedremo apparire i fiori. Studiate che il gonfalone della croce tosto si levi; e non venga meno lo cuore e l'affetto vostro per veruno inconveniente che vedeste venire; ma più allora vi confortate, pensando che Cristo crocifisso sarà lo facitore e adempitore degli spasimati desiderii dei servi di Dio. Non dico più.

Rimanete etc.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso ponetevi in croce con Cristo crocifisso niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso fatevi bagno nel sangue di Cristo crocifisso.

Perdonate, padre, alla mia presunzione. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 13:08

17. Al venerabile religioso frate Antonio da Nizza dell'ordine dei Frati Eremitani di santo Augustino a Selva di Lago.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi padre e frategli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, a voi mi racomando nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con disiderio di vedervi annegato e affogato ne la fornace de la divina carità, e in essa arsa e abnegata la propia vostra volontà, la quale volontà ci priva della vita e dacci la morte.

Apriamo gli occhi, carissimi frategli, poiché noi abiamo due voluntadi: una sensitiva che cerca le cose sensibili, e una volontà spirituale, che con spezie e colore di virtù tiene ferma la volontà sua. E in questo lo dimostra, quando vorrà scegliere i luoghi e tempi e le consolazioni a suo modo, e dice: « Io vorrei questo per più avere Dio». E questo è grande inganno e illusione di demonio, ché, non potendo lo demonio ingannare li servi di Dio con la prima volontà - ché già gli servi di Dio l'hanno mortificata a le cose sensitive di fuore -, piglia la seconda volontà de le cose spirituali.

Unde spesse volte l'anima riceve consolazione da Dio, poi si sente privata di quella e averne un'altra, la quale sarà di meno consolazione e di più frutto: allora l'anima, che è inanimata a quella che dà dolcezza, essendone privata ha pena e riceve tedio. E perché ha tedio? perché non vorrebbe essere privata de la sua dolcezza, dicendo: «I mi pare amare più in questo che in quello: di questo sento qualche frutto e di quello non sento frutto neuno altro che pena e spesse volte molte battaglie, e parmene offendare Dio». Dico, figliuogli e frategli in Cristo Gesù, che questa anima s'inganna con la propia volontà, ché non ne vorrebbe essere privata e con questa esca la piglia lo demonio. E spesse volte questi perdono il tempo, volendo il tempo a modo loro, che non esercitano quello che hanno altro che in pena e in tenebre.

Disse una volta il nostro dolce salvatore a una sua dilettissima figlia: «Sa' tu come fanno questi che vogliono adempiere la mia volontà in consolazione e in dolcezza e in diletto? Come sono privati, ed eglino vogliono 'scire della mia volontà, parendo loro bene fare per non offendare: ed èvi nascosta la falsa sensualità e per fugire pena cade nell'offesa e non se n'avede. Ma se l'anima fusse savia e avesse il lume dentro de la volontà mia raguardarebbe il frutto e no la dolcezza».

Quale è il frutto? Odio di sé e amore di Dio, uscito del conoscimento di sé medesimo, ché allora conosce sé difettuoso non essere nulla, e vede in sé la bontà di Dio che gli conserva la buona volontà - e àllo fatto perché l'anima viva giustamente umiliando sé medesima a Dio -, giudicando ch'egli l'ha fatto per lo meglio e per suo bene. Questo cotale non vuole lo tempo a suo modo perché è umiliato, e conoscendo la sua infermità non si fida del suo volere ma è fedele a Cristo: vestesi de la somma eterna volontà ché vede che Dio non ci dà e non ci tolle se non per nostra santificazione - ché l'amore lo muove a darci la dolcezza e a tollarci la dolcezza -. E per questo non si può dolere di nessuna consolazione che gli sia tolta, o dentro o di fuore, o dal demonio o da le creature, perché crede che se non fusse suo bene Dio nol permettarebbe.

Brevemente, costui gode ch'egli ha lo lume dentro e di fuore, ed è sì aluminato che, giungendo lo demonio con le tenebre ne la mente sua per confusione dicendo: «Questo è per gli tuoi peccati», ed egli risponde come persona che non schifa pene dicendo: «Grazia sia al mio Creatore che s'è ricordato di me nel tempo de le tenebre, punendomi per pena nel tempo finito». Grande amore è questo, che non lo vuole punire in tempo infinito. Quanta tranquillità di mente ha perché s'ha tolta la volontà che ci dà tempesta! Ma non fa così colui che ha volontà dentro cercando le cose a suo modo, che pare ch'egli vega meglio quello che gli bisogna che Dio. E spesse volte dice: «I mi ci pare offendare Dio: tollami via l'offesa e faccimi ciò che vuole». Questo è segno che ci è tolta l'offesa, unde ne dobbiamo pigliare speranza: quando vediamo in noi lo pentimento del peccato e la buona volontà di non volere offendare, ché se tutte le opere di fuore e le consolazioni venissero meno, se ci ha la buona volontà sì piacciamo a Dio, e sopra questa pietra è fondata la grazia. Se dici: «Non me la pare avere», dico ch'egli è falso, ché, se non l'avessi, non temaresti d'offendare Dio, ma egli è lo demonio che fa vedere questo, perché l'anima venga a confusione e a tristizia disordinata e perché tenga ferma la sua volontà in volere le consolazioni e i luoghi e i tempi a suo modo. Non gli crediamo, frategli carissimi, ma sempre disponga l'anima a sostenere pene, per qualunche modo Dio ce le dà. Altrimenti faremo come colui che sta su l'uscio col lume in mano, che distende la mano fuore e dentro è tenebroso: cioè che già è acordato ne le cose di fuore con la volontà di Dio dispregiando il mondo, ma rimagli la volontà spirituale dentro velata con colore di virtù.

Così disse Dio a quella serva detta di sopra e però diss'io ch'io disiderava che la vostra volontà fusse anegata e trasformata in lui, disponendoci sempre a portare pene e fatiche per qualunche modo ce le vuol dare: così saremo privati de le tenebre e avaremo la luce.

Amen. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso.





18. A Benincasa suo fratello, essendo in Firenze molto tribolato.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Fratello carissimo in Cristo Gesù, io Caterina, serva inutile, ti conforto e benedico, e invito a una dolce e santissima pazienza, ché senza la pazienza non potremo piacere a Dio.

Perciò vi priego, affinché voi riceviate lo frutto delle vostre tribulazioni, che voi pigliate questa arme della pazienza. E se vi paresse molto duro a portare le molte fatiche, riducovi a memoria tre cose, affinché portiate più patientemente. E prima, voglio che pensiate la brevità del tempo vostro, che non sete sicuro del dì di domane. Ben possiamo dire che non abbiamo la fatica passata, né quella ch'è a venire, ma solo lo punto del tempo che noi abbiamo: dunque ben dobiamo portare pazientemente, poi che il tempo è tanto brieve. La seconda è che voi consideriate lo frutto che segue delle fatiche, ché dice san Paolo che no è comparazione dalle fatiche a rispetto del frutto e rimunerazione della superna gloria. La terza si è che voi consideriate lo danno che segue a coloro che portano con ira e con impazienzia: ché segue questo danno qui, e la pena eternale di là. E però vi prego, carissimo fratello, che voi portiate con ogni pazienza.

E non vorrei che vi uscisse di mente lo correggiarvi della vostra ingratitudine e ignoranza, cioè del debito che avete con la madre vostra, al quale voi sete tenuto per comandamento di Dio. E io ho veduto moltiplicare tanto la ignoranza vostra che, non tanto che voi l'abbiate renduto lo debito d'aiutarla, poniamo che di questo io v'ho per scusato, poiché non avete potuto; e se voi aveste potuto, non so che voi aveste fatto, poiché solo delle parole l'avete fatto caro. O ingratitudine! non avete considerato la fatica del parto né il latte ch'ella trasse del petto suo, né le molte fatiche ch'ella ha avute di voi e di tutti gli altri. E se mi diceste ch'ella non abia avuto pietà di noi, dico che non è vero; ch'ella n'ha avuta tanta, di voi e dell'altro, che caro le costa. Ma poniamo caso che fusse vero: voi sete ubrigato a lei, e non lei a voi. Ella non trasse la carne di voi, ma ella dié la sua a voi.

Priegovi che voi vi correggiate di questo difetto e degli altri, e che perdoniate alla mia ignoranza; ché, se io non amassi l'anima vostra, non vi direi quello ch'io vi dico. Ramentovi la vostra confessione, a voi e alla vostra famiglia. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







19. A Nicolaccio di Caterino dei Petroni.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore dei dolci comandamenti di Dio, affinché potiate in voi participare la vita della grazia.

Ma questo non potereste fare col pentimento e odio del prossimo vostro; poiché il secondo comandamento di Dio è d'amare il prossimo come noi medesimi (Mt 22,39 Mc 12,31 Lc 10,27). Questa carità d'amare la creatura esce della fontana della divina carità: Perciò chi non è ne la carità di Dio, non è in quella del prossimo; non essendovi, è come il membro ch'è tagliato dal corpo, che subito perde la vita e seccasi, perché è tagliato dal suo principio. E così l'anima separata per l'odio della divina carità, è subito morta a grazia, in tanto che neuno bene che faccia gli vale quanto a vita eterna.

Vero è che il bene non si debba però lasciare che non si faccia, in qualunque stato altri sia, perché ogni bene è rimunerato e ogni colpa punita. Se non è rimunerato quanto a vita eterna, Dio gli rende questo: che o egli gli presta il tempo per potere coregiare la vita sua; o egli mettarà alcuno mezzo dei servi suoi a trarlo delle mani deli demoni; o egli il fa abondare nei beni temporali. E anco poi, morendo, eziandio essendo ne l’inferno, ha meno pena: ché più pena li succederebbe se quello tempo ch'egli fece quel poco del bene, egli avesse fatto il male. Unde, per questo e molte altre cose, il bene in neuno modo si debba mai lasciare, in qualunque stato egli sia fatto; ma bene è da considerare - poiché Dio è sì dolce rimuneratore - che la buona opera, nonostante ch'ella sia fatta in peccato mortale, egli la vuole retribuire in qualche cosa.

Quanto magiormente farà a coloro che la fanno in istato di grazia, con vero e santo desiderio nella carità di Dio e carità del prossimo! A questi, de la loro opera ne l'è dato frutto infinito, vivendo in questa per grazia; e ne l'altra l'ha dato vita eterna. Perciò voglio che con ogni santa solecitudine voi vi studiate di vivare in grazia, osservando i dolci comandamenti di Dio; ché in altro modo non potreste. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi osservatore dei detti comandamenti. Non dico più qui, se non che in questo ch'io vi domandarò, m'avedrò se starete in questa carità, o no. Quello ch'io vi dimando si è la pace, della quale etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, etc.







20. Questa è una lettera la quale manda santa Caterina detta a Benincasa suo fratello, ed essendo egli tribolato, sendo egli a Firenze.


A laude di Gesù Cristo benedetto e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi tutto accordato e trasformato con la volontà di Dio, sapendo ch'egli è quel giogo santo e dolce (Mt 11,30) che ogni amaritudine fa tornare in dolcezza.

Ogni grande peso diventa leggero sotto questo santissimo giogo della dolce volontà di Dio, senza la quale non potreste piacere a Dio, anzi gustareste la caparra dell’inferno. Confortatevi, confortatevi, carissimo fratello, e non venite meno sotto questa disciplina di Dio; confidatevi, ché quando l'aiuto umano viene meno, l'aiuto divino è presso. Dio vi provvederà.

Pensate che Job perdette l'avere i figli (Gb 1,13-19) e sanità (Gb 2,7); rimasegli la donna sua per un continovo fragello (Gb 2,9): e poi che Dio ebbe provata la sua pazienza, gli rendé ogni cosa doppio (Gb 42,10), e alla fine vita eterna. Job paziente non si turbò mai, ma, sempre adoparando la virtù della santa pazienza, diceva: «Dio me l'ha date e Dio me l'ha tolte; sia lo nome di Dio benedetto» (Gb 1,21). Così voglio che facciate voi, carissimo fratello: che siate amatore delle virtù, con una pazienza santa e con una confessione spessa, che vi farà portare le vostre fatiche. E io vi dico che Dio usarà la sua benignità e misericordia, e remuneraravi d'ogni fatica che per lo suo amore arete portata.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.







21. A uno lo nome del quale per lo meglio non si scrive per alcune parole usate in essa lettera.
- la lettera è indirizzata ad un giovane omosessuale -


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi debitore leale che rendiate lo debito vostro al vostro Creatore.

Sapete che siamo tutti debitori a Dio, poiché ciò che noi abiamo, abiamo solo per grazia e per amore inestimabile. Non pregammo mai che ci creasse: mosso Perciò dal fuoco dell'amore, creocci ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26); creocci in tanta degnità che non è lengua che il potesse narrare né occhio vedere né cuore pensare, la degnità dell’uomo quanto ella è. Questo il debito che noi abiamo tratto da Dio, e questo debito vuole che gli sia renduto: cioè amore per amore. Cosa giusta e convenevole è che colui che si vede amare, ch'egli ami.

Anco ci mostrò maggiore amore che mostrare ci potesse, dando la vita per noi; ché vedendo Dio che l'uomo avea perduta la sua degnità per lo peccato commesso, ed erasi ubligato al demonio, venne la somma eterna bontà essendo inamorato della sua creatura, volsela ristituire e trarla d'obligo: manda lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, condannalo a morte per rendare la vita della grazia all'uomo. Mandalo per ricolta dell'uomo a trarlo de la carcere del peccato e delle mani deli demoni. O dolce amoroso Verbo Figlio di Dio, inestimabile carità dolcissima, tu sei entrato ricolta e pagatore, tu hai stracciata la carta dell'ubligagione fra l'uomo e il demonio (Col 2,14), che per lo peccato era ubligato a lui, sì che stracciando la carta del corpo tuo sciogliesti noi.

Oimé, Signore mio, chi non si consuma a tanto fuoco d'amore? Non si consumaranno coloro che ogni dì di nuovo fanno carta nuova col demonio: non riguardano te, Gesù Cristo fragellato, satollato d'obrobi, Dio e uomo. Oimé oimé, questi cotali fanno del corpo loro una stalla, tenendovi dentro gli animali senza nessuna ragione. Oimé, fratello carissimo, non dormite più nella morte del peccato mortale: io vi dico che la scure è già posta a la radice de l'albero (Mt 3,10 Lc 3,9). Tollete la pala (Lc 3,17) del timore santo di Dio, e sia menata da la mano dell'amore; venite traendo lo fracidume de l'anima e del corpo vostro; non siate crudele di voi né manigoldo, tagliandovi dal vostro capo Cristo dolce e buon Gesù. Non più fracidume, non più immondizia: ricorrite al vostro Creatore, aprite l'occhio dell'anima vostra e vedete quanto è il fuoco della sua carità, che v'ha sostenuto e non ha comandato a la terra che si sia aperta e inghiottitovi (Nb 16,32 Nb 26,10 Dt 11,6), né agli animali che v'abbiano divorato; anco v'ha dato la terra dei frutti suoi, lo sole lo caldo e la luce, lo cielo e il movimento, affinché viviate, dandovi spazio di tempo perché potiate corregiarvi. Questo ha fatto solo per amore.

O ladro ignorante debitore, non aspettate più tempo: fate sacrifizio a Cristo crocifisso della mente e de l'anima e del corpo vostro. Non dico che vi diate la morte più che voi vogliate quanto per separazione di vita corporale, ma morte negli appetiti sensitivi: che la volontà ci sia morta e viva la ragione, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso. Allora renderete lo debito: date a Dio quello ch'è di Dio (Mt 22,21 Mc 12,17 Lc 20,25) e a la terra quello ch'è della terra. A Dio si debba dare lo cuore e l'anima e l'affetto, con ogni sollecitudine e non negligenzia: tutte le vostre opere debano essere fondate in Dio. A la terra che si vuol dare, cioè questa parte sensitiva? Quello che ella merita. Che merita colui che uccide? Merita d'essere morto: così ci conviene uccidare questa volontà fragelando la carne nostra, afligiarla, porle lo giogo dei santi comandamenti di Dio. E non vedete voi ch'ell'è mortale? Tosto passa la verdura sua, sì come lo fiore ch'è levato dal suo principio. Non state più così, per l'amore di Cristo crocifisso, ché io vi prometto che tanta abominazione e tanta iniquità (Lv 18,22) Dio nolla sosterrà, non correggendo la vita vostra, anco ne farà grandissima giustizia mandando giudizio sopra di voi.

Dicovi che non tanto Dio che è somma purezza, ma i demoni non la possono sostenere: ché tutti gli altri peccati stanno a vedere, excepto che questo peccato contro natura. Or sete voi bestia o animale? Io vegio pure che voi avete forma d'uomo, ma è vero che di questo uomo è fatto stalla: dentro vi sono gli animali delli peccati mortali. Oimé non più così, per l'amore di Dio; attendete, attendete alla salute vostra, rispondete a Cristo che vi chiama. Voi sete fatto per essere tempio di Dio (1Co 3,16 2Co 6,16), cioè che dovete ricevare Cristo per grazia, vivendo virtuosamente, participando lo sangue dell'Agnello, dove si lavano le nostre iniquità. Oimé oimé, disaventurata l'anima mia: io non so mettare mano a le mie e vostre iniquità. Or come fu tanto crudele e spiatata l'anima vostra e la vostra bestiale passione sensitiva, che voi oltre al peccato contro natura etc.

Oimé, scoppino i cuori, dividasi la terra, rivollansi le pietre sopra di noi (Lc 23,30), i lupi ci divorino; non sostengano tanta iniquità e tanta immondizia e offesa fatta a Dio e a l'anima vostra. Fratel mio, i ci vien meno la lingua e tutti i sentimenti. Oimé, non voglio più così, ponete fine e termine a la miseria; non vogliate pigliare consuetudine con longa perseveranza in tanta miseria, ché io v'ho detto e vi ricordo che Dio nol sosterrà, se voi non vi correggete. Ben vi dico che se voi vorrete corregiare la vita vostra in questo ponto del tempo che v'è rimaso, e Dio è tanto benigno e misericordioso che vi farà misericordia e benignamente vi riceverà nelle braccia sue; faràvi participare lo frutto del sangue dell'Agnello, sparto con tanto fuoco d'amore, ché non è neuno sì grande peccatore che non truovi misericordia, però ch'è maggiore la misericordia di Dio che le nostre iniquitadi, dove noi ci vogliamo corregiare e bomicare lo fracidume del peccato per la santa confessione, con proponimento d'alegiare inanzi la morte che tornare più al bomito (Pr 26,11 2P 2,22). A questo modo riarete la vostra dignità perduta per lo peccato e rendaremo lo debito che dobiamo rendare a Dio. Sappiate che se voi nol rendeste, voi cadareste nella più oscura prigione che si possa imaginare. Sappiate che quando questo debito non si rende, della confessione e pentimento del peccato, i non bisogna che altri s'afatichi a pigliarlo, ché esso medesimo colla compagnia deli demoni, che sonno i suoi signori a cui egli ha servito, ne va intro il profondo de l’inferno.

Fratello mio dolce in Cristo dolce Gesù, non voglio che questa prigione né condennagione venga sopra di voi, ma voglio e priegovi, e io vi voglio aiutare da parte di Cristo crocifisso, che voi usciate delle mani del diavolo. Pagate lo debito della santa confessione con pentimento dell'offesa di Dio e proponimento di non cadere più in tanta miseria. Abbiate memoria di Cristo crocifisso; spegnete lo veleno della carne vostra coi la memoria della carne fragellata di Cristo crocifisso, Dio e uomo, ché per l'unione della natura divina colla natura umana è venuta in tanta degnità, la nostra carne, ch'ell'è essaltata sopra tutti i cori degli angeli. Ben si debbono vergognare gli stolti figli d'Adam di darsi a tanta miseria e perdare la sua degnità.

Ponetevi per obiettivo Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso.

E non indugiate né aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi. E se la fragelità vostra vi vuole dare fatica, tenetevi ragione come buono giudice: salite sopra la sedia della conscienzia vostra, non lassate passare i movimenti che non sieno corretti da voi con una santa e dolce memoria di Dio. Invitate voi medesimo a fare resistenza e non consentite al peccato per volontà, né attualmente mandarlo ad effetto, ma dite: «Porta oggi, anima mia, questa poca della pena, fa' resistenza e non consentire. Forse che domane sarà terminata la vita tua, e se pure sarai vivo, farai quello che ti farà fare Dio: fa' tu oggi questo». Dicovi che facendo così l'anima vostra e il corpo, ch'è ora fatto stalla, sarà fatto tempio (1Co 3,16 2Co 6,16) dove Dio si dilettarà abitando in voi per grazia. Poi, consumata la vita vostra, ricevarete l'eterna visione di Dio, dove è vita senza morte e sazietà senza fastidio. Non vogliate perdere tanto bene per una trista dilettazione. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonate alla mia ignoranza: òvi forse gravato di parole, e detto quello che non vorremo forse udire.

Abiatemi per iscusata: ché l'affetto e l'amore ch'io ho a la salute dell'anima vostra me l'ha fatto fare, ché se io non v'amassi non me ne impacciarei né curarei perché io vi vedessi nelle mani del demonio; ma perch'io v'amo nol posso sostenere. Voglio che participiate lo sangue del Figlio di Dio. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.

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19/10/2012 14:04

22. All'abbate Martino di Passignano dell'ordine di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero ortolano, governatore dell'orto dell'anima vostra e dei sudditi vostri.

Noi siamo uno giardino, e veramente orto, del quale giardino e orto n'ha fatto ortolano, la prima Verità, la ragione col libero arbitrio; la quale ragione e libero arbitrio, con l'aiutorio della divina grazia, ha a divellare le spine dei vizii, e piantare l'erbe odorifere delle virtù. Ma non potrebbe piantare la virtù se prima non rivoltasse la terra insieme con le spine, cioè la terra della propria volontà sensitiva, che non si diletta d'altro che di diletti terreni e transitorii, pieni di triboli, di spine, di vizii e di peccati. Rivoltisi questa terra, carissimo padre, per forza d'amore, in questo punto del tempo che ci è rimaso; e si piantino le dolci e reali virtù: un amore ineffabile, tratto dall'amore dello immacolato Agnello, condito con l'odio e pentimento di sé, con pazienza vera, con fede viva e non morta, con vere opere, con uno pentimento del mondo, con una giustizia vera condita con la misericordia verso i sudditi vostri, una obbedienzia pronta a Cristo ed all'Ordine, perseverante infine alla morte.

All'Ordine, dico: d'essere osservatore dell'Ordine, col santo e vero desiderio, con la vigilia e continua orazione, cioè che lo intelletto vegghi sempre in raguardare e conoscere sé non essere, e la bontà di Dio in sé, che è Colui che è (Ex 3,14). A mano mano segue la continua orazione, ché lo continuo orare non è altro che uno santo desiderio e affetto dolce d'amore, e l'affetto va dietro allo intelletto. Ché fra le altre piante che gittino odore grandissimo in questo giardino, sono queste; e però io voglio che siate più sollicito: qui trovarete la fame de l'onore di Dio e della salute dei sudditi vostri, e così adempirete la volontà sua e desiderio mio, che dissi che io desideravo di vedervi vero ortolano dell'orto dell'anima vostra e dei vostri sudditi. Poiché, avendo fame della salute loro per onore di Dio, sarete sollicito di trargli di miseria e punire i difetti, ed essaltare coloro che sono virtuosi e che vogliono vivere secondo l'Ordine.

Poi che il giardino è così bene fornito, voglio che alla guardia poniate lo cane della conscienzia, e sia legato alla porta, sì che, se i nemici venissero e l'occhio dell'intelletto dormisse, lo cane abai, ché, abaiando con lo stimolo della conscienzia, l'occhio si desta; e fassi incontra ai nemici coi l'odio e pentimento, e subito ripara, e armasi con l'arme dell'amore. Conviensi dargli mangiare a questo cane, affinché sia bene sollicito: lo cibo suo non è altro che odio e amore portato nel vasello della vera umilità, tenuto con la mano della vera e perfetta pazienza; poiché fra l'odio e l'amore nasce l'umilità, e dolce e soave pazienza, e quanto più cibo, più sollicitudine. E tanto diventa cauto questo cane che, eziandio passando gli amici, abbaia perché lo intelletto si levi a vedere chi eglino sono e discernere se sono da Dio, o no. E così non potrà essere ingannato l'ortolano, né robbato lo giardino; e non verrà lo nemico a seminargli la zizzania (Mt 13,25) dell'amore proprio, lo quale amore proprio germina spine e affoga lo seme delle virtù. Dategli bere, dategli bere a questo cane: empite lo vasello della memoria vostra del sangue di Cristo crocifisso, e poneteglili inanzi continuamente, affinché non muoia e perisca di sete.

Su, padre carissimo, diamo dei calci al mondo, con tutte le pompe delizie e ricchezze sue; e, poverello, seguitate l'Agnello consumato e derelitto per voi in su.legno della santissima croce. Non aspettiamo più tempo, per l'amore di Dio!, ché il tempo c'è tolto fra le mani che l'uomo non se n'avede, e però non è senno dell’uomo d'aspettare quello che non ha, e perdere quello che egli ha. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





23. A Nanna figlia di Benincasa in Firenze, sua nipote verginella.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera sposa di Cristo crocifisso, e fuggire ogni cosa che t'impedisce ad avere questo dolce e glorioso Sposo.

Ma questo non potresti fare se tu non fussi di quelle vergine savie consegrate a Cristo, le quali avevano le lampane con l'olio, ed eravi dentro lo lume (Mt 25,1ss.). E però vedi che, a volere essere sposa di Gesù Cristo, ti conviene avere la lampana, e l'olio, e lume. Sai come s'intende questo, figlia mia? Per la lampana s'intende lo cuore nostro, poiché il cuore è fatto come la lampana. Tu vedi bene che lampana è larga di sopra e stretta di sotto: e così è fatto lo cuore, a segnificare che noi lo dobiamo sempre tenere largo di sopra - cioè per santi pensieri e per sante imaginazioni, e per continova orazione -, avendo sempre in memoria i benifizii di Dio, e massimamente lo benifizio del sangue per mezzo del quale siamo ricomprati, poiché Cristo benedetto, figlia mia, non ci ricomprò d'oro né d'argento, né di perle o d'altra pietra preziosa, anco ci ricomprò del sangue suo prezioso (1P 1,18-19). Unde tanto benifizio non si vuole mai dimenticare, ma sempre portarlo dinanzi a li occhi suoi (Ex 13,9), con uno santo e dolce ringraziamento, vedendo quanto Dio ci ama inestimabilmente: che non curò di dare l'unigenito suo Figlio a l'obrobiosa morte della croce, per dare a noi la vita della grazia.

Dissi che la lampana è stretta di sotto, e così è il cuore nostro: a significare che il cuore debba essere stretto verso queste cose terrene, cioè di non disiderarle né amarle disordenatamente, né appetire più che Dio ci voglia dare, ma sempre ringraziarlo, vedendo come dolcemente ci provede, sì che mai non ci manca nulla. Or a questo modo sarà lo cuore nostro una lampana.

Ma pensa, figlia mia, che questo non bastarebbe se non ci fusse l'olio dentro: per l'olio intende quella virtù piccola della profonda umilità, perché si conviene che la sposa di Cristo sia umile mansueta e paziente; e tanto sarà umile quanto paziente, e tanto paziente quanto umile. Ma a questa virtù de l'umilità non potremo venire se non per vero conoscimento di noi, cioè conoscendo la miseria e fragilità nostra, e che noi per noi medesimi non possiamo alcuno atto virtuoso, né levarci nessuna battaglia o pena; poiché se noi abiamo la infermità corporale, o una pena o battaglia mentale, noi non ce la possiamo levare: poiché, se noi potessimo, subito la levaremo via. Dunque bene è vero che noi per noi non siamo nulla altro che obrobio, miseria, puzza, fragilità e peccati: per la qual cosa sempre dobiamo stare bassi e umili.

Ma a stare solamente in questo conoscimento di sé non sarebbe buono, poiché l'anima verrebbe a tedio e a confusione, e dalla confusione verrebbe a disperazione; unde lo demonio non vorrebbe altro se non farci venire a confusione, per farci poi venire a disperazione. Conviensi dunque stare nel conoscimento della bontà di Dio in sé, vedendo ch'egli ci ha creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreati a grazia nel sangue de l'unigenito suo Figlio, Verbo dolce incarnato, e come continovamente la bontà di Dio aduopara in noi. Ma vedi che stare solamente in questo conoscimento di Dio non sarebbe buono, poiché l'anima ne verrebbe a presunzione e superbia. Conviensi Perciò che sia mescolato l'uno co.l'altro insieme, cioè stare nel conoscimento della bontà di Dio, e nel conoscimento di noi medesimi: e così saremo umili, pazienti e mansueti; e a questo modo aremo l'olio nella lampana.

Conviensi ora che ci sia lo lume, altrimenti non bastarebbe: questo lume vuole essere il lume della santissima fede. Ma dicono i santi che la fede senza l'uopera è morta (Jc 2,17-20): unde non sarebbe fede viva né santa, ma morta. E però ci è bisogno adoperare continuo virtuosamente, e lasciare le fanciullezze e le nostre vanità; e non istare più come mondane e giovane, ma stare come spose fedeli consecrate a Cristo crocifisso: e a questo modo aremo la lampana e l'olio e il lume.

Ma dice lo Vangelio che quelle vergine savie erano cinque (Mt 25,2): unde io ti dico che a ciascuno di noi conviene essere cinque, altrimenti non intraremo alle nozze di vita eterna. Per queste cinque intende che si conviene che noi soggioghiamo e mortifichiamo i nostri cinque sentimenti del corpo, per sì-fatto modo che noi non offendiamo mai con essi, pigliando con essi o con alcuni d'essi disordinato diletto o piacere. E a questo modo saremo cinque: cioè che aremo soggiogati i nostri cinque sentimenti corporali.

Ma pensa che questo dolce Sposo, Cristo, è tanto geloso de le spose sue, ch'io non tel potrei dire. E però se egli s'avedesse che tu amassi altro più che lui, subito si sdegnarebbe con con te. E se tu non ti coreggessi, non ti sarebbe aperta la porta, dove l'Agnello immacolato, Cristo, fa le nozze a tutte le sue fedeli spose, ma come adultere saremo cacciate via; sì come furono quelle cinque vergine stolte, le quali, gloriandosi solamente e vanamente della integrità e verginità del corpo, perderono la verginità dell'anima per corruzione dei cinque sentimenti, perché non portarono l'olio de l'umilità con loro; unde le lampane loro si spegnevano. E però lo' fu detto: «Andatevi a comprare de l'olio» (Mt 25,9); e per questo oglio s'intende in questo luogo le lusinghe e laulde umane, poiché tutti i lusinghieri e mondani laudatori vendono questo olio. Quasi come lo' fusse detto: «Della vostra verginità, e delle vostre buone opere, voi non avete voluto comprare vita eterna, anco avete voluto comprare laude umane, e per avere laulde umane l'avete fatte. E voi laulde andate a comprare, ché qua non intrarete voi».

E però, figlia mia, guardati delle laude de l'uomini; e non desiderare laude di nessuna opera che tu facessi, poiché non ti sarebbe poi aperta la porta di vita eterna. Unde, considerando io che questa era l'ottima via, dissi ch'io desideravo di vederti vera sposa di Cristo crocifisso: e così ti prego e comando che t'ingegni d'essere. Altro non dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



24. A missere Biringhieri degli Arzocchi pioggiano d'Asciano.

Al nome di Cristo e di Maria dolce.

A voi, riverendissimo e carissimo padre mio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero ministro del Figlio di Dio, e che seguitiate sempre le vestigie sue.

Siate, siate quel fiore odorifero che dovete essare, e che gittiate odore nel conspetto dolce di Dio - sapete bene che il fiore, quando è stato molto nell'acqua, non gitta odore ma puzza -: così pare a me veramente, padre, che voi e gli altri ministri che doviate essare; ma questo fiore è messo nell'acque delle iniquità e immundizie dei peccati e miserie del mondo. O quanto è misero e miserabile colui ch'è posto come fiore ne la Chiesa santa, a rendare ragione dei sudditi suoi - sapete che Dio richiede nettezza e purezza in loro -: oimé oimé, venerabile padre, egli trova tutto lo contrario, sì e per sì-fatto modo che non tanto che sieno guasti eglino e puzzolenti, ma i sono guastatori di tutti coloro che s'accostano a loro.

Levatevi suso, e non pur dormite; assai tempo aviamo dormito, e morti allo stato de la grazia. Non ci ha più tempo, ch'egli è sonato a condennagione, e siamo condennati a la morte. Doh, dolcissimo padre, raguardate un poco lo pericoloso stato vostro: in quanto pericolo è, annegato in questo mare amaro dei peccati mortali! Or non crediamo noi avere a giognare a questo ponto de la morte? Non dubbitiamo che non è creatura che né per ricchezza né gentilezza la possa schifare. E allora la misera miserabile anima - che s'ha posto per specchio a le dilettazioni carnali, due s'è involta come porco in loto - di creatura diventa animale, in quella putrida avarizia sua; e spesse volte, per avarizia e cupidità, vendono le grazie spirituali e doni; enfiati per superbia, tutta la vita loro si spende in onori, e in conviti e in molti servidori e in cavalli grossi, quello che si die amministrare ai povari. Queste sono quelle opere le quali al punto de la morte si rapresentano per giudicio e giustizia. Credeva l'anima avere fatto contro Dio, ed egli ha fatto contro a sé medesimo, ed è stato giudice ch'ha condennato sé medesimo, ché s'è fatto degno de la morte eterna. Or non siamo più semplici, ché grande stoltizia è ch'i si faccia degno de la morte, là unde i può avere la vita.

Poi che sta a noi d'eleggiare o la vita o la morte, per lo libero arbitrio che ha dato a noi, prego carissimamente e dolcissimamente, quanto so e posso, che voi siate quel dolce fiore che gittiate odore dinanzi a Dio, e nei sudditi vostri, sì come pastore vero a ponare la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11), correggendo lo vizio e confermando la virtù nei virtuosi. Lo non correggere infracida, sì come il membro corrotto nel corpo corrotto dell'uomo. Abbiate l'occhio sopra voi e sopra i sudditi vostri, e non vi paia duro a divellare queste barbe, ché molto vi sarà più dolce lo frutto che la fatica amara. O padre, raguardate a lo ineffabile amore che Dio ha a la salute vostra, e voi vedrete li smisurati beneficii e doni.

Che maggiore amore che ponare la vita per l'amico suo? Molto maggiormente è da commendare colui che ha posta la vita per li nemici suoi (Rm 5,7-8).

Or non si difendano più i cuori nostri, ma tragansi la durezza: non sieno sempre pietra a uno modo.

Rompasi questo legame e catena, col quale lo demonio spesse volte ci tiene legati; ma la forza del santo desiderio e dispregiamento dei vizii e amore de le virtù, romparà tutti questi legami. Inamoratevi de le virtù vere, le quali lo contrario fanno dei vizii, ché, come lo peccato dà amaritudine, così la virtù dà dolcezza: in questa vita gusta vita eterna. Quando venrà lo dolce tempo de la morte, la virtù adoperata risponde per lui, e difendelo dal giudicio di Dio, e dàgli sicurezza, e tollegli confusione, e conducelo ne la vita durabile, due ha vita senza morte, sanità senza infermità, ricchezze senza povertà, onore senza vitoperio, signoria senza servitudine, e tutti vi sono signori; e tanto quanto l'uomo è stato minore in questa vita, tant'è maggiore di là; quanto maggiore volrà essare in Siate piccolo per vera e profonda umilità, raguardate Dio che è umiliato a voi uomo, e non vi fate indegno di quello che Dio v'ha fatto degno, cioè del prezioso sangue del Figlio di Dio, del quale con tanto ardentissimo amore sete ricomprato. Noi siamo servi ricomprati, non ci possiamo più vendare: quando noi siamo nei peccati mortali, noi ciechi ci vendiamo al demonio. Pregovi, per amore di Cristo crocifisso, che noi usciamo di tanta servitudine. Non dico più, ma tanto vi dico ch'i miei difetti sono infiniti, e promettovi così, di pigliare i miei e vostri, e faronne uno fascio di mirra, e porrommelo nel petto (Ct 1,12) per continuo pianto e amaritudine fondata in vera carità: ci farà pervenire a la vera dolcezza e consolazione de la vita durabile. Perdonate a la mia presunzione e superbia.

Racomandatemi e benedite tutta la famiglia in Cristo Gesù. Pregolo che vi doni quella dolce eterna benedizione, e sia di tanta fortezza che rompi e spezzi tutti i legami che vi tollessero lui.

Rimanete ne la santa carità di Dio.

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19/10/2012 14:06

25. A lo soprascritto Tommaso dalla Fonte dei frati Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato nel sangue di Cristo crocifisso, lo quale sangue inebria, fortifica, scalda e allumina l'anima de la verità: e però non cade in menzogna. O sangue che fortifichi l'anima e gli togli la debolezza! La quale debolezza procede dal timore servile, e il timore servile viene da mancamento di lume. E però è forte l'anima, perché nel sangue è stata alluminata della verità: ha cognosciuto e veduto con l'occhio dello intelletto che la prima Verità lo creò per dargli la vita durabile, a gloria e loda del nome suo. Chi cel manifesta ch'egli è così? Lo sangue de lo immacolato Agnello: lo sangue ci manifesta che tutte le cose che Dio ci concede, prospere e averse - consolazioni e tribolazione, vergogna e vituperio, scherni e villanie, infamie e mormorazioni -, tutte sonno concesse a noi con fuoco d'amore, per adempire in noi questa prima dolce verità con la quale fummo creati. Chi cel mostra? Lo sangue: ché se altro Dio avesse voluto di noi non ci avrebbe dato lo Figlio, e il Figlio la vita.

Come l'anima con l'occhio dello intelletto ha cognosciuta questa verità, subito riceve la fortezza: che è forte a portare e sostenere ogni grande cosa per Cristo crocifisso. Non intepedisce, anco riscalda col fuoco de la divina carità, con odio e pentimento di sé. A mano a mano si trova ebbro, perché l'ebbro perde lo sentimento di sé, e non si trova altro che sentimento di vino: tutti i sentimenti vi sonno amersi dentro.

Così l'anima inebriata del sangue di Cristo perde il proprio sentimento di sé; privato de l'amore sensitivo e privato del timore servile - ché colà dove non è amore sensitivo non v'è timore di pena -, anco si diletta de le pene. In altro non si vuole gloriare se non nella croce di Cristo crocifisso: quella è la gloria sua. Tutte le facoltà de l'anima vi sonno dentro occupate; la memoria s'è impita di sangue - ricevelo per beneficio -, nel quale sangue trova l'amore divino che caccia l'amore proprio: amore d'oprobri e pena d'onore, amore di morte e pena di vita. Con che s'è impita la memoria? Con le mani de l'affetto e santo e vero desiderio, lo quale affetto e amore trasse dal lume dell’intelletto, che cognobbe la verità e la dolce eterna volontà di Dio.

Or così voglio, carissimo padre, che dolcemente ci inebriamo e bagniamo nel sangue di Cristo crocifisso, affinché le cose amare ci paiano dolci, i grandi pesi leggieri; de le spine e triboli traiamo la rosa, pace e quiete. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù Gesù.





26. A sorella Eugenia sua nipote nel monasterio di Sancta Agnesa a Montepulciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti gustare il cibo angelico: poiché per altro non sei fatta; e affinché tu il potessi gustare, Dio ti ricomperò del sangue de l'unigenito suo Figlio.

Ma pensa, carissima figlia, che questo cibo non si mangia in terra, ma in alto; e però il Figlio di Dio volse essere levato in alto in su lo legno della santissima croce, affinché in alto in su questa mensa prendessimo questo cibo. Ma tu mi dirai: «Quale è questo cibo angelico?» Rispondoti: è il desiderio di Dio, il quale il desiderio che è ne l'affetto de l'anima, trae a sé, e fannosi una cosa l'uno con l'altro. Questo è uno cibo che, mentre che siamo peregrini in questa vita, tira a sé l'odore delle virtù, le quali virtù sono cotte al fuoco della divina carità, e mangiansi in su la mensa della croce: cioè che con pena e fatiga s'acquista la virtù, ricalcitrando a la propria sensualità; e con forza e violenza rapire il reame de l'anima sua, la quale è chiamata cielo, perché cela Dio per grazia dentro da sé. Questo è quello cibo che fa l'anima angelica: e però si chiama angelico; e anco perché, separata l'anima dal corpo, gusta Dio ne la essenzia sua.

Egli sazia tanto e per sì-fatto modo l'anima che nessuna altra cosa appetisce né può desiderare se non quello che più perfettamente l'abbi a conservare e crescere questo cibo: unde ha in odio ciò che l'è contrario. E però, come prudente, raguarda col lume della santissima fede, il quale lume sta ne l'occhio dell’intelletto, e raguarda quello che l'è nocivo e quello che l'è utile. E come ella ha veduto, così ama e spregia: dispregia, dico, la propria sensualità, tenendola legata sotto ai piedi de l'affetto e tutti i vizii che procedono da essa sensualità. Ella fugge tutte le cagioni che la possino inchinare a vizio o impedire la sua perfezione. Unde ella annega la propria volontà, che l'è cagione d'ogni male, e sottomettela al giogo della santaobbedienza, non solamente a l'ordine e al prelato suo, ma a ogni minima creatura per Dio. Ella fugge ogni gloria e piacere umano, e solo si gloria negli obrobrii e pene di Cristo crocifisso: ingiurie, strazii, scherni e villanie le sono un latte, dilettandosi in esse per conformarsi con lo Sposo suo Cristo crocifisso. Ella renunzia alla conversazione delle creature, perché vede che spesse volte ci sono mezzo tra noi e'l Creatore nostro; e fugge a la cella attuale e alla mentale.

A questo t'invito te e l'altre, e ti comando, dilettissima figlia mia: che tu sempre stia nella casa del cognoscimento di te - ove noi troviamo il cibo angelico dell'ardente desiderio di Dio inverso di noi - e nella cella attuale, con la vigilia, e con l'umile fedele e continua orazione, spogliando il cuore e l'affetto tuo di te e d'ogni creatura: e vestilo di Cristo crocifisso. Altrimenti il mangiaresti in terra; e già ti dissi che in terra non si debbe mangiare. Pensa che lo Sposo tuo Cristo dolce Gesù, non vuole mezzo tra te e lui, ed è molto geloso, unde subito che vedesse che tu amassi veruna cosa fuore di lui, egli si partirebbe da te; e saresti fatta degna di mangiare il cibo de le bestie.

E non saresti tu bene bestia, e cibo di bestie sarebbe, se tu lassassi il Creatore per le creature? il bene infinito per le cose finite e transitorie, che passano come il vento? la luce per le tenebre? la vita per la morte? quello che ti veste di sole di giustizia, col fibiale de l'obedienzia e con le margarite della fede viva, speranza ferma e carità perfetta, per quello che te ne spoglia? E non saresti tu bene stolta a partirti da quel che ti dà perfetta purezza - in tanto che, quanto più t'accosti a lui, tanto più raffina il fiore della virginità tua - per quelli che spesse volte gittano puzza di immundizia, contaminatori della mente e del corpo tuo? Dio il cessi da te per la sua infinita misericordia.

E affinché questo non possa mai intervenire, guarda che non sia tanta la tua sciagura che tu pigli conversazione particolare né di religioso né di secolare, che se io il potrò sapere o sentire, se io fossi anco più dilonga che io non sono, io ti darei sì-fatta disciplina che tutto il tempo de la vita tua ti starebbe a mente; e sia chi si vuole. Guarda che tu non dia né riceva se non in neccessità, sovvenendo comunemente a ogni persona dentro e di fuore. Stammi tutta soda e matura in te medesima. Servi le suore caritativamente con grande diligenzia, e spezialmente quelle che vedi in necessità.

Quando gli ospiti passano, e dimandasserti alle grate, statti ne la pace tua e non v'andare: ma quello che volessero dire a te, dicanlo a la priora; se già la priora non tel comandasse perobbedienza. Allora china lo capo, e stammi salvatica come uno riccio. Stianti a mente i modi che quella gloriosa vergine santa Agnesa faceva tenere a le figlie sue. Vatti per la confessione, e di' la tua necessità, e ricevuta la penitenza, fugge. Guarda già, che non fussero di quelli con cui tu ti sei alevata. E non ti maravigliare perch'io dica così; poiché più volte mi puoi avere udito dire, e così è la verità, che le conversazioni, col perverso vocabolo dei devoti e delle divote, guastano l'anime e i costumi e observanzie delle religioni.

Guarda che non leghi lo cuore tuo altro che con Cristo crocifisso; poiché talora lo voresti sciogliare, che ti sarebbe molto duro. Dico che l'anima che ha asaggiato il cibo angelico ha veduto col lume che questo e l'altre cose sopradette le sono mezzo e impedimento al cibo suo; e però le fugge con grandissima solecitudine. E dico che ama e cerca quello che la acresca e la conservi in questo cibo, e perché ha veduto che meglio gusta questo cibo col mezzo de l'orazione fatta nel cognoscimento di sé, però vi si essercita continovamente in tutti quelli modi che più si possa acostare a Dio.

Di tre ragioni è l'orazione: l'una è continova - cioè lo continovo santo desiderio, lo quale desiderio òra nel cospetto di Dio in ciò che tu fai -: perché questo desiderio drizza nel suo onore tutte le tue opere spirituali e corporali, e però si chiama continova. Di questa pare che parlasse il glorioso santo Pavolo quando disse: «Orate senza intermissione» (1Ts 5,17). La seconda è orazione vocale, quando vocalmente si dice l'officio, o altre orazioni.

Questa è ordinata per giognare alla terza, cioè a la mentale: e così vi giogne l'anima quando con prudenzia e umilità esercita l'orazione vocale: cioè che, parlando con la lingua, lo cuore suo non sia dilunga da Dio, ma debbasi ingegnare di fermare e stabilire lo cuore suo ne l'affetto della divina carità. E quando sentisse la mente sua essere visitata da Dio - cioè che in alcuno modo fusse tratta a pensare del suo Creatore - debba abandonare l'orazione vocale e fermare la mente sua, con affetto d'amore, in quello che vede che Dio la visita; e poi, se ella ha tempo, cessato quello, debba ripigliare la vocale, affinché sempre la mente stia piena e non vòta.

E perché ne l'orazione abondassero le molte bataglie in diversi modi, e tenebre di mente con molta confusione (facendole lo demonio vedere che la sua orazione non fusse piacevole a Dio per le molte battaglie e tenebre che ha), non debba lassarla però, ma stare ferma con fortezza e longa perseveranza, raguardando che il demonio lo fa per partirci da la madre de l'orazione, e Dio lo permette per provare in quella anima la fortezza e costanzia sua, e affinché nelle bataglie e tenebre conosca sé non essere, e nella buona volontà che si sente riservata conosca la bontà di Dio - il quale è donatore e conservatore delle buone e sante volontà -: la quale volontà non è denegata a chiunque la vuole.

Per questo modo giogne a la terza e ultima orazione mentale, ne la quale riceve il frutto de le fatiche che sostenne ne l'orazione vocale imperfetta. Allora gusta il latte della fedele orazione. Ella leva sé sopra di sé, cioè sopra il sentimento grosso sensitivo, e con mente angelica si unisce in Dio per affetto d'amore, e col lume dell’intelletto vede e conosce, e vestesi della verità. Ella è fatta sorella degli angeli; ella sta con lo Sposo suo in su la mensa del crociato desiderio, dilettandosi di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, perché vede bene che per questo lo Sposo eterno corse a l'obrobriosa morte della croce, e così compì l'obedienzia del Padre e salute nostra. Drittamente questa orazione è una madre che ne la carità di Dio concepe le virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce.

Ove manifesti tu l'amore la fede la speranza, e l'umilità? ne l'orazione, poiché la cosa che tu non amassi non ti curaresti di cercarla; ma chi ama, sempre si vuole unire con quella cosa che ama, cioè con Dio, col mezzo dell'orazione. A lui domandi la tua necessità, perché conoscendo te - nel quale cognoscimento è fondata la vera orazione - vedi te avere grande bisogno, sentendoti atorniata da' tuoi nemici: cioè dal mondo col ricordo dei vani piaceri o con le ingiurie, dal demonio con le molte tentazioni, e dalla carne con molta rebellione e impugnazione contro lo spirito.

E te vedi non essere per te; non essendo, vedi che non ti puoi aitare, e però con fede corri a colui che è (Ex 3,14), il quale può sa e vuole subvenirti in ogni tua necessità: e con isperanza adomandi e aspetti l'aiutorio suo. Così vuole essere fatta l'orazione, a volerne avere quello che tu n'aspetti. Non ti sarà mai denegata cosa giusta che tu adomandi per questo modo da la divina bontà; ma facendola per altro modo, poco frutto ne traresti.

Dove sentirai tu l'odore de l'obedienzia? ne l'orazione. Dove ti spogliarai tu de l'amore proprio che ti fa essere impaziente nel tempo de le ingiurie, o d'altre pene, e vestira'ti d'uno divino amore che ti farà paziente, e gloriara'ti ne la croce di Cristo crocifisso? ne l'orazione. Dove sentirai tu l'odore de la virginità e la fame del martirio, disponendoti a dare la vita in onore di Dio e salute de l'anime? in questa dolce madre de l'orazione. Ella ti farà osservatrice de l'ordine; sugellaratti nel cuore e ne la mente i tre voti solenni che facesti nella professione, lassandovi la impronta del desiderio d'osservarli fino a la morte. Ella ti leva dalla conversazione delle creature, e datti la conversazione del Creatore; ella empie il vasello del cuore del sangue de l'umile Agnello, e ricuoprelo di fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto. Più e meno perfettamente riceve l'anima e gusta questa madre dell'orazione, secondo che ella si notrica del cibo angelico, cioè del santo e vero desiderio di Dio, levandosi in alto, come detto è, a prenderlo in su la mensa de la santissima croce. E però ti dissi ch'io desideravo di vederti notricare del cibo angelico, perché io non vedo che in altro modo potessi essere vera sposa di Gesù Cristo, consecrata a lui nella santa religione. Fa' ch'io ti vega una pietra preziosa nel conspetto di Dio. E non mi stare a perdare il tempo. Bagnati e aniegati nel sangue dolce de lo Sposo tuo. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





27. A missere Martino abbate di Pasignano dell'ordine di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere lo cuore e l'affetto vostro innestato in su la dolce e venerabile croce, considerando me che l'anima non può participare né avere lo frutto della grazia se il cuore e l'affetto suo non è innestato nel crociato amore del Figlio di Dio - non bastarebbe a noi perché la natura divina sia innestata e unita con la natura umana, e la natura umana con la divina -; e perché ancora vediamo Dio-e-Uomo corso all'obrobiosa morte della croce.

Ha fatto uno innesto questo Verbo in su la croce santa e bagnatici del sangue prezioso suo, germinando i fiori e frutti delle vere e reali virtù: tutto questo ha fatto lo legame de l'amore (questo amore caldo lucido attrattivo ha maturati i frutti delle virtù, e toltole ogni acerbità; questo è stato poiché lo innesto del Verbo divino si fece nella natura umana) ed lo Verbo in su.legno della santissima croce. Sapete che in prima erano sì agre, che nessuna virtù ci conduceva a porto di vita, perché la marcia della disobbedienza d'Adam non era levata con l'obedienzia del Verbo unigenito Figlio di Dio. Anco vi dico che, con tutto questo dolce e soave legame, l'uomo non participa né può participare la grazia se esso non s'innesta, per affetto d'amore, nel crociato amore del Figlio di Dio, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso, poiché noi arboli sterili, senza neuno frutto, ci conviene essere uniti con l'arboro fruttifero, cioè Cristo dolce Gesù, come detto è.

O carissimo e reverendo padre, quale sarà quello cuore sì duro che si possa tenere - se raguardarà l'amore ineffabile che gli ha lo suo Creatore - che non si leghi e innesti, col legame della carità, con lui? Certo non so come egli sel possa fare. Credo bene che coloro che sono innestati e legati ne l'arboro morto del demonio e nell'amore proprio di sé, ne le delizie stati e ricchezze del mondo, fondati ne la perversa superbia e vanità sua, oimé!, che questi sieno quelli che sono privati de la vita, e sono fatti non tanto che arbori sterili, ma essi sono arbori morti; e mangiando lo frutto loro, conduce nella morte eterna, poiché i frutti sono i vizii e peccati. Costoro fuggono la via e la dottrina di questo dolce incarnato e amoroso Verbo; essi vanno per le tenebre cadendo in morte e in molta miseria.

Ma non fanno così quelli che con affettuoso amore seguitano la via della verità: hanno aperto l'occhio dell'intelletto e cognoscono loro non essere, e cognoscono la bontà di Dio in loro: ché l'essere, e ogni grazia che è posta sopra l'essere, retribuiscono a Dio avere avuto per grazia e non per debito. Allora cresce uno fuoco e uno affetto d'amore, e uno odio e pentimento del peccato e de la propria sensualità, che con questo amore e odio e con vera umilità s'innesta nel crociato consumato amore del Figlio di Dio.

Produce allora i frutti de le reagli virtù, le quali virtù notricano l'anima sua e del prossimo suo perché diventa mangiatore e gustatore de l'onore di Dio e della salute delle anime.

Molto ci è dunque di grande necessità e di grande bisogno d'avere questa perfetta unione, ché senza essa non possiamo giugnare a quello fine per mezzo del quale fummo creati; e però dissi che io desideravo di vedervi innestato nell'arboro della santissima croce. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che siate sollicito e non negligente: non più dormire nel sonno de la negligenzia, però ché il tempo è breve e il camino è lungo.

Voi mi mandaste a me, venerabile padre, la croce, la quale io tenni tanto cara quanto io tenessi mai veruna altra cosa, ricevendo l'affetto e il desiderio vostro col quale me la mandaste. Rappresentatemi all'occhio del corpo quello che debbo avere all'occhio dell'anima: miserabile a me, che mai non l'ebbi! Pregovi con grande affetto d'amore che preghiate lo nostro dolce Salvatore che mel dia. Io vi rendo croce, invitandovi alla croce del dolce desiderio e a la croce del corpo, sostenendo con vera e buona pazienza ogni fatica che voi riceveste per onore di Dio e per salute delle anime.

Scrivestemi che quello che io avevo cominciato che io lo compisse; e io vi prometto che giusta al mio potere, quanto Dio me ne darà la grazia di compire - cioè di sempre pregare la divina bontà per voi -, se risponderete con vera e perfetta sollicitudine a lui che vi chiama con grandissimo amore, sarà compita la volontà sua in voi - che non cerca né vuole altro che la vostra santificazione -, e il desiderio vostro e mio.

Così spero che compiuto ci ritrovaremo legati nel legame dolce della carità. Abbiate avesseate cura di correggere lo vizio e piantare la virtù nei sudditi vostri, con vera e santa dottrina, essendo voi specchio di virtù a loro. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 14:08

28. A messer Bernabò signore di Milano, per certi ambasciadori d'esso signore mandati a lei.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi participare lo sangue del Figlio di Dio - sì come figlio creato dal sommo Padre all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e servo ricomprato - affinché andiate con amore e col santo timore di Dio. Sapete che colui che non ama lo suo Creatore d'amore filiale, non può participare il sangue: èvvi bisogno d'amare.

O padre carissimo, quale è quello cuore che sia tanto indurato e ostinato che, se egli raguarda l'affetto e l'amore che gli porta la divina bontà, che non si disolva? Amate, amate; guardate che prima fuste amato, che voi non amaste: poiché, raguardando Dio in sé medesimo, inamorossi della bellezza della sua creatura e creolla - mosso dal fuoco della inestimabile sua carità - solo per questo fine, perché ella avesse vita eterna, e godesse quel bene infinito che Dio godeva in sé medesimo. O amore inestimabile, bene hai dimostrato questo amore. Ché, perdendo l'uomo la grazia per lo peccato mortale, per la disobbedienza che comisse contro te, Signor mio, ne fu privato. Or raguardate, padre, che modo ha tenuto la clemenza dello Spirito santo a restituire la grazia all'uomo: vedete che la somma altezza di Dio ha presa la servitudine della nostra umanità, in tanta bassezza e umilità profonda che deve confondere ogni nostra superbia.

Vergogninsi li stolti figli d'Adam: che si può più vedere, che è vedere Dio umiliato all'uomo, né più né meno che se l'uomo avesse a tenere Dio, e non Dio l'uomo? Con-ciò-sia-cosa-che l'uomo non è in sé medesimo: ciò che egli ha, sì ha da Dio per grazia, e non per debito. E però non sarà veruno, che conosca sé medesimo, ch'egli offenda mai Dio mortalmente, o caggia in superbia o per stato, o per grandezza, o segnoria. S'egli segnoreggiasse tutto il mondo, riputasi non nulla: ché così è sugetto alla morte egli come una vilissima creatura, e così trapassano le stolte dilizie del mondo e vengono meno in lui, come in uno altro; e non le può tenere, che vita e sanità e ogni cosa creata non passi come lo vento. Perciò per veruna signoria che aviamo in questo mondo ci possiamo riputar signori. Non so che signoria quella si fusse, che mi può esser tolta e non sta nella mia libertà. Non mi pare che se ne debba chiamare né tener signore, ma più tosto dispensatore; e questo è a tempo, e non è sempre, quanto piacerà al dolce Signore nostro.

E se voi mi diceste: Non ci ha l'uomo in questa vita nessuna signoria? rispondovi: sì, àlla, la più dolce e più graziosa e più forte che veruna cosa che sia, e questa si è la città dell'anima nostra. Oh, ècci maggior cosa e grandezza che avere una città che vi si riposa Dio, che è ogni bene, dove si ritrova pace, quiete e ogni consolazione? Ella è di tanta fortezza questa città, e di sì perfetta signoria, che né demonio né creatura ve la può togliere, se voi non vorrete. Ella non si perde mai se non per lo peccato mortale: allora diventa servo e schiavo del peccato, diventa non nulla e perde la dignità sua.

Veruno ci può costrignere a commettere un minimo peccato, poiché Dio l'ha posto, «sì» e «no», nella più forte cosa che sia, nella volontà; ché, se ella dice «sì» per consentimento, di subito ha offeso, pigliando diletto e piacere del peccato; e se dice «no», inanzi sceglie la morte che offendere Dio e l'anima sua.

Questo non offende mai; ma guarda la città, signoreggia sé medesimo e tutto quanto lo mondo: ché se ne fa beffe del mondo e di tutte le dilizie sue, riputandole cosa corruttibile, peggio che sterco. E però dicono i santi, ch'i servi di Dio sono coloro che sono signori liberi: hanno avuto vittoria. Molti sono coloro che hanno vittoria di città e di castella: non avendola di loro medesimi e dei nimici suoi, come è lo mondo, la carne e il demonio, può dire che avesse non nulla.

Orsù, padre, vogliate tenere ferma la signoria della città dell'anima vostra; combattete forte con questi tre nimici: tollete lo coltello dell'odio e dell'amore, amando la virtù e odiando lo vizio; colla mano dell'arbitrio gli percotete. E non dubitate, ché la mano è forte e il coltello è forte; ché, come detto è, non è nessuno ve il possi togliere. Questo parbe che dicesse Pavolo quando diceva: «Né fame né sete, né persecuzioni, né angeli né dimonii mi partiranno dalla carità di Dio, se io non vorrò» (Rm 8,35-39); quasi dica il dolce di Pavolo: come egli è impossibile che la natura angelica mi parta da Dio, così è impossibile che veruna cosa mi stringa a un peccato mortale, se io non vorrò.

Diventati sono impotenti questi nostri nimici, poiché l'Agnello immacolato, per render la libertà all'uomo, e farlo libero, dé sé medesimo alla obrobriosa morte della santissima croce. Vedete amore ineffabile, che con la morte ci ha data la vita; sostenendo obrobrii e vitoperii, ci ha renduto l'onore; con le mani chiavate confitte in croce, ci ha sciolti dal legame del peccato; col cuore aperto ci tolle ogni durezza; essendo spogliato, ci veste; col sangue suo c'inebria; con la sapienza sua ha vinta la malizia del demonio; coi flagelli ha vinta la carne nostra; coll'obrobrio e umilità ha vente le dilizie e la superbia del mondo; lavato ci ha dell'abondanzia del suo sangue. Sì che non temiamo per veruna cosa che sia, ché con la mano disarmata ha venti i nostri nemici, renduto lo libero arbitrio.

O Verbo dolce, Figlio di Dio, tu hai riposto questo sangue nel corpo della santa Chiesa; vogli che per le mani del tuo vicario ci sia ministrato. Provide la bontà di Dio alla necessità dell'uomo, ch'ogni dì perde questa signoria di sé offendendo il suo Creatore: e però ha posto questo remedio della santa confessione, la quale vale solo per lo sangue dell'Agnello. Non ve la dà una volta, né doe, ma continuamente. Però è stolto colui che si dilunga o fa contro questo vicario, che tiene le chiave del sangue di Cristo Crocifisso: eziandio se fusse demonio incarnato, io non debbo alzare lo capo contro lui, ma sempre umiliarmi, e chiedere lo sangue per misericordia, ché in altro modo no il potete avere, né participare lo frutto del sangue.

Pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso, che non facciate mai più contro lo capo vostro; e non mirate che il demonio vi porrà e v'ha posto inanzi il colore della virtù, cioè una giustizia di voler fare contro i mali pastori per lo defetto loro: non credete al demonio, e non vogliate fare giustizia di quello che non tocca a voi. Lo nostro Salvatore non vuole: dice che sono i suoi unti; non vuole che né voi né veruna creatura facci questa giustizia, perché la vuole far egli. Oh quanto sarebbe sconvenevole che il servo volesse togliere la signoria di mano al giudice, volendo fare giustizia del malfattore! Molto sarebbe spiacevole, poiché non tocca a lui: lo giudice è quello che l'ha a fare.

E se dicessimo: Lo giudice nol fa; non è ben fatto che il facci io? no, ché ogni otta ne sarai ripreso: né più né meno ti cadrà la sentenzia adosso, se tu ucciderai, d'essere morto tu. Non scuserà la legge la tua buona intenzione, che l’hai fatto per levare il malfattore di terra; non vuole la legge né la ragione che, perché il giudice sia cattivo e non facci la giustizia, che tu la facci però tu. Debilo lasciare punire al sommo giudice, che non lassarà passare le ingiustizie e gli altri difetti che non siano puniti a luogo e a tempo suo, singularmente nella estremità della morte, passata questa tenebrosa vita: nel quale punto passato, ogni bene è rimunerato e ogni colpa è punita. Così vi dico, carissimo padre e fratello in Cristo dolce Gesù, che Dio non vuole che voi, né veruno, vi facciate giustizieri dei amministri suoi. Egli l'ha commesso a sé medesimo, ed esso l'ha commesso al vicario suo: e se il vicario suo non la facesse (ché la debba fare, ed è male se non si fa), umilemente doviamo aspettare la punizione e correzione del sommo giudice, Dio eterno. Eziandio se ci fussero tolte per loro le cose nostre, più tosto doviamo scegliere di perdare le cose temporali e la vita del corpo che le cose spirituali e la vita della grazia, poiché queste sono finite, e la grazia di Dio è infinita, che ci dà infinito bene: e così, perdendola, aviamo infinito male.

E pensate che, per la buona intenzione che voi aviate, non vi scusarà però né Dio né la legge divina dinanzi a lui; anco cadereste nel bando della morte eterna: non voglio che cadiate mai in questo inconveniente. Dicovelo, e pregove da parte di Cristo Crocifisso, che non ve ne impacciate mai più.

Possedetevi in pace le città vostre, facendo giustizia dei sudditi vostri quando si commette la colpa; ma non per loro, mai, che i sono amministri di questo glorioso sangue e prezioso. Per altre mani che per le loro voi no il potete avere; non avendolo, non ricevete il frutto d'esso sangue, ma sareste, come membro putrido, tagliato dal corpo della santa Chiesa.

Or non più, padre! Umilmente voglio che poniamo lo capo in grembo di Cristo in cielo per affetto e amore, e di Cristo in terra, la cui vece tiene, per riverenzia del sangue di Cristo, del quale sangue ne porta le chiavi: a cui egli opre, è aperto, e a cui egli serra, è serrato. Egli ha la potenza e autorità, e veruno è che gli il possi togliere delle mani, poiché gli è data dalla prima dolce Verità. E pensate che, fra le altre cose che sieno punite, che dispiaccia bene a Dio, si è quando vede che son toccati gli unti suoi, siano gattivi quanto si vogliono. E non pensate, perché vediate che Cristo facci vista di non vedere in questa vita, che sia di meno la punizione nell'altra. Quando l'anima sarà dinudata dal corpo, allora gli mostrarà che in verità egli ha veduto. Perciò voglio che siate figlio fedele della santa Chiesa, bagnandovi nel sangue di Cristo Crocifisso: allora sarete membro legato nella Chiesa santa, e non putrido. Ricevarete tanta fortezza e libertà che né demonio né creatura ve la potrà togliere, poiché sarete fuore de la servitudine del peccato mortale, della rebellione della santa Chiesa; sarete fatto forte dalla fortezza della grazia, che allora abitarà in voi, e sarete unito col vostro padre. Così vi prego che perfettamente facciate questa unione, e non indugiate più tempo. Ma che vendetta faremo del tempo che sete stato fuore? Di questo, padre, parmi che s'apparecchi uno tempo che noi potremo fare una dolce e gloriosa vendetta; ché, come voi avete disposto lo corpo e la sustanzia temporale a ogni pericolo e morte, in guerra col padre vostro, così ora v'invito da parte di Cristo crocifisso a pace vera e perfetta col padre benigno, Cristo in terra, e a guerra contro gl'infedeli, disponendo lo corpo e la sustanzia a dare per Cristo crocifisso. Disponetevi, ché vi conviene fare questa dolce vendetta che, come voi sete andato contro, così andate in aiuto, quando lo padre levarà in alto lo gonfalone della santissima croce; poiché il padre santo n'ha grandissimo desiderio e volontà. Voglio che siate lo principale, e che invitiate e sollicitiate lo padre santo che tosto si spacci, ché grande vergogna e vituperio è di cristiani, di lasciare possedere quello che di ragione è nostro ai pessimi infedeli! Ma noi facciamo come stolti e di vil cuore, che non facciamo briga e guerra se no con essonoi medesimi. L'uno si divide da l'altro per odio e rancore, colà dove noi doviamo essere legati del legame della divina ardentissima carità; lo qual legame è di tanta fortezza, che tenne Dio-e-Uomo confitto e chiavellato nel legno della santissima croce.

Orsù, padre, per l'amor di Dio crescetemi lo fuoco del santissimo desiderio, volendo dare la vita per Cristo Crocifisso, dare lo sangue per amore del sangue. Or quanto sarà beata l'anima vostra e la mia, per l'affetto ch'io ho alla salute vostra, di vedervi dare la vita per lo nome del dolce e buono Gesù! Prego la somma ed eterna bontà che ci facci degni di tanto benifizio quanto è a dare la vita per lui. Or correte virilmente a fare i grandissimi fatti per Dio e per esaltazione della santa Chiesa, sì come avete fatto per lo mondo e in contrario a lei: facendo questo, voi participarete lo sangue del Figlio di Dio.

Rispondete alla voce e clemenza dello Spirito santo che vi chiama tanto dolcemente, che fa gridare ai servi di Dio dinanzi a lui per voi, per darvi la vita della grazia. Pensatevi, padre, che delle lacrime e sudori che la bontà di Dio ha fatte gittare per voi ai servi suoi, da capo ai pie' ve ne lavareste: non le spregiate, né siate ingrato a tanta grazia. Vedete quanto Dio v'ama, che la lingua vostra no il potrebbe narrare, né il cuore pensare, né occhio vedere quante sono le grazie sue, che vuole abundare sopra di voi, pure che disponiate la città dell'anima vostra a trarla della servitudine del peccato mortale. Siate grato e conoscente, affinché non si secchi in voi la fonte della pietà. Non dico più.

Siate siate fedele, umiliatevi sotto la potente mano di Dio. Amate e temete Cristo crocifisso; niscondetevi nelle piaghe di Cristo Crocifisso; disponetevi a morire per Cristo crocifisso. Perdonate alla mia ignoranza e presunzione, che presummo molto di favellare; ma l'amore e l'affetto ch'io ho alla salute dell'anima vostra mi scusi.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Di quello che mi pregò lo vostro serviziale, che per vostra parte venne a me etc. Gesù dolce, Gesù amore.





29. A madonna la Regina, donna dello soprascritto signore di Milano, per li detti ambasciadori.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverenda madre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestita del vestimento dell'ardentissima carità, sì e per sì-fatto modo che voi siate quel mezzo e instrumento che facciate pacificare lo sposo vostro con Cristo dolce Gesù e col vicario suo, Cristo in terra.

Sono certa che, se sarà in voi la virtù della carità, non si potrà tenere che lo sposo vostro non ne senta lo caldo. E così vuole la prima Verità che voi siate due in uno spirito, e in uno affetto e santo disiderio.

Questo non potreste fare se non fusse in voi questo amore. Ma voi mi direte: «Da che io non ho l'amore, e senza amore io no il posso fare, che modo tengo d'averlo?». Dicolo a voi, che amore non s'acquista se non con amore: poiché colui che vuole amore, prima gli conviene amare, cioè d'avere volontà d'amare. Poi che egli ha avuta questa volontà, conviengli uprire l'occhio del conoscimento, e vedere dove si trova e come i si trova questo amore. In sé medesimo lo trovarà. Come? conoscendo sé medesimo non essere: vedendo sé non essere per sé medesimo, retribuisce e conosce da Dio avere l'essere suo, e ogni grazia che è fondata sopra questo essere - cioè le grazie e i doni spirituali e temporali che Dio ci dà -: ché, se noi non fussimo, non potremo ricevere nessuna grazia. Sì che ogni cosa ha, e trova d'avere, per la inestimabile bontà e carità di Dio.

Come l'anima ha veduto e trovata in sé tanta bontà del suo Creatore, levasi e cresce in tanto amore e disiderio che sé e il mondo, con tutte le delizie sue, spregia e ha in dispetto. E non me ne maraviglio, poiché l'è condizione dell'amore che, quando la creatura si vede amare, subito ama; come egli ama, sceglie inanzi la morte che offendere quello che egli ama. Ella si notrica nel fuoco dell'amore perché s'ha veduta tanto amare, quando vede sé esser stato quel campo e quella pietra dove fu fitto lo gonfalone della santissima croce. Ché voi sapete bene che la terra né la pietra averebbe tenuta la croce, né chiodi né croce avrebbero tenuto lo Verbo dell'unigenito Figlio di Dio, se l'amore non l'avesse tenuto. Perciò l'amore, che Dio ebbe all'anima nostra, fu quella pietra e quelli chiodi che l'hanno tenuto.

Or questo è lo modo da trovare l'amore. Poi che aviamo trovato lo luogo dove sta l'amore, in che modo ce il convien amare? O reverenda e dolcissima madre, egli è la regola e la via: e altra che questa una via non c'è. La via sua, ch'egli insegna a noi - la quale doviamo seguire, se vogliamo andare per la luce e ricevere vita di grazia -, si è andare per le pene, per gli obrobii, scherni, strazii e villanie e persecuzioni: con esse pene conformarsi con Cristo crocifisso. Egli fu quello Agnello immacolato che spregiò le ricchezze e signorie del mondo; con-ciò-sia-cosa-che fusse Dio e uomo, nondimeno, come regola e via nostra, egli ce la 'nsegna; fatto è osservatore della legge e non trapassatore. Egli è umile e mansueto, che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione. Egli ha aperto sé medesimo per larghezza d'amore; diventa gustatore e mangiatore della salute nostra, non cercando né vedendo sé, ma solo l'onore del Padre e il bene delle creature. Egli non schifa le pene, anco va drieto a esse pene.

Grande cosa è a vedere lo dolce e buono Gesù, che governa e pasce tutto l'universo, ed esso medesimo in tanta miseria e necessità che non è veruno che sia simile a lui. Egli è mendico in tanto che Maria non ebbe panno dove involgere il figlio suo; ne l'ultimo muore nudo in croce, per rivestire l'uomo e coprirli la sua nudità. Nudo era fatto per lo peccato commesso, perduto avea lo vestimento della grazia: sì che sé spoglia della vita, e noi ne veste. Dico che l'anima, che averà trovato amore nell'affetto di Cristo crocifisso, che ella si vergognarà di seguitarlo per altra via che per Cristo crocifisso: non vorrà dilizie, né stati, né pompe; anco vorrà stare come peregrina o viandante (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, che attende pure di giognare al termine suo. Né per prosperità che truovi nella via, né aversità, se egli è buono peregrino, non tarda però lo suo andare: anco va virilmente, per l'amore e affetto ch'egli ha posto al termine suo, al quale aspetta di giongere.

Così voglio che facciate voi, dolcissima madre e sorella in Cristo dolce Gesù. Non voglio che miriate per li grandi stati che aviate, né per le grande ricchezze e diletti, né per avversità o tribulazione che vedeste venire. Non vi ritraga lo diletto, né non vi ritraga la pena; ma con cuore virile corrite per questa via, dilettandovi sempre delle virtù e di portare pena per Cristo crocifisso, che sì dolcemente ve l'ha insegnata.

Prendete delle cose del mondo per necessità della natura, e non per affetto disordinato: ché troppo sarebbe spiacevole a Dio che voi poneste l'amore in quella cosa che è meno di voi, che non sarebbe altro che perdere la dignità sua: ché tale diventa la creatura, quale è quella cosa che egli ama. Se io amo lo peccato, lo peccato non è: ecco ch'io divento non nulla. A maggiore viltà non può venire. Lo peccato non procede da altro che d'amare quello che Dio odia, e odiare quello che Dio ama; dunque amando le cose transitorie del mondo, e sé medesimo d'amore sensitivo, offende, poiché è quella cosa che Dio odia, e tanto gli dispiacque che ne volse fare vendetta e giustizia sopra lo corpo suo. Fece di sé uno ancudine, fabricandovi su le nostre iniquità.

Or che grande miseria e cecità è quella della creatura, a vedere sé, creato ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e anco riformato in grazia (poi che la perdette per lo peccato mortale, con l'abondanzia del sangue suo riformò questa imagine), ed ella è tanto cieca che abbandona l'affetto e l'amore che l'ha fatta grande per la sua bontà, e dassi ad amare quelle cose che sono fuori di Dio, cioè traendo l'affetto e l'amore fuore di lui, e amare le cose create e sé medesimo senza lui! Ché non è la forma degli stati e delizie del mondo, né le creature, che siano reprensibili; ma è l'affetto che la persona vi pone, trapassandone per questo affetto lo comandamento dolce di Dio. Così, per lo contrario, quando l'amore e l'affetto si leva da sé, e pollo tutto in Cristo crocifisso, egli viene nella maggiore degnità che possi venire, poiché diventa una cosa col suo Creatore. E che meglio può avere, che essere unito in colui, che è ogni bene? E non la può riputare a sé quella dignità e unione, ma all'amore. Perché sarebbe grande una serva che fosse presa per sposa dallo 'mperadore, ché, subito che ella è unita con lui, è fatta imperadrice, e non per sé, ch'ella era serva, ma per la dignità dello imperadore.

Così pensate, carissima madre in Cristo dolce Gesù, che l'anima inamorata di Dio, che è serva e schiava ricomprata del sangue del Figlio di Dio, viene a tanta dignità che ella non si può chiamare serva, ma imperadrice, sposa dello imperadore eterno. Ben s'acorda con la parola della prima verità: «Lo servire a Dio non è essere servo, ma regnare»: anco gli priva della servitudine del peccato, e fallo libero. Bene è forte dunque questa unione perfetta, che, oltra alla dignità della creazione sua, per l'unione dell'amore e delle virtù, fa perfetta questa dignità prima dell'essere, cioè per l'unione che ha fatta col suo Creatore. Questa s'è spogliata dell'uomo vecchio di sé medesima, e vestita del nuovo, Cristo dolce Gesù. Allora è aperta l'anima a ricevere e tenere la grazia, colla quale in questa vita gusta Dio; poi, ne l'ultimo, vede l'eterna visione sua, dove si pacifica e ha perfetto riposo e quiete, poiché sono adempiti i desideri suoi. Questa è la ragione che in questa vita non può avere questa pace: perché non è saziato lo disiderio suo fino che non gionge all'unione della divina essenzia: ha solamente fame e desiderio mentre che è viandante e peregrino (He 11,13 1P 2,11) in questa vita: desiderio ha di fare la via dritta, e ha fame di giongere al termine e al fine suo. Lo qual desiderio lo fa correre per la via, per la strada battuta da Cristo crocifisso, sì come di sopra è detto; ché, se non avesse amore al suo fine, cioè a Dio, non si curarebbe di volere sapere la via.

Perciò voglio che cresciate lo santo e vero desiderio a seguire questa via, che vi fa gionger al termine.

Sappiate che ella non è buia né tenebrosa né piena di spine, anco è lucida con vero lume; e battélla questa strada, col sangue suo, Gesù Cristo, che è esso lume. Non ci ha spine, ch'ella è odorifera, piena di fiori e di soavi frutti, in tanto che, come la creatura comincia a tenere per essa strada e via dolce, gustavi tanta dolcezza che inanzi sceglie la morte che volersene partire. E con-ciò-sia-cosa-che in questa via ci si veggano spine, che paiono spine di molte tribulazioni e illusioni del demonio, e il mondo ci si para inanzi colla infiata superbia, dico che non le cura quella anima che si diletta in questa via: ma fa come colui che va al rosaio, che coglie la rosa e lassa stare la spina; così ella, delle tribulazioni e angoscie del mondo: le lassa dietro, e coglie la rosa odorifera della vera e santa pazienza, ponendosi dinanzi a l'occhio del cognoscimento lo sangue dell'Agnello che dà vita, posto in capo di questa strada.



Perciò corrite, madre, e corrano tutti i veri fedeli cristiani, all'ogietto di questo sangue, dietro a l'odore suo (Ct 1,3). Allora diventaremo veramente ebri d'esso sangue, arsi e consumati nella divina dolce carità; fatti saremo una cosa con lui. Faremo come l'ebro, che non pensa di sé, se non del vino ch'egli ha bevuto e di quello che rimane a bere. Inebriatevi di sangue per Cristo crocifisso; poi che l'avete inanzi, non vi lassate morire di sete; non ne prendete poco, ma tanto che voi inebriate, sì che perdiate voi medesima.

Non amate voi per voi, ma voi per Dio; né la creatura per la creatura, ma solo a loda e gloria del nome di Dio; né amate Dio per voi, per vostra utilità, ma amate Dio per Dio, in quanto è somma bontà, degno d'esser amato. Allora l'amore sarà perfetto e non mercenaio; non potrete pensare altro che di Cristo crocifisso, del vino che avete bevuto, cioè della perfetta carità, la quale vedete che Dio v'ha data e mostrata inanzi la creazione del mondo, inamorandosi di voi prima che voi fosti: ché, se non si fusse inamorato, mai non v'arebbe creata. Ma, per l'amore ch'egli v'ebbe vedendovi in sé, egli si mosse a darvi l'essere. Or qui si distendaranno i pensieri vostri in questa carità beuta. Dico che pensarete in quello che è a bere, cioè aspettando e desiderando d'avere e gustare la somma eterna bellezza di Dio. Ora aviamo trovato lo luogo ove si riposa l'amore (Ct 1,6) e dove l'anima l'acquista, e trovato in che modo ce il conviene pigliare.

Or vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che non siate negligente, ma sollicita ad andare a questo luogo, e tenere per questa via mostrata di sopra. Facendolo, adimpirete lo disiderio e la volontà di Dio in voi - che non cerca né vuole altro che la vostra santificazione - e il disiderio di me, misera miserabile, piena di peccati e d'iniquità, che ho fame e volontà della salute vostra, sì per voi, e sì per lo mezzo ch'io voglio che siate a lo sposo vostro, inducendolo a virtù e a seguire la via della verità. Invitatelo e pregatelo, quanto potete, a fare che sia vero figlio e servo a Cristo crocifisso, obediente al padre santo, la cui vece tiene, e non sia più ribelle.

Padre e madre carissimi, siatemi uniti in una volontà e uno spirito. Non aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi. Guardate guardate che l'occhio di Dio è sopra di voi, e veruno è che da quello occhio si possa nascondere. Egli è lo dolce Dio nostro, che non ha bisogno di noi: amocci prima che da noi fusse amato, donocci sé medesimo per grazia e non per debito. Non voglio che siate ingrata a tanto benifizio, ma grata e conoscente, rispondendo alla grazia e clemenza de lo Spirito santo. Pregovi che i figli vostri sempre gli nutrichiate e aleviate nel timore di Dio. Non attendete pur ai corpi loro, ma alla salute de l'anime.

Sappiate che Dio ve li richiederà ne l'ultimo dì. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate alla mia ignoranza, se troppo vi gravasse di parole; ma, per la fame e amore ch'io ho alla salute vostra, piuttosto farei in effetto che con parole.

Venne a me quel vostro fedele serviziale per vostra parte; dissemi a bocca la vostra ambasciata, la quale ho ricevuta molto graziosamente etc. Gesù dolce, Gesù amore.





30. Alla badessa del monasterio di santa Marta da Siena e a sorella Nicolosa del detto monasterio.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso.

A voi, dilettissima e carissima madre e sorella, madonna, e a te, figlia e sorella Nicolosa, io Caterina, inutile serva (Lc 17,10) di Gesù Cristo e vostra serva inutile voglio fare a voi l'offizio che fa lo servo al signore, che sempre porta e arreca: così voglio portare sempre voi nel conspecto del dolcissimo Salvatore.

E così portando, da l'ineffabile carità sua impetraremo grazia di fare l'altro atto del servo, di ritornare in giuso: così venremo ne la grazia del cognoscimento di noi e di Dio. Poiché non mi pare di potere avere virtù né la plenitudine de la grazia, senza l'abitazione de la cella del cuore e dell'anima nostra, nel quale luogo acquistaremo lo tesoro che c'è vita, cioè l'abisso santo del santo cognoscimento di sé e di Dio, dal quale santo cognoscimento, suore carissime, procede quello santissimo odio che ci fa unire in quella somma eterna e prima Verità, conoscendo noi somma bugia, operatori di quella cosa che non è. Così odiando gridaremo con voce di cuore, manifestando la sua bontà: Tu solo sei colui che sei buono, tu sei quello mare pacifico, donde escono tutte le cose che hanno essare, excepto che quella cosa che non è, non è in lui, cioè lo peccato. Come disse la somma Verità a una serva sua inutile: «Io voglio che tu sia amatrice di tutte quante le cose; ché sono tutte buone e perfette e sono degne da essere amate, e tutte sono fatte da me che sono somma bontà, excepto che il peccato non è in me, ché se fusse in me, dilettissima mia figlia, sarebbe degno da essere amato».

O amore inestimabile, però vuoli che noi ci odiamo, per le perverse nostre volontadi donde procede questo che non è in te. Dunque, madre e sorella dilettissime in Cristo Gesù, corriamo corriamo corriamo morte, per la via de la verità. E se mi diceste: che uccidiamo? gridiamo con l'apostolo: la nostra perversa volontà.

Che dice lo inamorato di Pavolo? «Mortificate le membra del corpo vostro» (Col 3,5). Non dice così de la volontà, ma vuole ch'ella sia morta e non mortificata. O dolcissimo e dilettissimo amore, io non ci so vedere altro rimedio se non quello coltello che tu avesti, dolcissimo amore, nel cuore e nell'anima tua. Ciò fu l'odio che avesti al peccato e l'amore che avesti a l'onore del Padre e a la nostra salute. O amore dolcissimo, questo fu quello coltello che trapassò lo cuore e l'anima de la Madre. Lo Figlio era percosso nel corpo, e la Madre similemente; perché quella carne era di lei. Ragionevole cosa era, come cosa sua, ched egli aveva tratto di lei carne.

Io m'avego, o fuoco di carità, che ci ha un'altra unione. Egli ha la forma de la carne, ed ella, come cera calda, ha ricevuta la impronta del desiderio e dell'amore de la nostra salute, ricevuta dal sugello - ed è il sugello de lo Spirito santo -, lo quale sugello e inesto ha incarnato quel Verbo eterno divino. Ella, come albero di misericordia, riceve in sé l'anima consumata del Figlio, la quale anima è vulnerata e ferita de la volontà del Padre: ella, come albero che ha in sé lo 'nnesto, è vulnerata col coltello dell'odio e dell'amore.

Or è tanto moltiplicato l'odio e l'amore ne la Madre e nel Figlio, che il Figlio corre a la morte per lo grande amore che egli ha di darci la vita. Tanta è la fame e il grande desiderio de la santaobbedienza del Padre, che egli ha perduto l'amore proprio di sé e corre a la croce. Questo medesimo fa quella dolcissima e carissima Madre, che volontariamente perde l'amore del Figlio. Ché non tanto ch'ella faccia come madre, che il ritraga da la morte, ma ella si vuole fare scala e vuole ch'egli muoia. Ma non è grande fatto, però ch'ella era vulnerata de la saetta dell'amore de la nostra salute.

O carissime sorella e figlie tutte quante in Cristo Gesù, se per fino a qui non fussimo arse nel fuoco di questo santo desiderio de la Madre e del Figlio, non si contenghino più ostinati i cuori nostri: di questo vi prego da parte di Cristo crocifisso, che questa pietra si dissolva con l'abondanzia del sangue caldissimo del Figlio di Dio, che è di tanta caldezza che ogni durezza o freddezza di cuore debba dissolvare. In che ci fa dissolvere? solamente in quello che detto aviamo: ci fa dissolvere nell'odio e nell'amore, e questo fa lo Spirito santo quando viene nell'anima. Perciò vi comando e vi costringo che voi dimostriate di volere in voi questo coltello. E se mi dimandaste in che lo possiamo dimostrare, rispondovi: in due cose voglio che il dimostriate nel conspecto di Dio. Cioè voglio che voi non vogliate tempo a vostro modo, ma a modo di Colui che è: così sarete spogliate de la vostra volontà e vestite de la sua.

Intesi che mi scriveste del desiderio ch'avavate del mio venire a voi; voglio che questo si mitichi col giogo soave del Figlio di Dio, e così ricevarete questo tempo e ogni altro tempo, quanto malagevole si fusse, pensando che non può essare altro che nostro bene: con reverenzia riceviamo ogni tempo.

L'altra si è che voi andiate col giogo de la santaobbedienza. E voi singularmente, madonna, vogliate essere obediente a Dio in portare la fatica che egli v'ha posta, cioè d'avere a governare le pecorelle sue. E non vi recate a malagevole, se vi vedete molte volte per l'impacci di dare fatica al prossimo per onore di Dio, e questo veggio che facevano i discepoli santi, che spregiavano ogni consolazione spirituale e temporale. O quanta consolazione avrebbero avuta, di ritrovarsi coi la madre de la pace del Figlio di Dio, e l'uno con l'altro ritrovarsi insieme! E non di meno, come vestiti del vestimento nuziale (Mt 22,11-12) del maestro, i si danno a ogni fatica e obrobrio e morte, per l'onore di Dio e salute del prossimo, l'uno separato dall'altro e così spregiando le consolazioni e abracciando le pene: così voglio che facciate voi.

E se mi diceste de la grande sollicitudine de le cose temporali che vi conviene avere, rispondovi che, tanto sono temporali quanto le facciamo; e già v'ho detto che ogni cosa procede da la somma bontà: dunqu'è ogni cosa e buona e perfetta. Sì che non voglio col colore de le cose temporali schifiate la fatica, ma voglio che sollecitamente e con occhio dirizzato secondo Dio siate sollecita. Singularmente siate sollecita delle anime loro. Ché, come dice santo Bernardo, la carità, s'ella ti lusinga, non t'inganna; s'ella ti corregge, non t'odia. Perciò virilmente vi portate, con asprezze e con lusinghe, secondo che bisogna ne lo stato vostro.

Non siate negligente a correggere i difetti; e, piccioli o grandi, che sieno puniti secondo che la persona è atta a ricevare: chi fusse disposto a portare diece libre, non ponete vinti, ma tollete quello che potete avere.

E loro prego per parte di colui che fu fatto portatore d'ogni nostra miseria, ch'elle s'inchinino per la porta stretta (Mt 7,13 Lc 13,24) de la santaobbedienza, a ciò che la superbia de la loro volontà non lo' rompesse lo capo. E non vi paia, sorella carissime, fadigoso de la santa riprensione. O se voi sapeste quanto è dura la riprensione di Dio ch'è fatta all'anima che schifa la riprensione di questa vita! Sì che meglio è che le negligenzie e l'ignoranzie nostre e il poco amore che avemo a la santa ubidienzia, ch'elle sieno punite coi le riprensioni fatte nel tempo finito che quella dura nel tempo infinito. Perciò siate ubbidienti, per amore di quello dolcissimo e amantissimo giovane Figlio di Dio, che fu ubidiente fino a la morte. E così avaremo lo coltello sopra detto; avendo tagliato per la virtù di Dio lo vizio de la superbia trovarenci radicati ne la virtù santa de la carità, la quale dimostraremo ne la virtù de la santa ubidienzia, che dimostraremo per la virtù de la santa umilità. Altro non vi dico, se non che noi facciamo una santa petizione affinché noi possiamo servare ciò che noi aviamo detto.

Chi è in camino, ha bisogno di lume, affinché non erri lo camino: ho trovata una luce, ed è quella dolce vergine Lucia romana che ci dà lume. A quella dolcissima inamorata Magdalena dimandaremo quello pentimento che ella ebbe di sé; ad Agnesa - che è agnella mansuetudine e umilità -: sì che ecco che Lucia ci dà lume, Magdalena odio e amore, Agnesa ci dà l'olio dell'umilità. E così fornita la navicella dell'anima nostra, andaremo a visitare lo luogo santo de la beata santa Marta, di quella inamorata spedaliera che ricevette Cristo uomo e Dio, ora collocata in casa del Padre, cioè in quella essenzia di Dio, ne la quale essenzia e visione, spero, - per l'abondanzia del sangue di Gesù Cristo, e per li meriti di costoro, e di quella dolcissima madre - noi gustaremo e vederemo Cristo a faccia a faccia. Pregovi che siamo solliciti di consumare la vita per lui. Laudato sia lo nostro dolce Salvatore.

A voi madonna e a te Nicolosa, figlia e sorella, io mi racomando e prego che mi racomandiate a sorella Augustina e a tutte l'altre, che preghino Dio per me, che mi levi de la via de la negligenzia e corra morta per la via de la verità. Altro non vi dico di questa materia. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso. Amen.

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19/10/2012 14:11

31. A madonna Mitarella donna di Vico da Mogliano, senatore che fu a Siena nel mccclxxiij.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissima e carissima madre e sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando, confortandovi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi nel cospetto di Dio serva fedele, cioè che voi stiate in quella fede che dà letizia e gaudio ne l'anima nostra. Questa è quella dolce fede che a noi conviene avere, sì come disse lo nostro Salvatore: «Se voi arete tanta fede quanto è uno granello di senape, e comandaste a questo monte, sì si levarebbe» (Mt 17,20). In questa fede, dilettissima sorella, vi prego che permaniate.



Mandastemi dicendo che per lo caso occorso al sanatore - del quale mi pare che avesseate avete avuto grandissimo timore -, che non avete altra fede né altra speranza se no ne l'orazioni dei servi di Dio. Und'io vi prego, da parte di Dio e del dolcissimo amore Gesù Cristo, che sempre rimaniate in questa dolce e santa fede. O fede dolce, che ci dai vita! Se voi starete in questa santa fede, già mai nel vostro cuore non caderà tristizia, perché la tristizia non procede da altro se non dalla fede che poniamo nelle creature; ché le creature sono cosa morta e caduca che vengono meno, e il cuore nostro non si può mai riposare se no in cosa stabile e ferma. Perciò essendo lo nostro cuore posto ne le creature, non è in cosa ferma, ché oggi è l'uomo vivo e domane è morto. Convienci dunque, a volere avere riposo, che noi riposiamo il cuore e l'anima, per fede e amore, in Cristo crocifisso: allora trovaremo l'anima nostra piena di letizia. O dolcissimo amore Gesù! Sorella mia, non temete le creature; sì come disse Cristo benedetto - «Non temete gli uomini, che non possono uccidere altro che il corpo; ma temete me, che posso uccidare l'anima e il corpo» (Mt 10,28 Lc 12,4-5) -, lui temiamo, che dice che non vuole la morte del peccatore, anco vuole che si converta e viva (Ez 33,11). O inestimabile carità di Dio, che prima ci minaccia che può uccidare lo corpo e l'anima, e questo fa per farci umiliare e stare nel santo timore! O bontà di Dio! Per dare letizia a l'anima dice che non vuole la morte nostra, ma che viviamo in lui. Allora dimostrarete, dilettissima sorella, che siate viva, quando la vostra volontà sarà unita e acordata con quella di Dio. Questa volontà dolce vi darà la fede e la speranza viva, posta tutta in Dio.

A volere dare vita a questa santa fede, due cose vi prego che abiate ne la memoria. La prima si è che Dio non può volere altro che il nostro bene - e per darci quello vero bene, dié sé medesimo fino all'obrobiosa morte de la croce -, del quale bene fumo privati per lo peccato. Egli dolcemente umiliò sé medesimo, per rendarci la grazia e tòllare da noi la superbia; Perciò, bene è vero che Dio non vuole altro che il nostro bene. L'altra si è che voi crediate che veramente ciò che aviene a noi - o per morte o per vita, o per infermità o per sanità, o ricchezza o povertà, o ingiuria che fusse fatta a noi da amici o da parenti o da qualunque creatura - voglio che crediate ch'egli è permessione e volontà di Dio, ché senza sua volontà non cade una foglia d'albore. Perciò non solo non temete questo, perché a misura tanto Dio ci dà quanto possiamo portare, e più no (1Co 10,13); ma con riverenzia riceviamo, dilettissima sorella, riputandoci indegni di tanto bene quanto egli è a portare fatica per Dio. E perché il demonio ci volesse mettare una grande paura per lo caso del quale voi temete, pigliate subito l'arme della fede, credendo che per Cristo crocifisso saremo deliberati, e così rimarrete in perfettissima letizia, credendo, come abiamo detto, che Dio non vuole altro che il nostro bene. Confortatevi in Cristo crocifisso, e non temete.

Altro non vi dico, se no che tutte le vostre opere sieno fatte con amore e timore di Dio.

Ricordovi che voi dovete morire, e non sapete quando; e l'occhio di Dio è sopra di voi e riguarda tutte le vostre opere. Dolce Dio, dacci la morte inanzi che noi t'offendiamo.

Laudato sia Gesù Cristo etc.



32. A frate Giacomo da Padova priore del monasterio di Monte Oliveto di Firenze.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, venerabile padre in Cristo Gesù, per riverenzia di quel santissimo sacramento, io Caterina, serva e schiava dei servi di Cristo, mi vi racomando nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi veramente servo fedele al nostro dolce Salvatore, sì come egli disse: «Se voi avrete tanto fede quanto è uno granello di senape e comandarete a questo monte, egli si levarà». (Mt 17,19) E così mi pare veramente, padre, ch'è l'anima fedele: che tutta la fede e la speranza sua abbi posto in sul legno de la santissima croce, due noi troviamo l'Agnello arrostito al fuoco de la divina carità; e ine acquista l'anima tanta fede che non sarà neuno monte - cioè monte di neuno peccato o superbia o ignoranza o negligenzia nostra -, comandandolo con fede viva per virtù di quella santissima croce, che la volontà nostra non muova questo monte da vizio a virtù, da negligenzia a sollecitudine, da superbia a vera e perfetta umilità. Raguardando Dio umiliato a sé uomo, levarassi lo monte dell'ignoranza, rimarremo umiliati nel vero e perfetto cognoscimento di noi medesimi, vedremo noi non essare ma operatori di quella cosa che non è. Allora trova l'anima in sé fondata la bontà di Dio con tanto ardentissimo amore, poiché vede ched i l'amò in sé medesimo inanzi ched egli lo creasse. Dipoi ch'egli l'ha veduta - la miseria sua e la bontà di Dio in lui -, viene in uno odio di sé medesimo e in un amore del dolce Gesù perché si vede essare stato ed è ribelle a Dio, ma, facendo quello bene lo quale noi possiamo fare, vorrà fare giustizia di sé medesimo; e non tanto che si chiami contento di fare giustizia di sé, ma egli desidera che le creature ne faccino vendetta, volendo sostenere da loro ingiurie, strazii e scherni e villanie: in altro non si può dilettare che sostenere e portare fatiche con buona e vera pazienza.

Allora manifesta la fede sua viva e non morta, che ha conformata la volontà sua con quella di Dio; ha comandato ai monti che si levino e sonsi levati, e, rimasto in virtù, diventa giudicatore de la santa volontà di Dio, da la quale volontà nasce uno lume: e ciò che vede e ciò che li fusse fatto, o da uomini o da dimonia o per qualunque modo sia, non può vedere che proceda da altro che da questa santa volontà di Dio. E veruna cosa a quella mente e a quella anima li può essare pena, né veruno tempo né stato vuole eleggiare a suo modo, se non secondo che a la bontà di Dio piace, perché vede che Dio è sommamente buono: non può volere altro che bene e la nostra santificazione, sì come disse lo dolce inamorato di Pavolo che la volontà di Dio è che noi siamo santificati in lui.

Perciò, poi che l'anima ha veduto tanto ineffabile amore, e ciò che Dio fa e permette è dato a noi per singulare amore, levisi l'anima nostra con perfetta sollecitudine a vestirsi e stregnare a sé questo santo e dolce vestimento, lo quale fa adempire quella dolce parola del salterio: «Gustate e vedete». (Ps 33,9) E veramente, carissimo padre, così è, ché se l'uomo nol gusta in questa vita per amore e per desiderio, nol potrà vedere ne la vita durabile. O quanto sarà beata l'anima nostra se noi lo gustaremo, essendo vestiti di questa santa e dolce volontà: lo quale è lo segno che noi dimostriamo al Salvatore nostro con l'amore che noi portiamo a lui; e dell'amore nasce la fede viva, e tanto ho fede o speranza quanto amo; e l'amore, cioè la divina carità, parturisce i figli de le virtù vive e non morte. Or sù, padre, transformiamo lo cuore e l'anima nostra in questo consumato e infocato e ardentissimo amore, niscosi nelle piaghe del cuore consumato del Figlio di Dio.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Corriamo corriamo che il tempo è breve. Gesù dolce Cristo Gesù.





33. All'abbate di Monte Oliveto volendogli rimettere nelle mani uno frate uscito dell'Ordine suo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi in perfettissima carità.

La quale carità non cerca le cose sue (1Co 13,5); ella è libera e non è serva della propria sensualità; ella è larga, che dilata il cuore nell'amore di Dio e carità del prossimo suo, e però sa portare e supportare (1Co 13,7-d) i difetti delle creature per amore del Creatore. Ella è pietosa e non crudele, perché ha tolta da sé quella cosa che fa l'uomo crudele - cioè l'amore proprio di sé - e però riceve caritativamente con grande pietà il prossimo suo per Dio; ella è benivola e pacifica e non iracunda (1Co 13,4-5); ella cerca le cose giuste e sante, e non le ingiuste; e come le cerca così l'osserva in sé, e però riluce la margarita della giustizia nel petto suo.

La carità, se ella lusinga, non inganna; e se ella riprende, non ha ira né odio, ma caritativamente ama tutti come figli: o lusingando o riprendendo, in qualunque modo si sia. Ella è una madre che concipe nell'anima i figli delle virtù, e parturiscele per onore di Dio nel prossimo suo. La sua baglia è la vera e profonda umilità. Che cibo le dà questa sua nutrice? Cibo di lume e di cognoscimento di sé, col quale lume conosce la miseria sua e la fragile sensualità, cagione d'ogni miseria. Con questo cognoscimento s'umilia l'anima e concipe odio verso sé medesima; con questo nutre il fuoco della divina carità, conoscendo la grande e ineffabile bontà di Dio in sé, la quale bontà è cagione principio e fine d'ogni suo cognoscimento.

Dopo questo lume e cognoscimento si diletta di quel cibo che Dio più ama, cioè della sua creatura la quale creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26); e tanto l'amò che egli le donò il Verbo del suo Figlio perché placasse l'ira sua, e traessela della lunga guerra nella quale era caduta per la colpa d'Adam, e lavasse la faccia dell'anima - che per la colpa era tutta lorda - nel sangue dolcissimo suo. Egli fu nostra pace (Ep 2,14) e nostro mediatore tra Dio e noi (Col 1,20), ricevendo i colpi della giustizia sopra di sé; egli fu il nostro medico, sì come dice il glorioso Paulo: Quando l'umana generazione giaceva inferma venne il grande medico nel mondo per sanare le nostre infermità. Egli è nostro conforto, perché ci s'è dato in cibo. Questo dolce e amoroso Verbo, per compire l'obedienzia e voluntà del Padre suo nella creatura, corse come inamorato ponendosi alla mensa della santissima croce: e ine mangiò il cibo delle anime, sostenendo pene obrobrii strazii e villanie, e ne l'ultimo la penosa morte della croce, aprendo il corpo suo che da ogni parte versa sangue.

Tutto questo manifesta l'amore che Dio ha a l'uomo: unde quello che è in carità ama e dilettasi del cibo delle anime; e già per altra via né per altro modo non vuole pigliare questo suave cibo che il pigliasse il dolce e amoroso Verbo Cristo dolce e buono Gesù. Se egli sostenne, ed ella vuole sostenere con lui insieme, unde patisce fame, sete, nudità, scherni e villanie, molestie dagli uomini e dali demoni. Egli sopportò la nostra ingratitudine, non ritraendo però adietro di compire la nostra salute: dico che in questo e ogni altra cosa l'anima che sta in carità, quanto l'è possibile, si conforma con lui, e vuole seguire le vestigie sue. Ella vuole ricogliere e ricoglie con benignità sotto l'ale della misericordia chi l'avesse offesa, perché vede che quel medesimo la bontà di Dio ha fatto a lei.

Quanto è dolce dunque questa madre carità! è veruna virtù che non sia in lei? No. Ella non è tenebrosa, perché la guida sua è il lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla dell'occhio dell’intelletto, che mena l'affetto in quello che dovrebbe amare, ponendogli per obiettivo l'amore che Dio gli ha, e la dottrina di Cristo crocifisso. Unde l'affetto, che col lume vede sé essere amato, è costretto ad amare e mostrare che in verità ami il suo Creatore, seguitando la dottrina della verità. Bene è dunque da levarsi dal sonno della negligenzia e della ignoranza, e con sollicitudine cercare questa madre nel sangue di Cristo crocifisso, poiché il sangue ci rappresenta questo dolce e amoroso fuoco: e per questo modo acquisteremo la vita della grazia; per altra via, no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi fondato in vera e perfettissima carità: ogni creatura che ha in sé ragione la debbe avere in sé, perché ci è necessaria se voliamo gustare Dio nella vita durabile.

Ma molto maggiormente ne sono tenuti e obligati quegli che hanno a reggere e governare anime, ed è lo' di grande bisogno, poiché egli è sì grande peso che, se fossino privati della carità, non portarebbono questo giogo senza offesa di Dio. Non vuole essere tiepida né imperfetta la carità del prelato, ma perfetta con grandissimo caldo d'amore e desiderio della salute dei sudditi suoi: con lume e discrezione sapere dare ad ognuno secondo che è atto a ricevere; caritativamente correggere, facendosi infermo con loro insieme, lusingando e correggendo secondo che vuole la giustizia e la misericordia; cercando la pecorella ismarrita, e quando l’ha trovata ponersela in su la spalla, portando i pesi suoi sopra di sé, rallegrandosi e facendo festa della pecorella ritornata all'ovile.

A questa allegrezza v'invito, carissimo padre, inverso la pecorella vostra che tanto tempo stette nella congregazione dell'altre pecorelle, cioè frate Pietro, il quale è oggi monaco di Santo Lorenzo; e pare che, umiliato e apparecchiato a ricevere la verga della giustizia, si voglia ritornare al suo ovile, all’obbedienza dell'Ordine e vostra chinando il capo allo stare e all'andare secondo che piacerà alla santaobbedienza.

Vedesi stare a pericolo fuore dell'ordine suo e riconosce la colpa sua, e però verrà ad voi a chiedervi le mollicole che caggiono della mensa. Pregovi che gli apriate le braccia della misericordia a riceverlo caritativamente, sicome debba fare il padre al suo figlio. Siatemi un buono pastore che poniate la vita per le pecorelle vostre, se bisogna. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa etc. Gesù dolce, Gesù amore.




34. Al priore dei frati di Monte Oliveto presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo padre - per riverenzia di quel santissimo sacramento - e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi quello pastore buono e virile che pasciate e governiate con solecitudine perfetta le pecorelle a voi comesse, imparando dal dolce maestro della verità, che ha posto la vita per noi pecorelle che eravamo fuori della via della grazia.

è vero, dolcissimo fratello in Cristo Gesù, che questo non potete fare senza Dio, e Dio non possiamo avere nella terra; ma uno dolce rimedio ci vego: che, essendo col cuore basso e piccolo, voglio che facciate come Zaccheo che, essendo piccolo, salì in sull'albore per vedere Dio. Per la quale solecitudine meritò d'udire quella dolce parola, dicendo: «Zaccheo, vattene alla tua casa, ché oggi è necessario ch'io mangi con con te» (Lc 19,5). Così dobiamo fare noi: che essendo noi bassi con estretto cuore e poca carità, noi saliamo in sull'albore della santissima croce. Ine vedaremo e toccaremo Dio: ine trovaremo lo fuoco della sua inestimabile carità e amore, lo quale l'ha fatto corrare fino a li obrobii della croce, levato in alto, affamato e assetato di sete de l'onore del Padre e della salute nostra. Ecco dunque il nostro dolce e buono pastore, che ha posto la vita con tanto affamato desiderio e ardente amore, non riguardando alle pene sue, né alla nostra ignoranza e ingratitudine di tanto benifizio, non a rimproveri dei Giudei, ma come inamorato, ubidiente al Padre con grandissima riverenzia.

Ben si può dunque, se noi vorremo, adempire in noi quella parola - se la nostra negligenzia non ci ritraie - salendo in sull'albore, sì come disse la dolce bocca della Verità: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me» (Jn 12,32). E veramente così è, che l'anima che ci è salita vede versare la bontà e potenza del Padre, per la quale potenza ha data virtù al sangue del Figlio di Dio di lavare le nostre iniquità. Ine vediamo l'obedienzia di Cristo crocifisso, che, per obedire, muore; e falla questaobbedienza con tanto desiderio che maggiore gli è la pena del desiderio che la pena del corpo. Vedesi la clemenza e l'abondanzia dello Spirito santo, cioè quello amore ineffabile che il tenne confitto in sul legno della santissima croce: ché né chiodi né fune l'arebe potuto tenere legato se il legame della carità non fusse.

Ben sarebe cuore di diamante che non disolvesse la sua durezza a tanto smisurato amore; e veramente lo cuore vulnerato di questa saetta si leva su con tutta sua forza, e non tanto è l'uomo in sé mondo, ma è monda l'anima, per la quale Dio ha fatto ogni cosa. E se mi diceste: «Io non posso salire, poiché esso è molto in alto», dicovi ch'egli ha fatto li scaloni nel corpo suo: levate l'affetto ai piedi del Figlio di Dio, e salite al cuore che è aperto e consumato per noi, e giognarete a la pace della bocca sua, e diventarete gustatore e mangiatore delle anime; e così sarete vero pastore che porrete la vita per le pecorelle vostre.

Fate che sempre abiate l'occhio sopra di loro, affinché il vizio sia stirpato e piantatavi la virtù.

E io vi mando due altre pecorelle: date a loro l'agio della cella e dello studio, poiché sonno due pecorelle le quali nutrerete senza fatica, e aretene grande alegrezza e consolazione. Altro non vi dico.

Confortatevi insieme legandovi col vincolo della carità, salendo in su quello albore santissimo dove si riposano i frutti delle virtù, maturi sopra il corpo del Figlio di Dio. Corrite con solecitudine. Gesù dolce, Gesù amore.







35. A frate Nicolò di Ghida e a frate Giuvanni Zerri e a frate Nicolò di Giacomo di Vannuccio di Monte Oliveto.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatori de l'umile e immacolato Agnello, lo quale ora c'è rapresentato da la santa Chiesa in tanta umilità e mansuetudine che ogni cuore di creatura ne doverebbe venire meno, e confondere e spegnare la superbia sua.

Questo Parvolo è venuto per insegnarci la via e la dottrina della vita, perché la via era tolta per lo peccato d'Adam, per modo che neuno poteva giognere al termine di vita eterna. E però Dio Padre, costretto del fuoco della sua carità, ci mandò lo Verbo de l'unico suo Figlio, lo quale venne come uno carro di fuoco (2R 2,11), manifestandoci lo fuoco dell'amore ineffabile e la misericordia del Padre eterno; insegnandoci la dottrina della verità e mostrandoci la via dell'amore, la quale noi doviamo tenere. E però disse egli: «Io sono via verità e vita (Jn 14,6): chi va per me, non va per le tenebre, ma giogne alla luce». E così è, poiché chi segue questa via in verità ne riceve vita di grazia, e va col lume della santissima fede, e con esso lume giogne a l'eterna visione di Dio.

Dove ce l'ha insegnata questa dottrina, questo dolce e amoroso Verbo? In su la catedra della santissima croce, e ine ci lavò la faccia dell'anima nostra col sangue suo. Dico che c'insegnò la via dell'amore e la dottrina de le virtù: egli ci mostrò in che modo noi doviamo amare, a volere avere la vita. Noi siamo tenuti e obligati di seguitarlo; e chi nol segue per la via delle virtù, essofatto lo perseguita col vizio. Unde molti sono che vogliono perseguitare, e non seguire; e vogliono andare inanzi a lui, ma non drieto a lui, facendo un'altra via di nuovo - cioè di volere servire a Dio e avere le virtù senza fatica -, ma ingannati sono, poiché egli è la via.

Questi cotali non son forti né perseveranti, anco vengono meno, e nel tempo della battaglia gittano a terra l'arme: cioè arme de l'umile e continua orazione con l'affocata carità, e il coltello della volontà con che si difende, lo quale ha due tagli, cioè odio del vizio e amore della virtù. E il piglia con la mano del libero arbitrio, e dàllo al nemico suo, sì che - trattosi l'arme che riparava ai colpi delle molte tentazioni, molestie dalla carne, e persecuzioni dagli uomini, e dato il coltello con che si difendeva -, rimane vénto e sconfitto.

Non gli segue gloria, anco vergogna e confusione; e tutto gli adiviene perché non seguitava la dottrina del Verbo, ma perseguitava, volendo andare per altra via che tenesse egli.

Perciò ci conviene tenere per lui, e amare coraggiosamente in verità, non per timore della pena che segue a colui che non ama; non per rispetto dell'utilità e diletto che trova l'anima nell'amore, ma solo perché lo sommo bene è degno d'essere amato da noi, e però lo doviamo amare se mai utilità non n'avessimo; che se danno non avessimo per non amare, noi doviamo pur amare. Così fece egli, poiché egli ci amò senza essere amato da noi, non per utilità che egli potesse ricevere, né per danno che ne potesse avere non amandoci, poiché egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi: unde lo nostro bene non gli è utile, e il nostro male non gli è danno.

Dunque, perché ci amò per sua bontà, così dunque noi doviamo amare per la bontà sua medesima; e quella utilità che noi non possiamo fare a lui, doviamo fare al prossimo nostro, e amarlo caritativamente; e non diminuire l'amore verso di lui per alcuna ingiuria che ci facesse, né per sua ingratitudine: ma doviamo essere constanti e perseveranti nella carità di Dio e del prossimo. Così fece questo dolce e amoroso Verbo, che non attendeva ad altro che a l'onore del Padre e alla salute nostra; e non allentò l'andare di corrire all'obrobiosa morte della croce per nostra ingratitudine - che ci vedeva spregiatori del sangue -, né per pena né per obrobii che si vedeva sostenere. Perché? perché lo suo fondamento era d'amare noi solo per onore del Padre e per salute nostra. Questa è la via che egli ci ha insegnata, dandoci dottrina d'umilità e d'obedienzia, pazienza, fortezza e di perseveranza, perché non lassò lo giogo dell’obbedienza che aveva ricevuto dal Padre, né la salute nostra, per alcuna pena; ma con tanta pazienza che non è udito lo grido suo per nessuna mormorazione: forte e perseverante infine all'ultimo che egli remisse la sposa de l'umana generazione nelle mani del Padre eterno.



Perciò vedete, figli miei, che egli v'ha mostrata la via e insegnata la dottrina. Dovetela dunque seguire virilmente e senza alcuno timore servile, ma con timore santo, con speranza e fede viva, poiché Dio non vi porrà maggiore peso che voi potiate portare. E con questa fede rispondere al demonio, quando vi mettesse timore nelle menti vostre dicendo: «Le battaglie e le fatiche dell'Ordine e il giogo dell’obbedienza tu non le potrai portare»; e dicendo: «Meglio t'è che tu ti parta, e stia nella carità comune.

O tu va' in una altra religione, che ti sia più agevole che questa: e potrai meglio salvare l'anima tua». Non è da credarli; ma col lume della fede perseverare nello stato vostro infine alla morte.

Già sete levati, carissimi figli, per la bontà di Dio da la puzza del secolo, e sete intrati nella navicella della santa religione a navigare in questo mare tempestoso sopra le braccia dell'Ordine, e non sopra le braccia vostre, col timone della santaobbedienza, e ritto l'arbolo de la santissima croce, e spiegatavi su la vela dell'ardentissima sua carità: con la quale vela giognarete a porto di salute, se voi vi soffiarete col vento del santissimo desiderio - con odio e pentimento di voi, con umile, obediente e continua orazione -, e con questo vento prospero si giogne, e con perseveranza, al porto di vita eterna. Ma guardate che il timone dell’obbedienza non v'esca delle mani, poiché subito sareste a pericolo di morte. Sono certa che se averete spogliato lo cuore del proprio amore sensitivo, e in verità vestiti di Cristo crocifisso - cioè d'amare lui coraggiosamente senza rispetto di pena o di diletto, come detto è -, voi lo farete stando nella navicella dell'Ordine, e abracciarete l'arbolo della santissima croce, seguitando le vestigie e la dottrina de l'umile e immacolato Agnello, annegando e uccidendo la propria vostra voluntà, conobbedienza pronta che mai non allenti per alcuna fatica, o perobbedienza incomportabile; ma sempre obedienti infine alla morte. O gloriosa virtù che porti con te l'umilità! Poiché tanto è umile quanto obediente, e tanto obediente quanto umile. Lo segno di questaobbedienza, che ella sia nel suddito, è la pazienza; con la quale pazienza non vorrà ricalcitrare alla volontà di Dio né a quella del prelato suo (guarda già che non gli fusse comandato cosa che fusse offesa di Dio: a questa non debba obedire, ma a ogni altra cosa sì). Questa virtù non è sola, quando ella è perfetta nell'anima; anco, è acompagnata col lume della fede fondata ne l'umilità, poiché altrimenti non sarebbe obediente con la fortezza e con la longa perseveranza, e con la gemma preziosa della pazienza. A questo modo correte per la via dell'amore in verità, tenendo per la via del Verbo unigenito Figlio di Dio; e seguitarete la dottrina sua d'essere obedienti, correndo per onore di Dio e per salute vostra e del prossimo all'obrobiosa morte della croce, cioè con ansietato desiderio di volere sostenere pene in qualunque modo Dio ve le concede, o per tentazioni dal demonio, o per molestie nel corpo vostro, o per mormorazioni o ingiurie che vi facessero le creature; e ogni cosa portarete per Cristo Crocifisso infine alla morte.

E non venite a tedio per alcuna battaglia che vi venisse, ma ditelo al prelato vostro; e portate virilmente, e conservate la volontà che non consenta. A questo modo non offendarete, ma ricevarete lo frutto de le vostre fatiche; e per questo modo seguitarete la dottrina de l'umile e immacolato Agnello. In altro modo verreste meno, e non perseverareste nel vostro andare, ma ogni movimento vi darebbe a terra. E però vi dissi che io desideravo di vedervi seguitatori de l'umile e immacolato Agnello, perché altra via non ci sapevo vedere; e così è la verità, e chi altra via cerca rimane ingannato. Perciò virilmente, carissimi figli, adempite la volontà di Dio in voi, e la promessa che faceste quando vi partiste da le tenebre del mondo ed entraste alla luce della santa religione. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Siavi raccomandato frate Giovanni, che preghiate Dio per lui ch'egli torni al suo ovile. E pigliate essemplo da lui d'umiliarvi, e non tenere la infirmità del cuore. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 14:13

36. A certi novizii dell'ordine di Santa Maria di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figli obbedienti fino alla morte, imparando dall'Agnello immacolato che fu obbediente al Padre fino all'obrobriosa morte della croce.

Pensate che egli è via (Jn 14,6) e regola, la quale voi e ogni creatura dovete osservare: voglio che vel poniate per obiettivo dinanzi agli occhi della mente vostra. Raguardate quanto egli è obbediente, questo Verbo: egli non schifa la fatica che egli sostiene per lo gran peso che gli è posto dal Padre, anco corre con grandissimo desiderio. Questo manifestòe nella cena del giovedì santo, quando disse: «Con desiderio io ho desiderato di fare Pasqua con voi prima ch'io muoia» (Lc 22,15).

Ciò intendeva di fare: la pasqua d'adempiere la volontà del Padre e l'obbedienzia sua; e però, vedendosi quasi consumato lo tempo - vedevasi nell'ultimo che egli dovea fare sacrifizio del corpo suo al Padre per noi -, gode ed essulta, e con letizia dice: «Con desiderio io ho desiderato» (Lc 22,15). Questa era la pasqua che egli diceva, cioè di dare sé medesimo in cibo, e per obbedienzia del Padre fare sacrifizio del corpo suo, ché, de l'altre pasque del mangiare coi discepoli suoi, spesse volte l'avea fatta, ma non mai questa. Oh inestimabile dolcissima e ardentissima carità, tu non pensi delle tue pene, né dell'obrobriosa morte tua: ché se tu vi pensassi non andaresti con tanta letizia, e non la chiamaresti Pasqua. Pensate, figli miei, che questo dolce Agnello egli è una aquila vera, che non raguarda la terra della sua umanità ma ferma l'occhio solo nella rota del sole, nel Padre eterno; ché i in sé medesimo vede che la volontà sua è questa: che noi siamo santificati in lui. Questa santificazione non si può avere, per lo peccato del nostro primo padre Adam; conviensi dunque che ci sia un mezzo, e pongaci cosa che questa volontà di Dio si possa adempiere: vede lo Verbo che egli ha posto lui, e àlli data per isposa l'umana generazione; comandato gli ha per obbedienzia che egli ci ponga in mezzo lo sangue suo, affinché la sua volontà s'adempia in noi, sì che nel sangue siamo santificati. Or questa è la dolce Pasqua che questo Agnello immacolato piglia; e con grandissimo affetto e desiderio insiememente adempie la volontà del Padre in noi, e osserva e compie la sua obbedienzia.

Oh dolce amore inestimabile, tu hai unita e conformata la creatura col Creatore: hai fatto come si fa della pietra che si conforma colla pietra, affinché, venendo lo vento (Mt 7,25) non vuole che sia impedita: mettevi la calcina viva intrisa coll'acqua. Tu, Verbo incarnato, hai fondata questa pietra della creatura; àila innestata nel suo Creatore; àici messo in mezzo lo sangue intriso nella calcina viva della divina essenzia, per l'unione che hai fatta nella natura umana; hai proveduto a molti venti contrarii di forte battaglie e tentazioni, a molte pene e tormenti che ci sono dati dal demonio, dalla creatura, e dalla carne propria, che tutti ci sono contrarii e percuotono l'anima nostra. Vedo te, dolce prima Verità, che, per lo sangue che ci hai posto in mezzo, questo muro è di tanta fortezza, che veruno vento contrario lo può dare a terra.

Perciò bene ha materia, dolcissimo amore, d'amare la creatura solo te, e di non temere per veruna illusione che venisse.

Così vi prego, figli miei dolci in Cristo dolce Gesù, che non temiate mai, confidandovi nel sangue di Cristo crocifisso. Né per movimenti e illusioni dissolute, né per timore che venisse di non poter perseverare, né per paura della pena che vi paresse in sostenere l'obbedienzia e l'Ordine vostro, né per veruna cosa che potesse adivenire non temete mai: conservate pure in voi la buona e santa volontà, quella che è signore di questo muro, che col piccone del libero arbitrio lo può disfare e conservare, secondo che piace al Signore della buona volontà. Dunque non voglio che già mai temiate: ogni timore servile sia tolto da voi. Direte col dolce inamorato di Pavolo, rispondendo alla tiepidezza del cuore, e alle illusioni deli demoni: «Porta oggi, anima mia: per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, poiché per desiderio e amore è in me che mi conforta». Amate, amate, amate; inebriatevi del sangue di questo dolce Agnello, che fatta v'ha forte la rocca dell'anima vostra, àlla tratta dalla servitudine del tiranno perverso demonio, àvela data libera e donna - ché veruno è che le possa tòllare la signoria, se ella non vuole -: e questo ha dato ad ogni creatura.



Ma io m'aveggo che la divina providenzia v'ha posti in una navicella - affinché non veniate meno nel mare tempestoso di questa tenebrosa vita -: cioè la santa e vera religione, la quale navicella è menata col giogo della santa e vera obbedienzia. Pensate quanta è la grazia che Dio v'ha fatta, conoscendo la debolezza delle braccia vostre, ché chi è nel secolo naviga in questo mare sopra le braccia sue; ma colui che è nella santa religione naviga sopra le braccia altrui: se egli è vero obbediente, egli non ha a rendere ragione di sé medesimo; ma àlla a rendere l'Ordine, ché egli ha osservato l'obbedienzia del prelato suo. A questo m'avedrò che voi seguitarete l'Agnello dissanguato: se sarete obbedienti - già v'ho detto ch'io voglio che impariate dal dolce e buono Gesù, che fu obbediente fino alla morte (Ph 2,8), adempì la volontà del Padre e l'obbedienzia sua -; così vuole Dio che facciate voi, che voi adimpiate la volontà sua osservando l'Ordine vostro, ponendovela per specchio: inanzi scegliere la morte che trapassare mai l'obbedienzia del prelato. Guardate già che se mai veruno caso venisse - e Dio, per la sua pietà, lo levi - che il prelato comandasse cose che fussero fuor di Dio, a questo non dovete, né voglio anco io che obbediate mai, poiché non si debba obbedire la creatura fuore del Creatore; ma in ogni altra cosa vogliate sempre obbedire.

Non mirate a vostra consolazione, né spirituale né temporale. Questo vi dico perché alcune volte lo demonio ci fa vedere sotto colore di virtù e di più divozione: vorremo i luoghi e tempi a nostro modo, dicendo: «Nel cotal tempo e luogo io ho più consolazione e pace dell'anima mia»; l'obbedienzia alcune volte non vorrà. Dico ch'io voglio e dovete seguire più tosto l'obbedienzia che le vostre consolazione.

Pensate che questo è uno inganno occulto che tocca a tutti i servi di Dio, che sotto spezie di più servire a Dio egli diservono Dio. Sapete che sola la volontà è quella che diserve e serve: se tu, religioso, hai volontà, lo demonio non te la mostra colle cose grosse di fuore - ché già le hai abbandonate, avendo lassato lo secolo -, ma egli te la pone dentro con le spirituale, dicendo: «Egli mi par avere più pace e più stare in amore di Dio starmi nel tal luogo, e non nell'altro». E per avere questo egli resiste a l'obbedienzia; e se pur gliel convien fare, lo fa con pena, sì che, volendo la pace, egli si priva della pace.

Meglio è Perciò a tòllare la propria volontà, e non pensare di sé nulla; solo di vedere in sé compire la volontà di Dio e dell'Ordine santo, e compire l'obbedienzia del suo prelato. Sono certa che sarete aquilini che impararete dall'aquila vera. Così fanno li uomini del mondo che si partono dalla volontà del lor Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazione e persecuzione, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che sieno cagione di partirmi da Dio». Ma i sono ingannati, ché quella è falsa passione sensitiva; ché colla illusione del demonio schifano la pena, e più temano la pena che l'offesa: sì che con ogni generazione usa questo inganno. Convienci dunque annegare questa nostra volontà: i secolari obbedienti osservare i comandamenti di Dio; i religiosi osservare i comandamenti e consigli, come hanno promesso alla santa religione.

Orsù, figli miei, obbedienti fino alla morte colle vere e reali virtù! Pensate che tanto quanto sarete umili, tanto sarete obbedienti, ché dell'obbedienzia nasce la vena dell'umilità, e dell'umilità l'obbedienzia; le quali escono del condotto dell'ardentissima carità. Questo condotto della carità trarrete del costato di Cristo crocifisso: ine voglio che la procacciate; questo vi do per luogo e abitazione. Sapete che il religioso che è fuore della cella è morto, come il pesce che è fuore de l'acqua; e però vi do la cella del costato di Cristo, dove trovarete lo cognoscimento di voi e della sua bontà. Or vi levate con grandissimo e acceso desiderio; andate, entrate e state in questa dolce abitazione, e non sarà demonio né creatura che vi possa tòllare la grazia, né impedire che voi non giogniate al termine vostro a vedere e gustare Dio. Altro non dico. Obbedienti fino alla morte, seguitando l'Agnello che v'è via e regola! Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

Rimanete etc. Amatevi, amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



37. A frate Nicolò di Ghida dell'ordine di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e de la bontà di Dio in voi; la quale cella è una abitazione che l'uomo porta con con sè dovunque va.

In questa cella s'acquistano le vere e reali virtù, e singolarmente la virtù de l'umilità e dell'ardentissima carità, poiché nel cognoscimento di noi l'anima s'umilia, conoscendo la sua imperfezione e sé non essere; ma l'essere suo lo vede avere avuto da Dio. Poi, dunque, che conosce la bontà del suo Creatore in sé, retribuisce a lui l'essere, e ogni grazia che è posta sopra l'essere: e così acquista vera e perfetta carità, amando Dio con tutto lo cuore e con tutto l'affetto, e con tutta l'anima sua (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27).

E come egli ama, così concepe uno odio verso la propria sensualità, in tanto che per odio di sé è contento che Dio voglia e sappi punirlo - per qualunque modo si vuole - delle sue iniquità.

Questi è fatto subito paziente in ogni tribulazione, o dentro o di fuore che l'abbi: se egli l'ha dentro per diverse cogitazioni, egli le porta voluntariamente, reputandosi indegno della pace e quiete della mente la quale hanno gli altri servi di Dio; e reputasi degno della pena e indegno del frutto che segue doppo la pena. Questo dunde gli procede? dal cognoscimento santo di sé: colui che conosce sé, conosce Dio e la bontà sua in sé; e però l'ama.

Di che si diletta allora quella anima? dilettasi di portare senza colpa per Cristo Crocifisso; e non cura le persecuzioni del mondo né le detrazioni delli uomini - ma il suo diletto è di portare i difetti del suo prossimo -; e cerca di portare in verità le fatiche dell'ordine, e inanzi morire che trapassare lo giogo dell’obbedienza, ma sempre è suddito e non tanto che al prelato, ma al più minimo che v'è, poiché non presumme di sé medesimo, reputandosi alcuna cosa; e però si fa veramente suddito a ogni persona per Cristo Crocifisso, non in subiezione di piacere né di colpa di peccato, ma con umilità e per amore della virtù.

Egli fugge la conversazione del secolo e dei secolari e fugge lo ricordo dei parenti - non tanto che d'avere loro conversazione - sì come serpenti velenosi. Egli è fatto amatore della cella, e dilettasi del psalmeggiare con umile e continua orazione e àssi fatto de la cella uno cielo; e più tosto vorrà stare in cella con pene e con molte battaglie del demonio, che fuore della cella in pace e in quiete. Unde ha questo cognoscimento e desiderio? àllo avuto e acquistato nella cella del cognoscimento di sé: poiché, se prima non avesse avuta questa abitazione della cella mentale, non avrebbe avuto desiderio, né amarebbe la cella attuale. Ma perché vidde e cognobbe in sé quanto era pericoloso lo discorrire e stare fuore di cella, però l'ama; e veramente lo monaco fuore della cella muore, sì come lo pesce fuore dell'acqua.

Oh quanto è pericolosa cosa al monaco l'andare a torno! quante colonne abiamo vedute essere date a terra, per lo discorrire e stare fuore della cella sua, di fuore dal tempo debito ed ordinato! E quando lo mandasse l'obbedienzia o una stretta ed espressa carità, per questo l'anima danno non ricevarebbe, ma per leggerezza di cuore e per la semplice carità: la quale alcune volte lo ignorante - per illusione del demonio per farlo stare fuore della cella - egli aduopera nel prossimo suo. Ma egli non vede che la carità si debba prima muovere da sé; cioè che a sé non debba fare male di colpa né cosa che gli abbi a impedire la sua perfezione, per nessuna utilità che potesse fare al prossimo suo.

Perché gli adiviene che lo stare fuore della cella attuale gli è tanto nocivo? perché prima che egli esca de la cella attuale, è uscito de la cella mentale del cognoscimento di sé: perché se non ne fusse escito avrebbe cognosciuta la sua fragilità, per la quale fragilità non faceva per lui d'andare fuore, ma di stare dentro.

Sapete che frutto n'esce per l'andare fuore? frutto di morte, poiché la mente se ne svagola, pigliando la conversazione delli uomini e abandonando quella delli angeli. Votiasi la mente dei santi pensieri di Dio, ed empiesi del piacimento delle creature; con molte varie e malvage cogitazioni diminuisce la sollicitudine e la devozione dell'officio e raffredda lo desiderio nell'anima: unde apre le porte dei sentimenti suoi, cioè l'occhio a vedere quello che non debba, e l'orecchie a udire quello che è fuore della voluntà di Dio e salute del prossimo, la lingua a parlare parole oziose, e scordasi dal parlare di Dio. Unde fa danno a sé e al prossimo suo, tollendoli l'orazione, poiché nel tempo che deve orare per lui, ed egli va discorrendo; e tollegli anco la edificazione, unde la lingua non sarebbe sufficiente a narrare quanti mali n'escono. E non se n'avederà se non s'ha cura: ché a poco a poco sdrusciolarebbe tanto, che si partirebbe da l'ovile della santa religione.

E però colui che conosce sé vede questo pericolo, e però fugge in cella, e ine empie la mente sua, abracciandosi con la croce, con la compagnia dei santi dottori, i quali col lume sopra naturale, come ebbri, parlavano de la larghezza della bontà di Dio, e de la viltà loro; e inamoravansi de le virtù, prendendo lo cibo de l'onore di Dio e della salute delle anime in su la mensa della santissima croce, sostenendo pena con vera perseveranza infine alla morte. Or di questa compagnia si diletta; e quando l'obedienzia lo mandasse fuore, duro gli pare, ma stando di fuore, sta dentro per santo e vero desiderio e in cella si notrica di sangue.

Egli s'unisce col sommo ed eterno bene per affetto d'amore; egli non fugge né refiuta labore, ma come vero cavaliere sta in cella in sul campo della battaglia, difendendosi da' nemici col coltello de l'odio e dell'amore, e con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16). Mai non volta lo capo indietro, ma con speranza e col lume della fede persevera, infine che con la perseveranza riceve la corona della gloria. Costui acquista la ricchezza delle virtù, ma non l'acquista né compra questa mercanzia in altra bottega che nel cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, per mezzo del quale cognoscimento è fatto abitatore de la cella mentale e attuale; poiché in altro modo mai non l'avrebbe acquistate.

Unde considerando me che altro modo non ci ha, dissi che io desideravo di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi. Ma pensate che fuore della cella non l'acquistareste voi mai. E però voglio che voi strettamente torniate a voi medesimo, stando in cella; e lo stare fuore della cella vi venga a tedio, di fuore da quello che vi pone l'obedienzia e la estrema necessità. E l'andare alla terra vi paia andare a uno fuoco, e la conversazione dei secolari vi paia veleno; ma fuggite a voi medesimo e non vogliate essere fatto crudele all'anima vostra. Figlio carissimo, io non voglio che dormiamo più, ma destianci nel cognoscimento di noi, dove trovaremo lo sangue de l'umile e immacolato Agnello. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Strettamente ci racomandate al priore e a tutti gli altri.

Gesù dolce, Gesù amore.





38. A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera pazienza, considerando me che senza la pazienza non possiamo piacere a Dio.

Poiché sì come lo impaziente piace molto al demonio e a la propria sensualità - e non si diletta altro che d'ira quando gli manca quello che la sua sensualità vuole -, così per contrario dispiace molto a Dio, e perché l'ira e la impazienzia è lo midollo de la superbia, però piace molto al demonio. La impazienzia perde lo frutto della sua fatica, priva l'anima di Dio - e comincia a gustare la caparra dell’inferno -, e dàlle poi l'eterna dannazione, poiché nell’inferno arde la mala e perversa volontà con ira, odio e impazienzia. Arde e non si consuma, ma sempre rinfresca; cioè che non viene meno in loro, e però dico: non consuma. HA bene consumata e diseccata la grazia nell'anime loro, ma non è consumato l'essere, come detto è, e però dura la pena loro etternalmente. Questo dicono i santi, che i dannati dimandano la morte e non la possono avere, perché l'anima non muore mai; muore bene a grazia per lo peccato mortale, ma non muore a essere.



Non è alcuno vizio né peccato che in questa vita faccia gustare la caparra dell’inferno, quanto l'ira e la impazienzia: egli sta in odio con Dio, egli ha a dispiacere lo prossimo suo, e non vuole né sa portare né soportare i difetti del suo prossimo (e ciò che gli è detto o fatto, subito va a vela; e muovesi lo sentimento all'ira e a la impazienzia, come la foglia al vento). Egli diventa incomportabile a sé medesimo, perché la perversa volontà sempre lo rode; e appetisce quello che non può avere; scordasi da la volontà di Dio e da la ragione dell'anima sua. E tutto questo procede da l'arbolo della superbia, lo quale ha tratto fuore lo midollo dell'ira e de la impazienzia. E diventa l'uomo uno demonio incarnato; e molto fa peggio a combattere con questi dimoni visibili, che con gl'invisibili. Bene la debba dunque fuggire ogni creatura che ha in sé ragione.

Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia. Questa è una impazienzia comune, dei comuni uomini del mondo, che l'adiviene per lo disordenato amore che hanno a loro medesimi e a le cose temporali, le quali amano fuore di Dio: che per averle non si curano di perdere l'anima loro, e di metterla nelle mani deli demoni. Questo è senza remedio se egli non conosce sé che ha offeso Dio, tagliando questo arbolo col coltello della vera umilità; la quale umilità notrica la carità nell'anima, che è uno arbolo d'amore, che lo midollo suo è la pazienza e benevolenza del prossimo. Poiché, come la impazienzia dimostra più che l'anima sia privata di Dio, che neuno altro vizio (perché si giudica subito: perché c'è lo midollo, egli c'è l'arbolo della superbia), così la pazienza dimostra meglio e più perfettamente, che Dio sia per grazia nell'anima, che veruna altra virtù. Pazienza, dico, fondata nell'arbolo dell'amore: che per amore del suo Creatore dispregi lo mondo, e ami la ingiuria, da qualunque lato ella viene.

Dicevo che l'ira e la impazienzia era in due modi, cioè in comune e in particulare. Aviamo detto dei comuni; ora la dico in particulare, cioè di coloro che già hanno spregiato lo mondo, e vogliono essere servi di Cristo crocifisso a loro modo, in quanto trovano diletto in lui e consolazione. Questo è perché la propria volontà spirituale non è morta in loro, e però dimandano e chiegono a Dio che doni la consolazione e tribulazione a loro modo, e non a modo di Dio; e così diventano impazienti quando essi hanno lo contrario di quello che vuole la propria volontà spirituale. E questo è uno ramoscello di superbia che esce della vera superbia: sì come l'arbolo che mette lo ramoscello da lato, che pare separato da lui, e non di meno la sustanzia de la quale egli vive la traie pur dal medesimo arbolo. Così la volontà propria dell'anima che sceglie di servire a Dio a suo modo; e mancandoli quello modo, sostiene pena, e da la pena viene alla impazienzia, ed è incomportabile a sé medesimo, e non gli diletta di servire né a Dio né al prossimo. Anco - chi venisse a lui per consiglio o aiuto - non gli darebbe altro che rimproverio, e non saprebbe comportare lo bisogno suo.

Tutto questo procede da la propria volontà sensitiva spirituale che esce de l'arbolo della superbia, lo quale è tagliato ma non dibarbicato. Tagliato è quando già s'è levato lo desiderio suo dal mondo e postolo in Dio, ma àvelo posto imperfettamente: èvi rimasa la radice, e però ha messo lo figlio da lato, e così si manifesta nelle cose spirituali. Se gli manca la consolazione di Dio, e rimanga la mente sterile e asciutta, subito si conturba e contrista in sé medesimo; e sotto colore di virtù, perché gli pare essere privato di Dio, diventa mormoratore e ponitore di legge a Dio. Ma se egli fusse veramente umile, con vero odio e cognoscimento di sé, si reputarebbe indegno della visitazione che Dio fa nell'anima, e reputarebbesi degno della pena che sostiene quando si vede essere privato per consolazione, e non per grazia, la mente di Dio.

Pena sostiene allora perché gli conviene lavorare coi ferri suoi, sì che la volontà spirituale ne sente pena sotto colore di timore di non offendere Dio, ma ella è la propria sensualità.

E però l'anima umile che liberamente ha tratto la barba della superbia con affettuoso amore, e ha annegata la volontà, cercando sempre l'onore di Dio e la salute delle anime, non si cura di pene, ma con reverenzia porta più la mente inquieta che quieta: avendo rispetto santo, che Dio le il dà e concede per suo bene, a ciò che ella si levi da la imperfezione e venga alla perfezione. Quella è la via da farvela venire, poiché per quello conosce meglio lo difetto suo e la grazia di Dio, la quale trova in sé per buona volontà che Dio l'ha data, dispiacendole lo peccato mortale. E anco, per considerazione che ella ha dei difetti e delle colpe sue antiche e presenti, ha conceputo odio verso sé medesima, e amore alla somma eterna volontà di Dio, e però le porta con reverenzia; ed è contenta di sostenere dentro e di fuore, in qualunque modo Dio le il concede.

Purché possa adempire in sé e vestirsi della dolcezza della volontà di Dio, d'ogni cosa gode tanto quanto più si vede privare di quella cosa che ama, o consolazioni da Dio, come detto è, o da le creature.

Che spesse volte adiviene che l'anima ama spiritualmente: e se non trova quella consolazione e satisfazione da quelle creature come vorrebbe - o che le paia che ami o satisfaccia più altri che liei -, ne viene in pena, in tedio di mente, in mormorazione del prossimo e in falso giudicio, giudicando la mente e la intenzione dei servi di Dio; e spezialmente quella di coloro di cui ha pena. Unde diventa impaziente, e pensa quello che non die pensare, e con la lingua dice quello che non die dire. E vuole allora usare, per queste cotali pene, una stolta umilità, che ha colore d'umilità (ma egli è lo figlio della superbia che esce da lato), dicendo in se medesima: «Io non lo' voglio fare motto, né impacciarmi più con loro; starommi pianamente, e non voglio dare pena né a loro né a me». E sta in terra con uno perverso sdegno; e a questo se ne die avedere, che egli è sdegno: nel giudicare che sente nel cuore, e nella mormorazione de la lingua.

Non die fare così, poiché, per questo modo, non levarebbe però via la barba, né mozzarebbe lo figlio da lato, che impedisce che l'anima non giogne a la sua perfezione la quale ha cominciata. Ma debba con libero cuore e con odio santo di sé, e con spasimato desiderio de l'onore di Dio e salute delle anime, e affetto di virtù nell'anima sua, ponarsi in su la mensa della santissima croce a mangiare questo cibo; cercando con pena e con sudori d'acquistare le virtù, e non con proprie consolazioni né da Dio né da le creature; seguitando le vestigie e la dottrina di Cristo crocifisso; dicendo a sé medesima con grande rimproverio: «Tu non debbi, anima mia, tu che sei membro, passare per altra via che lo capo tuo: sconvenevole cosa è che sotto lo capo spinato stieno i membri dilicati». Che se per propria fragilità e inganno di demonio i venti dei molti movimenti del cuore, nel modo detto di sopra o per altra via, venissero, debba allora salire l'anima sopra la coscienza sua, e tenersi ragione, e non lassarlo passare che non sia punito e gastigato, con odio e pentimento di sé medesimo. E così divellerà la radice, e col pentimento di sé cacciarà lo pentimento del prossimo suo, cioè dolendosi più del disordenato sentimento del cuore e cogitazioni che della pena che ricevesse da le creature, o per altra ingiuria o dispiacere che per loro le fusse fatto.

Questo è quello dolce e santo modo che tengono coloro che sono tutti affocati in Cristo, poiché con esso modo hanno divelta la radice de la perversa superbia e il midollo della impazienzia, lo quale di sopra dicemmo che piaceva molto al demonio, perché è principio e cagione d'ogni peccato; così per lo contrario, che come ella piace molto al demonio, così dispiace molto a Dio. Dispiaceli la superbia, e piaceli l'umilità, e in tanto gli piacque la virtù de l'umilità di Maria che fu costretto per la bontà sua di donare a lei lo Verbo dell'unigenito suo Figlio; ed ella fu quella dolce madre che lo donò a noi. Sapete bene che infine che Maria non mostrò col suono della parola l'umilità e volontà sua, dicendo: «"Ecce ancilla Domini"; sia fatto a me secondo la parola tua» (Lc 1,38), lo Figlio di Dio non incarnò in lei; ma, detta che ella l'ebbe, concepé in sé quello dolce immacolato Agnello; mostrando a noi la prima dolce Verità quanto è eccellente questa virtù piccola, e quanto riceve l'anima che con umilità offera e dona la volontà sua al suo Creatore. Sì che nel tempo de le fatiche e persecuzioni, ingiurie e strazii e villania - ricevendole dal prossimo suo -, e battaglie di mente, e privazione di consolazione spirituale e temporale, dal Creatore e da la creatura (dal Creatore per dolcezza, quando ritrae a sé lo sentimento della mente, che non pare che allora Dio sia nell'anima, tante sono le battaglie e le pene che ha; e da le creature per conversazione e recreazione, parendole più amare che ella non è amata), in tutte queste cose l'anima perfetta con umilità dice: «Signore mio, ecco l'ancilla tua. Sia fatto in me secondo la tua volontà, e non secondo quello che voglio io sensitivamente». E così gitta l'odore della pazienza verso del Creatore e de la creatura e di sé medesima, e gusta la pace e la quiete de la mente; e nella guerra ha trovata la pace, perché ha tolto da sé la propria volontà fondata ne la superbia; ed ha conceputo nell'anima sua la divina grazia. E porta nel petto della mente sua Cristo crocifisso, e dilettasi ne le piaghe di Cristo crocifisso, e non cerca di sapere altro che Cristo crocifisso (1Co 2,2), ed lo suo letto è la croce di Cristo crocifisso. Ine anniega la sua volontà e diventa umile e obediente, perché non èobbedienza senza umilità, e non è umilità senza carità.

E questo trova nel Verbo, che con l'obedienzia del Padre e con l'umilità corre all'obrobiosa morte della croce, conficcandosi e legandosi col chiovo e legame della carità; sostenendo con tanta pazienza che non è udito lo grido suo per mormorazione. Non erano sufficienti i chiodi a tenere Dio e Uomo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto. Questo gusta l'anima, e però non si vuole dilettare altro che con Cristo crocifisso. Che se i fusse possibile acquistare le virtù, fuggire l’inferno e avere vita eterna senza pena, e avere le consolazioni del mondo spirituali e temporali, non le vorrebbe; ma più tosto vuole con pena, sostenendo infine a la morte, che per altro affetto avere vita eterna, purché si possa conformare con Cristo crocifisso e vestirsi degli obrobii e de le pene sue. Ella ha trovata la mensa dello immacolato Agnello. Oh gloriosa virtù! chi non volesse darsi mille volte alla morte, e sostenere ogni pena per volerla acquistare? Tu sei regina che possedi tutto quanto lo mondo; tu abiti nella vita durabile, ché, essendo ancora l'anima, che di te è vestita, mortale, tu la fai abitare per affetto d'amore con quelli che sono immortali.

Poi che tanto è eccellente e piacevole a Dio, e utile a noi e salute del prossimo, questa virtù, levatevi, carissima figlia, dal sonno de la negligenzia e ignoranza, gittando a terra la debolezza e fragilità del cuore, a ciò che non senta pena né impazienzia di nessuna cosa che Dio permetta a noi, sì che noi non cadiamo nella impazienzia comune, né ne la particulare, sì come è detto di sopra; ma virilmente con libertà di cuore e con perfetta e vera pazienza servire lo nostro dolce salvatore. Facendo altrimenti, nella prima impazienzia perdaremmo la grazia, e nella seconda impediremmo lo stato perfetto; e non giognareste a quello che Dio v'ha chiamata.

Dio pare che vi chiami alla grande perfezione, e a questo me n'aveggo, che egli vi tolle ogni legame lo quale ve la potesse impedire, poiché, secondo che io intendo, pare che s'abbi chiamata a sé la vostra figlia, che era l'ultimo legame di fuore. De la quale cosa sono molto contenta, con una santa compassione, che Dio abbi sciolta voi, e tratta liei di fatica. Ora voglio che al tutto voi tagliate la propria volontà, a ciò che ella non stia attaccata altro che a Cristo crocifisso: per questo modo adempirete la volontà sua e il desiderio mio. E però vi dissi, non conoscendo io altra via perché voi l'adempiste, che io desideravo di vedervi fondata in vera e santa pazienza, perché senza essa non potremmo tornare al nostro dolce fine. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 14:17

39. A don Giacomo monaco di Certosa nel monasterio di Pontignano presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, la quale pazienza dimostra se le virtù sono vive nell'anima o no.

La pazienza non si pruova se no nel tempo della fatica, poiché senza la tribulazione non si pruova questa virtù, ché chi non è tribulato non gli bisogna pazienza, perché non ha chi gli faccia ingiuria. Dico che la pazienza dimostra se le virtù sono nell'anima: con che cel dimostra se esse non vi sono? con la impazienzia. Vuoli tu vedere se le virtù sono anco imperfette, e se la radice dell'amore proprio vive ancora nell'anima? Miralo al tempo delle fatiche, che frutto gli nasce. Poiché se gli nasce frutto di pazienza, la radice della propria volontà è segno che è morta, e le virtù sono vive; e se nasce frutto di impazienzia, mostra chiarissimamente che la radice della propria volontà è anco viva in lui (e però si sente: poiché colui che è vivo si sente, ma la cosa morta no); e le virtù mostrano alienate in quella anima.



Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia: l'una dà morte, perché esce della morte, e l'altra impedisce la perfezione, perché esce de la imperfezione, sì come sono due stati principali: che nell'uno sta la vita e nell'altro la morte, cioè in coloro che stanno nella morte del peccato mortale. Costoro parturiscono, ricevendo tribulazione e persecuzione dal mondo - perché questa vita non passa senza fatica, in qualunque stato si sia -, una impazienzia con odio e pentimento del prossimo suo, con una mormorazione verso di Dio, giudicando in suo male quello che Dio gli ha fatto per bene, e per reducerlo allo stato della grazia, e per tollergli la morte del peccato mortale. Ma egli, come ignorante e miserabile, perché la radice sua è morta a grazia, però produsse lo frutto morto della impazienzia; e con questo segno della impazienzia dimostra la morte che è dentro nell'anima.

Un'altra impazienzia è, la quale dico che impedisce la perfezione - e così è la verità -, e dimostra la imperfezione, e, se esso non se ne corregge, potrà venire a tanto che perdarà lo frutto della sua fatica, e starà in continua pena. Questi sono coloro che sono levati da le tenebre del peccato mortale, e vivono in grazia; ma che è? è che la radice dell'amore proprio non è anco morta in loro: sono ancora imperfetti, con una tenerezza di loro medesimi, con la quale tenerezza s'hanno compassione. Poiché, perché anco s'ama, si duole; e quello che egli ha in sé - d'aversi compassione - vorrebbe che ognuno gli l'avesse, e non trovando che gli sia avuta compassione, ha pena. E così l'una pena con l'altra, cioè la pena della tribulazione - o di infermità o di molestia mentale, o per persecuzione dagli uomini, o da qualunque lato ella viene -, acordata questa pena con quella che egli porta - cioè di volere che altri gli abbi compassione -, viene a impazienzia, e spesse volte a mormorazione contro lo prossimo suo, e a giudicio, giudicando la volontà altrui, poiché spesse volte potrà averli compassione, e non gli il dimostrarà. E tutto questo gli adiviene, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui.Chi ce la mostra? la impazienzia, come detto è. Perocché ella ha partorito frutto imperfetto: non però di morte, perocché egli è levato dalla colpa mortale, ma uno pentimento e una pena che egli riceve delle fatiche sue proprie, e verso del prossimo suo, non parendogli ch'egli gli abbia compassione come egli vorrebbe.

Questa è una imperfezione la quale impedisce la grande perfezione del monaco o d'altri religiosi, li quali hanno lassato lo stato imperfetto della carità comune - dove stanno i secolari -, volendo vivere in grazia, e iti alla grande perfezione dove essi debbono essere specchio d'obedienzia e di pazienza, con volontà morta e non viva. Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare quanti inconvenienti ne vengono? non credo che ne fusse nessuna. Ma tre principali n'escono di colui che non ha morta la sua voluntà: l'uno è che egli è infedele, e non fedele col lume della fede viva; anco ha posta la nebula sopra l'occhio dell'intelletto, dove sta la pupilla del lume de la fede. Unde, subito che egli ha questo principale - cioè d'avere posta una nebbia d'amore proprio sopra l'occhio suo, e offuscato lo lume della fede - cade subito nel secondo e nel terzo, cioè ne la disobbedienza - dunde verrà la impazienzia -, e nel giudicio - dunde verrà nella mormorazione -; e se voi raguardate bene, di questi tre l'uno non è senza l'altro.

Non è dunque da dubbitare che, essofatto che la radice dell'amore proprio non è morta in noi, l'occhio è tenebroso, e tutti i frutti delle virtù sono imperfetti, poiché ogni perfezione procede da uccidere la volontà sensitiva e dare vita a la ragione nella dolce volontà di Dio. Sì che, essendo viva e imperfetta, subito è disobbediente contro Dio e contro lo prelato suo, poiché, se egli fusse obediente, portarebbe la disciplina di Dio e quella del prelato con debita reverenzia; ma perché egli non è obediente - ma è disobbediente con volontà viva - però viene a impazienzia verso di Dio e a disobbedienza. Poiché volontà di Dio è che noi portiamo con pazienza ogni disciplina, da qualunque lato egli ce la concede; e con vera pazienza ricevarle da lui e con quello amore che egli ce le dà, poiché ciò che egli dà e permette a noi è per nostra santificazione, e però con amore le doviamo ricevere. Unde, non facendo così, siamo disobedienti a lui, e cadiamo nella mormorazione e in uno giudicio, con una tenerezza di noi medesimi, con una superbia e infedelità di volere scegliere di servire a Dio a nostro modo. Poiché, se in verità credessimo che ogni cosa che è procede da Dio, eccetto lo peccato, e che egli non può volere altro che lo nostro bene, lo quale vediamo e gustiamo nel sangue di Cristo Crocifisso - poiché se egli avesse voluto altro che la nostra santificazione, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore -, dico che se questo credessimo in verità, che lo lume della fede non fusse offuscato con l'amore proprio di noi, saremmo obedienti e ricevaremmo con reverenzia quello che egli ci dà, e giudicaremmolo in nostro bene, dato a noi per amore e non per odio, come egli è. Ma perché c'è la infedelità, però riceviamo pena e siamo impazienti delle pene che noi sosteniamo e disobedienti verso lo prelato, giudicando la volontà del prelato e non la volontà di Dio in lui.

Poiché spesse volte lo prelato farà con buona e santa intenzione quello che egli farà verso del suddito; e il suddito infedele e disobbediente terrà tutto lo contrario. Questo è per la superbia sua, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui: poiché se ella fusse morta, farebbe quello per che egli entrò all'ordine, cioè d'obedire coraggiosamente e senza alcuna passione, sì come fa l'umile obediente. Che se lo prelato suo fusse uno demonio, lo vero obediente ciò che gli è fatto, o imposte le gravi obedienzie, ogni cosa riceve con pazienza, giudicando che volontà di Dio è di fare tenere quelli modi al prelato verso di lui: o per necessità della sua salute, o per farlo venire a grande perfezione; e però riceve con pace e quiete di mente l'obedienzia sua, e gusta la caparra di vita eterna in questa vita. Perché esso ha morta la volontà, e ito col lume della fede e con veraobbedienza, però gusta lo dolce e amoroso frutto de la pazienza, con fortezza e perseveranza infine alla morte. Questo frutto ha dimostrato che egli in verità s'è levato da la imperfezione e gionto alla perfezione, sì come lo disobbediente mostra i difetti suoi con la impazienzia.

Unde vediamo che sempre si scandalizza, se non quando la prosperità andasse a modo suo e il prelato facesse quello che egli vuole; ma se fa lo contrario, si turba. Perché? perché egli è vivo, poiché, se egli fusse morto, non gli adiverrebbe.

Unde questi cotali sono debili, poiché come la paglia se lo' rivolle trai piedi, così vengono meno. E se lo prelato comanda cosa che non gli piaccia, egli si turba; e se egli è infermo, egli è impaziente per la tenerezza che ha al corpo suo, e spesse volte sotto colore di bene dirà: «Se io avesse un'altra infermità, io me la portarei più agevolmente, ma questa infermità è una cosa occulta, che non si vede, e però non m'è creduta e impediscemi l'offizio e l'altre osservanzie, di non potere fare come gli altri: e però non pare che io ci possa avere pace». Costui, come imperfetto e con poco lume, è ingannato da la propria passione e tenerezza di sé. Chi cel dimostra? la impazienzia che egli ha, perché non gli pare che altri gli abbi compassione: questi vuole scegliere lo tempo e il luogo e le fatiche a suo modo. Non debba fare così, ma umiliarsi sotto la potente mano di Dio (1P 5,6) e ogni cosa avere in reverenzia, e fare quello che egli può fare. E quando egli non può rendere lo debito dell'offizio e degli altri essercizii, come gli altri, ed egli renda lo debito de la pazienza.

Poiché Dio non ci richiede più che noi possiamo fare, ma bene ci richiede l'amore col santo desiderio, e con pazienza portare ogni pena e fatica in ogni tempo e in ogni luogo che noi siamo, con odio e pentimento della propria sensualità; perocché così fanno coloro che vogliono essere perfetti. E a questo modo gustarà vita eterna in questa vita nelle pene sue; e avendo pena, non averà pena, ma la pena gli sarà refrigerio, pensando che egli si possa conformare con gli obrobii di Cristo Crocifisso. E non vorrà egli, servo, tenere per altra via che il Signore e però portarà con reverenzia, bagnandosi e annegandosi nel sangue di Cristo Crocifisso, lo quale sangue, all'anima che il gusta con affetto di carità, rimane morta la volontà sua. Morta la volontà gli è tolta ogni pena, poiché solo la volontà è quella cosa che le pene e tribulazioni ce le fa essere pene; ma morta la volontà nostra, e vestiti della volontà di Dio, la pena c'è diletto, e il diletto sensitivo, per odio santo di noi, ci sarebbe fatica, perché vedremmo che la via del diletto non è la via di Cristo Crocifisso, né dei santi che l'hanno seguitato. E vede che lo regno del cielo, vita eterna, non si vende né s'acquista per diletto, anco s'acquista e si guadagna lo regno di Dio con povertà volontaria, e con avere la pena per diletto, e con molto sostenere; e il diletto ci paia fatica, come detto è.

La volontà allora, acordata con la volontà di Dio, ne riceve la caparra: e però dicevo che in questa vita gusta la caparra di vita eterna.

Costui non cade nel terzo difetto, del giudicio: cioè di giudicare la volontà di Dio altro che giustamente, e con amore - e vedendosi amato da lui, per amore riceve ogni cosa -, né in giudicare la volontà delli uomini in alcun modo del mondo - né per strazio, né per ingiurie, o persecuzioni che gli fussero dette o fatte da loro -, ma giudica, con una santa considerazione, che Dio lo permetta per suo bene, e che essi lo faccino per provarlo in virtù. Né non giudicarà mai i servi di Dio, né le opere d'alcuna creatura; eziandio se vedesse lo male 'spressamente, nol vede né debba vedere per giudicio né per mormorazione, ma con compassione portarlo dinanzi da Dio, ponendo i difetti del prossimo suo sopra di sé. Così vuole l'affetto della carità; e non vuole che si faccia come fanno gl'imperfetti - acecati ancora da uno proprio amore di loro medesimi -, che pare che si notrichino del giudicare le creature: e non tanto che gli uomini del mondo, ma i servi di Dio, volendoli mandare al loro modo; e se non vanno al loro modo, sono scandalizzati in loro, e spesse volte, sotto colore di compassione, caggiono nella mormorazione.

Costui vuole ponere legge allo Spirito santo, e non se n'avede. Perché non se n'avede? perché il demonio l'ha velato col velame de la compassione, ma ella è piuttosto una radicata invidia e presunzione - presummendo di sé di sapere alcuna cosa - più che compassione. Poiché se ella fusse compassione e zelo della salute delle anime e onore di Dio, usarebbe la carità, e dichiararebbe sé medesimo a le proprie persone di cui egli avesse pena; e così guadagnarebbe sé e il prossimo suo, e godarebbe - se egli fusse largo in carità e con vero lume - di vedere i differenti modi e vie che Dio tiene coi servi suoi, unde dimostra la somma bontà che egli ha che dare. E però disse Cristo benedetto: «Ne la casa del Padre mio ha molte mansioni» (Jn 14,2).

E quale sarà quella lingua che possa narrare tanti diversi modi e visitazioni, doni e grazie che Dio fa, non tanto in molte creature, ma in una anima medesima? Poiché come le virtù sono diverse, poniamo che tutte traghino nel segno de la carità, così sono diversi i modi e costumi dei servi di Dio. Non che chi ha perfettamente la virtù della carità, non abbi tutte quante l'altre virtù; ma a cui è propria una virtù, e a cui un'altra, sopra la quale principale virtù tira tutte l'altre. Altri modi vediamo in colui a cui è propria la virtù della carità, e tutto dilatato nella carità del prossimo suo; e altro modo ha colui a cui è appropriata la virtù de l'umilità, con una fame di solitudine; in uno altro la giustizia; in uno altro una libertà con una fede viva, che di nessuna cosa pare che possa temere; e altri in una penetenzia, dandosi tutti a mortificare i corpi loro; e altri studia a uccidere solamente la propria volontà, con vera e perfettaobbedienza.

Or così sono diversi i modi e costumi loro, e ciascuno corre però nella virtù della carità; unde aviamo che i santi, che sono a vita eterna, tutti sono andati per la via della carità, ma in diversi modi, ché l'uno non è simile all'altro - e eziandio ne la natura angelica è differenza, ché non sono tutti equali -: unde tra gli altri diletti che avesse l'anima a vita eterna, si è di vedere la grandezza di Dio nei santi suoi, in quanti diversi modi gli ha remunerati. E in tutte quante le cose create troviamo questa differenza, cioè di vederle variate in qualche cosa, poiché tutte non sono a uno modo, poniamo che tutte sieno fatte da uno medesimo affetto, cioè create da Dio in uno medesimo amore. E questa è la grande dignità a vedere in Dio, a chi avesse lume e volesse punto conoscere la sua grandezza, poiché la trovarebbe nelle cose visibili e invisibili, come detto è. Dunque bene è matto e folle colui che vorrà mandare le creature a suo modo e, chi non andarà secondo lo suo parere, ne sarà scandalizzato in lui. Non debba dunque cadere in questo terzo giudicio, ma debba godere e avere in reverenzia i modi e costumi dei servi di Dio, dicendo in sé medesimo con umilità: «Grazia sia a te, Signore, dei tanti modi e vie, quante tu dai e fai tenere a le tue creature».

E quando 'spressamente vedesse lo difetto o nei servi di Dio o nei servi del mondo, portilo con grande compassione dinanzi da Dio, e se può caritativamente dirlo al prossimo suo, lo debba dire. Così fa colui che è perfetto in carità e umile, che non presumma di sé medesimo: costui è veramente fondato, e non si scandalizza in sé per pena che sostenga, né nel prelato per la graveobbedienza; anco obbedisce fino alla morte in ogni cosa, se non in quello che vedesse che fusse fuora de la volontà di Dio, poiché cosa che egli vedesse che fusse offesa di Dio, nol debba fare, ma ogni altra cosa, sì. E non si scandalizza nel prossimo, né per ingiuria che gli fusse fatta da lui, né per modi e costumi diversi che in loro vedesse; ma d'ogni cosa gode e guadagna, e trae lo frutto a sé per la virtù della carità che è dentro nell'anima sua. Chi il dimostra questo? la virtù della pazienza che ha fatto chiaro e manifesto la virtù nel perfetto, e il mancamento della virtù nello imperfetto vedendovisi lo contrario, cioè la impazienzia.



Perciò bene è vero che la virtù della pazienza è uno segno dimostrativo, che mostra l'uomo perfetto e imperfetto. Voi sete posto nello stato della grande perfezione, e però dovete essere paziente nel modo che detto è - bagnata e annegata la propria volontà nel sangue di Cristo Crocifisso -, poiché in altro modo offendareste la propria perfezione, a la quale sete entrato a servire, e così cadareste nella seconda impazienzia, de la quale facemmo menzione. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, a ciò che fra le fatiche godeste e gustaste la caparra di vita eterna, e nell'ultimo riceveste lo frutto delle vostre fatiche. E però riposatevi in croce col dolce e immacolato Agnello. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



40. A certe figlie da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore e perseveranti, che giamai non volliate lo capo adietro per veruna cosa che sia: né per prosperità pigliandone troppo letizia, né per aversità pigliandone impazienzia e amaritudine.

Ma io voglio, e vi prego, che veruna cosa sia che vi tolga e impedisca lo santo desiderio. E affinché il desiderio cresca in voi e non scemi, voglio che upriate l'occhio dell’intelletto a conosciare l'amore inefabile che Dio v'ha: che per amore v'ha dato l'unigenito suo Figlio, e il Figlio v'ha data la vita con tanto fuoco d'amore che ogni cuore duro debba disolvare la durezza sua. Or qui ponete l'occhio dell’intelletto vostro, pensando e cogitando lo prezzo del Figlio di Dio; e nel sangue lavate la faccia de l'anima vostra. Levisi e destisi dal sonno de la negligenzia; e pigliate solicitudine, poi che è lavata, di ponare la bianchezza della purezza e il colore de l'ardentissima carità, la quale tutta trovarete nel sangue de l'Agnello.

E voglio che voi pensiate, figlie mie, che questa purezza di mente e di corpo non si potrebbe avere con le molte conversazioni de le creature, né col ponere l'affetto e l'amore vostro in loro né in cose create, fuori de la volontà di Dio, né con amore proprio e tenerezza del corpo vostro, ma acquistasi con molta solicitudine di vigilie e d'orazioni, e con continova memoria del suo Creatore, sempre riconoscendo l'amore inefabile che Dio gli ha.

Poi che l'anima avarà acquistata la purezza nel modo detto, vedendo che a Dio non può fare utilità nessuna distendarà l'amore al prossimo suo, facendo a lui quella utilità che egli non può fare a Dio: visitando gli infermi (Mt 25,36), sovenendo ai povari, consolando i tribolati; piangendo con coloro che piangeno, e godendo con coloro che godono (Rm 12,15): cioè piangendo con coloro che sonno nel pianto del peccato mortale - avendo lo' compassione, offrendo per loro continove orazioni nel cospetto di Dio -, e godendo con coloro che godono, che sonno veri servi di Cristo crocifisso; e sempre dilettarvi de la loro conversazione. Così vi prego, figlie mie, che facciate, e a questo modo sarete serve fedeli, e non infedeli; e questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.







41. A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine dei Predicatori, quando era a santo Quirico nel loro spedaletto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, carissimo e dilettissimo padre delle anime nostre in Cristo Gesù, Caterina e Alessa e tutte l'altre vostre figlie vi si racomandano, con desiderio di vedervi sano dell'anima e del corpo quanto piace a Dio.



Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, vostra indegna figlia sopra tutte l'altre vostre figlie io sono, perché io abbi poca fame dell'onore di Dio e avesse poco tenuto a mente la petizione che spesse volte mi possiede detta, che io viva morta a la mia perversa volontà, la quale volontà non ho sottoposta con debita reverenzia al giogo de la santa obbedienzia quanto avrei potuto e dovuto. Oimé, disaventurata l'anima mia, che non sono corsa con cuore virile, abbraccicando la croce del mio dolcissimo e carissimo Sposo Cristo crocifisso, ma sommi posta a sedere per negligenzia e per ignoranza! Perciò io mi doglio e rendomi in colpa a Dio e a voi, carissimo padre, e pregovi pietosamente che m'assolviate, e benedite me e tutte l'altre.

Ora prego voi, padre carissimo, che vogliate adempire lo mio desiderio, cioè di vedervi unito e trasformato in Dio; e questo non possiamo avere, se noi non siamo uniti co.la volontà sua. O dolcissima volontà eterna, che ci hai insegnato lo modo a trovare la santa tua volontà! E se noi domandissimo quello dolcissimo e amantissimo giovane, clementissimo padre, egli ci rispondarebbe e diciarebbe così: «Dilettissimi figli, se volete sentire e trovare lo frutto della mia volontà, fate che voi sempre siate abitatori de la cella dell'anima vostra», la quale cella è uno pozzo, lo quale pozzo tiene in sé l'acqua e la terra (ne la quale terra possiamo cognosciare la nostra miseria: cognosciamo noi non essare; poiché noi non siamo, Perciò vediamo che l'essare nostro è da Dio). O ineffabile infiammata carità, vego dunque che è trovata la terra, l'acqua viva è gionta, cioè lo vero del cognoscimento de la sua dolce e vera volontà, che non vuole altro che la nostra santificazione.

Perciò entriamo in questa profondità di questo pozzo, ché per forza si convenrà che, abitandoci dentro, noi cognosciamo noi e cognosciamo la bontà di Dio. Conoscendo noi non essare, noi ci aviliamo umiliandoci, e noi entriamo nel cuore arso consumato aperto, come finestra senza uscio che non si serra mai; mettendo noi l'occhio de la volontà libera che Dio ci ha data, cognosciamo e vediamo che la sua volontà non è andata in altro che ne la nostra santificazione. Amore amore dolce, uopreci uopreci la memoria a ricevare e a ritenere tanta bontà di Dio e intendare, ché intendendo amiamo; amando, noi ci troviamo uniti e transformati ne la carità de la madre de la carità, passati e passando per la porta di Cristo crocifisso, sì come egli disse ai discepoli suoi: «Io venrò e farò mansione con voi» (Jn 14,23). E questo è il mio desiderio: di vedervi in questa mansione e trasformazione desidera l' anima mia di voi singularmente, e di tutte l'altre creature. Pregovi che stiate confitto e chiavellato in su la croce.

Mandastemi dicendo che fuste al corpo di santa Agnesa, della qual cosa molto ne sono consolata che ci racomandaste a lei e alle sue figlie. Perché dicete che non avete desiderio di tornare e non sapete la cagione, due cagioni ci possono essare: l'una si è - quando l' anima è molto unita e trasformata in Dio, dimentica sé e le creature; l' altra si è - quando altri si fusse abbattuto in luogo che fusse cagione di riduciarsi a sé medesimo. Se queste cagioni sono in voi, è a me grandissima consolazione, ché altro non desidera l'anima mia di voi; bene che alcune volte io ho creduto e credo che la mia miseria e ignoranza è cagione del tempo che passa, credo che quella ineffabile carità di Dio vogli gastigare e correggere la mia iniquità, e questo fa per singulare amore, acciò ch'io riconosca me medesima. Parmi che avesseate intendimento d'andare altrui, de la quale andata non mi pareva che doveste fare ora; non di meno sia adempita la volontà di Dio e la vostra. Dio vi dia a pigliare lo meglio di questo: date le vostre opere, sì che sia onore di Dio e salute dell'anima vostra. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso.

Racomandovi la nostra Caterina, e Alessa vi si manda molto racomandando che voi preghiate Dio per lei, e che voi la benediciate da parte di Cristo crocifisso; e pregate Dio per Giovanna pazza.

Caterina serva e schiava ricomprata del sangue del Figlio di Dio.

Perdonatemi se io avesse dette parole di presunzione. Dio v'arda d'amore. Gesù dolce Gesù dolce Gesù dolce Gesù.

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19/10/2012 14:20

42. A Neri di Landoccio quando era a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con perfetto lume e cognoscimento de la verità eterna, affinché con lume e con discrezione siano fatte tutte le opere tue, poiché senza lo lume ogni cosa sarebbe fatta in tenebre. E questo lume perfettamente non potresti avere, se tu con odio non ti tollessi la nuvola dell'amore proprio di te medesimo: Perciò ti studia con grande sollicitudine di perdere te, affinché tu possa acquistare lo lume e ogni tuo parere sia abnegato nel parere e volere de la dolce bontà di Dio.

Non dico più.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





43. Data a ser Cristofano di Gano, notaio in Siena.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi che fuste di quegli figli veri che servaste e adempiste sempre l'uopara che vi dice lo vero Padre celestiale, quando dice: «Chi non abandona madre e padre, e suore e frategli e sé medesimo, non è degno di me» (Mt 10,37).

Perciò pare che voglia che noi l'abandoniamo.

Questo non pare che caggia nella mente vostra di volere osservarla, sotto spezie e colore di farvene coscienza di lassarla. Questa coscienza procede più dal demonio che da Dio, per impedirvi lo stato perfetto al quale pare che lo Spirito santo vi chiamasse. E se voi mi diceste: «Dio mi comanda che io sia ubidiente a loro», ben è vero, in quanto non vi ritraghino da la via di Dio; ma se ce la 'mpediscano, dobbiamo passare sopra lo corpo loro e seguire lo vero Padre, col gonfalone della santissima croce, annegando e uccidendo le nostre perverse volontà. Oimé, dolcissimo fratello in Cristo Gesù, ben m'incresce che tu fai resistenza e non conosci questo venerabile stato: parmi che ti dovesse fare più conscienzia di non lassarla, che di lassarla. Ma poi che è così, prego la somma ed eterna verità che ti tenga la sua santissima mano in capo, che ti dirizzi in quello stato che gli debba più piacere. Pregoti che, in ogni stato e in tutte le tue opere, tenghi l'ochio dirizzato a Dio, cercando sempre l'onor suo e la salute della creatura; e mai non t'esca di mente lo prezzo del sangue dell'Agnello, che è pagato per noi con tanto fuoco d'amore.

Del fatto della sposa io vi rispondo che mal volontieri di questo io mi impaccio, poiché s'apartiene ai secolari più che a me; non di meno non posso contradire al vostro desiderio, considerato la condizione di tutte e tre, ch'ognuna è buona. Se vi sentite di non curarvi perch'abbi auto altro sposo, potetel fare, poi che volete impacciarvi in lo malvagio e perverso secolo. Se lasaste però, prendete quella di Francesco Ventura da Camporeggi. Altro non dico.

Prego la somma ed eterna carità che vi dia quello che deve essare più suo onore e salute vostra; mandi sopra l'uno e l'altra la plenitudine della grazia e la somma sua ed eterna benedizione.

Rimanete nella santa carità di Dio.





44. A ser Antonio di Ciolo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi unito per santo desiderio nel nostro dolce Salvatore, poiché in altro modo non potremo spregiare lo mondo, né venire a perfetta purezza conservando la mente e il corpo nostro ne lo stato de la continenzia.

Poiché l'anima che non s'acosta a Dio e uniscesi in lui per affetto d'amore, conviensi per forza che ella si sia unita con le creature fuori di Dio, e con le dilizie piaceri e stati del mondo, perché l'anima non può vivare senza amore: convienle amare o Dio o il mondo. E l'anima sempre s'unisce in quella cosa che ama e ine si trasforma, e in tanto si trasforma che sempre piglia di quello ch'è ne la cosa che ama. Se ella ama lo mondo, nel mondo non ha altro che pena, perché per lo peccato germina triboli e spine di grande amaritudine. La carne nostra non dà né tiene altro che puzza e veleno di peccato e di corruzione: intanto che, conformandosi l'anima con la volontà della carne e passione sensitiva, ne riceve veleno che l'atosca per sì-fatto modo che le dà morte, tollendole la vita de la grazia, cadendo in colpa di peccato mortale.

Altro non ne può ricevare di questo così-fatto amore: egli sta sempre in tristizia, ed è incomportabile a sé medesimo, perché Dio ha permesso che l'affetto disordinato sia incomportabile a sé medesimo.

E per contrario l'affetto ch'è ordinato nella dolce volontà di Dio, unito in lui per affetto d'amore, dà nell'anima di quello che ha in sé. Dio è somma ed eterna dolcezza, e però i servi suoi sentono tanto diletto nelle cose amare e malagevoli, perché, trovandosi Dio per grazia in sé medesima, è saziata e quieta; poiché di nessuna cosa si può saziare, se non di Dio, perché è maggiore di lei, ed ella è maggiore di tutte le cose create. Unde ciò che Dio creò, creò in servigio dell'uomo, e l'uomo per sé, affinché l'amasse con tutto lo cuore e con tutto l'affetto suo (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,37), e lui servisse in verità; e però queste cose del mondo non possono saziare l'uomo, perché sonno meno di lui. Perciò ha pace e riposo quando sta in lui: in lui participa una larghezza di cuore che ogni creatura che ha in sé ragione vi cape dentro per affetto di carità. Anco s'ingegna di servirle, sovenendo lo prossimo suo, mostrando in lui l'amore che ha al suo Creatore.

Perché Dio è somma ed eterna purezza, però l'anima e il corpo ne participa per l'unione che ha fatta in lui, conservando la mente e il corpo suo in perfetta purezza, elegendo inanzi la morte che volere contaminare e lordare la mente e il corpo suo per immondizia. Non è che i pensieri del cuore lui li possa tenere, né spesse volte i movimenti della carne; ma i movimenti e i pensieri non inlordano l'anima, ma la volontà, quando ella consente volontariamente alla fragilità sua e alle cogitazioni del cuore. Ma non consentendo, non comette colpa nessuna ma merito, facendo una santa resistenza, traendo sempre di queste spine la rosa odorifera d'una perfetta purezza, perché per questo viene a maggiore conoscimento di sé. E con uno odio santo si leva contro la propia fragelità, e con amore rifuge a Cristo crocifisso con umili e continove orazioni, vedendo che in altro modo non può campare da tanti mali; e già abiamo detto che quanto più s'acosta a lui, più participa della sua purezza. Perciò bene è vero che di queste bataglie egli ne trae la rosa purissima. Questo v'è il rimedio contro questo miserabile peccato della debole fragile carne, e d'ogni altra gravezza di peccato: che noi ci acostiamo e conformiamo per affetto d'amore in Dio.

E non aspetiamo lo tempo, carissimo figlio; però ch'egli è breve e non ci aspetta, non doviamo aspettare lui. Grande fatto è che l'uomo voglia dormire in tanta cecità, e non destarsi da questo sonno; ma bene è vero che destare non ci possiamo, né venire a questa unione, senza lo lume. Convienci conoscere col lume della santissima fede la miseria e colpa nostra, e coll'occhio purificato ponarci per obiettivo l'amore inefabile che Dio ci ha, lo quale ci ha manifestato col Verbo de l'unigenito suo Figlio, e il Figlio ce l'ha mostrato col sangue suo sparto con tanto fuoco d'amore, corso come inamorato all'obrobiosa morte de la santissima croce. E come si potrebbe tenere l'anima, vedendosi tanto amare, che non amasse? Non potrebbe.

O carissimo figlio, non vi dilungate da questo lume, ma con solecitudine dissolvete la nuvola dell'amore propio di voi; e con fede viva riguardate lo immacolato e dissanguato Agnello che con tanto amore vi chiama: e rispondendogli verrete a questa perfetta unione; essendo unito sentirete l'odore della perfetta purezza.

Molto è buono contro questo vizio lo riguardare la degnità in ch'è venuta l'anima nostra e la miserabile carne, per l'unione che Dio ha fatto nell'uomo, unita la natura divina con la natura nostra umana.

Vergognarassi l'anima e saràle uno freno di darsi a tanta miseria, vedendola levata sopra tutti i cori de li angeli. Per forza, quando così dolcemente la mente e il desiderio vostro si levarà, si spegnarà la puzza del vizio. Anco ci conviene gastigare lo corpo nostro e mortificarlo con la vigilia e umile e continova orazione; attacarsi a l'albore della santissima croce; fuggire le conversazioni, più che si può, di coloro che viveno lascivamente. E non dubitate che Dio vi farà grandissima grazia, pure che voi brighiate di tagliare e non stare a sciogliare: spacciatamente disponete tutti i fatti vostri.

Corrite con dolce e amoroso desiderio al giogo della santa ubidienzia: ine uccidarete la volontà, e mortificarete lo corpo; ine gustarete la caparra di vita eterna. E non vi paia fadigoso, ché la fatica tornarà a grandissimo diletto. Sono certa che se farete mansione per affetto d'amore col dolce e buon Gesù, che voi lo farete, e altrimenti no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi unito per affetto d'amore nel salvatore nostro, affinché veniste a vera purezza, e perdeste la passione che vi dà tanta pena. Non dubito che, se voi il farete, ne sarete privato almeno che la volontà elegerebbe prima la morte che volere offendare.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso e cominciate una vita nuova, con isperanza che le colpe vostre si consumaranno nel sangue e fuoco d'amore. E io voglio pigliare le colpe vostre, e ismaltirle con lacrime e orazioni nel fuoco della divina carità; e voglio portare la penitenza per voi. Solo di questo vi prego e costringo, che vi diate a svilupare tosto del mondo, e darli tosto di calcio, ché se voi non deste a lui, lui sarebbe ben presto di dare a voi. Non fate resistenza a lo Spirito santo che vi chiama. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.





45. A Francesco di missere Vanni Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e sopracarissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di ritrovare te pecorella smarrita - ònne grandissimo desiderio! - e di rimettarti nell'ovile coi compagni tuoi.

Parmi che il demonio t'abbi sì imbolato, che non ti lassa ritrovare: io, miserabile madre, vo cercando e mandando per te, perché mi ti vorrei ponere in su la spalla (Lc 15,5) dell'amaritudine e della compassione che ho all'anima tua. Apre l'occhio - figlio carissimo - dell'intelletto; levalo da le tenebre e riconosce la colpa tua, non con confusione di mente ma con cognoscimento di te e con sperare nella bontà di Dio. Vede che la sustanzia de la grazia che il padre tuo celestiale ti dié tu l’hai spesa miserabilemente; fa' sì come fece quello figlio che spese la sustanzia sua, lo quale, sentendosi venuto a necessità, ricognobbe lo suo difetto e ricorse al padre per misericordia (Lc 15,11-21). Così fa' tu: ché tu sei impovarito e hai bisogno, e l'anima tua muore di fame. Ricorre dunque al Padre, per misericordia, che ti soverrà e non sarà spregiatore del tuo desiderio fondato in amaritudine del peccato commesso; anco l'adempirà dolcemente.

Oimé oimé, dove sono i dolci desiderii tuoi? O disaventurata me, ho trovato che il demonio ha imbolata l'anima e il desiderio santo tuo, e il mondo i servi suoi hanno tesi i laccioli coi disordenati piaceri e diletti suoi. Orsù a pigliare lo remedio, e non dormire più! Consola l'anima mia; non essere tanto crudele, per salute di te, di fare caro d'una tua venuta. Non ti lasciare ingannare, per timore e vergogna, al demonio: rompe questo nodo; vienne, vienne, figlio mio carissimo. Io ti posso bene chiamare caro, tanto mi costi di lacrime e di sudori e di molta amaritudine; or vienne, e ricovera nel tuo ovile. Io mi scuso dinanzi a Dio che io non posso più. E col venire e con lo stare, non richeggio altro da te se non che tu facci la volontà di Dio.



Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







46. A Neri di Landoccio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti essercitare lo lume che Dio t'ha dato a ciò che cresca in te, poiché senza il perfetto lume non potremmo conoscere né amare né vestirci della verità; e se noi non ce ne vestissimo, a tenebre ci tornarebbe quello lume: e però è bisogno di giognare al perfetto lume, ché a questo ci ha Dio eletti.

Voglio dunque che con ogni sollicitudine ponga e fermi l'occhio dell'intelletto tuo ne la verità e nello abisso della carità di Dio, e per questo modo giognerai al perfetto lume sopranaturale, e giognerai a perfettissimo amore del tuo Creatore e carità del prossimo; e così si compirà in te la voluntà di Dio e il desiderio mio. Non dico più.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





47. A Pietro di Giovanni Venture da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti perseverare in ogni virtù, poiché senza la perseveranza non riceveresti la corona della gloria (1P 5,4) che si dà ai veri combatitori. Ma tu mi dirai: «Unde posso acquistare questa perseveranza?». Rispondoti che tanto serve la persona la creatura quanto l'ama, e più no; e tanto manca nel servire, quanto manca l'amare; e tanto ama, quanto si vede amare. Perciò vedi che dal vedersi amare viene l'amore, e l'amore ti fa perseverare. Quanto tu aprirai l'occhio de lo 'nteletto a riguardare il fuoco e l'abisso della inestimabile carità di Dio inverso di te - lo quale amore t'ha mostrato col mezzo del Verbo del Figlio suo -, tanto sarai costretto dall'amore ad amarlo in verità con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze tue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), tutto libero coraggiosamente e puramente, senza neuno rispetto di propia utilità tua. Tu vedi che Dio t'ama per tuo bene e non per suo, però ch'egli è lo Dio nostro, che non ha bisogno di noi: e così tu, e ogni creatura ragionevole, debi amare Dio per Dio - in quanto egli è somma ed eterna bontà - e non per propia utilità, e il prossimo per lui. Poi che tu hai fatto il principio e il fondamento nell'affetto della carità, subito lo cominci a servire coi lo strumento de le virtù, sì che col lume e con l'amore acquistarai la virtù, e persevererai in essa.

Ma atende che, col vedere te essere amato da Dio, ti conviene vedere la colpa e la ingratitudine tua, e agravare la colpa nel conoscimento santo di te, acciò tu non ti scordi da la virtù piciola della vera umilità, e affinché tu non presumi di te, né cadessi nel propio piacere. Sai quanto c'è necessario il conosciare e agravare le colpe nostre, per conservare e cresciare la vita della grazia nell'anima? Quanto egli ci è bisogno lo cibo corporale per conservare la vita nel corpo. Perciò leva via la nuvola dell'amore propio di te affinché non t'impedisca lo lume unde tu arai questo perfetto conoscimento, e col conoscimento l'amore e l'odio. E nell'amore trovarai la virtù della perseveranza, e così compirai la volontà di Dio e il disiderio mio in te; la quale volontà e desiderio è di vederti cresciare e perseverare fino alla morte nelle vere e reali virtù. E guarda che mai tu non ti fidassi di te medesimo - il quale fidare è uno vento sotile di riputazione, ch'esce dell'amore propio -, poiché subito verresti meno, e voltaresti il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62). Ché, come l'amore di Dio, acquistato nel conoscimento di te con vera umilità, ti fa perseverare nella virtù, così l'amore propio, colla reputazione che ti fa fidare di te medesimo, come detto è, ti priva della virtù, e fatti cadere nel vizio e perseverarvi dentro. Fuge, figlio, fuge questo vento sotile del propio piacere; e vatene, tutto nascoso in te medesimo, nel costato di Cristo crocifisso, e ine pone lo 'nteletto tuo a riguardare il segreto del cuore.

Ine s'acenda l'afetto, vedendo ch'egli ha fatta caverna del corpo suo, affinché tu abia luogo dove rifugire dalle mani dei tuoi nemici (1R 24,4), e possiti riposare e pacificare la mente tua ne l'afetto della sua carità. Ine trovarai lo cibo, poiché tu vedi bene ch'egli t'ha data la carne in cibo, e il sangue in beveragio (Jn 6,55): arrostita in su la croce al fuoco della carità, e ministrato in su la mensa de l'altare, tutto Dio e tutto Uomo. Disolvasi oggimai la durezza dei cuori nostri; amolisi la mente a ricevare la dotrina di Cristo crocifisso.

Voglio che cominciate ora, tu e gli altri negligenti figli, a conformarvi con questo Parvolo, lo quale ora ci rapresenta la santa Chiesa, Verbo incarnato. E che più possiamo vedere a confusione della nostra superbia, che vedere Dio umiliato a l'uomo, l'altezza della deità discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità? Chi n'è cagione? L'amore: l'amore il fa abitare ne la stalla in mezzo degli animali; l'amore il fa satolare d'obrobi, vestirlo di pene, e sostenere fame e sete; l'amore il fa corrire con prontaobbedienza fino a l'obrobiosa morte de la croce; l'amore il fa andare all’inferno e spogliare il limbo per dare piena rimunerazione a quelli che in verità l'aveano servito, e longo tempo aveano aspetato la redenzione loro; l'amore il fece lasciare a noi in cibo; l'amore dopo l'Ascensione mandò il fuoco dello Spirito santo (Ac 2,3-4), il quale ci alluminò de la dotrina sua, la quale è quella via fondata in verità che ci dà vita, tra'ci delle tenebre, e dacci lume nell'eterna visione di Dio. Ogni cosa, dunque, ha fatto l'amore.

Bene sì deba Perciò l'uomo vergognarsi e confondarsi in sé medesimo, ché non ama né risponde a tanto abisso d'amore. Assai è tristo colui che, potendo avere il fuoco, si lassa morire di freddo; avendo il cibo dinanzi, si lassa morire di fame. Prendete, prendete il cibo vostro, Cristo dolce Gesù crocifisso, e non in altro modo: ché se in altro modo il voleste, non sareste costanti né perseveranti; e la perseveranza è quella ch'è coronata, come dicemo, e senza essa ricevarebe l'anima confusione, e non gloria. Considerando me questo, dissi ch'io desideravo di vederti costante e perseverante ne la virtù. Non dico più qui etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.





48. A Matteo di Giovanni Colombini da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume, nel quale lume conosciate e vediate la verità, la quale verità è quella cosa che ci libera (Jn 8,32): cioè che conoscendola l'amiamo, e amandola ci libera da la servitudine del peccato mortale.

Che verità è questa la quale ci conviene conosciare? è una verità parturita dall'amore innefabile di Dio, a la quale verità dobiamo rendare il debito de l'amore e de l'odio. In che modo? In questo: che noi conosciamo il sommo ed eterno bene, e l'amore innefabile col quale Dio ci creò ad immagine e similitudine sua. E creocci per questa verità, perché noi gustassimo lo suo sommo ed eterno bene, e a ciò che rendessimo gloria e lode al nome suo; e per compire questa verità in noi, ci donò lo Verbo del suo Figlio, e nel sangue suo ci ricreò a grazia. A questo conoscimento dobiamo venire esercitandolo con grandissima solecitudine; ma a questo non possiamo venire senza e.lume, e lume non possiamo avere co.la nuvola de l'amore propio di noi.

Lo quale amore ofusca l'occhio de l'inteletto, che no.lo lassa conoscere né discernare la verità; ma la bugia vede in verità, e la verità in bugia; le cose transitorie riputa ferme e di grande consolazione, ed elle vengono tutte meno, sì come lo fiore, il quale, poi che è colto, subito perde la bellezza sua. Onore, richezze, stato e dilizie, tutte passano come il vento: ogni cosa ci è mutabile, unde dalla sanità veniamo a la infermità, dalla richezza alla povertà, e dalla vita a la morte. E l'uomo, matto amatore di sé medesimo, come cieco giudica tutto il contrario, e così tiene. E chi manifesta ch'egli il tenga? Il disordinato amore e affetto ch'egli ha a sé e al mondo. Tutto gli adiviene perch'egli ha perduto e.lume, ché s'egli avesse lume in verità, terrebe che Dio è sommamente buono: uno bene incomprensibile e innestimabile che neuno è che il possa stimare, ma solo esso medesimo si comprende e stima. Egli è somma ed eterna richezza, egli è giusto e pietoso medico, che dà a noi le medicine necessarie a le nostre infermità (così dice lo glorioso Paolo: «Quando l'umana generazione giacea inferma, venne il grande medico nel mondo, e sanò le nostre infirmità» (Rm 5,6 He 4,15 He 5,9)), sì che a ognuno le dà sicondo che bisogna a le piaghe nostre, col fuoco della divina carità. Alcune volte ci trae sangue, cioè levandoci quelle cose che sonno nocive a la nostra salute, e sonno uno mezzo tra Dio e noi: unde ad alcuni tolle i figli, ad altri la sustanzia temporale, ad altri la sanità, e ad alcuni lo stato del mondo, percotendoci con le molte tribulazioni. E questo non fa per odio, ma per singulare amore: privaci dei diletti vani della terra, per darci pienamente i beni del cielo. Egli è benigno ed eterno giudice, e, sì come giudice e giusto signore, ad ognuno rende il debito suo, unde ogni bene è rimunerato e ogni colpa punita.

E con la forza santa che faremo a la nostra perversa volontà, e co.la violenzia, acquistaremo le vere e reali virtù; e sarà rimunerata la fatica nostra di beni immortali. Con questo lume si conosce la verità inverso del mondo, lo quale non ha in sé fermezza né stabilità veruna. Invano s'afatica colui che tutto il suo tempo ha speso e spende nel mondo, facendosi Dio dei figli e delle richezze, e non s'avede che tutte li danno morte, privandolo della vita della grazia; e non pare che sappi che Dio ha permesso che il disordinato animo sia incomportabile a sé medesimo: unde in questa vita gusta la caparra de l’inferno, solo perché non ha conosciuto la verità per la privazione del lume.

Perciò voglio, carissimo figlio, che non dormiamo più, ma con grande solecitudine ci destiamo dal sonno, levando la nuvola de l'amore propio di noi da l'occhio dell’intelletto nostro. E facendo così, compirete in voi la volontà di Dio e il disiderio mio, ché, considerando io che senza il lume non possiamo conosciare la verità, ho desiderio di vedere in voi lume vero, a ciò che perfettamente conosciate la verità: lo quale lume e verità vi faranno costante e perseverante in quello che avete cominciato con uno santo e vero desiderio. Non mi ci mettete spazio di tempo, poiché non sete sicuro d'averne, ma in tutto senza timore servile, con vera e perfetta speranza, confidandovi nel vostro Creatore, ordinate la vita vostra e regolatevi in tutte le cose, satisfacendo a la coscienza, ponendo fine e termine a ogni disordinato vivare, con vera perseveranza. Tollendo via la tristizia del cuore vostro, e con massima alegrezza, riconoscete l'amore inefabile e la plenitudine della divina misericordia ch'è traboccata sopra di voi.

Mettetevi ogimai lo mondo sotto i piei, e rispondete a Dio, che vi chiama, con uno cuore gentile e non mercennaio, sì come vero e legittimo figlio, dilettandovi di purificare spesso la coscienza vostra con la santa confessione; e usate la comunione al luogo e al tempo suo. La conversazione vostra sia con quelli che temeno Dio in verità, vacando lo tempo vostro a la vigilia e a l'orazione, quanto v'è possibile. L'udire il divino ofizio non vi scordi. La fantasia e memoria vostra sempre sia piena di Cristo crocifisso, volendo investigare non le cose secrete di Dio né gli occulti misteri suoi, ma solo la volontà sua e la dolcezza della sua carità, che ci ama tanto inestimabilmente, e non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. E conosciamo i difetti nostri, umiliandoci sotto la dolce potente mano di Dio (1P 5,6). Lo stato nel quale voi sete, del matrimonio, pregovi che v'ingegniate d'usarlo come sagramento, avendo in debita riverenzia i dì comandati dalla santa Chiesa. Ingegnatevi omai di tenere, voi e la donna vostra, uno stato angelico, sentendo l'odore della continenzia, affinché gustiate il frutto suo. Or così dolcemente regolate e ordinate la vita vostra, senza aspettare più tempo: ché, come detto è, il tempo non aspetta noi.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; nascondetevi ne le piaghe dolcissime e sopradolcissime sue, e ine si dilarghi e consumi lo cuore vostro. Guardate che non voltaste il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ché io mi chiamarei di voi a l'umile Agnello, e voi non areste a cui appellare. Fatemi dei figli de le virtù, e mai non restate di concepire per amore nel cuore vostro. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù etc.





49. A monna Alessa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io indegna miserabile tua madre desiderando che tu giunga a quella perfezione che Dio t'ha eletta, parmi che, a volervi giognere, si convenga andare con modo, e non senza modo.

E senza modo e con modo si vuole fare ogni nostra opera: senza modo si conviene amare Dio, e non ponervi nell'amare né modo né misura né regola, ma smisuratamente amare. E a volere venire alla perfezione dell'amore, ti conviene ordinare la vita tua. Lo primo ordine sia fuggire la conversazione d'ogni creatura, per conversazione, se non secondo che richiede l'atto della carità; ma amarne assai, e conversarne pochi.

E eziandio con quelli che ami di spirituale amore sappi conversare con modo; e se tu nol facessi, pensa che a quello amore che tu debbi portare a Dio senza modo, vi porresti modo che non te ne avederesti, ponendovi mezzo la creatura finita, poiché l'amore che dovaresti portare a Dio porresti a la creatura, amandola senza modo. E questo t'impedirebbe la tua perfezione, unde con modo ordenato la debbi amare spiritualmente. Sia uno vasello lo quale tu empia nella fonte, e nella fonte lo beia; che poniamo che tu avessi tratto l'amore da Dio, che è fonte d'acqua viva, se tu nol beiessi continuamente in lui, rimarrebbe vòto. E questo ti sarà lo segno che tu nol beia a pieno in Dio: che quando della cosa che tu ami tu ne sostieni pena - o per conversazione che avesse, o perché fussi privata d'alcuna consolazione la quale solevi ricevere, o di qualunque altra cosa che avenisse -, se tu sostieni allora pena di questo, o d'altro che dell'offesa di Dio, t'è segno manifesto che questo amore è ancora imperfetto, e tratto fuore della fonte.

Che modo ci ha dunque a fare perfetto quello che è imperfetto? Questo è lo modo: di correggere e gastigare i movimenti del cuore con vero cognoscimento di te, e con odio e pentimento della tua imperfezione - cioè d'essere tanto villana che quello amore che si debba dare tutto a Dio, si dia alla creatura, cioè d'amare la creatura senza modo e Dio con modo -. Poiché l'amore verso di Dio vuole essere senza misura, e quello della creatura debba essere misurato con quella di Dio, e non con la misura delle proprie consolazioni né spirituali né temporali. Perciò fa' che tu ogni cosa ami in Dio, e che tu corregga con odio ogni disordenato affetto.

Fa', figlia mia, due abitazioni: una abitazione attuale della cella, che tu non vada discorrendo i molti luoghi se non per necessità o perobbedienza della priora o per carità. E un'altra abitazione fa' spiritualmente, la quale porti continuamente con te; e questa è la cella del vero cognoscimento di te, dove trovarai lo cognoscimento della bontà di Dio in te: che sono due celle in una, e stando nell'una, ti conviene stare nell'altra, poiché in altro modo verrebbe l'anima a confusione o a presunzione. Ché se tu stessi nel cognoscimento di te, verrebbe la confusione della mente; e stando solo nel cognoscimento di Dio, verresti a presunzione. Conviene dunque che sieno conditi l'uno con l'altro, e faccine una medesima cosa; e facendolo verrai a perfezione, poiché del cognoscimento di te acquistarai l'odio della propria sensualità; e per l'odio sarai uno giudice, e sarrai sopra la sedia della coscienza tua e terra'ti ragione, e non lassarai passare lo difetto che tu non ne facci giustizia.

Di questo cognoscimento esce la vena de l'umilità, la quale non piglia mai alcuna reputazione, e non si scandalizza di nessuna cosa che sia, e, paziente, con gaudio sostiene ogni ingiuria, ogni perdimento di consolazione e ogni pena, da qualunque lato elle vengano. Le vergogne paiono una gloria, e le grandi persecuzioni refrigerio; e di tutte gode, vedendosi punita di quella legge perversa della propria volontà sensitiva che sempre ribella a Dio, e vedersi conformare con Cristo crocifisso, che è via e dottrina della verità.

Nel cognoscimento di Dio trovarai lo fuoco della divina carità. Dove tu ti dilettarai? In su la croce con lo immacolato Agnello, cercando lo suo onore e la salute delle anime, per continua e umile orazione. Or qui sta tutta la nostra perfezione. Molte cose ci sono anco, ma questa è la principale, dove riceviamo tanto lume che non possiamo errare nelle minori opere che seguitano: dilettati, figlia mia, di conformarti con gli obbrobii di Cristo.

E guarda lo sentimento della lingua, sì che la lingua non risponda alcune volte al sentimento del cuore; ma smaltisce quello che è nel cuore, con odio e pentimento di te. Fa' che tu sia la minima delle minime, subietta per umilità e pazienza a ogni creatura per Dio, non con scusa, ma con dire «mia colpa». E così si vencono i vizii nell'anima tua e ne l'anima di cui tu lo dicessi: per la virtù de l'umilità.

Ordina lo tempo tuo: la notte alla vigilia - dato che tu hai lo debito del sonno al corpo tuo -, e la mattina alla chiesa con la dolce orazione; e non spendarlo in favellare infine all'ora debita. Di questo e d'ogni cosa non ti ritragga altro che o la necessità o l'obedienzia o la carità, come detto è. Doppo l'ora del mangiare, ricoglieti un poco a te; e poi fa' manualmente alcuna cosa, secondo che t'è necessario. All'ora del vespro e tu va' e fa' nulla, e quanto lo Spirito santo ti fa fare, tanto sta'. E poi ritorna e governa l'antica tua madre senza negligenzia, e provedela di quello che è necessario; e sia tuo questo peso di qui alla mia tornata. Fa' che tu facci sì che tu adempia lo desiderio mio. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


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19/10/2012 14:22

50. A Caterina di Ghetto mantellata di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissima sorella e figlia mia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e sposa di Cristo crocifisso.

Serve dobiamo essere perché siamo ricomprate del sangue suo; ma non vego che del nostro servire possiamo fare utilità a lui: dobianlo dunque fare al prossimo nostro, però ch'egli è quel mezzo dove noi proviamo e acquistiamo la virtù. Sappi che ogni virtù riceve vita da l'amore; e l'amore s'acquista nell'amore, cioè levando l'occhio de lo intelletto nostro a raguardare quanto siamo amati da Dio.

Vedendoci amare, non possiamo fare che non amiamo; amando, abracciamo le virtù per affetto d'amore, e con l'odio spregiamo lo vizio, sì che vedi che in Dio concepiamo le virtù, e nel prossimo si parturiscono.

Sai bene che ne la necessità del prossimo tu partorisci lo figlio della carità, ch'è dentro ne l'anima; e nella ingiuria che tu ricevi da lui, la pazienza. Tu li doni l'orazione, singularmente a coloro che ti fanno ingiuria, e così dobiamo fare: se essi sonno a noi infedeli, e noi dobiamo a loro essere fedeli, e fedelmente cercare la loro salute; amarli di grazia, e non di debito: cioè, che tu ti guardi di non amare lo prossimo tuo per propria utilità, perché non sarebbe amore fedele, e non rispondaresti a l'amore che Dio ti porta. Ché come Dio t'ha amata di grazia così vuole che, non potendoli tu rendare questo amore, tu lo renda al prossimo tuo, amandolo di grazia, e non di debito, come detto è. Né per ingiuria, né perché tu vedessi diminuire l'amore verso di te, o il diletto, o la propria utilità, non debbi tu minuire né scemare l'amore verso lui ma amarlo caritativamente, portando e sopportando i difetti suoi: con gran consolazione e riverenzia raguardare i servi di Dio.

Guarda che tu non facessi come le matte che si vogliono porre a investigare e giudicare gli atti e modi dei servi di Dio: troppo è degno di grande riprensione chi il fa. Sappi che non sarebbe altro che ponere regola e legge a lo Spirito santo, volendo fare andare i servi di Dio a nostro modo, la quale cosa non si dei fare; e pensi quella anima che giogne a questo giudizio che la barba della superbia non è anco fuore, né la vera carità del prossimo non v'è anco dentro: cioè d'amarlo di grazia, e non di debito. Perciò amiamo e non giudichiamo i servi di Dio; anco ci conviene amare generalmente ogni creatura che ha in sé ragione: coloro che sonno fuore de la grazia amarli con dolore e amaritudine de la colpa loro, perché offendono Dio e l'anima loro. E così t'acordarai col dolce e inamorato di Paolo, che piange con coloro che piangono e gode con coloro che godono (Rm 13,15): così tu piangerai con coloro che sonno in istato di pianto, per desiderio de l'onore di Dio e salute loro; e goderai coi servi di Dio, che godono gustando Dio per affetto d'amore. Vedi dunque che nella carità concepiamo le virtù, e nella carità del prossimo si parturiscono.

Facendo così - che tu realmente, senza neun amore o cuore fittivo, libero, senza veruno rispetto di propria utilità o spirituale o temporale, ami lo prossimo tuo -, sarai vera serva e risponderai col mezzo del prossimo a l'amore che ti porta lo tuo Creatore; e sarai sposa fedele e non infedele. Allora manca la fede la sposa a lo sposo suo, quando l'amore che deve dare a lui lo dà ad altra creatura. Tu sei sposa (vedi bene che il Figlio di Dio tutti ci sposò nella circuncisione (Lc 2,21), quando si tagliò la carne sua, donandoci tanto quanto è una stremità d'anello, in segno che voleva sposare l'umana generazione): tu, raguardando tanto amore, lo debbi amare senza neuno mezzo.

Come tu l'ami senza mezzo che sia fuore di Dio, così sei fatta serva del prossimo tuo, servendolo in ogni cosa secondo la tua possibilità: sì che di Cristo sei sposa, e del prossimo debbi essere serva, se tu sei sposa fedele. Perché de l'amore che noi portiamo a Dio non possiamo fare utilità né servizio a lui, Perciò - come è detto - dobiamo servire al prossimo nostro con vero e cordiale amore: in altro modo né in altra forma nol possiamo servire. E però ti dissi ch'io desideravo di vederti vera serva e sposa di Cristo crocifisso.

Or ti bagna, carissima sorella e figlia, nel sangue dolce di Cristo crocifisso. Altro non dico.

Permane etc. Gesù amore Gesù dolce etc.







51. A frate Felice da Massa dell'ordine di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi fondato in vera e perfetta umilità, poiché colui che è umile sì è paziente a portare ogni fatica per amore della verità; e perché l'umilità è balia e nutrice della carità, non può essere umilità senza carità. E colui che arde nella fornace della carità non è negligente, anco ha perfetta sollicitudine, poiché la carità non sta mai oziosa, ma sempre aduopera.

Ma amore né umilità, la quale consuma la negligenzia e spegne la superbia, non si può avere senza lo lume e che l'occhio illuminato non abbi qualche obiettivo in che egli possi guardare; poiché, perché l'occhio vegga e avesse lo lume in sé, ed egli non stia aperto, quello vedere non gli farebbe alcuna utilità.

L'occhio vero dell'anima nostra è l’intelletto, lo quale ha lo lume della santissima fede, colà dove lo panno dell'amore proprio non l'avesse ricuperto. Levato via l'amore proprio di noi medesimi, l'occhio rimane chiaro e vede: sì conviene che l'affetto si desti e voglia amare lo suo benefattore. Allora, sentendo l'occhio dell’intelletto muovarsi da l'affetto, subito s'apre e ponsi ne l'obiettivo suo, Cristo crocifisso, in cui conosce - e massimamente nel sangue suo - l'abisso della inestimabile sua carità.

Ma dove lo debba vedere e ponere questo obiettivo? Ne la casa del cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento conosce la miseria sua, poiché ha veduto con l'occhio dell'intelletto i suoi defetti, e sé non essere, e àllo veduto in verità. In verità è quando l'uomo conosce sé, e conosce la bontà di Dio in sé.

Poiché se conoscesse solamente sé, o volesse conoscere Dio senza sé, non sarebbe cognoscimento fondato nella verità, né trarrebbe anco lo frutto che si debba trare del cognoscimento di sé, ma più tosto ne perdarebbe che non ne guadagnarebbe, poiché trarrebbe solo - del cognoscimento di sé - tedio e confusione, unde diseccarebbe l'anima; e perseverandovi dentro senza altro remedio giognarebbe alla disperazione. E se volesse conoscere Dio senza sé, ne trarrebbe frutto fetido di grande presunzione, la quale presunzione è nutreta dalla superbia; e l'una notrica l'altra. Conviensi dunque che lo lume vegga e conosca in verità, e condisca lo cognoscimento di sé col cognoscimento di Dio, e il cognoscimento di Dio col cognoscimento di sé.

Allora l'anima non viene né a presunzione né a disperazione; ma del cognoscimento trae lo frutto della vita, quando è l'uno con l'altro insieme. Poiché del cognoscimento di sé riceve lo frutto della vera umilità - unde germina odio e pentimento della colpa e della legge perversa che sempre è atta a combattere contro allo spirito (Rm 7,23): de l'odio parturisce lo figlio della pazienza, la quale è lo midollo della carità -; e del cognoscimento della grande bontà di Dio, che trova in sé, riceve lo frutto dell'abisso dell'affocata carità di Dio e del prossimo suo.

Poiché col lume vede e conosce che dell'amore che egli porta al suo Creatore non gli può fare utilità alcuna, e però subito quella utilità che non può fare a lui la fa al prossimo suo per amore di Dio - poiché ama la creatura perché vede che lo Creatore sommamente l'ama -; e condizione è dell'amore d'amare tutte quelle cose che sono amate dalla persona amata. Or con questo lume, carissimo figlio, acquistaremo la virtù della umilità e della carità, e con vera e santa pazienza portaremo e sopportaremo i difetti del prossimo nostro; e consumaremo la negligenzia con la perfetta sollicitudine acquistata nel fuoco della divina carità; e spegnarassi la superbia con l'acqua della vera umilità; e diventaremo affamati de l'onore di Dio, e gustatori e mangiatori delle anime in su la mensa de l'umile e immacolato Agnello. Altra via non ci ha; unde, considerando io che ci conveniva tenere per questa via e per questa strada della vera umilità, dissi e dico che io desideravo di vedervi fondato in vera e perfetta umilità; e così voglio che facciate senza pena e senza confusione di mente.

Ma ora di nuovo voglio che cominciamo con fede viva, con speranza ferma, e conobbedienza pronta; e così voglio che ingrassiate l'anima vostra, e non si disecchi per confusione né per tedio di mente; ma con una perfetta sollicitudine vi destate dal sonno della negligenzia, furando le virtù, quando le vedete nei vostri fratelli, conservandole nel petto vostro.

E sempre la verità vi diletti e stia nella bocca vostra; e annunziarla quando bisogna, caritativamente, in ogni persona - e singularmente in quelle persone che sono amate di singulare amore -, ma con una piacevolezza, ponendo lo difetto altrui a voi medesimo. E se non si fusse fatto per lo tempo passato con quella cautela che bisogna, correggiarenci per l'avenire. E per queste non voglio che alcuna pena n'abbiate. E di me pensiero alcuno non vi diate; ma realmente l'onde del mare tempestoso tutte si passino con vera umilità e carità fraterna, e con santa pazienza. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







52. A frate Girolamo da Siena dei frati di santo Agostino Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissimo e carissimo padre e figlio in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio risovenendomi de la parola del nostro Salvatore, quando disse ai discepoli suoi: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi, prima che io muoia» (Lc 22,15).

Così dico io a voi, frate Girolamo, padre e figlio mio carissimo. E se mi dimandaste: «Che Pasqua desideri di fare con esso noi?», rispondovi: non c'è altra Pasqua se non quella dell'Agnello immacolato, quella medesima che fece egli di sé ai dolci discepoli. O Agnello dolce, arrostito al fuoco de la divina carità, a lo spedone della santissima croce! O cibo suavissimo, pieno di gaudio e di letizia e consolazione! In te non manca nulla, poiché all'anima che ti serve in verità tu gli sei fatto mensa cibo e servidore.

Bene vediamo che il Padre c'è una mensa, ed è letto dove l'anima si può riposare; vediamo lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, che ci s'è dato in cibo con tanto fuoco d'amore. Chi ce l'ha porto? Lo servidore dello Spirito santo: e per lo smisurato amore che egli ha non è contento che siamo serviti da altri, ma esso medesimo vuole essere lo servidore.



Or a questa mensa desidera dunque l'anima mia insiememente con voi di fare Pasqua prima che io muoia, poiché, passata la vita, non la potremmo fare. E sappiate, figlio mio, che a questa mensa ci conviene andare spogliati e vestiti: spogliati, dico, d'ogni amore proprio e piacimento del mondo, di negligenzia e tristizia e confusione di mente, poiché la disordenata tristizia disecca l'anima; ma dovianci vestire dell'ardentissima sua carità, e questo non possiamo avere se l'anima non apre l'occhio del cognoscimento di sé medesimo - che vega sé non essere, e però siamo operatori di quella cosa che non è, perché noi non siamo - e cognosciamo in noi la infinita bontà di Dio.

Quando l'anima raguarda lo suo Creatore e tanta infinita bontà quanta trova in lui, non può fare che non ami; e l'amore subito lo veste de le vere e reali virtù. Inanzi sceglierebbe la morte che fare cosa contraria a colui che egli ama, ma sempre cerca con sollicitudine di fare cosa che gli sia in piacere: subito ama ciò che egli ama e odia ciò che egli odia, poiché per amore egli è fatto un altro lui. Questo è quello amore che ci tolle ogni negligenzia e ignoranza e tristizia, poiché la memoria si leva a fare festa col Padre, ritenendo nella memoria sua i beneficii di Dio; lo intendimento col Figlio - e con sapienza e lume e cognoscimento conosce e ama la volontà di Dio -: leva subito l'amore e il desiderio suo e diventa amatore de la somma eterna Verità, in tanto che non può né vuole amare altro né desiderare se non Cristo Crocifisso; non gli diletta altro se non portare gli obrobii e le pene sue, e tanto gli diletta e gli piace che egli ha a sospetto ogni altra cosa. De le pene, de li scherni e persecuzioni del mondo o del demonio se le reputa gloria a sostenere per Cristo.

Accendete accendete lo fuoco del santo desiderio, raguardate l'Agnello dissanguato in su.legno de la santissima croce: in altro modo non potremmo mangiare a questa dolce e venerabile mensa. Fate che ne la cella dell'anima vostra stia sempre piantato e ritto l'arbolo de la santissima croce, poiché a questo arbolo cogliarete lo frutto de la vera obbedienzia, de la pazienza e profonda umilità; morrà in voi ogni piacimento e amore proprio; acquistarete la fame d'essere mangiatore e gustatore delle anime. E vedendo noi che, per fame de la salute nostra e de l'onore del Padre, egli s'è umiliato e dato sé medesimo all'obrobiosa morte de la croce, sì come pazzo ebbro e inamorato di noi, questa è la Pasqua che io desidero di fare con voi.

E perché aviamo detto che doviamo essere mangiatori e gustatori delle anime, questo desidera l'anima mia di vedere in voi, perché sete banditore de la parola di Dio. Voglio che siate uno vasello di carità pieno di fuoco d'ardentissima carità a portare lo dolce nome di Gesù, e seminare questa parola incarnata di Gesù nel campo dell'anima. Ma invitovi e voglio che ricogliendo lo seme, cioè facendo frutto ne le creature, voi lo riponiate ne l'onore del Padre eterno, cioè dando la gloria e l'onore a lui, perdendo ogni gloria e piacimento di noi medesimi; altrimenti saremmo ladri che furaremmo quello che è di Dio e daremmolo a noi. E credo che per la grazia di Dio questo non tocca a voi, ché certa mi pare essere che il primo movimento e principio è solo dell'onore di Dio e salute de la creatura.

E bene ci cade questo, spesse volte: alcuno piacere di voi ne la creatura; ma perché io voglio che siate perfetto e rendiate frutto di perfezione, non voglio che amiate nessuna creatura né in comune né in particulare se non solamente in Dio. Or intendete in che modo io dico, ché io so bene che voi amate in Dio e spiritualmente, ma alcune volte, o per poca avertenzia o perché la natura ve lo 'nchina - come avete voi -, ama spiritualmente e nell'amore piglia piacere e diletto, tanto che alcune volte la sensualità piglia la parte sua, pur col colore dello spirito.

E se mi diceste: «a che me ne posso avedere che ci sia questa imperfezione?»: quando voi vedeste che quella persona che è amata mancasse in alcuna cosa verso di voi, che non vi facesse motto secondo i modi usati o che vi paresse che amasse un altro più di voi, se allora vi cade uno sdegno e uno cotale mezzo pentimento, allentando l'amore che prima v'era, tenete di fermo che questo amore era ancora imperfetto. Che modo ci ha da farlo perfetto? Non vi do altro modo, figlio carissimo, se non quello che fu dato a una dalla prima Verità, dicendo: «Figlia mia carissima, io non voglio che tu facci come colui che trae lo vasello pieno d'acqua de la fonte e bevelo quando l’ha fuore, e così rimane votio e non se n'avede, ma voglio che, empiendo lo vasello dell'anima tua, facendoti una cosa, per amore e affetto, con colui che tu ami per amore di me, nol tragga punto di me, fonte d'acqua viva, ma tiene la creatura, che tu ami per amore di me, sì come vasello ne l'acqua: a questo modo non sarà votio, né tu né cui tu ami, ma sempre sarete pieni de la divina grazia del fuoco dell'ardentissima carità.» Allora non vi cadrà né sdegno né spiacimento veruno, poiché colui che ama - perché vedesse molti modi, o dilungare da la sua conversazione - mai non n'ha pena affliggitiva pur ched i vega e senta che viva co.le dolci e reali virtù, poiché l'amava per Dio e non per sé. Bene sentirebbe una santa picciola tenerezza quando si vedesse dilungare da quella cosa che ama. Or questa è la regola e il modo che io voglio che teniate, a ciò che siate perfetto e non imperfetto. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





53. A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legata nel legame della divina carità, lo quale legame tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in sul legno della santissima croce; poiché chiovo non era sufficiente a tenerlo se l'amore non l'avesse tenuto.

Questo è quello dolce legame che lega l'anima con Dio e falla essere una cosa con lui, poiché l'amore unisce. Oh dolce e amoroso amore che purifichi l'anima, e dissolvi la nuvola della propria passione sensitiva; e allumini l'occhio dell'intelletto, speculando nella Verità eterna; ed empi la memoria de le grazie e doni che l'anima riceve dal suo Creatore, unde diventa grata e conoscente dei beneficii ricevuti, e sazia l'anima di dolce e amoroso desiderio! Unde diceva lo santo profeta: «i sospiri mi sono uno cibo, e le lacrime beveraggio» (Ps 41,3 Ps 79,6). Chi lo faceva sospirare e piangere? l'amore, questo dolce e suave legame.

Perciò, carissima figlia, poiché egli è tanto dolce e di tanto diletto, ed ècci necessario, non è da dormire, ma è da levarsi con santo e vero desiderio e sollicitudine, e cercarlo virilmente. E se voi mi dimandaste: dove lo posso trovare?, io vi rispondo: nella casa del cognoscimento di voi, dove voi trovarete l'amore ineffabile che Dio v'ha, lo quale per amore vi creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e per amore vi recreò a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio. Trovando l'amore, e cognosciuto che voi l'avarete in voi medesima, non potrete fare che voi non l'amiate.

E questo sarà lo segno che voi abbiate trovato e conceputo amore: quando vi legarete col legame della carità nel prossimo vostro, amandolo e servendolo caritativamente; poiché quello bene e utilità che noi non possiamo fare a Dio, lo doviamo fare al prossimo nostro, portando con vera pazienza ogni fatica che noi ricevessimo da lui. E questo è lo segno che in verità amiamo lo nostro Creatore e che noi siamo legati in questo dolce legame; in altro modo non participaremmo la grazia, né potremmo tornare a quello fine per mezzo del quale noi fummo creati. E però vi dissi che io desideravo di vedervi legata nel legame della divina carità. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







54. A una monaca nel monastero di santa Agnesa di Montepulciano.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima e dilettissima figlia mia in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava del nostro Signore Gesù Cristo e dei suoi servi, ti conforto e benedico e scrivo a te nel prezioso sangue del Figlio di Dio, desiderando che tu sia vera sposa consecrata allo Sposo, adornata e vestita di virtù.



Sai, dilettissima mia figlia, che la sposa, quando va dinanzi allo sposo, s'adorna e si veste; e singularmente s'adorna e pone lo colore vermiglio per piacere allo sposo suo: così voglio che facci tu, che tu abbi in te lo vestimento della carità, senza lo quale vestimento non potresti andare alle nozze, ma sarebbe detta a te quella parola che disse Cristo di quello servo che era andato senza lo vestimento nuziale: che comandò ai servi suoi che fusse cacciato e mandato di fuore nelle tenebre (Mt 22,11-13).

Non voglio che questo divenga a te, dilettissima mia figlia, affinché, se tu fussi richiesta ad andare alle nozze, non voglio che tu sia trovata senza questo dolce vestimento. Anco voglio e comandoti che tu me l'adorni di fregiature, cioè della santa e veraobbedienza, essendo sempre osservatrice dell'ordine tuo, suddita e obbediente a madonna e a la più minima che v'è. Priva della virtù de l'umilità, la quale nutrerà in te la virtù della santa obbedienzia, riconoscendo i doni e le grazie che tu hai ricevuti da lui. Fa' che tu sia sposa fedele: e sai quando sarai fedele a lo Sposo tuo? Quando non amarai altro che lui. E però io non voglio che nel tuo cuore sia trovato altro che Dio, traendone ogni amore proprio e sensitivo dei parenti o di qualunque cosa sia, senza neuno timore o di vita o di morte; ma col cuore libero, vestita di questo santo vestimento, metteti nelle mani del tuo sposo eterno; e nella sua volontà ti mette, che ne faccia e disfaccia quello che sia suo onore e meglio di te. Altro non dico.

Permane etc. Gesù etc.





55. Al venerabile religioso don Guglielmo, priore generale dell'ordine di Certosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue del Figlio di Dio, considerando io che la memoria quando s'empie del sangue di Cristo Crocifisso, incontanente lo intelletto si vòlle a raguardare in essa memoria, dove egli trova lo sangue: vedevi lo fuoco della divina carità, amore inestimabile, intriso e impastato col sangue, poiché per amore fu sparto e donato a noi. La volontà va subito dietro all'intelletto, amando e desiderando quello che l'occhio dell'intelletto ha veduto; e però subito leva l'affetto e l'amore suo nell'amore di Cristo crocifisso, lo quale amore trova nel sangue, come detto è.

Allora l'anima s'anniega in esso sangue - cioè che anniega e uccide ogni sua perversa volontà sensitiva, la quale ribella spesso al suo Creatore -, e ogni amore proprio di sé medesimo gitta fuore di sé; e vestesi dell'eterna volontà di Dio, la quale volontà l'anima ha gustata e trovata nel sangue, poiché il sangue gli rapresenta che Dio non vuole altro che la sua santificazione - ché se egli avesse voluto altro, non averebbe Dio datoci lo Verbo dell'unigenito suo Figlio -, e però vede bene che ciò che Dio permette in questa vita all'uomo non permette per altro fine. Ogni cosa che ha essere, vede che procede da Dio; e però di nessuna cosa che aviene - né di tribulazioni né di tentazioni né ingiurie né strazii né villanie, né di verun'altra cosa che avvenire gli potesse - non si può né vuole turbare, ma è contento e àlle in grande reverenzia considerando ch'elle vengono da Dio, e date sono a noi per grazia di bene, per amore e non per odio.

Perciò non si può lagnare né die lagnarsi, perché si lagnarebbe del suo bene proprio; la quale cosa non è costume dell'anima vestita della dolce volontà di Dio, di lagnarsi di veruna cosa che avvenire gli potesse, se non solo dell'offesa di Dio: di questo si duole e die dolere, perché vede che è contro alla sua volontà. E però lo peccato è degno d'odio, perché non è in Dio e però è non nulla. Ogni altra cosa che in sé ha essere, è da Dio; e però l'anima innamorata di Cristo l'ama e ha in reverenzia.

Questa anima non vede sé per sé, ma vede sé per Dio, e Dio per Dio - in quanto è somma eterna bontà, degno d'essere amato -, e il prossimo per Dio e non per propria utilità. Questa non sceglie lo tempo né stato a suo modo, né fatica né consolazione, ma secondo che piace alla divina bontà riceve con affetto d'amore: in ogni cosa trova diletto, perché colui che ama non può trovare pena affliggitiva. Nelle battaglie gode; se egli è perseguitato dal mondo, egli si rallegra; se egli è suddito, con grande allegrezza e pazienza porta lo giogo dell'ubidienzia.

Se egli è prelato, con pazienza porta e sopporta i difetti dei suoi sudditi - cioè ogni persecuzione che ricevesse o ingratitudine che trovasse in loro verso di sé -; disponsi alla morte per divellere le spine dei vizii, sì come buono ortolano, e piantare le virtù nell'anime loro, facendo giustizia realmente, condita con la misericordia. Non si cura della pena sua, non schifa labore, ma con grande letizia porta; non vuole perdere lo tempo che egli ha per quello che non ha perché alcune volte vengono cotali cogitazioni e battaglie nel cuore: «Se tu non avesse questa angoscia e fatica della prelazione, potresti meglio avere Dio nella pace e quiete tua». E questo fa lo demonio - di ponerli innanzi lo tempo della pace - per farlo stare in continova guerra, ché colui che non pacifica la volontà sua nello stato che Dio gli ha dato sta sempre in pena, ed è incomportabile a sé medesimo; e così perde l'uno tempo e l'altro: ché non essercita lo tempo della prelazione, e quello della quiete non ha; e così abbandona lo presente e l'avenire.

Non è dunque da credere a la malizia sua, ma è da pigliare quello che egli ha, vigorosamente, sì come fa l'anima vestita della volontà di Dio detta di sopra, che sa navigare in ogni tempo - così nel tempo della fatica come in quello della consolazione - perché egli è spogliato dell'amore proprio di sé medesimo e d'ogni tenerezza e passione sensitiva - unde procede ogni male e ogni pena, ché avere quello che l'uomo non vuole, è una via unde esce la pena -, e vestito dell'eterna volontà di Dio e non della sua. Èssi fatto una cosa con lui; per affetto d'amore è fatto giudice dell'eterna volontà di Dio, vedendo giudicando e tenendo che Dio non vuole altro che la nostra santificazione - e però ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) perché fussimo santificati in lui, godendo e gustando l'eterna sua visione -, avendolo veduto e cognosciuto coll'occhio dell'intelletto nel sangue di Cristo crocifisso, che fu quel mezzo che ci manifestò la verità del Padre eterno.

O glorioso sangue che dai vita, che lo invisibile ci hai fatto visibile, manifestata ci hai la divina misericordia, lavando lo peccato della disobbedienzia con la obbedienzia del Verbo, unde è uscito lo sangue. Orsù, per l'amore di Cristo, bagnatevi, bagnatevi e state in continova vigilia e orazione, carissimo padre, vegghiando coll'occhio dell'intelletto nel sangue: allora vegghiarà, per fame e sollecitudine dell'onore di Dio e salute delle anime, sopra i sudditi vostri. A questo modo averete la continua orazione, cioè lo continovo santo desiderio: questo v'è necessario a voi per conservare la salute vostra nello stato che voi sete.

Poiché Dio v'ha posto nello stato della prelazione, non vi conviene essere negligente né timoroso; né ignorante andare con gli occhi chiusi. Però vi prego che siate affamato, imparando dall'Agnello dissanguato e consumato per voi: con tanto diletto e fame de l'onore del Padre e salute nostra corse alla obrobriosa morte della croce. Avete l'oggetto, dunque: ché Dio v'ha rapresentato e posto dinanzi lo Verbo dell'unigenito suo Figlio - il Figlio e il sangue - per togliere ogni timore e negligenzia e cecità d'ignoranza. E se voi dite: «Io sono ignorante e non cognosco bene me, non tanto che quello ch'io ho a fare per li sudditi», e io vi rispondo che, avendo fame de l'onore di Dio, quello che voi non aveste per voi Dio adopererà in voi - quello che bisognarà per salute dei sudditi vostri -. Abbiate pure fame e desiderio; e non veggio poiché questa fame si possa avere senza lo mezzo del sangue: e però vi dissi io ch'io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si perde l'amore della vita propria, di quello amore perverso che l'uomo ha a sé medesimo; lo quale amore non lassa fare giustizia per timore di non perdere lo stato, o per condiscendere e piacere più agli uomini che a Dio. Non lassa fare i prelati secondo la volontà di Dio né a buona conscienzia; ma secondo i piaceri e pareri umani si fanno: che è quella cosa che ha guastato e guasta l'Ordine, come è di non correggere e di fare i prelati non corretti, ma incorretti e indiscreti. Ché il gattivo prelato guasta i sudditi, sì come il buono gli raconcia; e tutto questo procede da l'amore proprio di sé.

Nel sangue di Cristo si perde questo amore; e acquistasi un amore ineffabile vedendo che per amore ci ha data la vita per ricomperare questo figlio adottivo de l'umana generazione. Quando si vede tanto amare, con l'amore trae l'amore, levando l'affetto e il desiderio suo ad amare quello che Dio ama, e odiare quello ch'egli odia. E perché vede che sommamente Dio ama la sua creatura che ha in sé ragione, però l'anima concepe un amore nella salute de l'anime che non pare che se ne possa saziare: odia i vizii e peccati, perché non sono in Dio; e ama le virtù in loro per onore di Dio. Per questo ne perde la negligenzia e doventa sollecito; e perde l'amore del corpo suo, e vuolsi dare a mille morti, se tanto bisogna; perde la cecità e ha riavuto lo lume, perché s'ha tolta la nuvola dell'amore proprio, e posto lo sole dell'amore divino dell'ardentissima carità, lo quale gli ha consumato in sé ogni ignoranza; e tutto questo ha tratto dal sangue.

Oh glorioso e prezioso sangue de l'umile e immacolato Agnello! Or quale sarà quello ignorante e duro che non pigli lo vasello del cuore, e con affetto d'amore non vada al costato di Cristo crocifisso, lo quale tiene e versa l'abondanzia del sangue? Dentro in sé troviamo Dio, cioè la natura divina unita con la natura umana; troviamo lo fuoco dell'amore che per la apritura del lato ci manifesta lo secreto del cuore, mostrando che con quelle pene finite non poteva tanto amore mostrare quanto lo desiderio e la volontà sua era maggiore, perché non era comparazione dalla pena finita sua all'amore infinito.

Or non tardiamo più, carissimo padre, ma con perfetta sollecitudine, questo ponto del tempo che Dio v'ha servato - e spezialmente ora che ne viene lo tempo del Capitolo, dove si veggono più i difetti - siate sollecito a punirgli, affinché il membro corrotto e guasto non guasti lo sano, facendone giustizia sempre con la misericordia. E non vi movete leggermente; ma vogliate cercare e investigare la verità per persone discrete e di buona conscienzia. E sempre, quello che avete a fare, fate con consiglio divino, cioè per la santa orazione, e poi col consiglio umano, che è pure divino, dei buoni e cari servi di Dio; e sempre vogliate vedervegli dallato, che sieno specchio di religione. E sopra tutte l'altre cose che io vi prego che attendiate si è di fare buoni priori che sieno persone virtuose e atte a reggiare, ché sono molti che sono buoni in loro, e non sono buoni a governare: e così guastano la religione; e per lo contrario si racconciano.

Quando trovate dei buoni, conservategli.

Non timore, per l'amore di Cristo crocifisso! Sono certa che se voi vi bagnarete nel sangue suo per affetto d'amore, e annegaretevi dentro ogni propria volontà, consumandola nella eterna volontà di Dio, la quale trovarrete nel sangue, voi farete questo e ogni altra cosa che bisognarà per voi e per loro. Altro non dico.

Perdonate alla mia ignoranza.

Rimanete nella santa etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



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19/10/2012 14:25

56. A frate Simone da Cortona dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio senza nome in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue dell'Agnello, a ciò che come ebbro corriate al campo della battaglia a combattere come cavaliere virile contro le demonia, contro al mondo e contro alla propria fragilità; col lume della santissima fede e con amore ineffabile, dilettandovi sempre della battaglia.

Ma sappiate che combattere e avere vittoria non potremmo fare, se non ci fusse lo lume della santissima fede; né lo lume potremmo avere, se dell'occhio dell'intelletto nostro non fusse tratta la terra d'ogni affetto terreno e gettata la nuvola dell'amore proprio di voi medesimo, poiché ella è quella perversa nuvola che in tutto ci tolle ogni lume, e spiritualmente e temporalmente. Temporalmente non ci lassa conoscere la fragilità nostra e la poca fermezza e stabilità del mondo; né quanto questa vita è vana e caduca; né gli inganni del demonio: quanto occultamente in queste cose transitorie egli ci inganna, e spesse volte sotto colore di virtù. Spiritualmente questa cecità non ci lassa conoscere né discernere la bontà di Dio; anco spesse volte quello che Dio ci dà per nostro bene noi ce il rechiamo per contrario.



E tutto questo ci adiviene perché nei misterii suoi noi non ne consideriamo l'affetto suo, né con quanto amore egli ce le dà, ma come ciechi non pigliamo altro che l'atto. Alcune volte permette Dio che noi siamo perseguitati dal mondo, e che ci sia fatta ingiuria da le creature, o postaci unaobbedienza dal prelato nostro; e noi non consideriamo la volontà di Dio, che lo fa per nostra santificazione, né giudichiamo la volontà sua, che per amore ci permette quello, ma giudichiamo la volontà delli uomini; e così veniamo spesse volte a dispiacere col prossimo nostro, e commettiamo molti difetti e ignoranza verso di Dio e di loro.

Chi n'è cagione? lo poco lume, poiché l'amore proprio ha ricuperta la pupilla dell'occhio della santissima fede. Se egli è nelle molestie che lo demonio ci dà, e questa cecità è allora ne l'occhio nostro, sì se ne riceve questo inganno, che, venendo le molte molestie e cogitazioni nel cuore per illusione del demonio, noi crediamo essere allora reprovati da Dio; e per questo verremmo a una confusione di mente unde noi lassaremmo l'essercizio dell'orazione, quasi non parendoci essere acetti a Dio, e verremmo a tedio, e saremmo incomportabili a noi medesimi. Unde per questo l'obedienzia ci sarà grave, e abbandonaremo la cella, e dilettarenci de la conversazione; e tutto questo ci adiviene, e molti altri inconvenienti, perché noi non aviamo gettata a terra la nuvola dell'amore proprio, né spiritualmente né temporalmente, e però non cognosciamo la verità e non ci dilettiamo ancora in croce con Cristo crocifisso. A questo modo non saremmo cavalieri virili, a combattere contro i nemici nostri per Cristo crocifisso, ma saremmo timidi e l'ombra nostra ci farebbe paura.

Che dunque c'è bisogno? ècci bisogno lo sangue, nel quale sangue di Cristo trovaremo una speranza ferma che ci tollarà ogni timore servile, e trovaremo la fede viva, gustando che Dio non vuole altro che lo nostro bene; e però ci dé lo Verbo dell'unigenito suo Figlio; e il Figlio ci dié la vita per rendarci la vita, e del sangue ci fece bagno per lavare la lebbra de le nostre iniquità. Per questo l'anima conosce e tiene con fede viva che Dio non permettarà alle demonia che ci molestino più che noi possiamo portare, né al mondo che ci triboli più che siamo atti a ricevere, né al prelato che c'imponga maggioreobbedienza che noi possiamo portare.

Con questo dolce e glorioso lume non verrete a tedio né a confusione per alcuna battaglia, e non vi dilungarete da la cella, né corrirete a la conversazione delle creature, ma abracciarete la croce e non gittarete a terra l'arme dell'orazione, né degli altri essercizii spirituali; anco, umiliandovi al vostro Creatore, offerrete umili e continue orazioni, e - nel tempo della battaglia e nel tempo della quiete e in ogni tempo che si sia - non allentarete i passi; ma con sollicitudine e senza negligenzia o confusione servirete a Dio, e osservarete l'ordine vostro in verità. Chi ne sarà cagione? lo lume della santissima fede, la quale trovaste nel sangue. Chi è cagione del lume? l'amore dell'affocata carità che trovaste nel sangue, ché per amore questo dolce e amoroso Verbo corse all'oprobiosa morte de la croce.

E perché lo caldo del divino amore, che trovaste nel sangue, distrusse e consumò le tenebre dell'amore proprio che obumbrava l'occhio che non vedeva, però ora vede, e vedendo ama, e amando teme Dio e serve al prossimo suo; ed è fatto cavaliere virile e combatte con lo scudo della fede (Ep 6,16) e con l'arme della carità, che è uno coltello di due tagli (He 4,12 Ap 1,16), cioè odio e amore: amore delle virtù e odio del vizio e della propria passione sensitiva. E sì come inamorato si diletta in croce e d'acquistare con pena le virtù, cercando con affetto d'amore l'onore di Dio e la salute delle anime. Dove ha trovato questo desiderio? nel sangue. In altro modo nol potreste avere, e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso. E dicovi che allotta voi avarete nome e io ritrovarò lo figlio. Or vi bagnate e annegate nel sangue, senza tedio e senza confusione. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Neri gattivo, mio negligente figlio, vi si racomanda, e io ve ne strengo che preghiate Dio che gli tolga tanta negligenzia. Gesù dolce, Gesù amore.

Racomandateci a frate Tomaso d'Antonio e a tutti gl'altri figli.







57. Al sopradetto misser Matteo, rettore della Casa della Misericordia in Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi specchio di virtù, affinché in verità rendiate gloria e loda al nome di Dio; e affinché facciate utilità prima a voi medesimo e poi al prossimo vostro, e sì con essemplo di santa e onesta vita e con la dottrina della parola, e sì con umili e continove e fedeli orazioni.

Pensate che questo è il debito che Dio richiede da voi: non vuole altro che il fiore de la gloria e loda al nome suo; e vostro vuole che sia lo frutto e l'utilità. Perciò virilmente rispondiamo a tanto amore; e perché a lui non possiamo fare alcuna utilità, voltianci sopra quello che vediamo che egli molto ama, cioè il prossimo nostro: qui si ponga ogni nostra sollecitudine; e altro non cerchiamo che di mangiare anime per onore di Dio.

E dove andaremo per mangiare questo dolce cibo? A la mensa della santissima croce, dilettandoci di sostenere pene e tormenti, ingiurie scherni e rimproveri per potere mangiare questo glorioso cibo. Ma non vego che il potessimo pigliare se prima in noi non acquistiamo le vere e reali virtù. E però vi dissi che io desideravo di vedervi specchio di virtù; e così vi prego che v'ingegniate d'essere. Non dico più qui.

Mandovi uno privilegio con bolla papale di indulgenzie che io ho accattate a settanta sette persone etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







58. A sorella Cristofana priora del monisterio di santa Agnesa in Montepulciano.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere te e l'altre seguire le vestigie della madre vostra santa Agnesa gloriosa; e di questo vi prego e voglio, che la dottrina e modi suoi voi seguitiate.

Sapete che sempre vi dié dottrina ed essempro di vera umilità: questa fu quella propria virtù principale che fu in lei. Non me ne maraviglio, però ch'ella ebbe quello che deve avere la sposa che vuole seguire l'umilità dello sposo suo. Ella ebbe quella carità increata che continuamente ardeva e consumava nel cuor suo; ella era mangiatrice e gustatrice de l'anime; sempre studiava la vigilia de l'orazione: non arebbe avuto in altro modo la virtù de l'umilità, poiché non è umilità senza carità, ché l'una nutre l'altra.

Sapete quale è la cagione che la fece venire a perfetta e reale virtù? Lo libero spogliamento volontario, che la fece rinunziare a sé e a la sustanzia del mondo, non volendo possedere nulla. Ben s'avide quella gloriosa vergine che il possedere la sustanzia temporale fa venire l'uomo a superbia: perdene la virtù piccola della vera umilità; viene ad amore proprio; manca ne l'affetto della carità; perde la vigilia e l'orazione, poiché il cuore e l'affetto che è pieno della terra e d'amore proprio di sé medesimo, non si può empire di Cristo crocifisso, né gustare vere e dolci orazioni. Sì che, avedendosene, Agnesa dolce spogliasi di sé medesima e vestesi di Cristo crocifisso; e non tanto ella, ma questo medesimo lassa a voi, e così v'obliga e voi dovete tenere.

Sapete bene che voi, spose consacrate a Cristo, non dovete possedere quello del padre, poi che sete andate a lo Sposo, ma tenere e possedere quello dello Sposo eterno. Quello del padre vostro è la propria sensualità, la quale doviamo abandonare; venuto lo tempo della discrezione die seguire lo Sposo e possedere lo tesoro suo. Quale fu lo tesoro di Cristo crocifisso? Fu croce, obrobrio, pena, tormento, strazii, scherni e rimproverio, povertà volontaria, fame de l'onore del Padre e della salute nostra. Dico che se voi possedarete questo tesoro con la forza della ragione mosso dal fuoco della carità, voi perverrete a quelle virtù che dette avesseamo; sarete figlie vere alla madre, e spose solicite e non negligenti; e meritarete d'essere ricevute da Cristo crocifisso: per la grazia sua apriravi la porta della vita durabile. Non dico più.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso; levatevi su con vera sollicitudine e unione. Se sarete legate e non divise, non sarà né demonio né creatura che vi possa nuociare, né tollarvi la vostra perfezione.



Rimanete etc. Gesù dolce etc.







59. A sere Pietro prete da Semignano di montagna del contado di Siena, lo quale aveva odio con uno altro prete.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Padre carissimo per reverenzia di quello sacramento lo quale avete da amministrare, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vasello d'elezione a portare lo nome di Cristo, e con affetto e desiderio essercitare la vita vostra in pacificarvi col vostro Creatore, e la creatura con la creatura, poiché il dovete fare, e sete tenuto di farlo. Credo che, se nol farete, voi ricevarete grandissima e dura reprensione da Dio.

Siate, siate specchio di virtù; raguardate la vostra dignità, poiché Dio per sua misericordia v'ha posto in tanta eccellenza quanta è d'avere da amministrare lo fuoco de la divina carità, cioè lo corpo e il sangue di Cristo crocifisso: pensate, pensate che la natura angelica non ha tanta dignità. Vedete che nel vasello dell'anima vostra egli ha messa la parola sua; bene vedete che favellando in persona di Cristo voi avete autorità di consecrare quello dolcissimo sacramento: convienvela portare con grandissimo fuoco d'amore e purezza di mente e di corpo, e col cuore pacifico, traendo ogni rancore e odio dell'anima vostra.

Oimé, oimé, dove è la purezza dei amministri del Figlio di Dio? Pensate che come voi richiedete la nettezza del calice per portare all'altare, che se fusse lordo nol vorreste, così pensate che Dio, somma ed eterna Verità, richiede l'anima vostra pura e netta da ogni macchia di peccato mortale, singularmente del peccato de la immondizia. Oimé, disaventurata l'anima mia! Al dì d'oggi si vede tutto lo contrario di questa purezza la quale Dio richiede: non tanto che essi siano tempio di Dio e portino lo fuoco de la parola sua (Lc 12,49), ma essi sono fatti stalla, luogo di porci e d'altri animali, portandovi lo fuoco dell'ira odio e rancore e mala voglienza ne la casa dell'anima sua; egli tiene ad albergare i porci, cioè una immondizia che continuamente vi s'involle dentro, sì come lo porco nel loto. Oimé, che grande confusione è questa di vedere che gli onti di Cristo si diano a tanta miseria e iniquità: non hanno in reverenzia la creazione - ché sono creati a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26) -, né il sangue del quale sono ricomprati, né la dignità che essi hanno del sacramento dato a loro per grazia e non per debito. Oimé, padre carissimo, aprite l'occhio del cognoscimento, e non dormite più in tanta miseria.

Non mirate perché Dio faccia ora vista di non vedere, ché quando verrà lo punto de la morte, la quale neuno può schifare, egli mostrarà bene che egli abbi veduto: allora se n'avederà l'uomo che ogni colpa sarà punita e ogni bene remunerato. Questo non pensano gli stolti, che non veggono che Dio è sopra di loro; e io vi dico che Dio vede lo intrinseco del cuore: bene ci possiamo nascondere all'occhio de la creatura, ma non a quello del Creatore.



Doimé! or siamo noi bestie o animali? Veramente io m'avveggio di sì: non in quanto a la creazione e all'essere che Dio ci ha dato, ma secondo la mala disposizione nostra, ché, senza veruno freno di ragione, noi ci lassiamo guidare a questa parte sensitiva; andialle dietro, dilettandoci de le brutte e vane delettazioni; andiamo scorrendo per le delizie del mondo, enfiati di superbia. E tanto inalza la superbia lo cuore de lo stolto, che si lassa possedere a lei, e non si vuole umiliare né a Dio né a la creatura; alcune volte gli sarà fatta ingiuria o di morte o d'altre cose corporali, e per la superbia sua non si vuole umiliare a perdonare al suo nemico, ma bene vuole che le grandissime colpe e ingiurie che egli ha fatte a Dio gli siano perdonate. Ma egli è ingannato, ché con quella misura che egli misura ad altrui, sarà misurato a lui.

Non voglio, che siate di questi cotali voi; ma voglio che virilmente voi siate vasello pieno d'amore e di carità, e d'affetto di carità. Maravigliomi molto che uno vostro pari possa tenere odio, avendovi Dio tratto del secolo, e fatto angelo terrestro in questa vita per la virtù del sacramento; e voi per lo vostro defetto v'invollete nel secolo: non so in che modo voi vi recate a celebrare. Dicovi che, se permaneste ostinato nell'odio e negli altri vostri defetti, dovete aspettare lo divino giudicio che verrebbe sopra di voi.

Io vi dico: non più tanta iniquità! Correggete la vita vostra; pensate che dovete morire e non sapete quando.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso: non dubbito che, se raguardarete lo sangue di questo Agnello, voi spogliarete lo cuore e l'affetto d'ogni miseria, e singularmente dell'odio. Questo v'adimando per grazia e per misericordia; voglio che facciate questa pace. Or che confusione è a vedere due sacerdoti stare in odio mortale! Grande miracolo è che Dio non comanda a la terra che v'inghiottisca amendue. Orsù virilmente, mentre che sete nel tempo di potere ricevere misericordia ricorrite a Cristo crocifisso, che vi riceverà benignamente purché voi vogliate.

E pensate che se nol faceste caderebbe sopra voi quella sentenzia che fu data a quello servo iniquo, lo quale aveva ricevuta tanta misericordia dil grande debito che aveva col signore, e poi al servo suo non volse lasciare una picciola quantità, ma mettevaselo sotto i piedi, e volevalo strangolare; sapendolo, lo signore giustamente revocò la misericordia che gli aveva fatta, e fecene giustizia, comandando ai servi suoi che gli leghino le mani e i piedi, e sia messo ne le tenebre di fuore (Mt 18,23-34). Non pensate che la divina bontà dolce del buono Gesù ponesse questa similitudine se non per coloro che stanno in odio con Dio e col prossimo loro. Non voglio che aspettiate più questa reprensione, ma voglio che la misericordia che avete ricevuta e ricevete voi la participiate col nemico vostro; e in altro modo non potreste participare la grazia di Dio: sareste privato de la visione sua. Non dico più. Rispondetemi de la vostra intenzione e volontà.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





60. A uno secolare lo nome del quale io non so.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con disiderio di vedervi vero servo di Gesù Cristo, osservatore dei suoi comandamenti; dei quali comandamenti neuno ne può avere la vita della grazia se non n'è adempitore.

Perciò, carissimo fratello, voglio che voi upriate l'occhio del conoscimento di voi medesimo a conosciare voi non essere, ma sempre operatore di quella cosa che non è, cioè del peccato. E vedendo l'uomo che non è da sé veruna cosa, è tutto aumiliato, conoscendo lo beneficio del benefattore; e tanto cresce in amore - conoscendo in sé adoparare la grande bontà di Dio - che eligiarebbe inanzi la morte che trapassare il comandamento del suo dolcissimo Creatore. Questo tremore santo ci fa venire a grandissimo amore; e questo amore traemo della fonte del sangue del Figlio di Dio, il quale fu sparto per nostra redenzione, solo per lavare la colpa comessa del peccato. O quanto terribile cosa è il peccato, e spiacevole a Dio, poi che non l'ha lassato impunito, anco n'ha fatto giustizia e vendetta sopra lo corpo suo. Ben sarebbe misero miserabile colui che non voglia fare vendetta del peccato.

Perciò vi prego, carissimo e dolcissimo fratello, che pigliate queste due ali che vi faranno osservare i comandamenti di Dio - e, gionto ai comandamenti, vi faranno volare a la vita durabile -: cioè odio e pentimento del peccato e amore propio di sé medesimo - del quale nasce ogni vizio -, ed essere amatore de la virtù. E perché vede che la virtù gli è necessaria, però l'ama: vede che Dio vole che esso sia amatore della virtù e spregiatore del vizio. O quanto vi sarà dolce avere questa virtù, la quale vi priva della servitudine del demonio e donavi libertà, tollevi la morte e donavi la vita, tollevi le tenebre e donavi la luce; e per lo contrario il peccato conduce l'uomo in ogni miseria.

Ben è da solicitare e non comettare più negligenzia, questo ponto del tempo che ci è rimaso, per voi e per tutta la vostra famiglia, con una solecitudine santa. Pregovi per amore di Cristo crocifisso che l'occhio dell'anima vostra sia dirizzato, con ogni vostra opera, verso Dio. O quanto diletto e gaudio sentirà l'anima vostra, quando verrà lo tempo che sarà richiesta dalla prima Verità, sentendosi la compagnia delle virtù, appogiato al bastone della santissima croce, dov'egli ha acquistati i santi comandamenti di Dio! E udirà nel fine suo quella dolce parola: «Viene, benedetto, e figlio mio, a possedere lo reame del cielo, poiché tu con solecitudine hai tratto l'affetto e il disiderio della conformità del secolo; e notricasti e alevasti la famiglia tua con timore santo di me. Ora ti dono perfetto riposo, però ch'io sono rimuneratore di tutte le vostre fatiche che per me avete sostenute».

Or non diciamo più, fratello mio carissimo, se non ch'io prego la prima eterna Verità che vi riempia de la sua eterna e dolcissima grazia, e che vi cresca di virtù in virtù in tanto che vi disponiate a dare la vita per lui.

Rimanete etc. Gesù etc.





61. A monna Agnesa, donna che fu di missere Orso Malavolti.

Laudato sia lo nostro dolce Salvatore.

A voi, carissima e dilettissima figlia monna Agnesa e figlie, io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, scrivo a voi con amore e desiderio, risovenendomi della parola che disse Cristo (Lc 22,15): con desiderio ho desiderato di vedervi unite e trasformate in quello consumato e ardentissimo amore, sì come fece quella appostola inamorata Magdalena; che tanto fu quello ardentissimo amore, che non curò nessuna cosa creata.

O dilettissime figlie mie, imparate da questa vergine santa Agnesa, cioè della santa vera umilità, ché sempre volse avilire sé medesima, somettendosi a ogni creatura, retribuendo ogni grazia e virtù avere da Dio: così conservava in sé la virtù dell'umilità. Dico ch'ella arse de la virtù de la carità, sempre cercando l'onore di Dio e la salute de le creature, dando sempre sé medesima nell'orazione con una carità liberale, larga ad ogni creatura, e così dimostrava l'amore che aveva al suo Creatore. L'altra fu la continua sollecitudine e perseveranza che ella ebbe, che mai non lassò né per dimonia né per creature.

O dolcissima vergine, come t'acordasti con quella discepola inamorata Magdalena! Ché se vedete, dilettissime figlie, Magdalena s'aumiliò e cognobbe sé medesima: con tanto amore si riposò ai piedi del nostro dolce salvatore! (Lc 7,38 Jn 11,2 Jn 12,3) E se noi diciamo che ella gli mostrasse amore, ben lo vediamo a quella croce santa, ché ella non temé giuderi, non temé di sé medesima, ma, come spasimata, ella corre ed abraccia la croce. Non è dubbio che, per vedere lo maestro suo, ella allaga di sangue. Or t'inebria amore, Magdalena! In segno che ella è inebriata del maestro suo, ella lo dimostra ne le creature sue, e questo fece depo' la santa resurrezione, quando ella predicò ne la città di Marsilia. Anco dico ch'ella ebbe la virtù de la perseveranza. Questo mostrasti, dolcissima Magdalena, quando, cercando lo tuo dolcissimo maestro, non trovandolo nel luogo due l'avevi riposto (Jn 20,11-15), o Magdalena amore, tu impazzisca, poiché tu non avevi cuore, ched egli era riposto col tuo dolcissimo maestro e salvatore nostro dolce! Ma tu ne pigliasti buono penso per trovare lo tuo dolce Gesù: tu persevari, e non poni termine al tuo grandissimo dolore. O quanto fai bene, poiché tu vedi che la perseveranza è quella che ti fa trovare lo tuo maestro! Or vedete, carissime mie sorella, come queste due dilettissime madri e sorella s'acordâro insieme: io prego e vi comando che voi entriate in questo santissimo mezzo, poiché, stando in questo mezzo santo, da qualunque parte voi trovarete virtù; legate sarete, sì che non potrete fuggire che non siate legate. E singularmente comando a voi, monna Agnesa, figlia mia, che voi vi leghiate a questa vergine santa Agnesa. Confortate e benedite, da parte di Cristo e da mia, monna Raniera e tutte l'altre mie figlie.

Benedicetemi e confortate Caterina di Ghetto mille volte da mia parte - da parte d'Alessa e mia -, e tutte l'altre. Sappiate che ci viene voglia di dire: «Faciamo qui tre tabernacoli!» (Mt 17,4 Mc 9,5 Lc 9,33), ché veramente ci pare lo paradiso con queste santissime vergini; e son sì inebriate di noi che non ci lassano partire e piangono sempre la partenzia.

Avemmo la vostra lettara. Benedite la figlia mia Caterina; ditele ch'ella preghi Dio che la riempia di virtù, affinché sia degna da essere di queste sante donne. Confortatevi tutte da parte di Gesù Cristo crocifisso, e da parte de la donna e sposa novella.

Io Cecca sono presso che monaca, ché comincio a cantare di forza l'offizio con queste serve di Gesù Cristo.



62. A Sano di Maco e agli altri figli.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servi fedeli al nostro dolce salvatore, lo quale servire non è essere servo, ma è regnare.

E servo senza fede non può essere in verità, poiché, se egli è servo e non è fedele, è mercennaio - ché serve per proprio rispetto di sua utilità -, o è servo per timore servile. E perché questo servire non è perfetto col lume della fede, però non è forte né perseverante, ma per ogni vento va a vela. Se egli è vento di consolazione, egli si muove con leggerezza di cuore; e se egli è vento di tribulazione, si muove con impazienzia; e se egli è vento di battaglie e molestie del demonio, egli intepidisce, e ponsi a sedere nel tedio con tristizia di cuore, parendoli essere privato di Dio quando si vede privato della consolazione e sentimento della mente sua. Tutto questo gli adiviene perché egli ama più lo dono che lo donatore delle grazie, e perché serve più per rispetto di sé che per rispetto della somma ed eterna bontà di Dio. Unde, come è imperfetto l'amore, così è imperfetto lo lume della fede.

Ma colui che perfettamente ama, fedelmente serve, e con fede viva; e crede in verità che ciò che Dio dà e permette, lo dà per sua santificazione, poiché egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva (Ez 33,11 2P 3,9). E ha veduto - col lume della santissima fede - che, con quello medesimo amore che egli ci permette le grandi consolazioni, ci permette che lo demonio ci molesti nella mente nostra, e le creature ci perseguitino. Unde vediamo che Dio è sommamente buono, e di lui non può uscire altro che somma bontà; e vediamo che nessuna cosa è fatta senza Dio, se non solamente lo peccato. E però l'anima fedele abraccia ogni cosa con amore, e perché ogni cosa è buono e dato per nostra salute, non si può dolere né debba dolere del suo bene.

E se voi mi diceste, carissimi figli: «Nel tempo delle battaglie i ci pare essere ribelli, e offendere Dio, e però ci doliamo più che della pena», io vi rispondo che egli è altretanto la propria sensualità spirituale che si duole quanto altro. E questa passione, sotto timore d'offendere Dio, ha posto un poca di polvere nell'occhio dell'intelletto - dove sta la pupilla della santissima fede -, che non lassa conoscere né discernere la verità; poiché se dinanzi all'occhio dell'intelletto suo non fusse alcuna cosa, cognosciarebbe che Dio le dà a misura.



E debba bene vedere che nessuna battaglia né molestia dal demonio o da la fragile carne non è peccato, né per questo offende lo suo Creatore, se non quando la propria volontà consente alle cogitazioni del cuore.

Ma l'anima che è serva fedele, cioè col lume della santissima fede, fa i grandi guadagni nel tempo delle battaglie; e fa lo vero fondamento, partendosi da l'amore proprio mercennaio; e diventa lo cuore e l'affetto schietto e liberale. Nel tempo delle battaglie si fa la grande guerra con sé medesimo; e da la guerra e da l'odio santo che ha conceputo, è fatto paziente, come servo fedele. E sempre si diletta di stare in battaglia per Cristo crocifisso; e cresce in amore, riconoscendo la santa e buona volontà sua non da sé, ma da la somma ed eterna bontà di Dio, che per grazia e non per debito gli l'ha data.

Oh glorioso servire fedele, che privi l'anima della perversa servitudine del demonio, del mondo, e di sé medesimo! Egli è liberato del demonio, perché ha legata la volontà col legame della ragione che non consente alle molestie sue, né per sue pene lassa venire l'anima a disordenata confusione; ma fassi beffe di lui, dilettandosi di stare nel campo della battaglia. Unde lo demonio è legato e fragellato col bastone della carità, ed è legato col legame della vera umilità, sì che l'uomo è fatto signore, e non teme lo demonio; ma lo demonio teme lui, per Cristo crocifisso per cui ogni cosa può.

Dico che è fatto libero e signore del mondo, poiché non si lassa signoreggiare alle delizie e grandezze sue con disordenato affetto; anco n'è fatto signore, spregiandole e facendosi beffe di loro, poiché ha veduto e cognosciuto - col lume della santissima fede - che la ricchezza del mondo è somma povertà, e i suoi diletti e piaceri sono miserabili sopra ogni miseria e spiacevoli; e in tanto gli paiono spiacevoli, che gli spregia come serpente velenoso. E non è servo delli uomini fuore della volontà di Dio, poiché non si vuole conformare con la volontà loro se non in quanto ella fusse ordenata in cercare e amare la verità eterna. E perché l'ama e il serve? perché ha veduto col lume dolce che lo prossimo suo è quello mezzo che Dio gli ha posto perché manifesti l'amore suo sopra di lui; e questo servire lo fa bene libero poiché non serve lo prossimo con colpa di peccato. Dico che è fedele e libero, e non servo della propria sensualità, la quale ha conculcata coi piei dell'affetto, ribellandole e percotendola col coltello de l'odio e dell'amore, cioè amore della virtù e odio del vizio. Bene è Perciò fatto re e signore con questa dolce servitudine, poiché non ha cercato sé per sé, ma sé per Dio; e Dio per Dio perché è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato e servito da noi; e il prossimo per Dio, e non per rispetto di propria utilità.

Quale lingua sarebbe sufficiente a narrare la pace dell'anima fedele? Non che stia in pace che ella sia privata dell'onde e delle tempeste del mare; ma sta in pace la volontà sua, perché ella è fatta una cosa con la dolce volontà di Dio, unde la tempesta l'è quiete, perché non cura di sé. Serva egli lo suo Creatore, vuole in guerra vuole in pace (e tanto tiene cara la guerra, quanto la pace, e la pace quanto la guerra, poiché col lume della fede vidde, e col vedere cognobbe, che da uno medesimo amore procedeva l'uno e l'altro): questi mai non si scandalizza nel prossimo suo, poiché non è fatto giudice de la volontà dell’uomo, ma solamente della volontà di Dio, e però è privato della mormorazione.

La quale cosa io non credo che anco sia in voi, né questa perfezione; ma spesse volte sotto colore di bene e di compassione mormorate e giudicate l'uno l'altro; la quale cosa non è senza offesa di Dio: spiacevole è a lui e a me fortissimamente. Non v'è data questa dottrina, ma che voi v'amiate insieme portando e sopportando i difetti l'uno dell'altro: neuno è senza difetto; solo Dio è senza difetto alcuno. Tutto questo v'adiviene perché non siete fatti ancora servi fedeli: poiché se fuste servi fedeli, né beffe né mormorazione né scandalo né disobbedienza in voi non sarebbe, né per gioco né per ira. Unde io considerando la vostra imperfezione, e che la imperfezione nostra viene perché lo lume della santissima fede non è perfetto in noi, però dissi che io desideravo di vedervi servi fedeli; lo quale servire vi farà regnare in questa vita per grazia, e signoreggiarete lo mondo la carne ed lo demonio; e fatti liberi, sarete legati nel legame della carità, umili e mansueti, e con vera e santa pazienza; e ne l'ultimo regnarete coi veri e dolci gustatori nella vita durabile, dove l'anima è remunerata d'ogni fatica. Ine è sazietà senza fastidio e fame senza pena, poiché di lunga è la pena da la fame e il fastidio dalla satietà.



Or su, figli dolcissimi, corrite questo palio; e fate che solo sia uno quelli che l'abbi, cioè che lo cuore vostro non sia diviso, ma sia una medesima cosa col prossimo vostro per affetto d'amore. E a ciò che meglio potiate corrire, saziatevi e inebriatevi del sangue di Cristo crocifisso, lo quale sangue invita l'uomo a corrire e fallo inanimato a combattere; e non refiuta labore voltando lo capo adietro per paura dei nemici suoi, perché egli non si confida in sé, ma nel sangue di Cristo crocifisso. Perciò non dormite, ma corrite al sangue, destandovi dal sonno della negligenzia. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 14:28

63. A missere Matteo rettore della Casa della Misericordia in Siena.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi portatore dei pesi delle creature - per affetto e desiderio de l'onore di Dio e salute loro -, e pastore vero, che con sollecitudine governiate le pecorelle che vi sono commesse o fussero messe fra le mani, affinché il lupo infernale non le portasse; poiché se ci cometeste negligenzia vi sarebbe poi richiesto.

Ora è tempo di mostrare chi ha fame o no, e chi si sente dei morti che noi vediamo giacere privati della vita della grazia: sollecitate virilmente, e con vero cognoscimento, e con umili e continove orazioni fino alla morte. Sapete che questa è la via a volere cognosciare ed essere sposo della verità eterna, e verun'altra ce n'è; e guardate che voi non schifiate fatiche, ma con allegrezza le ricevete - facendove-lo' a riscontro per santo desiderio -, dicendo: «Voi siate le molto ben venute», e dicendo: «Quanta grazia mi fa lo mio Creatore, che egli mi facci sostenere e patire per gloria e loda del nome suo!». Facendo così l'amaritudine vi sarà dolcezza e refrigerio, offerendo lacrime, con dolci sospiri per ansietato desiderio, per le miserabili pecorelle che stanno nelle mani delle demonia: allora i sospiri vi saranno cibo, e le lacrime bevaraggio (Ps 41,3 Ps 79,6). Non terminate la vita vostra in altro, dilettandovi e riposandovi in croce con Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

HO inteso che avete avuto e avete grandissimo male, per la qual cosa ho avuto desiderio di ritrovarmi con voi: non m'è ora possibile, ma ritrovaròmi per continova orazione. Non voglio in veruno modo del mondo che avesseate più male, affinché meglio potiate portare; e fate - ché io vi comando - che voi non stiate ora a fare penitenza per veruno modo, ma pigliate ogni conforto che potete. Non dico più qui. Giovanni povero è venuto a me etc.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce etc.





64. A frate Guiglielmo d'Inghilterra dei Frati eremiti di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero lume, poiché senza lo lume non potremmo andare per la via de la verità, ma andaremmo in tenebre.

Due lumi ci sono necessarii d'avere: lo primo è che noi siamo alluminati in conoscere le cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come lo vento. Ma non si conosce bene questo se noi non cognosciamo la propria nostra fragilità quanto ella è inchinevole - con la legge perversa che è legata ne le membra nostre -, a ribellare al suo Creatore. Questo lume è necessario a ogni creatura che ha in sé ragione, in qualunque stato si sia, se vuole avere la divina grazia e participare lo frutto del sangue de lo immacolato Agnello: questo è lo lume comune, cioè che comunemente ogni persona lo debba avere, poiché chi non l'ha, sta in stato di dannazione. E questa è la cagione che egli non è in stato di grazia non avendo lo lume: che chi non conosce lo male de la colpa e chi n'è cagione, nol può schifare, né odiare la cagione. Così chi non conosce lo bene e la cagione del bene, cioè la virtù, non può amare né desiderare esso bene.

Poi che l'anima è venuta e ha acquistato lo lume generale, non debba stare contenta; anco debba con ogni sollicitudine andare al lume perfetto, perocché essendo prima imperfetti che perfetti, col lume si vuole andare a la perfezione. Due maniere di perfetti sono in questo perfetto lume: ciò sono alcuni che perfettamente si danno a gastigare lo corpo loro facendo aspra e grandissima penetenzia; e a ciò che la sensualità non ribelli a la ragione, tutto hanno posto lo desiderio loro più in mortificare lo corpo che in uccidere la propria volontà. Costoro si pascono a la mensa de la penetenzia, e sono buoni e perfetti; ma se essi non hanno una grande umilità, e tutti conformati a essere giudici de la volontà di Dio e non di quella de li uomini, spesse volte offendono la loro perfezione facendosi giudicatori di coloro che non vanno per quella medesima via che vanno ellino. E questo l'adiviene perché hanno posto più studio e desiderio in mortificare lo corpo che in uccidere la propria volontà.

Questi cotali sempre vogliono scegliere i tempi i luoghi e le consolazioni de la mente a loro modo, e anco le tribolazioni del mondo e le battaglie del demonio, dicendo per inganno di loro medesimi, ingannati da la propria volontà, la quale si chiama volontà spirituale: «Io vorrei questa consolazione, e non queste battaglie né molestie del demonio; non già per me, ma per più piacere e avere Dio: perché meglio me il pare avere in questo modo che in quello». E per questo modo spesse volte cade in pena e in tedio, e diventane incomportabile a sé medesimo, e così offende lo suo stato perfetto. E giàcevi dentro l'odore de la superbia, e non se n'avede; poiché, se egli fusse veramente umile e non presuntuoso, vederebbe bene che la prima dolce Verità dà lo stato, lo tempo ed lo luogo, e consolazione e tribulazione, secondo che è necessità a la salute nostra e a compire la perfezione nell'anima, a la quale è eletto.

E vederebbe che ogni cosa dà per amore; e con amore e con reverenzia debba ricevere ogni cosa, sì come fanno i secondi, che sono in questo dolce e glorioso lume, i quali sono perfetti in ogni stato che sono, e in ciò che Dio permette a loro. Ogni cosa hanno in debita reverenzia, reputandosi degni de le pene e scandali del mondo, e d'essere privati de le loro consolazioni; e come si reputano degni de le pene, così si reputano indegni del frutto che segue doppo la pena. Costoro nel lume hanno cognosciuta e gustata l'eterna volontà di Dio, la quale non vuole altro che lo nostro bene, e che siamo santificati in lui: e però le dà. E poiché l'anima l'ha cognosciuta, sì se n'è vestita, e non attende ad altro se non a vedere in che modo possa conservare e crescere lo stato perfetto suo per gloria e loda del nome di Dio. Apre l'occhio dell'intelletto ne l'obiettivo suo, Cristo crocifisso, lo quale è regola via e dottrina ai perfetti e a li imperfetti; e vede che lo inamorato Agnello gli dà dottrina di perfezione, e vedendola se ne inamora.

La perfezione è questa: che lo Verbo del Figlio di Dio si notricò a la mensa del santo desiderio de l'onore del Padre e salute nostra, e con questo desiderio corre con grande sollicitudine all'obrobriosa morte de la croce, non schifando fatica né labore, né ritraendosi per nostra ingratitudine e ignoranza di non conoscere lo beneficio suo, né per persecuzione dei Giudei, né per persecuzioni del demonio o dal mondo, né per scherni e villania e mormorazioni del popolo; ma tutte le trapassa, come nostro capitano e vero cavaliere, lo quale era venuto per insegnarci la via e la dottrina e regola sua, giungendo a la porta con la chiave del suo prezioso sangue sparto con fuoco d'amore, e con odio e pentimento del peccato. Quasi dica questo dolce inamorato Verbo: «Ecco che io v'ho fatta la via, e aperta la porta col sangue mio; non siate voi dunque negligenti a seguitarla, ponendovi a sedere con amore proprio di voi, e con ignoranza di non conoscere la via, e con presunzione di volerla scegliere a vostro modo e non di me che gli ho fatta.

Levatevi dunque suso e seguitatemi, poiché neuno può andare al Padre se non per me: io sono la via (Jn 14,6) e la porta» (Jn 10,7).

Allora l'anima inamorata e ansietata d'amore corre a la mensa del santo desiderio, e non vede sé per sé cercando la propria consolazione né spirituale né temporale, ma - come persona che al tutto in questo lume e cognoscimento ha annegata la propria volontà - non refiuta nessuna fatica da qualunque lato ella si viene; anco, con pena, con obrobrio, e molte molestie del demonio e mormorazioni de li uomini, mangia in su la mensa de la croce lo cibo de l'onore di Dio e salute delle anime. E non cerca alcuna remunerazione né da Dio né da le creature: cioè, che non servono a Dio per proprio diletto, né al prossimo per propria utilità, ma per puro amore. Perdeno loro medesimi, spogliandosi dell’uomo vecchio, cioè de la propria sensualità; e vestonsi dell’uomo nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10) Cristo dolce Gesù, seguitandolo virilmente.

Questi sono quelli che si pascono a la mensa del santo desiderio, e che hanno posto più la sollicitudine loro in uccidere la propria volontà che in uccidere o in mortificare lo corpo. Essi hanno bene mortificato lo corpo, ma non per principale affetto: ma come strumento che egli è ad aitare a uccidere la propria volontà, poiché lo principale affetto debbe essere, ed è, d'uccidere la volontà, che non cerchi né voglia altro che seguire Cristo crocifisso, cercando l'onore e gloria del nome suo, e la salute delle anime. Costoro stanno sempre in pace e in quiete, e non hanno chi gli scandalizzi, perché hanno tolto via quella cosa che lo' dà scandalo, cioè la propria volontà. Tutte le persecuzioni che lo mondo può dare e il demonio, tutte corrono sotto ai piedi suoi: sta nell'acqua ataccato ai tralci dell'ardente desiderio, e non s'immolla.

Questi gode d'ogni cosa, e non è fatto giudice dei servi di Dio, né di nessuna creatura che ha in sé ragione; anco gode d'ogni stato e d'ogni modo che vede, dicendo: «Grazia sia a te, Padre eterno, ché ne la casa tua ha molte mansioni! » (Jn 14,2). E più gode dei diversi modi che vede, che di vederli andare tutti per una via, perché vede manifestare più la grandezza de la bontà di Dio: d'ogni cosa gode e trae l'odore de la rosa.

Eziandio di quella cosa che vede ch'espressamente è peccato non piglia per giudicio, ma più tosto con santa e vera compassione, dicendo: «Oggi tocca a te, e domane a me, se non fusse la divina grazia che mi conserva». O menti sante, mangiatori a la mensa del santo desiderio, che con tanto lume sete giunti a notricarvi del cibo, vestiti del vestimento dolce dell'Agnello, cioè dell'affetto e carità sua! Voi non perdete lo tempo a ricevere i falsi giudicii né dei servi di Dio, né dei servi del mondo; voi non vi scandalizzate per veruna mormorazione, né per voi né per altrui. L'amore vostro è ordenato in Dio e nel prossimo, e non disordenato. E perché egli è ordenato non pigliano, carissimo figlio, questi cotali mai scandalo in coloro che essi amano; perché lo loro parere è morto, e non hanno preso giudicio che sieno guidati da uomini, ma solo da lo Spirito santo. Vedete dunque che gustano la caparra di vita eterna in questa vita.

Or a questo lume vorrei che voi e gli altri ignoranti figli giognessero, poiché vedo che questa perfezione manca a voi ed agli altri; poiché se ella non vi mancasse, non sareste giunti a tanti scandali e mormorazioni e falso giudicio, cioè di credere e dire che altri sia guidata e tenuta per volontà de la creatura e non del Creatore. Duolmene lo cuore e l'anima, di vedervi offendere la vostra perfezione a la quale Dio v'ha chiamato, sotto spezie d'amore e colore di virtù. E nondimeno ella è quella zizzania che lo demonio ha seminata nel campo del Signore (Mt 13,24-25 Mt 37-39); e questo ha fatto per affogare lo grano dei santi desideri e dottrina che è stata seminata nei campi vostri. Non vogliate fare più così, poiché Dio di grazia v'ha dato lo lume di spregiare lo mondo; lo secondo, di mortificare lo corpo; lo terzo, di cercare l'onore di Dio. Non offendete questa perfezione con la propria volontà spirituale, ma trapassate da la mensa de la penetenzia e giognete a la mensa del desiderio di Dio, dove l'anima è morta in tutto a la propria volontà, notricandosi senza pena ne l'onore di Dio e salute delle anime, crescendo la perfezione e non offendendola. Unde, considerando me che senza lo lume questo non si può avere, e vedendo che non c'era, dissi che io desideravo e desidero di vedervi con vero e perfetto lume. E così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, voi e frate Antonio e tutti gli altri, e singularmente voi, che v'ingegniate d'acquistarlo, a ciò che siate del numero dei perfetti e non de li imperfetti. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

A tutti mi racomando. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.







65. A Daniella da Orvieto vestita dell'abito di santo Domenico.

Ricevono la caparra, ma non lo pagamento; ma aspettanlo di ricevere ne la vita durabile, dove ha vita senza morte, sazietà senza fastidio, e fame senza pena, perché di lunga è la pena da la fame - poiché essi hanno compitamente quello che essi desiderano -, e di lunga è lo fastidio da la sazietà - perché egli è cibo di vita senza alcuno difetto -. è vero che in questa vita si comincia a gustare la caparra a questo modo, che l'anima comincia a essere affamata del cibo de l'onore di Dio e de la salute delle anime; e come ella ha fame così se ne pasce: cioè che l'anima si notrica de la carità del prossimo del quale ha fame e desiderio, che l'è uno cibo che, notricandosene, non se ne sazia mai. è insaziabile, e però rimane la continua fame.

Sì come la caparra è uno comincio di sicurezza che si dà all'uomo, per la quale aspetta di ricevere lo pagamento - non che la caparra sia perfetta in sé, ma per fede dà certezza di giognere al compimento -, così l'anima inamorata di Cristo, che già ha ricevuta la caparra, in questa vita, de la carità di Dio e del prossimo, in sé medesima non è perfetta, ma aspetta la perfezione de la vita immortale. Dico che non è perfetta questa arra, cioè che l'anima che la gusta non ha ancora la perfezione che non senta le pene in sé e in altrui: in sé per l'offesa che fa a Dio, per la legge perversa che è legata ne le membra nostre; e in altrui, per l'offesa del prossimo. è bene perfetto a grazia, ma non ha quella perfezione dei santi che sono a vita eterna, come detto è, poiché i desiderii loro sono senza pena, e i nostri sono con pena.

Sai come sta lo vero servo di Dio, che si notrica a la mensa di questo santo desiderio? Sta beato e doloroso, come stava lo Figlio di Dio in su lo legno de la santissima croce: poiché la carne di Cristo era dolorosa e tormentata, e l'anima era beata per l'unione de la natura divina. Così noi doviamo essere beati, per l'unione del desiderio nostro in Dio, d'essere vestiti de la dolce sua volontà; e dolorosi, per la compassione del prossimo e per togliere a noi delizie e consolazioni sensuali, affligendo la propria sensualità.

Ma attende, figlia e sorella carissima: io ho parlato a te e a me in generale, ora parlarò a te e a me in particulare. Io voglio che due cose singulari facciamo, a ciò che l'ignoranza non c'impedisca la nostra perfezione a la quale Dio ci chiama, e a ciò che lo demonio col mantello de la virtù e de la carità del prossimo non notricasse dentro nell'anima la radice de la presunzione: poiché da questo cadaremmo nei falsi giudicii, parendoci giudicare dritto, e noi giudicaremmo torto; e andando noi dietro al nostro vedere, spesse volte lo demonio ci farebbe vedere molte verità per conducerci ne la bugia, e perché noi ci facessimo giudici de le menti de le creature - la quale cosa solo Dio l'ha a giudicare -. Questa è una de le cose di quelle due, da la quale io voglio che noi al tutto ce ne leviamo, ma voglio che sia preso con modo, e non senza modo. Lo modo suo è questo: che se già Dio 'spressamente, non pur una volta né due, ma più, non manifesta lo difetto del prossimo ne la mente nostra, noi nol doviamo mai dire in particulare a cui egli tocca, ma in comune correggere i vizii di chi ci venisse a visitare, e piantare la virtù e caritativamente e con benignità; e ne la benignità l'asprezza, quando bisogna.

E se paresse che Dio spesse volte ci manifestasse i difetti altrui - se non fusse già 'spressa revelazione, come detto è -, attienti a la parte più sicura, a ciò che fuggiamo lo inganno e la malizia del demonio, poiché con questo lamo del desiderio ci pigliarebbe: ne la bocca tua dunque stia il silenzio, e uno santo ragionamento de le virtù e spregiamento del vizio. E il vizio che ti paresse conoscere in altrui, ponlo insiememente e a loro e a te, usando sempre una vera umilità. E se in verità quello vizio sarà in quella cotale persona, egli si correggiarà meglio, vedendosi compreso così dolcemente, e dirà a te quello che tu volevi dire a lui, e tu ne starai sicura, e tagliarai la via al demonio, che non ti potrà ingannare né impedire la perfezione dell'anima tua. E sappi che d'ogni vedere noi non ci doviamo fidare, ma doviamceli ponere doppo le spalle, e solo rimanere nel vedere e nel cognoscimento di noi.



E se alcune volte venisse caso che noi pregassimo particolarmente per alcune creature, e nel pregare noi vedessimo in colui per cui è pregato alcuno lume di grazia e in uno altro no, che è pur servo di Dio, ma paressetel vedere con la mente avviluppata e sterile, nol pigliare però per giudicio di difetto di grave colpa in lui, poiché potrebbe essere che lo tuo giudicio sarebbe falso. Ché alcune volte adiviene che, pregando per una medesima persona, l'una volta lo trovarò con uno lume e con uno desiderio santo dinanzi da Dio, intanto che del suo bene pare che l'anima ingrassi; e una altra volta lo trovarò che parrà che la mente sua sia di longa da Dio e tutta piena di tenebre e di molestie, che parrà che sia fatica a chi prega di tenerlo dinanzi a Dio. Questo adiviene alcune volte, che può essere per difetto che sarà in colui per cui è pregato; ma lo più de le volte non sarà per difetto, ma sarà per traimento che Dio averà fatto di sé in quella anima, cioè che si sarà sottratto per sentimento - ma non per grazia, ma per sentimento di dolcezza e di consolazione -. Unde sarà rimasa la mente sterile, asciutta e penosa; la quale pena Dio fa sentire a quella anima che ne prega, e questo fa Dio per grazia di quella anima che riceve l'orazione, a ciò che insiememente con lui aiti a dissolvere la nuvola.

Sì che vedi, sorella mia dolce, quanto sarebbe ignorante e degno di grande reprensione quello giudicio: che noi, per questo semplice vedere, giudicassimo che vizio fusse in quella anima, e però Dio cel manifestasse così turbo e tenebroso; dove noi già aviamo veduto che egli non è privato di grazia, ma del sentimento de la dolcezza del sentimento di Dio. Pregoti dunque, e te e me e ogni servo di Dio, che ci diamo a conoscere perfettamente noi, a ciò che più perfettamente cognosciamo la bontà di Dio, sì che, col lume, abandoniamo lo giudicio del prossimo e pigliamo la vera compassione, con fame d'annunziare le virtù e riprendere lo vizio e in noi e in loro, nel modo detto di sopra. Detto aviamo dell'una; ora dico dell'altra, la quale io ti prego che noi riprendiamo in noi, se alcune volte lo demonio o lo nostro parere ci molestasse di volere mandare e vedere andare tutti i servi di Dio per quella via che noi andiamo noi. Poiché spesse volte adiviene che, vedendosi andare per la via de la molta penetenzia, tutti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi vada, ne piglia pentimento e scandalo in sé medesimo, parendoli che non facci bene; e alcune volte adiverrà che farà meglio colui e più virtuoso sarà - poniamo che non facci tanta penetenzia che non quello che ne mormora -, poiché la perfezione non sta in maciarare né in uccidere lo corpo, ma in uccidere la propria perversa volontà. E per questa via de la volontà annegata, sottoposta a la dolce volontà di Dio, doviamo desiderare che tutti vadano.

Buona è la penetenzia e il maciarare del corpo, ma non mel ponere per regola ad ognuno, poiché tutti i corpi non sono aguegliati, e anco perché spesse volte adiviene che la penetenzia che si comincia - per molti accidenti che possono avenire - si conviene lasciare. Se lo fondamento dunque o in noi o in altrui facessimo, o facessimo fare, sopra la penetenzia, verrebbe meno e sarebbe sì imperfetto che mancarebbe la consolazione e la virtù nell'anima, perché sarebbe privato di quella cosa che egli amava, dove aveva fatto lo suo principio; e parrebbeli essere privato di Dio, e parendoli essere privato di Dio verrebbe a tedio, a grandissima tristizia e amaritudine, e nell'amaritudine perdarebbe l'essercizio e la fervente orazione la quale soleva fare. Sì che vedi quanto male ne succederebbe per fare solo lo suo principio ne la penetenzia, poiché noi saremmo ignoranti, e cadaremmo ne la mormorazione, e verremone a tedio e a molta amaritudine; e studiaremmo di dare solo opera finita a Dio, che è bene infinito lo quale ci richiede infinito desiderio.

Convienci dunque fare lo fondamento in uccidere e annegare la propria perversa volontà, e con essa volontà, sottoposta a la volontà di Dio, daremo dolce e affamato e infinito desiderio in onore di Dio e in salute delle anime; e così ci pasciaremo a la mensa del santo desiderio detto, lo quale desiderio non è mai scandalizzato né in sé né nel prossimo suo, ma d'ogni cosa gode e trae lo frutto.

Dogliomi io miserabile, ché non seguitai mai questa vera dottrina; anco ho fatto lo contrario, e però mi sento d'essere caduta spesse volte in dispiacere e in giudicio del prossimo. Unde ti prego, per amore di Cristo Crocifisso, che in questa e in ogni altra mia infermità ponga remedio, sì che io e tu cominciamo oggi ad andare per la via de la verità, alluminate in fare lo vero fondamento nel desiderio santo, e non fidarci dei nostri pareri e vederi, poiché leggiermente non escissimo di noi e giudicassimo i difetti del nostro prossimo, se non per compassione e reprensione generale. Questo faremo, notricandoci a la mensa del santo desiderio; in altro modo non potremmo, poiché dal desiderio aviamo lo lume, ed lo lume ci dà desiderio, e l'uno notrica l'altro. E però dissi che io desideravo di vederti con vero lume. Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





66. A frate Guglielmo d'Inghilterra, baccelliere che sta a Lecceto, dell'ordine di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e figlio in Cristo Gesù, la vostra indegna Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio che a noi sia detta quella parola che disse Dio ad Abraam: «Esce de la casa e de la terra tua» (Gn 12,1). Abraam obbediente non fece resistenza al comandamento di Dio, che disse «seguitami», ed egli lo seguitò.

O quanto sarà beata l'anima nostra quando udiremo questa dolce parola: che noi ci partiamo da questa nostra terra del misero miserabile corpo! In due modi si debba levare l'uomo e seguire la prima Verità che il chiama. Lo primo è che noi traiamo l'affetto de la casa di questa nostra passione sensitiva terrena, amore proprio di noi medesimi, e de la terra nostra: cioè che l'affetto si levi da ogni amore terreno e seguiamo l'Agnello, dissanguato in sul legno della santissima croce. Lo quale Agnello c'invita e ci chiama a seguitarlo per vie d'obrobrii di pene e di rimproveri, i quali, all'anima che il gusta, sono di grandissima dolcezza e suavità. A questo affetto ci ha tratti Dio per la sua infinita bontà e misericordia.

Or che voce aspetta ora l'anima poi che ella ha udita la prima voce, ed ella ha risposto abbandonando lo vizio e seguitando le virtù, le quali fa gustare Dio per grazia in questa vita? Sapete, padre, quale ella aspetta? quella dolce parola de la Cantica: «Vieni, diletta sposa mia» (Ct 4,8). E drittamente s'adempie la parola, tra l'anima e il corpo, che disse Cristo ai discepoli suoi, dicendo: «Lassate i parvoli venire a me, ché di costoro è lo reame del cielo» (Mt 19,14 Mc 10,14 Lc 18,16). Questo modo tiene Dio coi servi suoi, quando gli trae di questa miserabile vita, e menagli a luogo di riposo, comandando a questa nostra carne, che è stata serva e discepola dell'anima: «Lassa questa anima venire a me, ché di costei è lo reame del cielo!».

O inestimabile dolcissima ardentissima carità! tu dici, né più né meno, come se l'anima t'avesse servito per sé medesima, con-ciò-sia-cosa-che ogni servigio fatto a te, tu ne sei l'operatore e donatore, poiché tu sei colui che sei (Ex 3,14), e senza te noi non siamo. Così diceva l'appostolo: «Noi non possiamo bene pensare, se non ci fusse dato di sopra» (2Co 3,5), Perciò per grazia ci dai e non per debito. Questo fa lo tuo smisurato amore - che il tuo medesimo vuoli remunerare in noi -: che, quando l'anima raguarda tanto fuoco d'amore, s'inebria per sì-fatto modo che perde sé medesima, e ciò che vede e sente, vede nel suo Creatore. Or questa è la voce de la quale desidera l'anima mia che noi siamo chiamati.

Ma non parrebbe, padre, che io fussi molto contenta, se, innanzi a questa, io non n'udissi un'altra: cioè la voce desiderata da tutt'i servi di Dio, cioè che noi udiamo: «Escite, figli, de le terre e de le case vostre; seguitatemi, venite a fare sacrifizio del corpo vostro». Quando io considero, padre, che Dio ci facesse tanta di grazia d'udirla e di vederci dare la vita per lo smisurato amore dell'Agnello, i pare che l'anima, a mano a mano, pur del pensiero si voglia partire dal corpo! Or corriamo, figli e fratelli miei in Cristo Gesù, distendiamo i dolci e amorosi desiderii, costregnendo e pregando la divina bontà che tosto ce ne faccia degni; e qui non ci conviene commettare negligenzia, ma grande sollicitudine: e voi sempre sollecitando, e altrui.

Lo tempo pare che s'abrevii, trovando molta disposizione ne le creature, e sappiate che quello frate Iacomo, che noi mandammo al giudice d'Alberoa con una lettara dove si conteneva di questo santo passaggio, egli mi possiede risposto graziosamente che vuole venire con la sua persona, e fornire per due anni diece galee e mille cavalieri e tremilia pedoni e seicento balestrieri. Sappiate che anco Genova è tutta commossa, a questo medesimo profferendo l'avere e le persone. E sappiate che di questo e dell'altre cose Dio aduopera l'onore suo.

Altro non dico, se non che io vi prego e vi racomando questo giovane, che ha nome Matteo Forestani, che vi sia racomandato che il faciate spacciare lo più tosto che potete che sia ricevuto a la santa religione.

Studiatevi quanto potete che egli venga a le vere e reali virtù, singularmente di mortificarli in lui lo parere del mondo e la volontà sua. Èmmi paruto lo meglio che egli non sia andato in altro viaggio, perché poteva essere più tosto esvagolamento de la mente sua che altro.

Dissemi frate Nofrio come frate Stefano stava male, e voi ancora avete sentito, e temavate di non avere chi vi servisse. Non temete, ma confidatevi che quando Dio tolle l'uno, egli ci provede dell'altro. Confortate e benedite frate Antonio cento migliaia di volte in Cristo Gesù.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù Gesù Gesù.

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19/10/2012 14:31

67. Al convento dei monaci di Pasignano dell'Ordine di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi frategli e figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fiori odoriferi piantati nel giardino della santa religione, e non fiori puzzolenti.

Sappiate, figli carissimi, che lo religioso che non vive secondo la santa religione con costumi religiosi, ma lascivamente con appetito disordenato, con impazienzia - portando impazientemente le fatiche dell'Ordine -, o con disordenata allegrezza nei diletti e piaceri del mondo, con superbia e vanità - della quale superbia e vanità nasce la disonestà e di mente e di corpo -, o con desiderare l'onore e lo stato e le ricchezze del mondo - le quagli sono la morte dell'anima, vergogna e confusione dei religiosi -, questo cotale è fiore puzzolente che gitta puzza a Dio e agli angeli e nel cospetto degli uomini.

Costui è degno di confusione: egli conduce sé medesimo in morte eterna. Desiderando le ricchezze, impoverisce; volendo onore, si vituopera; volendo diletto sensitivo e amare sé senza Dio, egli s'odia; volendosi saziare dei diletti e piaceri del mondo egli rimane affamato, e di fame si muore, perché tutte le cose create e diletti e piaceri del mondo non possono saziare l'anima (perché queste cose create sono fatte per la creatura ragionevole, e la creatura è fatta per Dio; sì che le cose create sensibili non possono saziare l'uomo, perché sono minori dell’uomo: solo Dio è colui che è Creatore e fattore di tutte le cose create, e colui che il può saziare). Sì che vedete bene che si muore di fame.

Ma non fanno così i fiori odoriferi, ciò sono i veri religiosi, osservatori dell'Ordine e non trapassatori, che inanzi eleggono la morte che trapassarlo mai; spezialmente nel voto che fa nella professione, quando promette obbedienzia, povertà volontaria e continenzia di mente e di corpo. Dico che i veri religiosi, i quagli voi figli dovete essere, e che osservano l'Ordine suo, già mai non vogliono trapassare l'obbedienzia dell'Ordine e del prelato. Ma sempre vuole obbedire; e non investiga la volontà di chi gli comanda, ma semplicemente obbedisce: e questo è il segno della vera umilità, poiché l'umilità è sempre obediente, e l'obbediente è sempre umile. L'obbediente è umile perché ha tolto da sé la perversa volontà, la quale fa l'uomo superbo; l'umile è obbediente, perché per amore ha renunziato alla propria volontà: annegata l'ha, e tolto lo giogo suo sopra di sé, cioè che la rebellione della parte sensitiva che vuole ribellare al suo Creatore, col giogo suo de la sua volontà, lo rompe: cioè che volontariamente ha sottomesso sé alla volontà di Dio, e al giogo della santa obbedienzia.

Sì che, umile, ha spregiata la ricchezza - unde la propria volontà trae la superbia -, e appetisce la vera e santa povertà, perché vede che la povertà volontaria del mondo aricchisce l'anima e tra'la della servitudine; fallo benigno e mansueto; e tollegli la vana fede e speranza delle cose transitorie: dàgli fede viva e speranza vera. Spera nel suo Creatore per Cristo crocifisso, e non per sé, potere ogni cosa. Vede bene che egli è maladetto colui che si confida nell’uomo, e però pone la sua speranza e fede in Dio e ne le vere e reali virtù, perché la virtù è ricchezza dell'anima, onore, gaudio, riposo e perfetta consolazione. E però cerca lo vero religioso di fornire la casa dell'anima sua; e giusta al suo potere spregia ciò che è contrario alla virtù, e ama tutto quello che ve il fa venire: e però è tanto amatore de le pene, de le ingiurie, scherni e villanie, perché vede bene che questa è quella cosa che pruova l'uomo e fallo venire a virtù. Così vedete che per amore della vera ricchezza spregia la vana ricchezza, e cerca povertà e fassela sposa per amore di Cristo crocifisso, che tutta la vita sua non fu altro che povertà. Nascendo, vivendo e morendo, non ebbe luogo dove riposare lo capo suo (Mt 8,20 Lc 9,58); con-ciò-sia-cosa-che fusse Dio, somma eterna ricchezza, nondimeno, come regola nostra, elesse e amò la povertà (2Co 8,9) per insegnare a noi ignoranti miserabili.

A mano a mano segue l'altro della vera continenzia, poiché colui che è umile e obbediente - e ha spregiato la ricchezza e il mondo con tutte le delizie sue -, fatto amatore della povertà e viltà, dilettasi de la conversazione della cella e de la santa orazione: è fatto subito continente, ché, non tanto che egli s'involla nel loto della carnalità attualmente, ma lo pensiero gli verrà a tedio, e correggiarà sé medesimo; e fugge tutte le cagioni e le vie le quali gli possono tòllare la ricchezza della continenzia e della purezza del cuore, e stregne e ama quello che glil conserva. Perché vede che la conversazione dei gattivi e dei dissoluti gli è molto nociva - e la conversazione e amistà di femmine -, e però le fugge come serpenti velenosi; piglia, e studiasi di pigliare, la conversazione della santissima croce, e con tutti quelli servi di Dio che sono amatori di Cristo crocifisso. Della vigilia e dell'orazione non se ne sazia e stanca mai, perché vede che ella è la madre che ci dona lo latte de la divina dolcezza, e notrica al petto suo i figli de le virtù: però tanto se ne diletta. Ella fa unire l'anima con Dio, ella l'adorna di purezza, e donagli perfetta sapienza di vero cognoscimento di sé e de la bontà di Dio in sé. Cercando, carissimi figli, tutti i tesori e diletti che può avere una anima in questa vita, trova nella santissima orazione.

Or questi cotali sono fiori odoriferi che gittano odore nel cospetto di Dio, ne la natura angelica, e dinanzi agli uomini, e però io vi prego, per amore di Cristo crocifisso, che se per infine al dì d'oggi fuste stati lo contrario che voi vi poniate fine e termine. Fate ragione d'essere novizii, che testé di nuovo con grande reverenzia entraste a osservare la santa religione: poiché Dio v'ha fatti degni d'essere nello stato angelico non vogliate ponarvi a stato umano, ché nello stato umano stanno i secolari - che sono chiamati allo stato comune -, ma voi sete nello stato perfetto, che non essendo perfetti, non sareste in stato umano, ma peggio che in istato d'animali. Orsù, figli, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso - lo quale fortificarà l'anima e torràvi ogni debolezza -, conversate in cella, dilettatevi del coro, siate obbedienti e fuggite la conversazione, studiate all'orazione e alla vigilia. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



68. A madonna Bandecca donna che fu di missere Bocchino dei Belforti da Volterra, essendo essa in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi dilettissima e carissima madre e sorella in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, e desidero di vedervi vestita dell'uomo nuovo - e spogliata dell'uomo vecchio (Ep 4,22-24) - cioè de la pazienza dell'uomo nuovo Cristo crocifisso, sapendo che senza la pazienza non possiamo piacere a Dio.

E però io v'invito carissimamente a questa vera pazienza, poiché colui che è impaziente è vestito del vecchio, cioè del peccato, ha perduta la libertà e non possede la città dell'anima sua, poiché si lassa signoreggiare a l'ira. Ma non è così colui ch'è paziente che possede sé medesimo (così disse lo nostro dolce salvatore: «Ne la pazienza vostra possedarete l'anime vostre» (Lc 21,19)). O pazienza dolce piena di letizia e di galdio, poiché quando ella procede da carità, cioè portando per Dio ogni tribolazione o per morte o per vita o per qualunque cosa Dio la conceda, allora dico che sotto questo giogo de la pazienza, acquistata co.la soavità dolce de la volontà di Dio, ogni amaritudine diventa dolce e ogni gran peso diventa legiero. Di questo santo e dolce vestimento si veste l'anima quando ella si veste de la volontà di Dio, che non vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette a noi sì ci dà per nostro bene perché siamo santificati in lui.

Non vi paia malagevole, carissima madre e sorella in Cristo Gesù, ché il medico de la vita durabile è venuto nel mondo per sanare le nostre infermità e fa come vero medico, dandoci medicina amara e traendoci sangue per conservare la sanità: ogni cosa porta lo infermo per lo rispetto che ha a la sanità. Oimè perché facciamo peggio al medico celestiale che non vuole la morte del peccatore, anco vuole che si converta e viva? (Ez 33,11 2P 3,9) Allora, dilettissima madre, ci dà lo dolce Gesù l'amaritudine a la sensualità ma no a la ragione, e trae lo sangue quando ritrae a sé privandoci o di figli o di sanità o di prosperità o di qualunque altra cosa sia. Confortatevi dunque, poiché non l'ha fatto per darvi morte, anco per darvi vita e conservarvi la sanità. Pregovi per amore di quello dolcissimo e abbondantissimo sangue, lo quale fu sparto per la nostra redenzione, affinché la volontà di Dio sia piena in voi: affinché tutte queste amaritudini tornino in vostra santificazione, sì come vuole la volontà di Dio. Non voglio che pensiate, madre carissima, nel vostro figlio che v'è rimaso, come cosa vostra, ché non è vostra - anco saremmo ladri -; ma, come cosa prestata, usare a vostra necessità. Sapete bene che è così, ché se fusse nostra noi la potremmo tenere e usare secondo la nostra volontà, ma perché è prestata conviencela rendare secondo lo piacere del dolce maestro de la verità che è donatore e facitore di tutte le cose che sono. O 'nestimabile carità di carità, quanta è la pazienza tua che tu hai inverso l'indurati ignoranti cuori, che vogliono possedere quello che è tuo per loro: lagnansi di quello che hai fatto per loro bene. Non facciamo così, per l'amore di Dio, ma portiamo con pazienza la disciprina sua; e se mi diceste: «Io non posso acordare questa sensualità», voglio che la ragione venca e pigli tre cose. L'una si è la brevità del tempo; e la volontà di Dio che gli ha tratti a sé secondo che mi mandaste dicendo (de la quale cosa quando l'udii rallegra'mi de la loro salute; ebbivi un poca di compassione poniamo ch'io mi rallegrasse del frutto che avarete de la tribolazione); e il danno che succederebbe de la impazienzia. Confortatevi che il tempo è breve e la fatica è poca e il frutto è grande.

La pace di Dio sia con voi. Caterina serva inutile vi si raccomanda.





69. A Sano di Maco in Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedere in voi quella virtù della santa fede e perseveranza che fu nella Cananea, poiché ella l'ebbe tanto forte che ella meritò ched lo demonio fusse cacciato da dosso de la figlia sua; e più ancora, ché, volendo Dio manifestare quanto gli piaceva la fede sua, volse rimettare la vittoria in lei, dicendo: «Sia fatto alla figlia tua come tu vuogli» (Mt 15,22-28 Mc 7,25-30).

O gloriosa ed eccellentissima virtù! tu sei colei che manifesti lo fuoco de la divina carità quando è nell'anima, poiché l'uomo non ha mai fede né speranza se non in quello che egli ama. Queste tre virtù, l'una tiene dietro all'altra, poiché amore non è senza fede, né fede senza speranza. Elle sono tre colonne che conservano e mantengono la rocca dell'anima nostra, sì e per sì-fatto modo che neuno vento di tentazione, né parole iniuriose, né lusinghe di creatura, né amore terreno, né di sposa né di figli, lo può dare a terra; ma in tutte queste cose sarà fortificato da queste vere colonne. Allora faremo come questa Cananea, che, vedendo passare Cristo dentro per l'anima nostra, per santo e vero desiderio vollarenci a lui, con vera contrizione e pentimento del peccato, e diremo: «Signore, delibera la figlia mia, cioè l'anima mia, poiché il demonio la molesta con le molte tentazioni e desordenati pensieri».

E se noi perseverremo e terremo ferma la volontà che non consenta, né s'inchini a veruna cosa amare fuore di Dio - umiliandosi e reputandosi indegno della pace e de la quiete, e con fede aspettare, e con pazienza e speranza, per Cristo Crocifisso, di potere ogni cosa: dire con santo Paulo «Ogni cosa posso, non per me, ma per Cristo Crocifisso, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13) -, allora udiremo quella dolce voce: «Sia sanata la figlia, cioè l'anima tua, secondo che tu vuogli». Qui manifesta la smisurata bontà di Dio lo tesoro, che egli ha dato nell'animo, del proprio e libero arbitrio, che né demonio né creatura lo può constrignare a uno peccato mortale, se egli non vuole. O carissimo figlio in Cristo Gesù, raguardate, con fede e vera perseveranza, che infine alla morte queste parole sono dette a noi. Sappiate che, come l'uomo è creato da Dio, gli sono dette queste parole: «Sia fatto come tu vuogli», cioè: «Io ti faccio libero, che tu non sia suggetto a veruna cosa se non a me».

O inestimabile dilettissimo fuoco d'amore, tu mostri e manifesti l'eccellenza della creatura, ché ogni cosa hai creato perché serva alla tua creatura; la creatura hai fatta perché serva a te. Ma noi, miseri miserabili, andiamo ad amare lo mondo con le pompe e diletti suoi, per mezzo del quale amore l'animo perde la signoria, ed è fatto servo e schiavo del peccato. Questo cotale ha preso per signore lo demonio: o quanto è pericolosa la signoria sua, ché sempre cerca e tratta la morte dell’uomo! Non mi pare che sia da servire sì-fatto signore, ma voglio che noi siamo di quelle anime inamorate di Dio, raguardando sempre noi essere schiavi ricomprati del sangue dell'Agnello: lo schiavo non si può più vendare, né servire altro signore. Noi siamo comprati non d'oro, né di dolcezza d'amore, ma di sangue.

Scoppino i cuori e l'anime nostre d'amore; levinsi con sollicitudine a servire e temere lo dolce e buono Gesù, raguardando che egli ci ha tratti di prigione e della servitudine del demonio che ci possedea come suoi. Egli entrò in ricolta e pagatore, e stracciò la carta dell'obligagione (Col 2,14). Quando intrò in ricolta? quando si fece servo, prendendo la nostra umanità. Oimé, non bastava a noi, se non avesse pagato lo debito fatto per noi. E quando si pagò? in su.legno della santissima croce, dando la vita per renderci la vita della grazia, la quale noi perdemmo. O inestimabile dolcissima carità, tu hai rotta la carta che era tra l'uomo e il demonio, stracciandola in su legno della santissima croce. La carta non è fatta d'altro che d'agnello, e questo è quello Agnello immacolato lo quale ci ha scritti in sé medesimo; ma stracciò questa carta. Confortinsi dunque l'anime nostre: poi che siamo scritti, e rotta la carta, non ci può più dimandare l'aversario e contrario nostro.

Or corriamo, figlio dolcissimo, con santo e vero desiderio, abracciando le virtù, con la memoria del dolce Agnello dissanguato con tanto ardentissimo amore. Non dico più. Sappiate che in questa vita noi non possiamo avere altro che dei mollicoli che caggiono della mensa, sì come questa Cananea (Mt 15,27 Mc 7,28): le mollicole sono la grazia che riceviamo, e caggiono della mensa del Signore. Ma quando noi saremo nella vita durabile, dove noi gustaremo Dio e vedrello a faccia a faccia, allora averemo delle vivande della mensa. Perciò non schifate mai labore: io vi mandarò de le mollicole e de le vivande come a figlio, e voi combattete e predicate virilmente.

Sappiate che noi stiamo tutti bene, per la divina grazia. L'onore di Dio si vede più l'uno dì che l'altro. Noi non uscimmo mai di casa di Gherardo; ne esciremo quando sarà l'ora del tempo che Dio averà ordenato.

Io ve lo scrivarò il più tosto che si potrà.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





70. A frate Bartolomeo Dominici, dell'ordine dei Predicatori, quando era baccelliere di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Alessa, e Caterina, e Caterina serva inutile di Gesù Cristo vi si racomanda, con desiderio di vedervi unito e trasformato in quello trasformato e unito desiderio di Dio.

O fuoco ardentissimo che sempre ardi, drittamente tu sei uno fuoco! Così parbe che dicesse la bocca de la Verità: «Io sono fuoco e voi le faville» (Sg 3,7 Is 1,31). Dice che il fuoco sempre vuole tornare nel suo principio, ché sempre ritorna in su. O ineffabile diletta carità, che bene dici vero: ché bene siamo faville, però vuoli che siamo umiliati. Sì come favilla riceve l'essare dal fuoco, così noi riconosciamo l'essare dal nostro primo principio, e però disse egli: «Io sono fuoco e tu favilla». Fa' sì che l'anima tua non si levi in superbia, e fa' che tu facci come la favilla, che prima va in su e poi torna in giù: lo primo movimento del santo desiderio nostro die essare nel cognoscimento di Dio e nell'onore suo; poi che siamo saliti, ora scendiamo a cognosciare la miseria e la nigligenzia nostra - o adormentato, destati! - e così saremo umiliati, trovandoci nell'abisso de la sua carità. O madre dolce de la carità, che non è veruna mente tanto dura né tanto adormentata, che non si dovesse destare e risolvere a tanto fuoco di carità! Dilatate dilatate l'anima vostra a ricevare lo prossimo per amore e per desiderio. Non vego che possiamo avere questo desiderio, se l'occhio non si vòlle come aquila verso lo legno de la vita. O dolcissimo amore Gesù, che dicesti: «Vuoli tu essare inanimato all'onore di me e a la salute de le creature, essare forte a sostenere ogni tribolazione con pazienza? sì raguarda me, Agnello dissanguato in croce per te: tutto verso da capo a pie'; non è udito lo grido mio per mormorazione. Non raguardo la tua ignoranza; né la tua ingratitudine non mi ritrae che, come pazzo e transformato per fame ch'io ho di te, io non aduopari la tua salute.»

O carissimi, o dolcissimi fratelli, levianci levianci da tanta negligenzia, corriamo con sollecitudine per la via de la verità, e corriamo con sollecitudine e morti; non ci ritraga la ingratitudine de le creature.

Seminate seminate la parola di Dio: rendete i talenti commessi a voi (Mt 25,14-29 Lc 19,12-26). Non tanto che Dio v'abbi commesso uno talento, egli ve n'ha commessi diece, a voi e al prossimo vostro, i quali sono i dieci comandamenti, che sono la vita dell'anima nostra: Perciò siate sollecito d'essercitarli.

Ricordivi di quella santa abitazione de la cella dell'anima e del corpo, e così dicete a frate Tommasso e agli altri nostri fratelli. Pregovi che siate solleciti: lo tempo è breve, e il camino è longo.

Io, misera miserabile, sono tanto moltiplicati li miei peccati che mai, poi che voi andaste, (.) dì non fui degna di ricevare lo dolcissimo e venerabile sagramento. Questo vi dico, perché voi m'aitiate a piangere, e preghiate che mi sia aitato acciò ch'io riceva la plenitudine de la grazia. Perdonatemi, padre, a la mia ignoranza; racomandatemi a la vostra santissima messa, ed io ricevarò lo corpo dolce del Figlio di Dio spiritualmente da voi.

Io Alessa vi prego che preghiate quello dolcissimo Agnello che mi faccia insieme con voi vivare e trasformare nell'amore di Dio e nel cognoscimento di me. Racomandomivi cento cento migliaia di volte; maravigliomi come non ci avete mandate novelle di voi, con-ciò-sia-cosa-ch'io ve ne pregasse.

Secondo ch'io ho inteso, parmi che vi sia la mortalità. Racordatemi a frate Tommasso. Se la mortalità v'è, pare a frate Tommasso che voi ne veniate amenduni. Altro non dico. Racomandovi lo vostro frate Tommasso, e fratelli e sorella e figlie. Pregovi che voi mandiate una lettara a monna Gemmina, ché voi sete degno di riprensione, ché vi partiste e non le faceste motto.

Laldato sia Gesù Cristo crocifisso. Amatevi amatevi insieme.





71. A monna Bartalomea d'Andrea Mei da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e reale virtù, poiché senza lo mezzo della virtù non potremmo piacere al nostro Creatore.

Poiché Dio sempre ha voluto dare la vita de la grazia col mezzo: sapete bene che essendo caduto l'uomo primo Adam, per la disobbedienza, nella colpa - a la quale colpa seguitò la morte eterna -, e volendolo restituire a grazia e darli vita eterna, egli lo fece col mezzo dell'unigenito suo Figlio, ponendoli che con l'obedienzia uccidesse la disobbedienza nostra, e col mezzo della morte sua ci rendesse la vita, e consumasse e distruggesse la nostra morte. E veramente così fu; ché facendo uno torniello in su lo legno de la croce questo dolce e innamorato Verbo, egli giocò alle braccia con la morte, e con la morte vinse la morte; e la morte uccise la vita: cioè che la morte della colpa nostra uccise lo Figlio di Dio in su lo legno della santissima croce, sì che con la morte sua ci tolse la morte e rendecci perfetta vita. Dunque la vita è rimasa donna e ha sconfitto lo demonio infernale che teneva e possedeva la signoria de l' uomo, del quale non debba essere signore altri che solo Dio.

Da questo veniamo noi a la prima morte e perdiamo la vita la quale aviamo col mezzo del sangue di Cristo: cioè quando l'anima piglia a servire la propria sensualità con disordenati desiderii o di stato o di ricchezze o di figli o d'altra creatura, o in qualunque modo si sia, che non sia ordenato e fondato in Dio. Ed eziandio alcune volte l'anima spiritualmente diventarà serva e schiava de la propria volontà sotto colore di spirito, e per più avere Dio: cioè quando noi desideriamo consolazione o tribulazione o tentazione dal demonio, o tempo o luogo a nostro modo, dicendo alcune volte: «In altro modo vorrei avere la tribulazione, poiché in questo me ne pare perdere Dio. Questa portarei pazientemente, ma quella non posso. Se io non n'offendesse Dio, io la vorrei, ma perché me ne pare offendere, però me ne doglio».

Carissima madre, se aprite l'occhio dell'intelletto vederete che questa è la propria volontà sensitiva, amantellata col mantello spirituale; poiché se fusse savio, non farebbe così, ma con fede viva credarebbe che Dio non gli permette più che egli possa portare, né senza necessità della salute sua: poiché egli è lo Dio nostro che non vuole altro che la nostra santificazione. E così facciamo spesse volte delle proprie consolazioni della mente: che, non sentendole quando vuole - né quelli tempi né quelli luoghi che desidera -, ma più tosto sente battaglie e molestie e la mente sterile e asciutta, ne viene in pena, in amaritudine e in afflizione e in tedio grandissimo. E spesse volte, per inganno del demonio, le fa vedere che quello che ella dice allora e fa non sia piacevole né acetto a Dio, quasi le dica: «Poiché non gli piace - perché tu sei così gattiva - lassa stare ora; e un' altra volta forse ti sentirai meglio e potrai fare la tua orazione». Questo fa lo demonio perché noi perdiamo l'essercizio corporale e mentale della santa orazione attuale, vocale e mentale. Poiché, avendo noi perduta l'arme con che lo servo di Dio si difende da' colpi del demonio, della carne e del mondo, avrebbe da noi ciò che egli volesse; e arrendarebbesi allora la città dell'anima a lui, e intrarebbevi come signore.

E non ne potrebbe essere altrimenti, avendo perduta l'arme e la forza dell'orazione, la quale orazione ci dà l'arme de la vera umilità e dell'ardentissima carità: poiché l'orazione santa ci fa conoscere perfettamente noi medesimi e la propria fragilità, e la infinita carità e bontà di Dio; e meglio si conosce l'uno e l'altro nel tempo delle battaglie e de la mente asciutta, e tra'ne più perfetta umilità e sollicitudine.

Unde se ella è prudente, che non serva alla propria volontà sotto colore di consolazione, e non creda al demonio, ma virilmente e con odio santo di sé perseveri ne l'orazione - in qualunque modo Dio le il dà, o con sentimento di dolcezza o con sentimento d'amaritudine -, ella guadagna più nel modo detto nell'amaritudine e pene, per qualunque modo Dio le il concede, che ne la dolcezza: poiché nel bisogno va tutta umiliata e con vera sollicitudine corre al suo benefattore, conoscendo che per sé non può nulla, ma solo Dio è quello in cui ella spera e che può e vuole venirla ad aitare. Dunque per farci venire a vera virtù - che senza questo mezzo non verremmo alla virtù provata, ma potrebbe bene essere conceputa per desiderio la virtù - si conviene necessario che col sostenere - con vera e reale pazienza - la tribulazione della mente e quella che ci danno le creature - o per infamie o per altri scandali che ci dessero - veniamo a virtù; poiché questi sono quelli mezzi che ci fanno parturire la virtù: perché è provato ne le fatiche, sì come l'oro si pruova nel fuoco.



Poiché, se ne le fatiche non avesse fatta pruova vera di pazienza - anco le schifasse nel modo detto di sopra, o per alcuna altra cosa che avenisse -, segno sarebbe manifesto che non servirebbe lo suo Creatore; e non si lassarebbe signoreggiare a lui, ricevendo umilemente e con amore quello che lo suo signore gli dà; e non mostrarebbe segno di fede che credesse essere amato dal signore. Poiché se egli lo credesse in verità, di nessuna cosa si potrebbe mai scandalizzare, ma tanto gli pesarebbe e avrebbe in reverenzia la mano dell'aversità quanto quella della prosperità e consolazione, poiché ogni cosa vedarebbe fatto per amore. Ma però nol vede, perché dimostra che egli sia fatto servo della propria sensualità e volontà spirituale, o da qualunque lato viene, come detto è, e àssene fatto suo signore, e però si lassa signoreggiare a loro. Convienci dunque, perché questa servitudine ci dà morte - cioè la servitudine del mondo e la servitudine della propria volontà spirituale detta -, fuggirla, poiché c'impedisce la perfezione di non essere servi liberali a Dio, ma facci volerli più tosto servire a nostro modo che a suo, la quale cosa è sconvenevole e fa lo servigio mercennaio.

Dico dunque che poi che tanto male ne segue, e Dio vuole fare ogni cosa con mezzo, che noi seguiamo questa via (Jn 14,6) e dottrina sua che egli ci ha data. Noi vediamo bene che per noi medesimi noi non fummo creati; ma esso medesimo fece mezzo la sua carità, poiché per puro suo amore ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), perché noi participassimo e godessimo dell'eterna sua visione. Ma noi la perdemmo per la colpa e amore proprio del primo nostro padre; unde per rendere a l'uomo quello che aveva perduto, ci donò lo mezzo del suo Figlio, lo quale fece come mediatore a pacificare l'uomo con Dio; ed esso mediatore ricevé le percosse, poiché in altro modo questa pace non si poteva fare, sì grande era stata la guerra. Poiché era offeso Dio infinito, e l'uomo finito, che aveva offeso, per nessuna sua pena che avesse sostenuta non poteva satisfare allo infinito dolce Dio; e però lo fuoco dell'abisso de la sua carità trovò lo modo per fare questa pace. E perché a la giustizia sua fusse satisfatto, unisce sé medesimo, cioè la deità eterna, natura divina, con la nostra natura umana.

E unito Dio infinito con la natura dell’uomo finita, fu sufficiente Cristo uomo, sostenendo le pene in su lo legno della santissima croce, a satisfare al Padre suo e a placare l'ira che veniva sopra dell’uomo. E gittando uno colpo questo dolce Verbo in su lo legno della croce, e facendo insiememente misericordia a l'uomo, ha in questo modo contenta la misericordia e ha donata la grazia a noi che l'avavamo perduta, ed è contenta la giustizia che voleva che de la colpa si facesse la vendetta; ed egli l'ha fatta sopra lo corpo suo in quella medesima natura che aveva offeso, perché la carne di Cristo fu della massa d'Adam. Ma noi ingrati e irriconoscenti perdiamo spesse volte per li peccati nostri la grazia e intriamo in guerra con Dio: e alcune volte è guerra mortale, e alcune volte è sdegno d'amico.

La guerra mortale è quella quando l'anima giace nella morte del peccato mortale, facendosi Dio del mondo, della carne e dei miserabili diletti, unde questi hanno perduta la vita in tutto. è vero che con la confessione e mezzo del sangue di Cristo la può ricoverare mentre che vive, sì che vedete che senza lo mezzo non può vivere in grazia, né giognere alla vita durabile. Sdegno d'amico è in quelli e in quelle che servono a Dio privati del peccato mortale, e sono in grazia e vogliono essere servi di Dio veri. Ma spesse volte, per ignoranza - la quale ignoranza procede da la propria volontà spirituale, la quale s'ha fatta signore, che il dilonga dalla verità -, non che esca della verità che caggia in peccato mortale, ma offende la perfezione a la quale in verità vorrebbe venire, volendo scegliere lo tempo, lo luogo, la consolazione e tribulazione e tentazione a suo modo. Allora Dio piglia sdegno con l'anima che gli è amica, perché non gli pare che vada, né va, con quella libertà schietta che deve andare; unde uno mezzo ci ha posto, e richiede che noi l'usiamo se vogliamo che sia levato lo sdegno e il dispiacere, e non ci sia impedito lo nostro andare a la perfezione dolce: cioè che noi anneghiamo la propria volontà, sì che non cerchi né voglia altro che Cristo Crocifisso, e tutto lo suo diletto sia di riposarsi ne gli obrobrii di Cristo, parturendo le virtù, concepute per santo desiderio, nella carità del prossimo con vera umilità. Unde col mezzo del sostenere pene e fatiche secondo che Dio concede, e sterelità di mente, con vera e santa pazienza, saremo fondati in vera e reale virtù, e avaremo forza e cognoscimento di grande e non di fanciullo che non vuole andare né fare altro che a suo modo.



Per altra via non vedo che possiamo passare, e però vi dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e reale virtù. E volendo che l'anima vostra sia unita in Dio per affetto d'amore, non si poteva fare senza lo mezzo della virtù, perché ogni cosa vuole fare con mezzo, come detto è. Sono certa per la infinita bontà di Dio che adempirete la volontà sua ed lo desiderio mio. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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Sesso: Femminile
19/10/2012 14:39

72. A Romano linaiuolo a la Compagnia del Bigallo in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere che tu non volla il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma perseverante nella virtù, poiché tu sai che solo la perseveranza è quella cosa ch'è coronata (Mt 10,22 2Tm 2,12).

Tu sei chiamato e invitato da Cristo alle nozze (Mt 22,2) di vita eterna; ma non vi die andare chi non è vestito. Vuolsi Perciò esser vestito del vestimento nuziale, affinché non sia cacciato dalle nozze come servo iniquo (Mt 22,11-13). Parmi che la prima dolce Verità t'abbi mandati i messi ad anunziare le nozze, e a recarti il vestimento. E questi messi sonno le sante e buone 'spirazioni e dolci desiderii che ti sonno dati dalla clemenza dello Spirito santo: queste sono quelle sante cogitazioni che ti fanno fugire lo vizio e ispregiare il mondo con tutte le dilizie sue, e fannoti giognare alle nozze delle vere e reali virtù.

Vestesi l'anima d'amore, col quale amore entra alla vita durabile - sì che vedi che le 'spirazioni sante di Dio ti recano lo vestimento della virtù: fannotelo amare, e però te il vesti -; e invitati alle nozze di vita eterna, poiché dopo lo vestimento della virtù e dell'ardentissima carità segue la grazia, e dopo la grazia la visione di Dio, dove sta la nostra beatitudine.

E però io ti prego per l'amore di Cristo crocifisso che tu risponda virilmente senza negligenzia. Pensa che non è nulla lo cominciare e il mettare mano all'aratro, come detto è: i santi pensieri sonno quelli che cominciano a arare, e la perseveranza delle virtù finisce. Colui che ara, rivolta la terra: così lo Spirito santo rivolta la terra della perversa volontà sensitiva. E spesse volte l'uomo inamorato di sì dolce invito e reale vestimento, per fendare meglio la terra sua, cerca se trovasse uno bomero ben tagliente per poterla meglio rivoltare; e vede e trova che neuno ne trova sì perfetto a rompare e tagliare e divellare la nostra volontà, quanto è il ferro e il giogo della santa ubedienzia. E quando l’ha trovato, impara da l'obediente Verbo Figlio di Dio; e per lo suo amore vuole essere obediente fino a la morte, e non ci fa ponto resistenza. Ed egli fa come savio che vuole navigare colle braccia altrui, cioè de l'Ordine, e non sopra le sue. Ricordomi che tu con santo desiderio e proponimento ti partisti da me, di volere rispondare a Dio che ti chiamava, e di volere essere alla santaobbedienza. Non so come tu te il fai. Priegoti che quello che non è fatto, che tu lo facci bene e diligentemente con buona solecitudine; e sappitene spacciare e tagliare dal mondo; e non aspettare tempo, ché tu non sei sicuro d'averlo. Grande stoltizia e mattezza è dell’uomo che egli perda quello che egli ha per quello che non ha. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, nasconditi nel costato suo, nel quale vederai lo secreto del cuore. Mostra la prima dolce Verità che l'opera sua fatta in noi è fatta con amore di cuore; e tu con amore gli risponde: egli è lo dolce Dio nostro che non vuole altro che amore. E colui che ama, non offendarà mai la cosa amata.

Or sù, figlio mio, e non dormire più nel sonno della negligenzia: vatene tosto al tuo padre misser l'abate con volontà morta e non viva; ché se tu andassi con volontà viva direi che tu non vi metessi piè, ché non si farebbe né per te né per lui. Spero per la bontà di Dio che tu seguitarai le vestigie di Cristo crocifisso. E non ti ponare a sciogliare i legami del mondo, ma trae fuore lo coltello dell'odio e dell'amore, e taglia spaciatamente. Altro non dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.







73. A sorella Constanzia monaca del monistero di Santo Abondio presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te e conforto nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti bagnata e anegata nel prezioso sangue del Figlio di Dio, considerando me che nella memoria del sangue si trova lo fuoco dell'ardentissima carità.

Nella carità non cade tristizia né confusione, e però io voglio che l'affetto tuo sia posto nel sangue: ine t'inebria; e arde e consuma ogni amore propio che fusse in te, sì che col fuoco d'esso amore spenga il fuoco del timore e amore propio di te. Perché si trova lo fuoco nel sangue? Perché il sangue fu sparto con ardentissimo fuoco d'amore.

O glorioso e prezioso sangue, tu sei fatto a noi bagno e unguento posto sopra le ferite nostre. Veramente, figlia mia, egli è bagno: ché nel bagno tu truovi lo caldo e l'acqua e il luogo dov'egli sta; così ti dico che in questo glorioso bagno tu ci truovi lo caldo della divina carità, ché per amore l'ha dato; truovi lo luogo, cioè Dio eterno, dove è il Verbo ed era nel principio (Jn 1,1); truovi l'acqua del sangue, cioè che del sangue esce l'acqua della grazia; ed èvi il muro che vela il luogo. O inestimabile dolcissima carità! Ché tu hai preso lo muro della nostra umanità il quale ha ricoperto la somma eterna e alta deità, Dio e Uomo; ed è tanto perfetta questa unione che né per morte né per nessuna cosa si può separare; e però si trova tanto diletto refrigerio e consolazione nel sangue: ché nel sangue si trova lo fuoco della divina carità e la virtù della somma alta ed eterna deità: sai che per virtù della divina essenzia vale lo sangue de l'Agnello. Sappi che se fusse stato pure uomo, senza Dio, non valeva il sangue; ma per l'unione che fece Dio nell’uomo, acettò il sacrifizio del sangue suo. Ben è dunque glorioso questo sangue: è uno unguento odorifero che spegne la puzza della nostra iniquità.

Egli è uno lume che priva delle tenebre, e non tanto le tenebre grossa di fuore, del peccato mortale, ma le tenebre della disordinata confusione che viene spesse volte nell'anima sotto colore e specie d'una stolta umilità. La confusione intende quando le cogitazioni vengono nel cuore dicendo: «Cosa che tu facci, non è piacevole né acetta a Dio: tu sei in istato di dannazione». A mano a mano, poi ch'egli ha dato la confusione, ed egli la 'nfonde e mostrale la via colorata col colore de l'umilità, dicendo: «Vedi che per li tuoi peccati non sei degna di molte grazie e doni»; e così si ritrae spesse volte dalla comunione e dagli altri doni ed esercizii spirituali. Questo si è l’inganno e le tenebre che il demonio fa.

Dico che se tu, o a cui toccasse, sarai anegata nel sangue de l'Agnello immacolato, che queste illusioni non arbergaranno in te; poniamo ch'elle venissero, non vi permaranno dentro, anco saranno cacciate dalla viva fede e speranza la quale ha posta in questo sangue. Fassene beffe e dice: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me, che mi conforta (Ph 4,13). E se pur io dovesse avere l’inferno, io non voglio però perdare lo esercizio mio». Grande stoltizia sarebbe a farsi degno della confusione de l’inferno prima che venisse il tempo. Or ti leva con uno fuoco dolce d'amore, carissima figlia, e non ti confondare, ma risponde a te medesima e di': «Or che comparazione è da le mie iniquitadi a l'abondanzia del sangue, sparto con tanto fuoco d'amore?» Io voglio bene che tu vegga te non essere, e la ignoranza e nigligenzia tua; ma non voglio che tu la vegga per tenebre di confusione, ma col lume della infinita bontà di Dio, la quale tu truovi in te. Sappi che il demonio non vorebe altro se non che tu ti recassi solo al conoscimento delle miserie tue, senza altro condimento, ma egli vuole essere condito col condimento della speranza nella misericordia di Dio.

Sai come ti conviene fare? Come quando tu entri in cella la notte per andare a dormire: la prima andata sì truovi la cella, e dentro vedi che v'è il letto; la prima, vedi bene che t'è necessaria, e questo non fai solo per la cella, ma volli l'occhio e l'affetto al letto, ove tu truovi lo riposo. Così dei tu fare: giognare a l'abitazione della cella del conoscimento di te - ne la quale io voglio che tu uopra l'occhio del conoscimento con l'affettuoso amore -; trapassi nella cella e vatene al letto, nel quale letto è la dolce bontà di Dio, che il truovi in te cella. Bene vedi tu che l'essere tuo t'è dato per grazia e non per debito.

Vedi, figlia, che questo letto è coperto d'uno copertorio vermiglio, tento nel sangue de lo dissanguato e consumato Agnello. Or qui ti riposa e non ti partire mai. Vedi che non hai cella senza letto né letto senza cella: ingrassa l'anima tua in questa bontà di Dio, però ch'ella può ingrassare; ché in questo letto sta lo cibo, la mensa e il servidore: lo Padre t'è mensa, lo Figlio t'è cibo, lo Spirito santo ti serve, ed esso Spirito santo ti fa letto di sé. Sappi che se tu volessi pur stare a vedere te medesima con grande confusione - perché tu vedessi la mensa e il letto aparechiato - e in esso conoscimento nol participaresti, né ricevaresti lo frutto de la pace e quiete sua, ma rimaresti secca e sterile senza neuno frutto. Perciò io ti prego per l'amore di Cristo crocifisso che tu permanga in questo dolce e glorioso letto di riposo. Sono certa che se tu t'anegarai nel sangue, che tu lo farai; e però dissi ch'io desideravo di vederti bagnata e annegata nel sangue del Figlio di Dio. Non dico più.

Permane etc.



Poneti in su la croce con Cristo crocifisso, niscondeti ne le piaghe di Cristo crocifisso, seguitalo per la via de la croce, conformati con Cristo crocifisso, dilettati degli obrobi pene strazii tormenti scherni e villanie per l'amore di Cristo crocifisso, sostenendo fino a l'ultimo de la vita tua, gustando sempre lo sangue che versa giù per la croce. Gesù dolce, Gesù amore.







74. A frate Nicolò da Montalcino dell'ordine dei frati Predicatori a Montepulciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi posto in su la mensa della santissima croce, dove si trova l'Agnello immacolato che s'è fatto a noi cibo mensa e servidore, considerando me che d'altro cibo non si può dilettare né saziare l'anima.

Dico che ci conviene andare per la via: egli è essa via (Jn 14,6). Qual fu la via sua? Fu quello ch'egli mangiò in essa via: pene, obrobrii, strazii e villanie, e fino all'obrobriosa morte della croce. Convienci salire poi che siamo giunti all'obiettivo nostro: veramente così fa l'anima poi che ha veduta la via che ha fatta lo maestro suo. O che è a vedere tanto consumato amore, che di sè medesimo, cioè del corpo suo, ha fatto scala per levarci della via delle pene e ponarci in riposo! O figlio carissimo, chi dubbita ch'è nel principio della via gli pare fadigoso, ma poi che egli è gionto ai piedi dell'affetto de l'odio e de l'amore, ogni cosa amara gli diventa dolce. Sì che il primo scalone nel corpo di Cristo sono i piedi.

Questa fu la regola che egli insegnò una volta a una sua serva dicendo: «Levati su, figlia, levati sopra di te e sali in me, ed affinché tu possa salire io ti ho fatta la scala, essendo chiavellato in croce. Fa' che in prima tu salga ai piedi, cioè l'affetto e il desiderio tuo, poiché come i piedi portano lo corpo, così l'affetto porta l'anima. A questo primo cognosciarai te medesima. Poi giognarai a lato del costato aperto; per la quale apritura ti mostrarò lo secreto mio, che quello che io ho fatto, ho fatto per amore cordiale». Ine s'inebriarà l'anima tua, in tanta pace gustarete Dio e Uomo; ine si troverà il caldo della divina carità e conoscerete la infinita bontà di Dio. Poi che avesseamo cognosciuto noi e cognosciuta la bontà sua, e noi giognaremo alla pace della bocca: ine gusta tanta pace e quiete che, come cosa levata in alto, nessuna amaritudine che venga gli può aggiognere. Egli è quello letto pacifico dove si riposa l'anima. E però dissi che io desideravo di vedervi posto in su la mensa della santissima croce. Orsù figlio, e non stiamo più in negligenzia, ché lo tempo dei fiori ne viene.



Abbiate buona sollecitudine delle pecorelle vostre. Fate che, se l'ubbidienzia non ve ne manda, che voi non vi partiate. Dite a coteste donne che si riposino in su la croce con lo Sposo loro Cristo crocifisso. Dite a frate Giovanni che si sveni e aprasi in su la croce per Cristo.

Rimanete nella santa e dolce carità di Gesù Cristo. Gesù dolce, Gesù amore.





75. Al monisterio di Santo Gaggio a Firenze; Alla badessa e monache del monastero che è in Monte San Savino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi nascoste e serrate nel costato di Cristo Crocifisso; altrimenti non varrebbe l'essere serrato dentro dalle mura, ma più tosto sarebbe a giudicio.

E però, come lo corpo è rinchiuso, così vuole essere chiuso e serrato l'affetto e il desiderio vostro, levato da lo stato e delizie del mondo, e seguire lo Sposo Cristo dolce Gesù. Non dubbito che, se sarete amatrici dello sposo eterno, voi seguitarete le vestigie d'esso sposo. E sapete qual fu la via di questo sposo? povertà volontaria eobbedienza. Per umilità la somma altezza discese alla bassezza della nostra umanità; e per umiltà e amore ineffabile, che egli ebbe a noi, sì dié l'umanità sua all'obrobiosa morte della croce, scegliendo la via dei tormenti, dei fragelli strazii e vitoperii: or questa umilità dovete seguire. E sappiate che essa non si può avere se non con perfetto e vero cognoscimento di sé, e in vedere la profonda umilità e mansuetudine dell'Agnello dissanguato con tanto fuoco d'amore. Dico che egli seguitò la via della vera povertà: egli fu tanto povero che non ebbe dove riposare lo capo suo, e nella sua natività Maria dolce non ebbe tanto pannicello che ella potesse involgere lo Figlio suo. E voi, spose, dovete seguire la via di quella povertà, e così sapete che voi avete promesso; e io così vi prego, per amore di Cristo Crocifisso, che osserviate infine alla morte. Altrimenti non sareste spose, ma sareste come adultere, amando alcuna cosa fuore di Dio, ché in tanto è detta adultera la sposa, in quanto ella ama un altro più che lo sposo.

E quale è il segno dell'amore? che ella sia obbediente a lui. E però doppo la povertà e umilità segue l'obbedienzia: ché, quanto la sposa è più povara per spirito volontariamente, e più ha renunziato alla ricchezza e stati del mondo, tanto più è umile; e quanto più è umile, tanto più è obbediente. Poiché il superbo non è mai obbediente, ché per la sua superbia non si vuole inchinare a essere suddito né suggetto a nessuna creatura. Voglio dunque che siate umili, e spogliate lo cuore e l'affetto infine alla morte: voi, abbadessa, obbediente all'ordine; e voi, suddite, obbedienti all'ordine e all'abadessa vostra. Imparate imparate dallo sposo eterno dolce e buono Gesù, che fu obbediente infine alla morte. Sapete che senza obbedienzia voi non potreste participare lo sangue dell'Agnello. Or che è la religiosa senza lo giogo dell’obbedienza? è morta, e drittamente è uno demonio incarnato, e non osservatrice dell'ordine ma trapassatrice dell'ordine. Ella è condotta nel bando della morte, avendo trapassati i comandamenti santi di Dio, e oltre ai comandamenti ha trapassata la promessione e voto che ella fece nella professione. O dilettissime suore e figlie in Cristo dolce Gesù, io non voglio che caggiate in questo inconveniente, ma voglio che siate sollicite a non trapassarla d'uno punto.

Volete voi dilettarvi dello Sposo vostro? or uccidete la vostra perversa volontà e non ribellate mai alla vera obbedienzia. Sapete che il vero obbediente non va mai investigando la volontà del prelato suo, ma subito china lo capo e mandala in effetto. Inamoratevi di questa vera e reale virtù! Volete voi avere pace e quiete? tolletevi la volontà - ché ogni pena procede dalla propria volontà -; vestitevi della dolce eterna volontà di Dio, e a questo modo gustarete vita eterna, e sarete chiamate angeli terrestri in questa vita.



Conformatevi con la prima dolce Verità. Ma a questo non potreste mai venire se non aprite l'occhio del cognoscimento a raguardare lo fuoco della divina carità, la quale Dio ha operata nella sua creatura razionale. Pensate, madre e figlie, che voi sete obligate più che altre creature: in quanto Dio, oltre a quello amore che egli ha donato alla creatura, egli ha donato a voi più in particulare, traendovi della bruttura e della tenebrosa vita fetida e piena di puzza e di vitoperio, e àvi collocate ed elette per sé; e però non dovete mai essere negligenti, ma cercare tutte quelle cose, luoghi e modi per li quali più potete piacere a lui.

E se voi mi diceste: Quale è la via? dicovelo: quella che fece egli, la via degli obbrobii, pene, tormenti e fragelli. E con che modo? col modo della vera umilità e de l'ardentissima carità, amore ineffabile; col quale amore si renunzia alle ricchezze e stati del mondo, e da l'umilità si viene all'obbedienzia, come detto è. Alla quale obbedienzia segue la pace, poiché l'obbedienzia tolle ogni pena e dà ogni diletto, perché è tolta via la volontà che dà pena.

Drittamente, affinché l'anima possa salire a questa perfezione, lo nostro salvatore ha fatto del corpo suo scala, e su v'ha fatti gli scaloni. Se raguardate i piei, essi sono confitti e chiavellati in croce, posti per lo primo scalone: poiché in prima die essere l'affetto dell'anima spogliato d'ogni volontà propria, perché, come i piei portano lo corpo, così l'affetto porta l'anima. Pensate che già mai l'anima ha nessuna virtù, se non sale questo primo scalone. Salito che tu l’hai, giogni alla vera e profonda umilità; saglie all'altro e non tardare più, e tu giogni al costato aperto del Figlio di Dio: ine trovarete lo fuoco e l'abisso della divina carità. In questo secondo scalone del costato aperto vi trovarete una bottega aperta, piena di spezie odorifere. Ine trovarete Dio e Uomo; ine si sazia e inebria l'anima, per sì-fatto modo che non vede sé medesima: sì come l'ebbro, che è inebriato di vino, così l'anima allora non può vedere altro che sangue, sparto con tanto fuoco d'amore. Allora si leva con ardentissimo desiderio e giogne all'altro scalone, cioè alla bocca, e ine si riposa in pace e quiete; gustavi la pace dell’obbedienza. E fa come l'uomo che è bene inebriato, che, quando è ben pieno, si dà a dormire; e quando dorme non sente né prosperità né aversità.

Così la sposa di Cristo, piena d'amore, s'adormenta nella pace dello Sposo suo. Adormentati sono i sentimenti suoi, ché, se tutte le tribulazioni venissero sopra di lei, punto non se ne cura; se ella è in prosperità del mondo, non sente per diletto disordenato, poiché già se n'è spogliata per lo primo affetto.

Or questo è lo luogo dove ella si trova conformata con l'unione di Cristo Crocifisso.

Corrite Perciò virilmente, poi che avete la via, lo modo e il luogo dove potete trovare lo letto nel quale vi riposiate, e la mensa dove prendiate diletto, e il cibo del quale vi saziate: poiché egli è fatto a noi mensa, cibo e servidore. Assai sareste degne di reprensione, se per vostra negligenzia non cercaste lo riposo e, come stolte, vi dilungaste dal cibo. Voglio, e così vi prego da parte di Cristo Crocifisso, che voi vi riscaldiate e bagniate nel sangue di Cristo Crocifisso e, affinché siate fatte una cosa con lui, non schifate fatica, ma dilettatevi in esse fatiche, poiché la fatica è poca e il frutto è grande. Non dico più a questo.

Parmi che la vostra carissima madre e mia, monna Nera, sia posta alla mensa della vita durabile, dove si gusta lo cibo della vita. HA trovato l'Agnello immacolato per frutto; ché, come di sopra dissi che egli era mensa cibo e servidore, così dico che ella, come vera serva di Cristo Crocifisso, ha trovato lo Padre eterno, che gli è mensa e letto: poiché nel Padre eterno trova a pieno tutta la sua necessità. In ciò che l'uomo s'affatica, o partesi da l'uno luogo all'altro, si è per dare lo cibo e il vestimento alla creatura e luogo di riposo. Dico che ella ha trovata la somma eterna bontà di Dio eterno, dove non bisogna che l'anima si parta, per veruna di queste cose, d'andare in diversi luoghi, perché quello è luogo fermo e stabile, dove si trova lo letto, per riposo, de la somma ed eterna deità: lo Padre per mensa, e il Figlio è cibo, ché per mezzo del Verbo incarnato del Figlio di Dio giugniamo tutti, se vogliamo, a porto di salute. Lo Spirito santo la serve, poiché per amore lo Padre ci donò questo cibo del suo Figlio, e per amore lo Figlio ci donò la vita e a sé dié la morte, sì che con la morte sua participiamo la vita durabile. Noi, che siamo pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, riceviamo questo frutto imperfettamente: ma ella l'ha ricevuto perfettissimamente, e non è veruna cosa che le il possa torre.



Voi, come vere figlie, dovete essere contente del bene e utilità della vostra madre, e però dovete stare in vera e santa pazienza, sì per rispetto di Colui che l'ha fatto - di tòllare la presenza sua dinanzi a voi, che non vi dovete scordare da l'eterna volontà di Dio -, e sì per la propria sua utilità, che è uscita di fatica e di molta pena, ne la quale è stata già è molto tempo, e ita a luogo di riposo. Ma voi, come vere figlie, vi prego che seguitiate le vestigie e la dottrina sua, e i santi costumi nei quali ella v'ha notricate; e non temete perché vi paia essere rimase orfane o come pecore senza pastore, ché non sarete rimase orfane: Dio vi provederà, e le sue sante buone orazioni, le quali ella offera nel conspetto di Dio per voi. Èvi rimasa monna Ghita: pregovi che voi le siate obbedienti in tutte quelle cose che sono ordinate secondo Dio e la santa religione.

E voi prego, monna Ghita, quanto io so e posso, che avesseate buona cura di cotesta famiglia in conservarla, e acresciare in buona opera; e non ci commettete negligenzia, poiché vi sarebbe richiesto da Dio.

Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 14:47

76. A frate Giovanni di Bindo di Doccio dei frati di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante alla virtù, a ciò che non volliate lo capo indietro a mirare l'arato, ma con perseveranza seguitiate la via della verità; poiché la perseveranza è quella cosa che è coronata, e senza la perseveranza non potremmo essere piacevoli né acetti a Dio. Ella è quella virtù che porta, con l'abondanzia della carità, lo frutto d'ogni nostra fatica dentro nell'anima nostra.

Oh quanto è beata l'anima che corre e consuma la vita sua in vera e santa virtù, poiché in questa vita gusta la caparra di vita eterna! Ma non potremmo giognere a questa perfezione senza lo molto sostenere, poiché questa vita non passa senza fatica; e chi volesse fuggire la fatica, fuggirebbe lo frutto, e non averebbe però fuggita la fatica, poiché portare ce la conviene in qualunque stato noi siamo.

è vero che elle si portano con merito e senza merito, secondo che la volontà è ordenata secondo Dio. Gli uomini del mondo, perché lo loro principio dell'affetto e amore è corrotto, ogni loro opera è guasta e corrotta, unde costoro portano le fatiche senza alcuno merito. Quante sono le fatiche e le pene che essi sostengono in servizio del demonio! che spesse volte per comettere lo peccato mortale sostengono molte pene, e mettonsene alla morte del corpo loro. Questi cotali sono i martiri del demonio e figli delle tenebre, e insegnano ai figli della luce, e dannoci materia di grande vergogna e confusione dinanzi da Dio. O figlio carissimo, quanta ignoranza e miseria è la nostra, a parerci tanto duro e incomportabile a sostenere per Cristo crocifisso, e per avere la vita della grazia; e non pare malagevole alli uomini del mondo a sostenere pena in servizio del demonio! Tutto questo procede perché noi non siamo fondati in verità e con vero cognoscimento di noi, e non siamo posti sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, poiché chi non conosce sé, non può conoscere Dio; e non conoscendo Dio nol può amare; non amandolo, non viene a perfetta carità né ad odio santo di sé medesimo, lo quale odio fa portare con vera pazienza ogni pena, fatica e tribulazione dagli uomini e dal demonio. Poiché alcune volte siamo perseguitati da li uomini con ingiurie o con parole o con fatti - e questo permette Dio, perché sia provata in noi la virtù -; e alcune volte da le demonia con molte e diverse cogitazioni per farci privare della grazia, e per conducerci nella morte. Le battaglie sono diverse: alcune volte contro lo prelato nostro, facendoci parere indiscrete l'obedienzie imposte da lui; e così si concepe uno pentimento verso di loro e dell'Ordine nostro. E questo fa per privarci dell’obbedienza; ed entrando lo demonio per questa porta della disobbedienza, non ce n'avederemmo che egli ci trarrebbe fuore dell'Ordine, dicendo lo demonio dentro nella mente: «Poiché essi sono tanto indiscreti, e tu sei giovane, non poteresti sostenere tanta pena. Meglio t'è dunque che tu te ne parta: qualche modo trovarai tu, che tu ti starai assente con qualche licenzia», con la quale fa vedere che si possa stare licitamente. Queste sono battaglie che vengono, le quali non fanno però danno nell'anima; né queste né altre molte miserabili e dissolute battaglie, se la propria volontà non consente, poiché Dio non le dà per nostra morte, ma per vita; non perché noi siamo venti, ma perché noi venciamo, e perché sia provata in noi la virtù.

Ma noi, virili, col lume della santissima fede apriamo l'occhio dell'intelletto a raguardare lo sangue di Cristo crocifisso, a ciò che si fortifichi la nostra debolezza, e cognosciamo la virtù e la perseveranza in questo glorioso e prezioso sangue. Nel sangue di Cristo si trova la gravezza e il pentimento della colpa; ine si manifesta la giustizia e ine si manifesta la misericordia. Noi sappiamo bene che se a Dio non fusse molto dispiaciuta la colpa, e non fusse stata di grandissimo danno alla salute nostra, non ci avrebbe dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, del quale volse fare un incudine, punendo le colpe nostre sopra lo corpo suo; e così volse che si facesse giustizia della colpa commessa. E il Figlio non ci avrebbe data la vita, dandoci lo prezzo del sangue con tanto fuoco d'amore, facendocene bagno e lavando la lebbra delle colpe nostre; e questo fece per grazia e per misericordia, e non per debito. Bene è dunque che nel sangue troviamo lo pentimento e la gravezza della colpa, la giustizia e l'abondanzia della misericordia, conobbedienza pronta correndo con vera umilità infine alla oprobiosa morte della croce.

Dico che questo è lo modo di venire a perseveranza e resistere contro gli uomini e contro le battaglie del demonio, col lume della fede, come detto è, e con vero cognoscimento di noi, unde ci aumiliaremo; dal quale cognoscimento verremo al perfettissimo odio della propria sensualità, e l'odio sarà quello che farà giustizia della colpa sua. E portarà con vera pazienza ogni ingiuria, strazii, scherni e villania, eobbedienza indiscreta, e fatiche dell'Ordine, e ogni altra battaglia, da qualunque lato elle vengano. E per questo modo gustarà lo frutto della divina misericordia, lo quale ha trovato per affetto d'amore, e veduto con l'occhio dell'intelletto. Perciò non voglio, figlio carissimo, che cadiate in negligenzia, né manchi in voi lo santo cognoscimento, né serriate l'occhio dell'intelletto a raguardare questo glorioso e prezioso sangue; poiché, se voi nel levaste, cadareste in molta ignoranza, e non cognosciareste la verità; ma, come occhio pieno di nebbia, sarebbe abagliato, cercando lo diletto e il piacere colà dove egli non è, ponendosi ad amare le cose create più che lo Creatore, e pigliare diletto e piacere delle creature.

E alcune volte si comincia ad amare le creature sotto colore di spirituale amore, e se egli non s'ha cura, e non essercita la virtù, non conosce la verità e non tiene l'occhio nel sangue di Cristo crocifisso; unde l'amore diventa tutto sensuale. E poi che lo demonio l'ha condutto colà dove egli voleva - d'averli fatta lasciare quella conversazione delle creature sotto colore di spirito, e l'essercizio della santa orazione, e il desiderio delle virtù, e il cognoscimento della verità -, subito gli mette uno tedio e una tristizia nella mente con una disperazione, in tanto che si vuole partire dal giogo dell’obbedienza, e abandonare lo giardino dell'ordine, dove ha gustato tanti dolci e gloriosi frutti prima che egli perdesse lo gusto del santo desiderio, a quello tempo dolce che le fatiche e pesi dell'ordine gli parevano di grande suavità.

Sì che vedete quanto male per questo ne potrebbe venire; e però voglio che voi vi studiate, giusta al vostro potere, di portarvi sì e con vero desiderio, che questo non adivenga mai a voi, per neuno caso che v'avenisse. Non venga mai la mente vostra a nessuna confusione, ma levate l'occhio nel sangue e pigliate una larga e dolce speranza, ponendo lo remedio di levarsi da tutte quelle cose che gl'impediscono la verità; e allora ricevarà grandissima grazia da Dio, e cominciarà a ricevere lo frutto delle sue fatiche, ricevendo l'abondanzia della carità nell'anima. Or fuggite, figlio carissimo, nella cella del cognoscimento di voi, abracciando lo legno della santissima croce, bagnandovi nel sangue de l'umile e immacolato Agnello, fuggendo ogni conversazione la quale vi fusse nociva alla salute vostra. E non mirate a dire: «che parrà, se io mi levo da queste creature? Io lo' dispiacerò, e avrannolo per male». Non lassate però, ché noi siamo posti per piacere al Creatore, e non alle creature.

Sapete che dinanzi al sommo giudice neuno risponderà per voi nell'ultima 'stremità della morte; ma solo la virtù sarà quella, con la divina misericordia, che risponderà. Quanto c'è necessaria la virtù! senza la virtù non possiamo vivere di vita di grazia; e però dissi che io desideravo di vedervi costante e perseverante alla virtù infine alla morte, sì che non volgeste lo capo indietro per alcuna cosa che sia. Spero nella bontà di Dio, che il farete, sì come debba fare lo vero figlio; e così farete quello che sete tenuto di fare, e adempirete lo desiderio mio. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







77. Al venerabile religioso frate Guglielmo d'Inghilterra, lo quale era baccelliere de l'ordine dei frati Eremitani di santo Augustino a Selva di Lago.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi reverendissimo e dilettissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi del Figlio di Dio, vi conforto e raccomando nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uniti e trasformati ne la sua inestimabile carità, sì che noi, che siamo albori sterili e infruttiferi senza nessuno frutto, siamo innestati ne l'arboro de la vita. Così rapportiamo uno saporoso e dolce frutto, non per noi ma per lo maestro de la grazia che è in noi: sì come il corpo vive per l'anima, così l'anima vive per Dio.

Questa Parola incarnata non ci poteva in quanto uomo restituire la vita de la grazia, ma - in quanto Dio - per amore la divina essenzia volse e potello fare. O fuoco, abisso di carità, perché non siamo separati da te hai voluto fare uno innesto di te in me: questo fu quando seminasti la Parola tua nel campo di Maria.

Dunque bene è vero che l'anima vive per te, e il prezzo de l'abondantissimo sangue sparto per me valse per l'amore de la divina essenzia. Non mi maraviglio, carissimo padre, se la Sapientia di Dio, Parola incarnata, dice: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me» (Jn 12,32). O cuori indurati, e stolti figli di Adam, bene è misero miserabile cuore, se non si lassa trarre a sì dolce Padre. Dice: «Se io sarò levato» egli; perché? Solo perché noi corriamo. Non ci vedo, carissimo padre, altro peso se non l'amore e la ignoranza che noi abiamo a noi medesimi, e poco lume e cognoscimento di Dio. Chi non conosce non può amare, e chi conosce sì ama.

Non voglio che stiamo più in questa ignoranza, ché non saremo inestati ne la vita; ma voglio che l'occhio de lo intendimento sia levato sopra di noi a vedere e conoscere quella somma ed eterna verità: non ne può altro volere che la nostra santificazione. Ogni luogo e ogni tempo, o per morte o per vita, o per persecuzioni o per gli uomini o per gli dimonii, ci dà solo a questo fine, perché aviamo la nostra santificazione. Dicovi che subito che l'anima ha aperto lo 'ntendimento, diventa amatore de l'onore di Dio e de le creature, diventa amatore di pene, e non si diletta altro che in croce con lui. Non è grande fatto, ché già ha veduto che la bontà di Dio non può volere altro che bene, e ogni cosa viene da lui; già è privato de l'amore proprio che gli dà tenebre e però non vede lume.

O padre, non stiamo più: inestiamoci ne l'arboro fruttuoso, affinché il maestro non si levi senza noi.

Tolliamo lo legame e il vinculo dell'ardentissima sua carità, la quale lo tenne confitto e chiavato in sul legno de la santissima croce. Percotiamo percotiamo (Mt 7,7 Lc 11,9) con affetto, poiché lo infinito bene vuole infinito desiderio. Questa è la condizione de l'anima: perché ella ha infinito essere, e però ella infinitamente desidera e non si sazia mai se non si congiogne collo infinito. Levisi Perciò lo cuore con ogni suo movimento ad amare colui che ama senza essere amato. O amore inestimabile, per fabricare le nostre anime facesti ancudine del corpo tuo, sì che il corpo sodisfa a la pena, e l'anima di Cristo ha pentimento del peccato - e la natura divina colla potenza sua -. Guardate come fedelmente siamo ricomprati; e perché? perché fu levato in alto. Sottomettiamo dunque la nostra volontà perversa sotto lo giogo de la volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene, ricevendo con reverenzia ogni fatica: ché noi non siamo degni di tanto bene.

Dicovi da parte di Cristo crocifisso che non tanto che alcune volte la semmana lo priore volesse che voi diceste la messa in convento, ma voglio che, se vedete la sua volontà, ogni dì voi la diciate. Perché voi perdiate le consolazioni non perdete però lo stato de la grazia, anco l'acquistate quando voi perdete la vostra volontà. Voglio che, affinché noi mostriamo d'essere mangiatori de l'anime e gustatori dei prossimi, noi non attendiamo pure a le nostre consolazioni; ma doviamo attendere e udire e avere compassione a le fatiche dei prossimi, e specialmente a coloro che sonno uniti a una medesima carità; e se non faceste così, sarebbe grandissimo difetto.

E però voglio che a le fatiche e necessità di frate Antonio voi prestiateli orecchie a udirlo, e frate Antonio voglio e prego che egli v'oda voi; e così vi prego da parte di Cristo e da mia che facciate. A questo modo conservarete in voi la vera carità, e se non faceste così dareste luogo al demonio a seminare discordia.

Altro non dico, se non che io vi prego e costrengo che siate unito e trasformato in questo arboro di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.





78. A Nicolò povaro di Romagna, romito a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi tutto rimesso nella divina providenzia, spogliato d'ogni affetto terreno e di voi medesimo, affinché siate vestito di Cristo crocifisso; poiché in altro modo non giognareste al termine vostro, se non seguitaste la vita e dottrina di questo amoroso Verbo. Così ci amaestrò egli quando disse: «Neuno può venire al Padre se non per me» (Jn 14,6).

Ma non vedo che in lui vi poteste bene rimettare, né in tutto spogliarvi di voi, se prima non conosceste la somma ed eterna bontà sua, e la nostra miseria. Dove conosciaremo lui e noi? Dentro nell'anima nostra.

Unde ci è necessario d'entrare nella cella del conoscimento di noi, e aprire l'occhio de lo intelletto, levandone ogni nuvola d'amore propio; e conosciaremo noi non essere nulla, e specialmente nel tempo delle molte bataglie e tentazioni: poiché, se fussimo alcuna cosa, ci levaremo quelle battaglie che noi non volessimo. Bene abiamo dunque materia d'umiliarci e ispogliarci di noi; perché non è da sperare in quella cosa che non è. La bontà di Dio conosciaremo in noi, vedendoci creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) a fine che participiamo il suo infinito ed eterno bene; ed essendo privati della grazia per lo peccato del primo uomo, ci ha ricreati a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio.

O amore inestimabile! Per ricomprare lo servo hai dato il Figlio propio, per rendarci la vita desti a te la morte! Bene vediamo ch'egli è somma ed eterna bontà, e che inefabilemente ci ama, ché se non ci amasse non ci arebe dato sì-fatto ricompratore; e il sangue ci manifesta questo amore. Perciò in lui voglio che speriate e confidatevi tutto; e in lui ponete ogni vostro affetto e desiderio.

Ma atendete che a lui non possiamo fare nessuna utilità, imperò ch'egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. In che dunque dimostraremo l'amore che aremo a lui? In quello mezzo che egli ci ha posto per provare in noi la virtù, cioè lo prossimo nostro, lo quale dobiamo amare come noi medesimi, sovenendolo di ciò che vediamo che gli sia necessità, secondo le grazie che Dio ci ha date o desse da amministrare: offrire lacrime umili e continove orazioni dinanzi a Dio per salute di tutto quanto lo mondo, e specialmente per lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale vediamo venuta in tanta ruina se la divina bontà non provede. Allora seguitarete la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale per onore del Padre e salute nostra dié la vita, correndo come inamorato a l'obrobiosa morte della croce.



E sì com'egli non si ritrasse per pena o rimproverio, né per ingratitudine nostra, che non compisse la nostra salute, così dobiamo fare noi: che per nessuna cagione ci doviamo ritrare di sovvenire alle necessità del prossimo nostro, spirituali e corporali; senza rispetto di nessuna utilità o consolazione ricevarne qua giù: solo amarlo e sovenirlo perché Dio l'ama. Così adempirete la carità del prossimo, secondo il comandamento di Dio e il mio desiderio. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù etc.





79. All'abbadessa e monache di santo Piero in Monticelli a Lignaia in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi vere serve e spose di Cristo crocifisso: sì e per sì-fatto modo seguitiate le vestigie sue che inanzi eleggiate la morte che trapassare i comandamenti dolci suoi, e i consigli i quali voi avete promessi.

Oh quanto è dolce e soave alla sposa consecrata a Cristo seguire la via e dottrina dello Sposo suo! Quale è la via e la dottrina sua? Non è altro che amore, poiché tutte l'altre virtù sono virtù per esso amore. La dottrina sua non è superbia né disubidienzia né amore proprio, né ricchezza né onore né stato del mondo, non piacimento né diletto di corpo - non ha amore d'amare lo prossimo per sé, ma per utilità nostra ci ha amati e data la vita per noi con tanto fuoco d'amore -, anco è profonda e vera umilità.

Or fu mai veduta tanta umilità, quanta è vedere Dio umiliato a l'uomo - la somma altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità -, e obbediente infine all'obrobiosa morte della croce? Egli è paziente, in tanta mansuetudine che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione; egli elesse povertà volontaria - quelli che era somma eterna ricchezza (2Co 8,9) - in tanto che Maria dolce non ebbe panno dove invollarlo; nell'ultimo, morendo nudo in su la croce, non ebbe luogo dove appoggiare il capo suo.

Questo dolce e inamorato Verbo, satollo di pene e vestito d'obrobii, dilettandosi dell'ingiurie delli scherni e della villania - sostenendo fame e sete colui che satolla ogni affamato con tanto fuoco e diletto d'amore -, egli è lo dolce Dio nostro che non ha bisogno di noi, e non ha allentato d'adoperare la nostra salute, anco ha perseverato. Non per nostra ignoranza né per ingratitudine nostra, né per lo grido dei Giuderi - che gridano che egli scenda della croce (Mt 27,40-42 Mc 15,30-32) -, non lassò poiché non compisse la nostra salute.

Or questa è la dottrina e la via la quale egli ha fatta; e noi miseri miserabili pieni di difetti, non spose vere ma adultere, facciamo tutto lo contrario; noi cerchiamo diletto delizie piaceri e amore sensitivo: un amore proprio, del quale amore nasce discordia e disubbidienzia. La cella si fa nemico; le conversazioni dei secolari e di coloro che vivono secolarescamente si fa amico; vuole abondare e non mancare nella sustanzia temporale, parendoli, se non abonda sempre, avere necessità. Egli si dilunga da l'amore del suo Creatore; lassa la madre de l'orazione, anco, facendo l'orazione debita - nella quale sete obligate -, spesse volte viene a tedio, perché colui che non ama, ogni piccola fatica gli pare grande a sostenere; la cosa possibile gli pare impossibile per potere adoperare. E tutto questo procede dall'amore proprio, lo quale nasce da superbia, e la superbia nasce da lui, fondata in molta ingratitudine ignoranza e negligenzia nelle sante e buone opere.

Non voglio, dilettissime figlie, che questo divenga a voi, ma, come spose vere, seguitate le vestigie dello Sposo vostro; altrimenti non potreste osservare quello che avete promesso e fatto voto, cioè povertàobbedienza e continenzia. Sapete bene che nella professione voi deste per dota lo libero arbitrio vostro allo sposo eterno, ché con libertà di cuore faceste la detta promessione - che sono tre colonne che tengono la città dell'anima nostra che non la lassano cadere in ruina; ché, non avendole, subito viene meno -.



Debba la sposa essere povera volontariamente, per amore di Cristo crocifisso che l'ha insegnata la via: la povertà è ricchezza e gloria delle religiose; grande confusione è quando si trova che elle avesseno che dare.

Sapete quanto male n'esce? che se passa questo, tutti gli altri passerà: colei che pone l'affetto suo in possedere, e non s'unisce con le sorella sì come voi dovete vivere - che dovete vivere a comune, e avere tanto la grande quanto la piccola, e la piccola quanto la grande -, se nol fa ne viene in questo difetto, che ella cadrà nella incontinenzia o mentale o attuale. Cade nella disubidienzia, ché è disobbediente all'Ordine suo e non vuole essere corretta dal prelato, e trapassa quello che aveva promesso, unde vengono le conversazioni di coloro che vivono disordenatamente - vuoli secolari vuoli religiosi, vuoli uomo vuoli donna -. Che la conversazione non sia fondata in Dio non procede da altro se non per alcuno dono o diletto o piacere che trovassero; e tanto basta quello amore e amistà quanto basta lo dono e il diletto. E però dico che colei che non possede, sì che non ha che donare, non avendo che donare sarà tolto da lei ogni disordenata conversazione.

Levata la conversazione, non ha materia di svagolare la mente, né di cadere nella immondizia corporalmente e spiritualmente; ma trova e vorrà la conversazione di Cristo crocifisso, e dei servi dolcissimi suoi - i quagli amano per Cristo e per amore della virtù e non per propria utilità -, e concepe uno desiderio e fame della virtù che non pare che se ne possa saziare. E perché vede che da la madre e fontana dell'orazione traie la vita de la grazia e il tesoro delle virtù, partesi da la conversazione degli uomini, e fugge e ricovera in cella, cercando lo Sposo suo, abbracciandosi con esso in su.legno della santissima croce. Ine si bagna di lacrime e di sudori; inebbriasi del sangue del consumato e inamorato Agnello; pascesi di sospiri, i quali gitta per dolci e affocati desiderii: questa è vera e reale sposa che realmente segue lo Sposo suo. E come Cristo benedetto, come detto è, non lassò per veruna pena l'adoperare la nostra salute, così la sposa non lassa né debba lasciare per veruna pena né fatica, né fame né sete, né necessità, anco risponda alla tenerezza propria del corpo suo, e dolcemente dica: «Confortati, anima mia, che ciò che ti manca qua giù, t'avanza a vita eterna».

E non lassi la buona opera coi santi desiderii, né per tentazione del demonio, né per fragilità della carne, né per li perversi consiglieri del demonio, che sono peggio che Giuderi, ché dicono spesse volte: «Discende della croce (Mt 27,40) della penitenza e vita ordinata». E non debba lasciare lo servire al prossimo suo - di servirlo in cercare la salute sua - per ingratitudine; né per ignoranza che non conoscesse lo servizio non debba lasciare, poiché, se lassasse, parrebbe che cercasse d'essere retribuito da loro e non da Dio: la quale cosa non si debba fare, ma prima scegliere la morte.

Con pazienza portate, carissime figlie, i difetti l'una dell'altra, portando con pazienza e sopportando con amore i difetti l'una dell'altra; così sarete legate e unite nel legame della carità, lo quale è di tanta fortezza che né demonio né creatura ve ne potrà separare, se voi non vorrete. Siate obbedienti infine alla morte, affinché siate spose vere che, quando lo Sposo vi richiederà nell'ultima 'stremità della morte, voi abbiate la lampana piena e non votia, sì come vergini savie e non matte (Mt 25,1-4). Drittamente lo cuore vostro debba essere una lampana, la quale debba essere piena d'oglio, e dentrovi lo lume del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi, che è lume e fuoco di carità, notricato e acceso nell'oglio della vera e profonda umilità; ché chi non ha lume di cognoscimento di sé non si può umiliare, ché con la superbia mai non s'umilia. Poi che la lampana è fornita, debbasi tenere in mano con una santa e vera intenzione in Dio, cioè la mano del santo timore, lo quale ha a regolare l'affetto e il desiderio nostro: non timore servile, ma timore santo, che per veruna cosa voglia offendere la somma eterna bontà di Dio.

Ogni creatura che ha in sé ragione ha questa lampana, poiché il cuore dell’uomo è una lampana: se la mano del timore santo la tiene ritta, ed ella è fornita, sta bene; se ella è in mano di timore servile, egli la rivolta sottosopra, perché serve e ama d'amore proprio, per proprio diletto e non per onore di Dio. Costui affoga lo lume e versane l'oglio, che non v'è lume di carità e non v'è oglio di vera umilità. E queste sono quelle cotagli di cui disse lo nostro Salvatore: «Io non vi cognosco, e non so chi voi vi sete» (Mt 25,12). Perciò io voglio che siate forti e prudenti: tenete lo cuore vostro e fate che sia lampana dritta, ché, come la lampana è stretta da piei e larga da capo, così lo cuore e l'affetto si debba ristrignare al mondo - e a ogni diletto e vanità e delizie e piacere e contento suo -; e debba essere larga da capo, che il cuore l'anima e l'affetto sia tutto riposato e posto in Cristo crocifisso. A questo modo sarete figlie spose e serve, corrirete per la via e seguirete la dottrina di Cristo crocifisso. Vestitevi di pene e d'obrobii per lui; unitevi e amatevi insieme.

E voi, madonna l'abbadessa, siate madre e pastore che poniate la vita (Jn 10,11) per le vostre figlie, se bisogna. Ritraetele dal vivare in particulare e dalla conversazione, le quali sono la morte delle anime loro e disfacimento di perfezione. Nella conversazione fate che voi lo' siate uno specchio di virtù, affinché la virtù amonisca più che le parole. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



[Modificato da Caterina63 19/10/2012 14:50]
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19/10/2012 14:53

80. A maestro Giovanni Terzo dell'ordine dei Frati eremiti di santo Agostino essendo egli a Lecceto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue de lo dissanguato Agnello.

Lo quale sangue lava e anniega - cioè uccide la propria perversa volontà -: dico che lava la faccia de la conscienzia e uccide lo verme da questa conscienzia, poiché il sangue c'è fatto bagno, e perché il sangue non è senza fuoco, anco è intriso col fuoco de la divina carità, poiché fu sparto per amore. Sì che lo fuoco col sangue lava e consuma la ruggine de la colpa che è ne la conscienzia, la quale colpa è uno verme che rode in essa conscienzia. Morto che è questo verme, e lavata che è la faccia dell'anima, è privata del proprio disordinato amore; ché, mentre che l'amore proprio è nell'anima, questo verme non muore mai, né si leva la lebbra da la faccia dell'anima, poniamo che il sangue e il fuoco del divino amore ci sia dato.

E a tutti è dato questo sangue e fuoco, nostra redenzione; e non di meno da tutti non è participato, e questo non è per defetto del sangue né del fuoco né de la prima dolce Verità che ce l'ha donato, ma è defetto di chi non votia lo vasello per poterlo empire d'esso sangue. Lo vasello del cuore, mentre che egli è pieno del proprio amore, o spiritualmente o temporalmente, nol può empire del divino amore, né participare la virtù del sangue, e però non si lava la faccia, e non si uccide lo verme. Dunque c'è bisogno di trovare modo di votarsi e d'empirsi, affinché noi giogniamo a questa perfezione d'uccidere la propria volontà: ché, uccisa la volontà, è ucciso lo verme - poiché la volontà concepe questo verme -.

Che modo ci ha, carissimo figlio? Dicovelo: che noi sì apriamo l'occhio dell'intelletto a conoscere uno sommo bene e uno miserabile male. Lo sommo bene è Dio, lo quale ci ama di ineffabile amore, lo quale amore c'è manifestato col mezzo del Verbo unigenito suo Figlio; e il Figlio ce l'ha manifestato col mezzo del sangue suo. Nel sangue conosce l'uomo l'amore che Dio gli porta, e il suo proprio miserabile male: poiché la colpa è quella che conduce l'anima a le miserabili pene eternali, e però è solo lo peccato quello che è male, lo quale procede dal proprio amore, ché veruna altra cosa è che sia male, se non questa.

E questo fu cagione de la morte di Cristo. E però dico che nel sangue cognosciamo lo sommo bene dell'amore che Dio ci ha, e il miserabile nostro male, ché l'altre cose non sono male se non solo la colpa, come detto è.

Né tribulazioni né persecuzioni del mondo non sono male, né ingiurie, né strazii, né scherni, né villanie, né tentazioni del demonio, né tentazioni degli uomini, i quali tentano i servi di Dio; né le tentazioni e molestie che dà l'uno servo di Dio all'altro, le quali tutte Dio permette per tentare e cercare se trova in noi fortezza e pazienza e vera perseveranza fino all'ultimo; anco conducono queste cose l'anima a gustare lo sommo ed eterno bene. Questo vediamo noi manifestamente nel Figlio di Dio, lo quale essendo Dio e uomo, e non potendo volere neuno male, non l'averebbe elette per sé: ché tutta la vita sua non fu altro che pene e tormenti, strazii e rimproverii, e nell'ultimo l'obbrobriosa morte de la croce; e questo volse sostenere perché era bene, e per punire la colpa nostra, che è quella cosa che è male.

Poi che l'occhio dell'intelletto ha così bene veduto e discerto chi gli è cagione del bene e chi gli è cagione del male, e quale è quello che è bene e quello che è miserabile male, l'affetto - perché va dietro all'intelletto - corre di subito e ama lo suo Creatore, conoscendo nel sangue l'amore suo ineffabile; e ama tutto quello che vede che il faccia più piacere e unire con lui. Allora si diletta de le molte tribulazioni, e priva sé medesimo de le consolazioni proprie, per affetto e amore de le virtudi. E non sceglie lo strumento de le tribulazioni - che pruovano le virtù - a suo modo, ma a modo di colui che gli il dà, cioè Dio, lo quale non vuole altro se non che siamo santificati in lui, e però le concede.

Come egli ha tratto l'amore da l'amore, e perché l'occhio dell'intelletto in esso amore ha veduto lo suo male, cioè la colpa sua, odialo, in tanto che desidera vendetta di quella cosa che n'è stata cagione. La cagione del peccato è il proprio amore, lo quale notrica la perversa volontà che ribella a la ragione; e mai non stanca di crescere e di multiplicare l'odio dell'amore sensitivo fino che l'ha morto, e però diventa subito paziente, e non si scandalizza in Dio, né in sé, né nel prossimo suo: ma ha presa l'arme a uccidere questo perverso sentimento, che conduce l'anima a tanto miserabile male che le tolle l'essere de la grazia, e dàlle la morte - tornando a non nulla - perché è privata di Colui che è.

Tolle dunque lo coltello, che è l'arme con che si difende da' nemici suoi; e con quello uccide la propria sensualità. Lo quale coltello ha due tagli, cioè odio e amore, e menalo con la mano del libero arbitrio - lo quale conosce che Dio gli ha dato per grazia e non per debito -, e con esso coltello taglia e uccide. Or a questo modo, carissimo figlio, participiamo la virtù del sangue e il calore del fuoco, lo quale sangue lava, e il fuoco consuma la ruggine de la colpa, e uccide lo verme de la conscienzia: non uccide propriamente la conscienzia, che è guardia dell'anima, ma il verme de la colpa che v'è dentro. In altro modo né per altra via non potremmo giognere a pace e a quiete, né gustare lo sangue de lo immacolato Agnello; e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Dunque levatevi su, e destatevi dal sonno de la negligenzia, e annegate la propria perversa volontà in questo glorioso prezzo; e non vi ritragga né timore servile, né amore proprio, né detto de le creature, né mormorazione, né scandalo del mondo; ma perseverate con virile cuore. E guardate che voi non facciate come i matti - e se voi l'avete fatto, sì ve ne dolete - di scandalizzarvi nei servi di Dio, o mormorare de le loro opere, poiché questo è uno dei segni che la volontà non è morta; e se ella è morta ne le cose temporali, non è anco morta ne le spirituali. Vogliate dunque che in tutto muoia ad ogni suo parere, e viva in voi la dolce eterna volontà di Dio: e di questa siate giudice, sì come dice la nostra lezione. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Scrivestemi che lo figlio non poteva stare senza lo latte e il fuoco de la mamma, unde, se n'averete volontà, non tardarete a venire per esso. Dite che non vorreste offendere l'obedienzia: venite per la licenzia, e non offendarete. Ed ècci necessario, perché Nanni s'è partito per buona necessità, sì che se potete venire sì l'averò molto caro. Gesù dolce, Gesù amore.

Raccomandateci al baccelliere, e a frate Antonio, e a missere Matteo, e all'Abbate, e a tutti gli altri.





81. A Francesca di Francesco di Tato Talomei vestita di santo Domenico, inferma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con vera e santa pazienza, a ciò che virilmente te porti e la infermità, e qualunque altra cosa che Dio ti permettesse, sì come vera serva e sposa di Cristo crocifisso; e così debbi fare poiché la sposa non si debba mai scordare da la volontà del Sposo suo.

Ma attende, carissima figlia, che a questa volontà, così acordata e sottoposta a quella di Dio, non verresti mai se tu col lume de la santissima fede non raguardassi quanto tu sei amata da lui, poiché, vedendoti amare, non poterai fare che tu non ami. Amando, odiarai la propria sensualità, la quale fa impaziente l'anima che l'ama: unde subito che tu l'odiarai sarai fatta paziente. Sì che col lume ci verrai.

Ma dove trovarai questo amore? Nel sangue de l'umile immacolato Agnello, lo quale per lavare la faccia de la sposa sua corse a l'obrobriosa morte de la croce; unde col fuoco de la sua carità la purificò da la colpa, lavandola ne l'acqua del santo baptesmo; il quale baptesmo vale a noi in virtù del sangue, e il sangue le fu colore che fece la faccia de l'anima vermeglia, la quale era tutta impalidita per la colpa d'Adam. Tutto questo fu fatto per amore: Perciò vedi che il sangue ti manifesta l'amore che Dio t'ha. Egli è quello eterno Sposo che non muore mai; egli è somma sapienza, somma potenza, somma clemenza e somma bellezza, in tanto che il sole si maraveglia de la bellezza sua. Egli è somma purezza, in tanto che, quanto l'anima che è sua sposa più s'acosta a lui, tanto più diventa pura e monda d'ogni peccato e più sente l'odore de la virginità. E però la sposa che vede che egli si diletta de la purezza, studia d'acostarsi a lui col mezzo che più perfettamente la possa unire. Quale è questo mezzo? è l'orazione umile, fedele e continua: umile, dico, fatta nel cognoscimento di te; continua, per continuo santo desiderio; e fedele, per lo cognoscimento che hai avuto di Dio, vedendo che egli è fedele e potente a darti quello che adomandi; e somma sapienza, che sa; ed è somma clemenza, che ti vuole dare più che non sai adimandare.

Or con questo verrai a perfettissima pazienza in ogni luogo e in ogni tempo e stato che tu sei o sarai: e ne la infermità e ne la sanità, con bataglie e senza bataglie. Le quali bataglie non vorrei che tu però credessi che faccino l'anima immonda, se non in quanto la volontà le ricevesse per dilettazione, di qualunque bataglia si fusse. E però l'anima che sente la volontà averne pentimento, e non piacere, si debba confortare, e non venire a veruna confusione e tedio di mente, ma debba vedere che Dio gli permette per farla venire ad umilità, e per conservarla e crescerla in essa. Così voglio che facci tu.

Gode, gode, figlia, che Dio per sua misericordia ti fa degna di portare per lui; e reputatene indegna: e facendo così ti conformarai in ogni cosa con la volontà del tuo dolce Sposo. Compirassi a questo modo in te la volontà di Dio e il desiderio de l'anima mia, lo quale dissi che era di vederti con vera e santa pazienza. E così ti prego e voglio che sia, in ciò che piace al tuo dolcissimo Sposo di concederti. Per lo poco tempo non dico più.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.







82. Una dottrina a tre donne di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, poiché la divina bontà v'ha tratte del loto del mondo, non vogliate voltare mai lo capo indietro a mirare l'arato; ma sempre mirate a quello che v'è bisogno di fare per conservare in voi lo santo principio e proponimento che avete fatto.

Quale è quella cosa che ci conviene vedere e fare per conservare la buona voluntà? Dicovelo: che sempre abitiate nella cella del cognoscimento di voi, conoscendo voi non essere e l'essere vostro avere da Dio, i difetti vostri, e la brevità del tempo (lo quale tempo è tanto caro a noi poiché nel tempo si può acquistare la vita durabile, e perdarla, secondo che piace a noi; e passato il tempo neuno bene possiamo adoperare).

Dovete conoscere in voi la grande bontà di Dio, e l'amore ineffabile che egli v'ha, lo quale amore ve l'ha manifestato col mezzo del Verbo dell'unigenito suo Figlio: questo dolce e amoroso Verbo l'ha mostrato col mezzo del sangue suo. Unde noi siamo quello vasello che aviamo ricevuto il sangue, e quella pietra dove fu fitto lo gonfalone della santissima croce, poiché né croce né chiodi erano sufficienti - né terra - a tenere questo umile e amoroso Verbo confitto e chiavellato, se l'amore non l'avesse tenuto; ma l'amore che egli ebbe a noi lo tenne e fecelo stare in su l'albero della croce.

Ora conviene a noi che il cuore e l'affetto nostro sia inestato in lui per amore, se vogliamo participare il frutto del sangue. Allora l'anima, che sì dolcemente conosce Dio, ama quello che conosce della sua bontà, e odia quello che conosce di sé nella parte sensitiva; unde trae la vera umilità, la quale è balia e notrice della carità. Per questo va inanzi, e non torna adietro, crescendo di virtù in virtù; essercitandosi con la vigilia e con l'umile e continua orazione, col continuo santo desiderio, con buone e sante opere - le quali sono quella orazione continua che ogni persona che ha in sé ragione debba avere, oltre all'orazione particolare che si fa all'ore debite e ordinate -. Le quali in neuno modo si debbono lasciare - se non venisse caso d'obedienzia o per carità, ma per altro modo no -, né per battaglie né per sonnolenzia di mente né di corpo; ma debbasi destare il corpo con l'essercizio corporale, o in venie o in altri essercizii che avesseno a stirpare lo sonno, quando egli ha avuto il debito suo.

La sonnolenzia della mente si vuole destare co l'odio e pentimento di sé; con una combatte santa salire sopra la sedia della conscienzia vostra, riprendendo sé dicendo: «E dormi tu, anima mia? tu dormi e la divina bontà vegghia sopra di te: lo tempo passa e non t'aspetta. Vuoli tu essere trovata dormire dal giudice, quando ti richiedarà che tu renda ragione del tempo tuo, come tu l’hai speso, come sei stata grata al beneficio del sangue?». Allora si destarà la mente: poniamo che sapore di quello destare non sentisse, ella si pur desta e stirpa l'amore proprio dell'anima sua. Per questo modo va inanzi, levasi da la imperfezione e giugne alla perfezione alla quale pare che vogliate venire; poiché l'amore non sta ozioso, ma sempre aduopera grandi cose.

Facendo così vi vestirete del midollo della virtù e non solo dell'atto; gustarete la virtù della pazienza, che è il midollo della carità; godarete delle pene, pur che vi potiate conformare con Cristo crocifisso; portare le pene e gli obbrobrii suoi vi parrà godere. Fuggirete le conversazioni, e dilettaretevi della solitudine; non presumarete di voi, ma confidaretevi in Cristo crocifisso; non s'empirà la mente di fantasie, ma di vere e reali virtù, amandolo col cuore schietto e non fincto, libero e non doppio: ma in verità amarete lui sopra ogni cosa, e il prossimo come voi medesime. Né per molestie del demonio - che desse laidi e malvagi pensieri -, né per fragilità della carne, né per la molestia delle creature non verrete a tedio né a confusione di mente; ma con fede viva direte con Paulo: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13). Reputatevi degne della pena e indegne del frutto, per umilità.

Amatevi, amatevi insieme con una carità fraterna in Cristo dolce Gesù tratto dell'abisso della sua carità.

Altro non vi dico. Dio vi riempia della sua dolcissima grazia.

D'una cosa vi prego: che voi non andiate per molti consigli; ma pigliatene uno lo quale vediate che vi consigli coraggiosamente, e quello seguite, ché andare per molti è cosa pericolosa. Non che ogni consiglio che è fondato in Dio non sia buono, ma come i servi di Dio sono differenti in modi - poniamo che tutti sieno nell'affetto della carità -, così differentemente danno la dottrina: se assai ne cercano, con tutti si vorrebbero conformare, e quando venisse a vedere trovarebbesi vòto d'ognuno. E però è il meglio ed è necessario che l'anima si fondi in uno, e in quello s'ingegni d'essere perfetta; e nondimeno le piaccia la dottrina di ciascuno. Non che le vadi cercando per sé; ma debbale piacere i differenti e diversi modi che Dio tiene con le sue creature: averli in reverenzia, vedendo che nella casa del Padre nostro ha tante mansioni. Or vi bagnate e annegate nel sangue di Cristo crocifisso, dolce e buono Gesù amore.





83. A Conte di Conte da Firenze, spirituale, essendo per alcuno modo caduto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in te lo lume de la santissima fede, lo quale lume ci mostra la via della verità.

E senza esso neuno nostro essercizio, desiderio, o opera verrebbe a frutto né a perfezione, né a quello fine per mezzo del quale avessimo cominciato, ma ogni cosa verebbe imperfetta; lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo. La cagione è questa: che pare che tanto sia la fede quanto l'amore, e tanto l'amore quanta la fede. Chi ama, sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente lo serve fino a la morte.

O carissimo figlio, questo è quello lume che conduce l'anima a porto di salute, tra'la del loto de la miseria, e disolve in lei ogni tenebre di proprio amore: poiché in esso conosce quanto è spiacevole a Dio e nocivo a la salute, e però si leva con odio e caccialo fuore di sé. Con fede viva cognobbe che ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato; e però abraccia la virtù e spregia il vizio: con grande solicitudine diventa costante e perseverante in fino a la morte, in tanto che né demonio né creatura né la fragile carne il fanno voltare il capo adietro, quando questo lume perfettamente è ne l'anima. A la quale perfezione si viene con molto essercizio, con ansietato desiderio, e con profonda umilità.

La quale umilità l'anima acquista ne la casa del cognoscimento di sé, col mezzo de la continua umile e fedele orazione, con molte bataglie dal demonio e molestie da le creature e da sé medesimo, cioè da la perversa volontà, e da la fragile carne che sempre combatte contro lo spirito. A tutte risiste col lume de la santissima fede; col quale lume, ne la dottrina del Verbo, s'inamorò del sostenere pene e fatiche per qualunque modo Dio glile permettesse, non elegendo tempo né luogo né fatiche a modo suo, ma secondo che vuole la Verità eterna, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.

Ma perché ci permette queste fatiche e tante ribellioni? Perché si pruovi in noi la virtù; e affinché con lume cognosciamo la nostra imperfezione e l'aiuto che l'anima riceve da Dio nelle bataglie e fatiche; e affinché cognosciamo lo fuoco de la sua carità nella buona volontà che egli ha riservata ne l'anima, nel tempo de le tenebre e de le molestie e de le molte fatiche. Per questo cognoscimento che ha nel tempo de le fatiche, leva da sé la imperfezione de la fede e viene a perfettissima fede, per la molta esperienzia che n'ha avuta e provata, essendo ancora nel camino de la imperfezione. Questo lume tolle via in tutto la confusione de la mente: non tanto che nel tempo de le bataglie, ma eziandio se l'uomo attualmente fusse caduto in colpa di peccato mortale, di qualunque peccato si sia, la fede lo rilieva, perché col lume raguarda ne la clemenza, fuoco e abisso della carità di Dio, distendendo le braccia de la speranza; e con esse riceve e stregne il frutto del sangue, nel quale ha trovato questo dolce e amoroso fuoco, con una contrizione perfetta, umiliandosi a Dio e al prossimo per lui; e reputasi il più minimo e il più vile di tutti gli altri. E così spegne la colpa dentro ne l'anima sua per contrizione e speranza del sangue; al quale sangue fu introdutto dal lume de la fede.

Per questo modo viene a tanta perfezione e a tanto amore del divino e amoroso fuoco, che egli può dire insieme col dolce Gregorio: «O felice e avventurata colpa, che meritaste d'avere così-fatto redentore!» Fu felice la colpa di Adam? No, ma il frutto che per essa ricevemmo fu felice, vestendo Dio il suo Figlio de la nostra umanità e ponendoli la grandeobbedienza che restituisse a grazia l'umana generazione. Ed egli come inamorato corse a pagare il prezzo del sangue suo. Così dico de l'anima: la colpa sua non è felice, ma il frutto che riceve ne l'affetto de la carità, per la grande e perfetta emendazione che ci è fatta col lume de la fede, come detto è; e perché cresce in cognoscimento e umilità.

Ella se ne va tutta gioiosa a l'obedienzia dei comandamenti di Dio, ricevendo con odio e amore questo giogo sopra le spalle sue; e subito corre, come inamorata, a dare la vita, se bisogna, per salute de l'anime, perché col lume ha veduto che l'amore e le grazie, che ha trovate in Dio, a lui non può rendere. Puogli bene rendere amore, ma debito d'utilità no - per grazia che egli riceva da Dio -, poiché egli non ha bisogno di noi; ma può bene rendere al prossimo, facendo utilità a lui poiché a Dio non la può fare. E veramente egli è così, che servendo al prossimo caritativamente noi dimostriamo in lui l'amore che aviamo a la somma eterna verità. In questa carità si pruova se le virtù in verità sonno ne l'anima, o no. Sì che l'anima corre come obediente - e anegata la sua volontà - a compire la volontà di Dio nel prossimo suo, non lassando per pena né per veruna cosa, in fino a la morte.

Con questo lume gusta la caparra di vita eterna, nutrendosi per affetto d'amore al petto di Cristo crocifisso, dilettandosi di furare le virtù e la vita e maturità che ebbero i veri gustatori, cittadini de la vita beata, mentre che furono peregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Con questa fede si porta la chiave del sangue con la quale si diserra vita eterna. La fede non presumme di sé, ma del suo Creatore, perché non v'è il vento de la superbia con la propria reputazione; la quale reputazione, e superbia, immondizia, e ogni altro difetto e miseria, sonno i frutti de la infedeltà che aviamo verso di Dio, e de la presunzione di fidarci in noi medesimi, lo quale è uno verme che sta nascosto sotto la radice de l'albero de l'anima nostra. E se l'uomo non l'uccide col coltello de l'odio, rode tanto che egli fa torcere l'albero, o egli il manda a terra, se con grande diligenzia e umilità l'anima non si procura.

Spesse volte sarà l'uomo sì ignorante, per l'amore proprio di sé, che egli non s'avederà che questo verme vi sia nascosto; e però Dio permette le molte bataglie e persecuzioni, e che l'albero si torca, e alcune volte che caggia. Non permette la mala volontà, ma permeteli lo tempo; e lassalo guidare al libero arbitrio suo, solo perché egli ritorni a sé medesimo e con questo lume, umiliato, cerchi questo verme, e metta mano al coltello de l'odio, ed uccidalo. E non ha materia quella anima di rallegrarsi, e riconoscere la grazia che Dio l'ha fatta d'avere veduto e trovato in sé quello che non conosceva? Sì bene.

Sì che per ogni modo, carissimo figlio, in ogni stato che l'uomo è, o giusto o peccatore, o che sia caduto e poi si relevi, gli è necessario questo lume. Quanti sonno gli inconvenienti che vengono per non averlo? Non mi pongo a nararlo, né a dirne più, ché troppo sarebbe longo; basti per ora quello che n'è detto.

Quanto gli è utile e dilettevole ad averlo? Non tel so esprimere con lingua né con inchiostro; ma Dio tel faccia provare per la sua infinita misericordia. Così voglio che sia, e però dissi ch'io desideravo di vedere in te lo lume de la santissima fede.

Sommi molto maravigliata de le lettere che hai mandate a Barduccio: per nessuna cagione voglio che ti parta da la congregazione dei tuoi in Cristo fratelli - guarda già che tu non andassi al luogo perfetto de la religione -, né che tu venga mai a confusione di mente, ma tutto umiliato ti facci suddito al più minimo che v'è; né, per questo, lasciare che tu non porga a loro quella verità che Dio ti facesse conoscere. Or cominciamo testé di nuovo a pigliare i remedi sopradetti, affinché il demonio de la tristizia e confusione non asalisca l'anima vostra: ché peggio sarebbe l'ultima che le prime, e sarebbe grande offesa di Dio.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 14:55

84. A frate Filippo di Vannuccio e a frate Nicolò di Piero da Firenze, de l'Ordine di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio de vedervi fondati in vera e santa pazienza, poiché senza la pazienza non sareste piacevoli a Dio, non portareste lo giogo della santaobbedienza, ma con impazienzia ricalcitrareste al prelato e all'Ordine vostro.

E pazienza non è mai se non in colui che sta in perfetta carità, unde colui che ama perde la malagevolezza che pare che sia in portare i costumi dell'Ordine, e le gravi obedienzie e alcune volte indiscrete. Ma poi che per l'amore la malagevolezza si parte, e con pazienza porta, è fatto subbitamente suddito e veramente obediente. Ed è umile, che per superbia non leva mai lo capo contro al prelato suo; e tanto sarà umile quanto obediente, e tanto obediente quanto umile. Oh quanto è dolce, figli carissimi, questa virtù della prontaobbedienza! La quale tolle ogni fatica, perché è fondata in carità; e carità non è senza pazienza né senza umilità, poiché ella è baglia e nutrice della carità.

Ma vediamo un poco lo frutto di questa virtù dell’obbedienza, se egli è frutto di vita o no; e quello che esce del disobbediente. Ogni creatura, figli carissimi, che ha in sé ragione, debba essere obediente ai comandamenti di Dio. La qualeobbedienza leva via la colpa del peccato mortale, e riceve la vita della grazia; poiché con altro strumento non si leva la colpa e non si fa la colpa. Nellaobbedienza si leva la colpa, poiché osserva i comandamenti della santa legge; e nella disobbedienza offende, perché trapassa quello che gli fu comandato e fa quello che gli è vetato; unde ne li nasce la morte ed sceglie subito quello che Cristo fuggì, e fugge quello che egli elesse.

Cristo fuggì le delizie e gli stati del mondo; ed egli le cerca - mettendo l'anima sua nelle mani delle demonia per potere avere e compire i suoi disordenati desiderii -, fuggendo quello che lo Figlio di Dio abracciò, cioè scherni strazii e rimproverii, i quali con pazienza portò infine alla obbrobriosa morte della croce, e umilemente, in tanto che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione, ma sostenne infine alla morte per compire l'obedienzia del Padre e la salute nostra. Ma colui che è obediente segue le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo, e cerca l'onore di Dio e la salute delle anime. Sì che vedete che ogni creatura che ha in sé ragione, se vuole la vita della grazia, si conviene che passi col giogo dell’obbedienza: ma attendete che questa è unaobbedienza generale, che generalmente ciascuno c'è obligato.

Ed è unaobbedienza particulare, la quale hanno coloro che, osservati i comandamenti, seguitano i consigli, volendo andare attualmente e mentalmente per la via della perfezione: questi sono quelli che entrano nel giardino della santa religione. Ma agevole cosa gli sarà a obedire all'Ordine e al prelato suo, a colui che ha osservato l'obedienzia generale, e da la generale è ito alla particulare. Unde se egli è ito con la voluntà morta, come debba, egli gode; e stando nell'amaritudine sente la dolcezza; e nel tempo della guerra gusta la pace; e nel mare tempestoso fortemente navica, poiché lo vento dell’obbedienza tanto forte mena l'anima nella navicella dell'Ordine, che neuno altro vento contrario che venisse la può impedire: non lo vento della superbia - poiché egli è umile, che altrimenti non sarebbe obediente -; non la impazienzia, poiché egli ama - e per amore s'è sottoposto all'Ordine e al prelato, e non tanto al prelato, ma a ogni creatura per Dio -; e la pazienza è lo midollo della carità. Unde nol può percuotere lo vento della infedelità, né della ingiustizia, poiché giustamente rende lo debito suo: a sé rende odio e pentimento della propria sensualità, la quale, se la ragione non tenesse lo freno in mano, ricalcitrarebbe all’obbedienza; e a Dio rende gloria e loda al nome suo; e al prossimo la benevolenza, portando e sopportando i difetti suoi.

Allora con fede viva - perché alla fede sono seguitate le opere - aspetta, nell'ultimo della vita sua, di tornare al fine suo nella vita durabile, sì come lo prelato gli promisse nella sua professione. Poiché egli promette di darli vita eterna, se in verità osserva i tre voti principali - cioèobbedienza continenzia e povertà voluntaria -, i quali tutti lo vero obediente osserva. Questa navicella va sì dritta verso lo porto di vita eterna col vento dell’obbedienza, che in neuno scoglio si percuote mai.

Molti scogli si trovano nel mare di questa tenebrosa vita, nei quali ci percotaremmo, se lo vento prospero dell’obbedienza non ci fusse. Or che duro scoglio è quello della 'mpugna deli demoni, le quali non dormono mai, volendo assediare l'anima di molte varie, diverse e laide cogitazioni; e più nel tempo che l'anima si vuole strignere e serrare con questo vento dell’obbedienza, con umile orazione - la quale orazione è uno petto dove si notricano i figli delle virtù -, solo per impedirla! Poiché la malizia del demonio lo fa solamente per farci venire a tedio l'orazione e la santaobbedienza, quasi volendo mettarci nel cuore una impossibilità di non potere perseverare in quello che è cominciato, né portare le fatiche dell'Ordine; e la paglia gli fa parere una trave, e una parola che gli sia detta nel tempo delle battaglie gli farà parere uno coltello, dicendoli: «Che fai tu in tante pene? meglio t'è di tenere altra via». Ma questa è una battaglia grossa a chi ha punto d'intelletto, poiché l'uomo vede bene che meglio è per l'anima sua che sia perseverante e costante nella virtù cominciata.



Ma un'altra ne pone, colorata col colore de l'odio e del cognoscimento del difetto suo, e dello schietto e puro servire che gli pare che deve fare al suo Creatore, dicendo nella mente sua: «O misero, tu debbi fare le tue opere e l'orazioni schiette, con purezza di mente e simplicità di cuore, senza altri pensieri; e tu fai tutto lo contrario, unde, perché tu non le fai come tu debbi, elle non sono piacevoli a Dio. Meglio t'è dunque di lassarle stare». Questa, figli carissimi, è una battaglia occulta, mostrandoci prima la verità di quello che è, e facendocela conoscere, ma poi di dietro v'attacca la bugia, la quale germina lo veleno della confusione. Unde, giunta la confusione, perde l'essercizio; e, perduto l'essercizio, è atto a cadere in ogni miseria, e, nell'ultimo, nella disperazione. E però lo demonio si fa tanto dinanzi, e tanto da lunga con sottile arte, cioè per giugnarlo qui, non perché egli creda che di primo colpo egli cadesse in quelle cogitazioni, cioè che v'aconsentisse.

Chi è colui che campa e non percuote in questo scoglio? Solo l'obediente, poiché egli è umile, e l'umile passa e rompe tutti i lacciuoli del demonio; sì che vedete che all'obediente non bisogna temere di timore servile per alcuna cogitazione o molestia del demonio. Tenga pur ferma la volontà, che non consenta, annegandola nel sangue di Cristo crocifisso, e legandola col legame della veraobbedienza, per amore e reverenzia dell’obbedienza del Verbo unigenito Figlio di Dio.

E trovasi lo scoglio della fragile e miserabile carne che vuole combattere contro allo spirito, la quale è vestita d'amore sensitivo; lo quale amore farebbe offendere, poiché la carne ha sempre in sé ribellione, e alcune volte si corrompe. Ma non sarebbe offesa se non in quanto la voluntà, legata col proprio amore sensitivo, consentisse alla fragile carne, e dilettassesi nel suo corrompere; ma se la voluntà è morta nell'amore sensitivo e nel proprio diletto, e legata nell'obedienzia, come detto è, con tutte le sue ribellioni non gli può nuocere, né impedire la navicella; anco è uno augmentare e dare vigore al vento, che più velocemente corra verso lo termine suo.

Poiché l'anima che si sente combattere si leva tale ora dal sonno della negligenzia, con odio e cognoscimento di sé e con vera umilità; che se così non fusse, dormirebbe nella negligenzia con molta ignoranza e presunzione, la quale presunzione notricarebbe la superbia, presumendo di sé medesimo alcuna cosa. Unde per le impugne diventa più umile; e già dicemmo che tanto è obediente quanto umile: se dunque cresce la virtù de l'umilità, cresce anco la virtù dell’obbedienza, sì che vedete che corre più velocemente.

Ècci anco lo scoglio del mondo, lo quale come ingannatore si mostra con molte delizie stati e grandezze, tutto fiorito; e non di meno egli ha in sé continua amaritudine, ed è senza alcuna fermezza o stabilità, ma ogni suo diletto e piacere viene tosto meno: sì come la bellezza del fiore, lo quale, quando è colto del campo, pare, a vederlo, bello e odorifero; e, colto, subito è passata la bellezza e l'odore suo, ed è tornato a non nulla. Così la bellezza e gli stati del mondo paiono uno fiore; ma subito che l'affetto de l'anima gli piglia con disordenato amore, si trova votio e senza bellezza alcuna, perduto quello odore che avevano in loro. Odore hanno in quanto elle sono escite dalla santa mente di Dio; ma subito l'odore è partito in colui che l'ha colte e possiede con disordenato amore, non per difetto loro né del Creatore che l'ha date, ma per difetto di colui che l'ha colte, lo quale non l'ha lassate nel luogo dove elle debbono stare, cioè d'amarle per gloria e loda del nome di Dio.

Chi lo passa questo scoglio? l'obediente, osservando lo voto della povertà voluntaria. Sì che vedete che non bisogna temere di veruno scoglio che sia, avendo voi lo vento della veraobbedienza. L'obediente gode, poiché non navica sopra le braccia sue, ma sopra le braccia dell'Ordine: egli è privato della pena affriggitiva, poiché ha morta la propria volontà che gli dava pena - ché tanto c'è fatica ogni fatica, quanto la voluntà le pare fatica -; ma all'obediente che non ha voluntà, la fatica gli è diletto, i sospiri gli sono uno cibo, e le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6). E ponendosi alle mammelle della divina carità, trae a sé lo latte della divina dolcezza per lo mezzo di Cristo crocifisso, seguitando in verità le vestigie e dottrina sua.

Oobbedienza, che sempre stai unita nella pace e nell'obedienzia del Verbo, tu sei una regina coronata di fortezza, tu porti la verga della lunga perseveranza, tu tieni nel grembo tuo i fiori delle vere e reali virtù; e, essendo l'uomo mortale, tu gli fai gustare lo bene immortale, ed essendo umano lo fai diventare angelico, e d'uomo angelo terrestro; tu pacifichi e unisci i discordanti. Tu, suddito agli più minimi: e quanto più ti fai suddito, più sei signore, perché signoreggi la propria sensualità; e hai spento l'amore proprio col fuoco della divina carità, poiché per amore sei obediente. De la cella t'hai fatto cielo, perché tu non esci della cella del cognoscimento di te; e in su la mensa della croce con l'obediente Agnello mangi l'onore di Dio e la salute delle anime. In te,obbedienza, non cade giudicio verso alcuna creatura, e singularmente nel prelato tuo; perché tu sei fatta giudice della dolce voluntà di Dio, giudicando che Dio non vuole altro che la tua santificazione, e ciò che dà e permette, dà per questo fine. Pigli la compassione del prossimo, ma non giudicio né mormorazione. Tu non vuoli investigare la voluntà di chi ti comanda, ma semplicemente, con simplicità di cuore condita con prudenzia, obedisci in quelle cose dove non ha colpa di peccato; e di nessuna cosa ti stolli mai. Bene è dunque che nell'amaritudine gusti la dolcezza, e nel tempo della morte la vita della grazia.

O carissimi figli, e chi sarà colui che non s'inamori di così dolci e suavi frutti quanti riceve l'anima nella virtù dell’obbedienza? Sapete chi ricevarà? Quelli che con l'occhio dell'intelletto e con la pupilla della santissima fede si specula nella verità, conoscendo in essa verità sé e la bontà di Dio in sé, nella quale bontà trova la eccellenza di questa dolce e reale virtù.

Chi è colui che non la vede? Chi non ha lo lume, e però non la conosce; non conoscendola, non l'ama; e non amandola non n'è vestito, ma è spogliato de l'obedienzia e vestito della disobbedienza. La quale disobbedienza dà frutto di morte, ed è uno vento traverso che fende la navicella, percotendola nelli scogli detti; unde l'anima affoga nel mare con molta amaritudine, per la privazione della grazia, trovandosi nella colpa del peccato mortale. Egli è fatto incomportabile a sé medesimo, privato della carità fraterna; egli trapassa lo voto promesso, e non l'osserva. Non osserva l'obedienzia né la continenzia, poiché impossibile sarebbe al disobbediente essere continente; e se fusse attualmente non sarebbe mentalmente. E non osserva lo voto della povertà voluntaria, poiché quelli che è nel proprio amore appetisce i diletti del mondo, e viengli a tedio l'orazione e la cella, dilettandosi della conversazione.

Oh quanta miseria n'esce! ed è fatto perditore del tempo; e volta lo capo indietro a mirare l'arato, e non persevera; ed è fatto debole, ché ogni picciola cosa lo dà a terra; e privasi d'ogni virtù; e sempre, come superbo, vuole investigare la voluntà altrui, e massimamente quella del suo prelato. La lingua, figli carissimi, non sarebbe sufficiente per potere narrare lo male che esce della disobbedienza: egli è impaziente che non può sostenere una parola; ed è atorniato di molti lacciuoli, e neuno ne passa, ma gusta in questa vita la caparra dell’inferno. Che dunque diremo? Diremo che ogni male esce della disobbedienza; perché è privato della carità e della virtù della umilità, che sono due ale che ci fanno volare a vita eterna; ed è privato della pazienza, che è lo midollo della carità, per la quale carità l'anima viene aobbedienza. Unde, considerando me che per altra via non possiamo fuggire tanti mali e venire a tanto bene quanto ci dà la virtù dell’obbedienza, dissi che io desideravo di vedervi fondati in vera e santa pazienza; poichéobbedienza non si può avere senza la pazienza, e la pazienza procede da la carità: poiché per amore è fatto paziente e obediente, unto di vera e perfetta umilità.

Or su, figli miei, poiché sete entrati nella navicella della santa religione corrite col vento prospero della veraobbedienza infine a la morte, a ciò che senza pericolo giugniate al termine vostro. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Racomandateci strettamente al priore, e a tutti cotesti figli; e voi siate specchio d'obedienzia. Gesù dolce, Gesù amore.





85. A Piero di Tommaso dei Bardi da Firenze.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza, poiché in altro modo non potreste essere piacevole al vostro Creatore, né participare la vita della grazia, poiché fede viva non è mai senza opera.

Che se fede fusse senza opera sarebbe morta (Jc 2,26), e parturirebbe i figli suoi delle virtù morti e non vivi, poiché colui che è senza lo lume della fede è privato della virtù della carità, e senza la carità neuno bene che facci, o atto di virtù, gli vale a vita eterna; bene che neuno bene si debba lasciare che non si facci, poiché ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. Poniamo che quello bene che è fatto in colpa di peccato mortale - che è privato allora del lume della santissima fede -, non gli vale quanto a vita eterna; ma valgli a molte altre cose, ricevendo grazia da Dio. Cioè che, non volendo la divina bontà che quello bene che aduopera l'uomo passi inremunerato, egli lo remunera alcune volte prestandoci lo tempo, nel quale tempo aviamo spazio di poterci correggere; o egli ci mette nei cuori dei servi suoi, costrignendoli a desiderio della salute nostra, unde per quello desiderio e orazione che fanno per noi usciamo delle tenebre del peccato mortale, e riducerenci allo stato della grazia; o egli lo remunera in cose temporali, se egli non si dispone per lo suo difetto a ricevere le spirituali. Sì che vedete che ogni bene è remunerato: e però non si debba lasciare lo bene, ma bene doviamo ingegnarci di farlo in grazia, a ciò che sia fatto col lume della fede; nel quale lume della fede si parturiscono i figli delle virtù vivi, cioè che danno nell'anima vita di grazia.

O glorioso lume, lo quale privi l'anima delle tenebre, e spoglila della speranza di sé e del mondo e dei figli e d'ogni creatura, e la rivesti della vera speranza la quale ha posta in Cristo crocifisso! E però non teme mai che gli manchi alcuna cosa, poiché col lume della fede ha cognosciuta la divina bontà in sé; unde conosce che Dio è potente a poterlo sovvenire, ed è sapientissimo che sa, ed è clementissimo che vuole sovvenire la sua creatura che ha in sé ragione. Chi spera in lui, non gli manca mai; ma a misura tanto ci provede quanto noi speriamo nella sua larghezza: unde tanto saremo proveduti quanto noi speraremo. E però, se l'uomo conosce sé con lume di fede, egli non si confida in sé né nel suo sperare, poiché conosce sé non essere manifestamente; che se alcuna cosa fusse da sé, egli potrebbe possedere - di quelle cose che egli ama - a suo modo: la quale cosa non è. Anco, quando vuole essere ricco, spesse volte gli conviene essere povero; vorrebbe la sanità e la lunga vita ed i gli conviene essere infermo, e viengli meno lo tempo. E però è stolto e maladetto colui che si confida nell’uomo, vedendo che egli alcuna cosa non è da sé, e vedendo che lo mondo e l'uomo nol serve se non per propria utilità. Chi dunque si vorrà confidare in loro sempre ne rimarrà ingannato, poiché a nessuna cosa gli tiene fede; che volendo aricchire, egli impovarisce l'anima sua, e sé e i figli della sustanzia temporale. Egli diventa disordenato e incomportabile a sé medesimo, desiderando quello che non debba desiderare; e l'animo che è disordenato a volere quello che non ha, ha sempre pena, poiché è privato del sommo bene, lo quale pacifica quieta e sazia l'anima.

O fratello e figlio carissimo, aprite l'occhio dell'intelletto col lume della santissima fede, a ciò che cognosciate la poca fermezza e stabilità del mondo, e la grande bontà di Dio, fermo e stabile che non si muove mai, lo quale sazia e notrica l'anima nell'affettuosa carità, e vestela di speranza - sperando nel suo dolce Creatore -. E sa bene che la divina bontà vede di quello che egli ha bisogno; e però offera lo desiderio e il bisogno suo a lui, servendolo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto suo (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27).

E la fatica del corpo dà a la fameglia, sovenendoli e aiutandoli di quello che può con buona e santa conscienzia; fa quello che può e l'avanzo lassa fare alla divina bontà, in cui egli ha posta la speranza sua, perché cognobbe col lume della fede la sua bontà e providenzia. In altro modo non vedo che potesse campare del loto del mondo senza lo lume della fede, unde trasse la speranza e l'affettuosa carità, gustando in questa vita la caparra di vita eterna, perché la volontà sua è vestita de la dolce volontà di Dio. E però vi dissi che io desideravo di vedervi illuminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza.

E così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che facciate voi e la donna vostra, a ciò che non stiate in stato di dannazione; e quello che non fusse fatto per lo tempo passato, io voglio che si facci per lo presente. E non aspettate lo tempo a cercare la salute vostra, poiché il tempo non aspetta voi; e però non dovete aspettare lui, facendo come lo corbo che dice cra cra. Così i perditori del tempo sempre dicono: domane farò; e così si trovano giunti alla morte, e non se n'aveggono. E allora vuole lo tempo, e nol può avere, quando ha speso lo tempo suo miserabilemente, con avarizia e cupidità e guadagni illiciti e con molta immondizia della mente e del corpo suo, contaminando lo sacramento del matrimonio; fassi Dio dei figli suoi, e, come cieco, pone la speranza dove non la die ponere. E così va di cecità in cecità, in tanto che, se non si corregge e non punisce la colpa con la contrizione del cuore e confessione e satisfazione, giusta al suo potere - la sua possibilità, e non la impossibilità, ché non la richiede Dio -, giogne all'eterna dannazione.

Voglio dunque che vi destiate dal sonno prima che venga la morte; e quello desiderio e lume che Dio v'ha dato non sia tolto da voi, ma con perseveranza l'essercitate col tesoro delle virtù e col lume della fede, e con la perfettissima speranza. E non pensate che la divina providenzia vi venga meno; ma sempre vi soverrà, sperando voi in lui in ogni vostro bisogno. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





86. All'abbadessa del monasterio di santa Maria delli Scalzi in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera carità, a ciò che siate vera notrice e governatrice delle vostre pecorelle.

Bene è vero che non potremmo notricare altrui se prima non notricassimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può notricare se non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza. A noi, carissima madre, conviene fare come fa il fanciullo, lo quale, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte; e così doviamo fare noi, se vogliamo notricare l'anima nostra: dovianci ataccare al petto di Cristo crocifisso, in cui è la madre della carità, e col mezzo della carne sua trarremo il latte che notrica l'anima nostra e i figli de le virtù: cioè per mezzo della umanità di Cristo, poiché nella umanità cadde e sostenne la pena, ma non nella deità.

E noi non possiamo notricarci, di questo latte che traiamo dalla madre della carità, senza pena; e differenti sono le pene, e spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal demonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a notricare a questo dolce e glorioso petto, unde ha tratto l'amore, vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo. E ne l'amore ha trovato l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre combatte contro allo spirito (Rm 7,23). Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sì sono i cruciati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo; poiché la carità fa questo, che ella s'inferma con quelli che sono infermi ed è sana con quelli che sono sani, ella piange con coloro che piangono e gode con coloro che godono (Rm 12,15); cioè, che piange con quelli che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con quelli che godono nello stato della grazia.

Allora ha presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affriggitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguire le vestigie di Cristo crocifisso; e allora gusta lo latte della divina dolcezza. E con che l'ha preso? con la bocca del santo desiderio; in tanto che, se possibile le fusse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - poiché le virtù hanno vita dal latte dell'afocata carità -, non vorrebbe. Ma più tosto sceglie di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; poiché non le pare che sotto il capo spinato debbino stare i membri delicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non scegliendo portare a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così non porta, ma il capo suo Cristo crocifisso n'è fatto portatore. Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità! la quale non cerca le cose sue, cioè che non cerca sé per sé ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuore di lui nulla vuole possedere.

E in ogni stato che ella è, ella spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è seculare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nella ricchezza volendo possedere in particulare; poiché ella vede che farebbe contro lo voto della povertà voluntaria, la quale promisse d'osservare nella sua professione.

E non si diletta né vuole la conversazione di coloro che le volessero impedire il voto della castità, anco gli fugge come serpenti velenosi; e mettesi in bando delle grate e del parlatòro e sbandisce la dimestichezza dei devoti; e ribandiscesi alla patria della cella, sì come vera e ligittima sposa, e ine acquista al petto di Cristo crocifisso la vigilia e l'umile e continua orazione. E non solamente l'occhio del corpo, ma l'occhio dell'anima vegghia in conoscere sé medesima, la fragilità e la miseria sua passata, e la dolce bontà di Dio in sé, vedendo sé essere amata ineffabilemente dal suo Creatore; unde allora le segue a mano a mano la virtù de l'umilità, e il santo e ardente desiderio, lo quale è quella continua orazione della quale Paulo ci ammaestra, dicendo che sempre doviamo orare senza intermissione (1Th 5,17). E al desiderio santo seguitano le sante e buone opere; e quelli è che non cessa d'orare, che non cessa di bene adoperare.

In cella fa mansione con lo sposo eterno, abracciando le vergogne e le pene per qualunque modo Dio glil concede; spregiando le delizie lo stato e l'onore del mondo; annegando la propria e miserabile voluntà; ponendosi dinanzi l'obedienzia di Cristo crocifisso, lo quale per l'obedienzia del Padre e per la salute nostra corse alla obbrobriosa morte della croce: sì che con l'obedienzia sua è fatta obediente. E così osserva il terzo voto dell’obbedienza, e mai non ricalcitra all’obbedienza sua, né vuole investigare la voluntà di colui che comanda, ma semplicemente osserva l'obedienzia. Or così fa lo vero obediente, ma il disobbediente sempre vuole sapere le cagioni e il perché gli è comandato; unde questa cotale non è mai osservatrice dell'Ordine, ma trapassatrice. Ma quella che è obediente, sel pone dinanzi come specchio; e inanzi sceglie la morte, che volerlo trapassare, sì che è perfetta suddita.

Quando ella ha a governare, ella è perfetta nello stato del reggimento, se ella ha notricata prima l'anima sua in virtù al petto di Cristo crocifisso. Allora, se ella è stata buona suddita, essendo poi posta a reggere è buona notrice delle sue figlie; e reluce in lei la margarita della giustizia, e gitta odore d'onestà, dando essemplo a loro di santa e onesta vita. E perché carità non è senza giustizia - anco è giusta l'anima che la possede giustamente -, rende a ciascuno il debito suo: a sé rende odio e pentimento di sé; a Dio rende per affetto d'amore gloria e loda al nome suo; e al prossimo rende la benevolenza, amandolo e servendolo in ciò che può. AI sudditi suoi rende a ciascuno secondo il suo stato: al perfetto gli aita ad aumentare la virtù; allo imperfetto e a quelli che commette difetto la correzione e punizione, poco e assai secondo la gravezza della colpa, e secondo che il vede atto a portare. Ma non lassa mai passare il difetto impunito; e con carità, e non per animo, gli vuole punire più tosto in questa vita che poi lo' sia punita nell'altra.

Ma pensate che se ella non avesse notricata l'anima sua, come detto è, non portarebbe la margarita de la giustizia, ma con molta ingiustizia menarebbe la vita sua; e, come ladra, furarebbe quello che è di Dio e darebbelo a sé, e così quello del prossimo; e non l'amarebbe se non per propria utilità. E le figlie sue non governarebbe se non a piacimento di sé o delle creature; e per non dispiacer-lo', farebbe vista di non vedere i difetti loro. O se correggesse con la parola, pigliarebbe poco lungo, poiché nol farebbe con ardire e sicurezza di cuore; poiché - perché la vita sua non è ordinata - germina paura e timore servile, e però non ha luogo il suo correggere.

Non ci vedo dunque altro modo se non di ponarci al petto di Cristo crocifisso - e per questo mezzo, nel modo detto, gustiamo lo latte della divina carità -, e qui fare il suo fondamento. Unde, considerando me che neuno altro remedio né via c'è, dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta carità; e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che v'ingegniate d'essere, a ciò che le pecorelle vostre sieno governate da voi con essemplo di buona e santa vita; e a ciò che le pecorelle che sono fuore dell'ovile della virtù ritornino all'ovile loro. Ritraetele da le conversazioni, e inanimatele alla cella, e fatele sollicite al coro, e al refettorio in comune e non in particulare. E se voi nol farete giusta al vostro potere, vi saranno richieste da Dio; e sopra alla ragione dei pesi vostri avarete a rendere la loro. Perciò, carissima madre, non dormite più, ma destatevi dal sonno della negligenzia. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 14:57

87. A monna Giovanna pazza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti portare realmente ciò che lo nostro dolce Salvatore ti permette.

E a questo cognosciarà la verità eterna che tu l'ami, poiché altro segno non gli possiamo dare del nostro amore se non d'amare caritativamente ogni creatura che ha in sé ragione, e di portare con vera e reale pazienza infine alla morte, non scegliendo né tempo né luogo a modo nostro ma a modo di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. Troppo sarebbe grande ignoranza che noi, infermi, dimandassimo la medicina al nostro medico Cristo che ce la desse secondo lo nostro piacere, e non secondo la sua volontà che vede e conosce quello che ci bisogna. Unde io voglio che tu sappi, figlia mia, che ciò che Dio ci dà e permette in questa vita lo fa o per necessità della salute nostra, o per acrescimento di perfezione; e però doviamo umilemente e con pazienza portare, e con reverenzia ricevere, aprendo l'occhio dell’intelletto, e raguardare con quanta carità e fuoco d'amore egli ce le dà; e vedendo che egli ce le dà per amore e non per odio, per amore le ricevaremo.

E tanto c'è necessaria questa virtù de la pazienza che ce la conviene procacciare, a ciò che non perdiamo lo frutto delle nostre fatiche; e dovianci levare da la negligenzia, e con sollicitudine andare colà dove ella si trova. E dove si trova? In Cristo crocifisso, poiché tanta fu la pazienza sua che lo grido suo non fu udito per alcuna mormorazione. I giudei gridavano «crucifigge!» (Mt 27,23 Mc 15,13-14 Lc 23,21), ed egli gridava «Padre, perdona a costoro che mi crucifiggono, ché non sanno che si fare» (Lc 23,34). O pazienza che ci desti vita, cioè che portando le nostre iniquità con pazienza le punisti in su lo legno de la croce sopra lo corpo tuo! Col sangue suo lavò la faccia dell'anima nostra; nel sangue sparto con fuoco d'amore e con vera pazienza ci recreò a grazia; lo sangue ricoperse la nostra nudità perché ci rivestì di grazia; nel caldo del sangue distrusse lo ghiaccio e riscaldò la tepidezza dell’uomo; nel sangue cadde le tenebre e donocci la luce; nel sangue si consumò l'amore proprio: cioè che l'anima, che raguarda sé essere amata, nel sangue ha materia di levarsi dal miserabile amore proprio di sé, e d'amare lo suo redentore che con tanto fuoco d'amore ha data la vita, e corso, come inamorato, alla oprobiosa morte della croce. Lo sangue c'è fatto beveraggio a chi lo vuole, e la carne cibo (Jn 6,55), perché in neuno modo si può saziare l'appetito dell’uomo, né tollarsi la fame e la sete, se no nel sangue. Ché, perché l'uomo possedesse tutto quanto lo mondo, non si può saziare, poiché le cose del mondo sono meno di lui; unde di cosa meno di sé saziare non si potrebbe, ma solo nel sangue si può saziare, poiché lo sangue è intriso e impastato con la deità eterna, natura infinita, maggiore che l'uomo.

E però l'uomo ine sazia lo desiderio suo, e col fuoco della divina carità: poiché per amore fu sparto.

Questo sangue fu dato a noi abbondantemente: l'ottavo dì doppo la sua natività fu spillata la botticella del corpo suo, che fu circunciso (Lc 2,21), ma era sì poco che anco non saziava la creatura; ma al tempo della croce si misse la canna nel costato suo, e Longino ne fu strumento, quando gli aperse lo cuore.

Votiata questa botte della vita del corpo suo - separandosi l'anima da esso corpo - lo sangue fu messo a mano, e bandito con la tromba della misericordia e col trombatore del fuoco dello Spirito santo, che chiunque vuole di questo sangue, vada per esso. Dove? A questa botte medesima, Cristo crocifisso; seguitando la dottrina e la via sua. Quale è la sua dottrina? Amare l'onore di Dio e la salute delle anime; e con pena, forza e violenzia della propria sensualità acquistare le virtù.

Che via ha a tenere chi vuole giognere al luogo e alla dottrina per avere lo sangue? E che vasello e lume gli conviene avere? Lo lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla che sta nell'occhio dell'intelletto; poiché se l'anima non avesse questo glorioso lume, smarrirebbe la via, sì come fanno gli uomini del mondo, che hanno acecato l'occhio dell'intelletto da la nuvola del proprio amore e tenarezza di sé, e però vanno per le tenebre come abaccinati. Costoro spregiano e schifano lo sangue, non tanto che vadino per esso. Convienci dunque avere lo lume, come detto è, e tenere per la via del vero cognoscimento di noi medesimi e del cognoscimento della bontà di Dio in noi, con odio del vizio e amore della virtù. Questa è una via ed è una casa dove l'anima conosce e impara la dottrina di Cristo crocifisso: in questa casa del cognoscimento di noi e di Dio troviamo lo sangue, dove noi troviamo lavata la faccia dell'anima nostra.

Che vasello ci conviene portare? Lo vasello del cuore; a ciò che come spogna, mettendo l'affetto del cuore nel sangue, tragga a sé lo sangue e l'ardore della carità con che fu sparto. Allora l'anima si inebria: poi che ha avuto lo lume, e andata per la via seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, gionta al luogo, ed empito lo vasello, gusta uno cibo di pazienza, uno odore di virtù, uno desiderio di sostenere, che non pare che si possa saziare di portare croce per Cristo crocifisso. E fa come l'ebbro, che quanto più beie, più vorrebbe bere; e così quest'anima quanto più porta, più vorrebbe portare. E il suo refriggerio le sono le pene; e le lacrime che ha tratte per la memoria del sangue le sono bevaraggio, e i sospiri le sono cibo (Ps 41,3 Ps 79,6).

Questa è la via e il modo di potere giognere a la grazia, e d'acquistare questa regina della pazienza, de la quale io ti dissi che io desideravo di vederti portare realmente ciò che la divina bontà ti permette, con vera e santa pazienza. Or su, carissime figlie, non stiamo più a dormire nel sonno de la negligenzia, ma entriamo nella bottega aperta del costato di Cristo crocifisso - dove noi troviamo lo sangue - con ansietato dolore e pianto dell'offesa di Dio. Non ci ha veramente luogo dove riposare lo capo (Mt 8,20 Lc 9,58), se non nel sangue e capo spinato di Cristo crocifisso. Ine dunque gittate saette d'ardente desiderio e d'umili e continue orazioni per onore di Dio e salute delle anime. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





88. Al vescovo di Firenze, cioè a quello da Ricasole.

Al nome di Gesù Cristo che per noi fu Crocifisso.

A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava di Dio e vostra, e di tutti i servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue, sparto con tanto ardentissimo amore per noi; bene che presunzione sia, voi mi perdonarete e ponretelo all'amore e al desiderio che io, misera miserabile, ho de la salute vostra e d'ogni creatura, e singularmente di voi, che sete padre di molte pecorelle.

E però vi prego dolcissimamente che vi destiate e leviate dal sonno de la negligenzia, imparando dal dolce maestro de la verità, che ha posta la vita come pastore vero per le pecorelle (Jn 10,11) che volontariamente udiranno la voce sua (Jn 10,3), cioè coloro che saranno osservatori dei comandamenti suoi. E se ci cadesse cogitazione nel cuore: «Io non posso seguire questa perfezione, ché mi sento debole e flagile e imperfetto; per la illusione del demonio e per la flagilità de la carne e per le lusenghe e inganni del mondo sono indebilito», e veramente, riverendo padre, è così, ché colui che segue questo diventa debole, e sì pavoroso e timoroso di timore servile, che, come fanciullo, teme dell'ombra sua; ma se è savio fugge a la madre, ine diventa sicuro e perde lo timore. Così questo cotale teme più l'ombra de la creatura, che è ombra sua, uomo come egli; in tanto abonda questo timore che non si cura, per non dispiacere a le creature e non perdare lo stato suo, che il suo Creatore sia offeso, o d'offendarli. Ma la inestimabile bontà ha posto rimedio contro ogni nostra debolezza con la sua ineffabile carità. Ella è quella dolcissima madre che ha per nutrice la profonda umilità; ella nutre tutti i figli de le virtù: nessuna può avere vita se non è conceputa e parturita da questa madre de la carità; e così dice quello inamorato di Pavolo, contando molte virtù, che nulla li vale senza la carità (1Co 13,1-3).

Perciò seguitate quelli veri pastori che seguitâro Cristo crocifisso - che furono uomini come voi -: e potente è ora come allotta, ché egli è incommutabile. Ma eglino tenevano le vestigie sue, ché, conoscendo la debolezza loro, fuggivano umili, abbattuta la superbia dell'onore e amore proprio di sé; fuggivano a la madre de la vera carità: ine perdevano ogni timore, non temevano di correggere i sudditi loro, poiché tenevano a mente la parola di Cristo: «Non temete colui che può uccidare lo corpo, ma me» (Mt 10,28 Lc 12,4-5). Non mi maraviglio, poiché l'occhio loro e il gusto non si pasceva di terra, ma dell'onore di Dio e de la salute de le creature. Volendo servire e amministrare le grazie spirituali e temporali, come di grazia avevano ricevuto, di grazia davano (Mt 10,8), non vendendo per pecunia né per simonia, ché facevano come buoni ortolani e lavoratori, posti nel giardino de la santa Chiesa. Non attendevano a giuochi né a grossi cavalli né a la molta ricchezza, né a spendare quello de la Chiesa nel disordenato vivere, e quello che die essare dei povari; ma stavano, come fortificati da questa madre, al vento e all'acque de le molte battaglie, a divellare i vizii e piantare le virtù. Perdevano sé e raguardavano lo frutto che portavano a Dio; erano privati de l'amore proprio, amavano Dio per Dio - perché è somma bontà e degno d'amore -, e sé per Dio - donando l'onore a Dio e la fatica al prossimo -, e il prossimo per Dio - non raguardando ad utilità che possa da lui ricevare, se non solo che possa avere e gustare Dio -.

Oimé oimé oimé, disaventurata l'anima mia, non fanno oggi così, ché, perché amano d'amore mercennaio, amano loro per loro e Dio per loro e il prossimo per loro; in tanto abonda questo perverso amore - lo quale più tosto si debbe chiamare odio mortale, perché ne nasce la morte (oimé, piangendo lo dico!) -, che non si curano de le immundizie, né di mercatare e vendare la grazia de lo Spirito santo.

Vegono i ladri che furano l'onore di Dio e dannolo a loro, oimé, e non lo impiccaranno per correggimento; vede lo lupo infernale portarne la pecora, e chiude gli occhi per non vederlo. E questa è la cagione che non vede e non corregge: o per amore proprio di sé, unde nasce lo disordenato timore; o perché si sente in quelli medesimi vizii, i quali gli legano la lingua e le mani, che nol lassano correggere né gastigare lo vizio.

Non vorrei, carissimo e reverendissimo e dolcissimo mio padre in Cristo Gesù, che questo divenisse a voi, ma pregovi che siate pastore vero a ponare la vita per loro (Jn 10,11). Però dissi che io pregavo e desideravo con grande desiderio che vi levaste dal sonno della negligenzia: chi dorme non vede e non sente; ed è bisogno di molto vedere e di molto sentire poiché avete a rendare ragione di loro, e sete in mezzo dei nemici: del corpo, del demonio e de le delizie del mondo. La necessità de la vostra salute v'invita a destarvi, e con lume seguire la vita i santi modi dei veri pastori: acostatevi a questa dolce madre de la carità, la quale vi torrà ogni timore e strettezza di cuore; daravi fortezza e larghezza e libertà di cuore, in Dio fortificato e conformato; e faràvi una cosa con lui, poiché Dio è carità (1Jn 4,8): chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui (1Jn 4,16).

Perciò, padre, poi che aviamo veduto che la carità fortifica, e tolleci la debolezza, i nemici sono molti che ci assediano, non è da indugiarci a intrare in questa fortezza, seguitando la via de la verità e degli altri pastori. Non aspettate lo dì di domane, ma pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che vi rechiate inanzi la brevità del tempo, ché non sapete se avrete lo dì di domane: ricordivi che voi dovete morire e non sapete quando.

Non dico più, padre, se non che perdoniate a me misera miserabile, che, perché sete padre dei povari, e perché mi pregaste e facestemivi promettare che la prima limosina che mi venisse a le mani io vi richiedessi, però io m'ardisco e richeggio voi, sì come padre dei povari, e per adempire la promessa che io vi feci: ho per le mani una grandissima limosina, cioè del monisterio di Santa Agnesa, del quale altra volta vi scrissi, e sono buone e santissima fameglia e in grande bisogno; ma tra gli altri è questo che, essendo lo monisterio di fuore, s'è ordenato che torni dentro per cagione de le brighe e guerre, ma vuole per lo comincio cinquanta fiorini d'oro per la parte del monisterio, e gli altri mette lo comune. Io vi scrivo la necessità loro: ora vi prego e vi strengo che isforziate lo potere quanto potete. Dio sia nell'anima vostra.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù Gesù.





89. A Bartalo Usimbardi e a Francesco sarto predetto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti dei beneficii ricevuti dal vostro Creatore, a ciò che in voi si notrichi la fonte de la pietà.

Questa gratitudine vi farà solliciti a essercitarvi a la virtù, poiché, come la ingratitudine fa l'anima pigra e negligente, così questa dolce gratitudine le dà fame del tempo, in tanto che non passa ora né punto che ella non lavori. Da questa gratitudine procede ogni vera virtù: chi ci dà carità? chi ci fa umili e pazienti? solo la gratitudine. E perché vede il grande debito che ha con Dio, s'ingegna di vivere virtuosamente, poiché conosce che Dio non ci richiede altro. E però, figli miei dolci, recatevi con grande sollicitudine a memoria i molti beneficii ricevuti da lui, affinché perfettamente acquistiate questa madre de le virtù.

Ebbi in questi dì le vostre lettere, cioè una da Bartalo, una da Francesco, e una da monna Agnesa, le quali viddi volentieri. Rispondovi, de la spesa del privilegio, che ogni cosa ha pagato lo sangue di Cristo crocifisso, e però neuno denaio ci bisogna, ma voglio che vi costi lacrime cordiali e orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra, e che voi preghiate ogni dì strettamente Dio per lui. E bene confesso che se noi dessimo lo nostro corpo ad ardere, non potremmo satisfare a tanta grazia quanta Dio ci ha fatta, ché in questa vita aviamo la certezza de la nostra salute, se noi avremo viva fede, e saremo grati e conoscenti: ma lo nostro dolce Dio non ci richiede più che noi possiamo fare. Siatemi virtuosi, e brigate di crescere per modo che io me n'avegga.

Mandovi per sere Giacomo Manni, portatore de questa lettera, lo privilegio con la bolla papale, in sul quale è monna Pavola del monasterio da santo Giorgio, e monna Andrea sua serva; e setevi su voi quattro, cioè Bartalo e monna Orsa, e Francesco e monna Agnesa. E però, quando l'avete ricevuto, fatene levare i vostri nomi per carta al vescovado come bisogna; e il privilegio darete a monna Pavola quando sarà tornata, che ora è qua.

Ho inteso come Giannozzo è preso; non so quanto vi starà. Piacemi quello che voi, Francesco, me ne scrivete, cioè di non abandonarlo mai; e così vi comando, per parte di Cristo crocifisso, che molto spesso lo visitiate, confortiate, e soveniate in ciò che v'è possibile: pensate che Dio non ci richiede altro se non che sopra lo prossimo nostro manifestiamo l'amore che aviamo a lui. Io vel racomando strettamente, e diteli per mia parte che sia buono cavaliere ora che Dio l'ha messo in campo; e il suo combattere sia la vera pazienza, chinando per umilità lo capo a la dolce voluntà di Dio. Molto lo confortate per mia parte e di tutta questa fameglia, i quali tutti gli hanno grande compassione. Quando Dio lo permettarà gli scriverò una lettera; diteli che faccia ciò che può per spacciarsi tosto, e non miri perché non abbi a pieno sua intenzione. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Benedite i fanciulli. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì 8 di maggio, in Roma.



90. A madonna Laudomia donna di Carlo delli Strozzi da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vera serva di Cristo Crocifisso: lo quale servire non è servire ma è regnare, e fa l'anima libera traendola della servitudine del peccato; tolleci la cecità e dacci perfetto lume; tolleci la morte e dacci la vita della grazia; dacci pace e quiete, privandoci d'ogni guerra; e vesteci e saziaci del vestimento della carità e del cibo dell'Agnello (lo quale Agnello fu cotto e arrostito in su lo legno della santissima croce, col fuoco dell'amore de l'onore del Padre e della salute nostra); e fa l'uomo sicuro, tollendoli ogni timore servile. Perciò bene è grande dolcezza e inestimabile dignità questo dolce servire a Dio: bene doviamo dunque con vera e perfetta sollicitudine servirli con tutto lo cuore e con tutto l'affetto.

Ma attendete che questo signore non vuole compagnia, né essere servito a mezzo, ma a tutto; poiché impossibile sarebbe di servire a Dio e al mondo. E così disse Cristo benedetto: «Neuno può servire a due signori; poiché servendo all'uno, egli è in contempto all'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13), perché non hanno conformità insieme. Lo mondo dà tutto lo contrario che quello che noi aviamo detto: poiché chi serve alla propria sensualità, delizie, stati e ricchezze, onori e diletti sensitivi, o figli, o marito, o alcuna creatura, d'amore sensuale - cioè d'amarli per propria sensualità fuore di Dio -, egli gli dà la morte, cecità e nudità, perché lo fa privare del vestimento della carità, e dàgli vergogna, perdendo la sua dignità. E ha venduto lo libero arbitrio suo al demonio, e legatolo alla servitudine del peccato, ponendo l'affetto e l'amore suo in cosa che è meno di sé, e però pecca offendendo Dio: poiché tutte le cose create sono fatte perché servano a noi, e noi per servire a Dio. Dandoci dunque a servire a loro fuor di Dio, offendendo divento servo e schiavo del peccato, che non è; e divento non nulla, perché sono privato di Dio, che è Colui che è (Ex 3,14). Convienci dunque al tutto renunziare al mondo, e servire a Dio.

Ma perché è tanto contrario lo mondo a Dio? Perché Cristo benedetto c'invita e c'insegna a servirlo con povertà volontaria; poiché se l'uomo possiede le ricchezze attualmente, non le debba possedere mentalmente, cioè col desiderio, ma debbasi spogliare l'affetto d'ogni cosa terrena. Lo mondo ama superbia, e Dio umilità; e tanto gli piacque questa virtù, che noi vediamo che Dio s'è umiliato a noi, e il Figlio suo con grande umilità e pazienza è corso infine all'oprobiosa morte della croce per noi. Egli c'invita e richiede la virtù della vera pazienza, con speranza e fede viva: paziente, dico, a portare ciò che Dio ci concede, e per l'amore suo perdonare a chi ci offende. Lo mondo vuole tutto lo contrario; poiché vuole vendicare e stare con l'odio e rancore verso lo prossimo suo. La speranza e la fede debba essere posta in Dio, che è cosa ferma e stabile, e non nelle creature; ma fidarsi ed essere fedele a Cristo Crocifisso e non alla propria sensualità (e allora averà fede viva quando parturirà i figli vivi delle virtù di sante e buone opere). Dio ama giustizia, e il mondo ingiustizia; facciamo dunque, facciamo una santa giustizia di noi medesimi: quando lo sentimento nostro sensitivo vuole ribellare al suo Creatore, levisi con affetto d'amore e col lume della conscienzia, e accusilo al signore, cioè al libero arbitrio; e leghilo col legame de l'odio; e col coltello del divino amore l'uccida.

Or così facciamo, carissima sorella, poiché, facendo così, saremo servi fedeli; ed essendo servi, saremo signori. Avete veduto in quanta eccellenza e utilità ne viene l'anima, di questo servire; e senza esso non possiamo avere lo fine per mezzo del quale noi fummo creati. E anco aviamo veduto quanto è pericoloso e a quanta viltà e miseria si conduce l'anima che serve al mondo e a le delizie e diletti suoi. Aviamo ancora veduto per che cagione non hanno conformità insieme: perché sono molto variati l'uno da l'altro. Cristo ama la virtù, e odia il peccato; e tanto l'amò e odiò che, per vestircene noi, si spogliò sé della vita, fabricando le iniquitadi nostre sopra al corpo suo, con molti fragelli e pene, vergogna e vituperio, e nell'ultimo la penosa morte della croce. Poi, dunque, che tanto gli dispiace lo peccato, dovianlo fuggire e odiarlo infine alla morte; poiché in altro modo non offende l'anima se non in amare quello che Dio odia, e in odiare quello che egli ama.

Or leviamo dunque lo santo desiderio, e con affetto d'amore serviamo a Dio, spogliando lo cuore d'ogni vanità e amore disordenato di figli, di marito, e di ricchezze; e possedetele e amatele come cose prestate a voi, poiché ogni cosa v'è dato in presta e per uso; e tanto vi bastano quanto piace a Dio che ve l'ha date. Cosa sconvenevole è di possedere la cosa che non è sua per sua; ma la divina grazia è nostra, e dovianla possedere per nostra. Bene è nostra la cosa che demonio né creatura ce la può togliere se noi non vogliamo; e bene è ignorante colui che esso medesimo si priva di così grande tesoro. Or non ce ne facciamo caro, poiché n'è sì grande divizia. E a ciò che meglio lo potiate avere e conservare, nascondetevi nelle piaghe di Cristo Crocifisso, e bagnatevi nel sangue prezioso suo. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:04

91. A monna Agnesa predetta.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti crescere in uno desiderio santo e in una pazienza vera, per sì-fatto modo che mai non ti scordi da la dolce volontà di Dio, ma con una allegrezza ti sappi conformare in ogni tempo che Dio ti dà; e con allegrezza annegarti nel sangue di Cristo Crocifisso; e ine fare il tuo riposo e ogni tua abitazione.

In questo glorioso sangue ricevarai lo lume, poiché nel sangue si consuma le tenebre; ricevarai nel sangue la vita de la grazia, poiché nel sangue ci tolse la morte; e gustarai nel sangue lo fuoco dell'ardentissima carità, poiché per amore fu sparto; e anco l'amore fu quello che il tenne confitto e chiavellato in croce: non erano sufficienti i chiodi, se l'amore non l'avesse tenuto; ma l'amore lo tenne. Di questo amore voglio che tu ti vesta, e, volendotene vestire, ti conviene bagnare nel sangue di Cristo Crocifisso; e così voglio che tu facci.

Sia sollicita all'orazione santa, al luogo e al tempo suo, quando tu puoi; poiché ella è quella madre che notrica i figli de le virtù. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio.

Racomandaci a Bartalo e a monna Orsa, e benedimmi Bastiano. Di Francesco non ti dare pena veruna, che io non n'ho pena veruna, io, perché io cognosco i modi suoi, e so che a lui stesso ne 'ncresce, e so bene che egli ama e per amore fa ciò che può; ma bene ti prego che tu preghi lui che non si dia fatica quando vede che io nol soddisfo come vorrebbe, ché alcune volte, per lo molto avere a fare, non posso; ma quando io potrò, farò a lui e a te come all'anima mia. Gesù dolce, Gesù amore.





92. A uno spirituale in Firenze, lo quale dubitava molto della vita ch'ella teneva, e singularmente del mangiare ch'ella non faceva, und'egli con presunzione pare che la giudicava.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando, con disiderio di vederci uniti e trasformati in quella dolce eterna e pura verità, la quale verità tolle da noi ogni falsità e bugia.

Io, carissimo padre, cordialmente vi ringrazio del santo zelo e gelosia che avete all'anima mia, in ciò che mi pare che siate molto sospeso, udendo la vita mia. Sono certa che non vi muove altro che il disiderio dell'onore di Dio e della mia salute, temendo voi l'assedio e le illusioni deli demoni. Di questo timore, padre, che voi avete, singularmente nell'atto del mangiare, io non mi maraviglio: ch'io vi prometto che - non tanto che ne temiate voi - ma io stessa triemo per timore dell’inganno deli demoni; se non ch'io mi confido nella bontà di Dio e isconfidomi di me, sapendo che di me io non mi posso fidare.

Perché mi mandaste domandando s'io credevper potere essere ingannata, o vero s'io credeva non potere essere ingannata - dicendo che, s'io nol credo, che questo è inganno di demonio - e io vi rispondo che, non tanto di questo che è sopra la natura del corpo, ma di questo e di tutte l'altre mie opere, per la mia flagelità e per l'astuzia del demonio io sempre temo, pensando di potere essere ingannata; però ch'io conosco e vegio che il demonio perdette la beatitudine ma non la sapienza, con la quale sapienza o vero astuzia, come dissi, conosco che mi potrebe ingannare. Ma io mi rivolgo poi e apogiomi all'albore della santissima croce di Cristo crocifisso, e ine mi voglio conficare; e non dubito che, s'io starò confitta e chiavellata con lui per amore e con profonda umilità, che i demoni non potranno contro di me, non per mia virtù ma per la virtù di Cristo crocifisso.

Mandastimi dicendo che singularmente io pregassi Dio ch'io mangiassi. E io vi dico, padre mio, e dicovelo nel cospetto di Dio, che in tutti quanti i modi ch'io ho potuto tenere, sempre mi sono sforzata, una volta o due lo dì, di prendare lo cibo; e ho pregato continovamente e prego Dio e pregarò, che mi dia grazia che in questo atto del mangiare io viva come l'altre creature, s'egli è sua volontà, poiché la mia ci è. E dicovi, che assai volte - quand'io ho fatto ciò ch'io ho potuto, e io entro dentro da me a conosciare la mia infermità e Dio, che per singularissima grazia m'abi fatto correggere lo vizio della gola - dogliomi molto ch'io, per la mia miseria, non gli ho corretta per amore.

Io, per me, non so che altro rimedio ponarci, se no ch'io prego voi che preghiate quella somma eterna verità che mi dia grazia, s'egli è più suo onore e salute dell'anima mia, che mi faccia prendare lo cibo, se li piace. E io sono certa che la bontà di Dio non ispregiarà le vostre orazioni. Pregovi che, quello rimedio che voi ci vedete, che voi me lo scriviate, e, pure che sia onore di Dio, io lo farò volontieri. E anco vi prego che voi non siate legiero a giudicare, se voi non sete bene dichiarato nel cospetto di Dio. Altro non vi dico etc.





93. A monna Orsa donna di Bartalo Usimbardi e a monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi perseverare nel santo desiderio, a ciò che mai non volliate lo capo adietro: per ciò che non ricevareste lo frutto, e trapassareste la parola del nostro Salvatore, che dice che noi non volliamo lo capo indietro a mirare l'arato (Lc 9,62).

Perciò siate perseveranti, e raguardate non a quello che è fatto, ma a quello che avete a fare. E che aviamo a fare? a rivoltare continuamente l'affetto nostro verso Dio, spregiando lo mondo con tutte le sue delizie, e amando la virtù; portando con vera pazienza ciò che la divina bontà permette ad noi, considerando che ciò che dà, dà per nostro bene, a ciò che siamo santificati in lui; e nel sangue trovaremo che egli è così la verità. Di questo glorioso sangue che ci manifesta tanto dolce verità, ce ne doviamo empire la memoria, a ciò che non stiamo mai senza lo suo ricordo; e così voglio che facciate voi, carissime figlie, poiché in questo modo perseverrete infine a la morte, e nell'ultimo de la vita vostra ricevarete l'eterna visione di Dio. Non dico più qui.

Riprendoti dolcemente, carissima figlia, ché tu non hai tenuto a mente quello che io ti dissi, di non rispondere a persona che di me ti dicesse veruna cosa che ti paresse meno che buona; non voglio che tu facci più così, ma voglio che l'una e l'altra risponda in questo modo a chi vi narrasse i difetti miei: che non ne narrano tanti, quanti molti più ne potrebbero narrare. Dite a loro che si muovano a compassione dentro nei cuori loro dinanzi a Dio, come lo mostrano con la lingua, pregando tanto la divina bontà per me che io corregga la vita mia. Poi di' a loro che il sommo giudice è quello che punirà ogni mio difetto, e remunerrà ogni fatica che per lo suo amore si porterà.

Verso di monna Paula non voglio che pigli veruno sdegno, ma pensa che ella facci come la buona madre che vuole provare la figlia, se ella ha virtù o no.

Confesso veramente che in me poca virtù ha trovata, ma ho speranza nel mio Creatore che mi farà correggere e mutare modo. Confortatevi e non vi date più pena, poiché ci trovaremo unite nel fuoco de la divina carità, la quale unione non ci sarà tolta né da demonio né da creatura. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Racomandateci a Bartalo e benedite Bastiano e tutta l'altra fameglia. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:05

94. A frate Matteo di Francesco di Tato Talomei dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo de la propria sensualità o d'alcuna altra creatura, poiché col mezzo non potremmo piacere a Dio.

Dio ci dié lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, senza rispetto di propria utilità. Questo è vero, ché a lui non possiamo fare utilità alcuna, ma non adiviene così di noi, poiché, perché noi non serviamo a Dio per propria utilità, nondimeno l'utilità è pur nostra: a lui ne torna il fiore, cioè l'onore, e a noi il frutto dell'utilità. Egli ci ha amati senza essere amato, e noi amiamo perché siamo amati; egli ci ama di grazia, e noi amiamo lui di debito, perché siamo tenuti d'amarlo. Sì che così adiviene dell'utilità che noi non possiamo fare a Dio, come di non poterlo amare di grazia senza debito - perché noi siamo obligati a lui, e non egli a noi; poiché prima che fusse amato ci amò, e però ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) -: ecco dunque che non possiamo fare utilità a lui, né amarlo di questo primo amore.

E io dico che Dio ci richiede che come egli ci ha amati senza alcuno rispetto, così vuole essere amato da noi.

In che modo dunque il potremo avere, poiché egli cel richiede, e noi nol possiamo fare a lui? Dicovelo: con quello mezzo che egli ci ha posto, unde doviamo amare lui liberamente, e senza alcuno rispetto d'alcuna propria nostra utilità: cioè doviamo essere utili non a lui, ché non possiamo, ma al prossimo nostro. Or con questo mezzo possiamo osservare quello che egli ci richiede per gloria e loda del nome suo; e per mostrare l'amore che noi gli aviamo doviamo servire e amare ogni creatura che ha in sé ragione, e distendere la carità nostra ai buoni e ai gattivi e a ogni generazione di gente - così a chi ci diserve e sono scandalizzati in noi, come a chi ci serve -, poiché Dio non è acettatore delle creature (Rm 2,11), ma dei santi desiderii; e la carità sua si distende ai giusti e ai peccatori.

è vero che alcuno ama come figlio, alcuno come amico, alcuno come servo e alcuno come persona ch'è partita da lui e ha desiderio che torni (e questi sono gli iniqui peccatori che sono privati della grazia. Ma in che lo' mostra l'amore questo sommo Padre? in prestar lo' il tempo; e nel tempo lo' pone molti mezzi: o impedimento del peccato - tollendo lo' lo luogo e il potere che non possino fare tanto male quanto vogliono -; o in molte altre cose, per far lo' odiare lo vizio e amare la virtù, il quale amore della virtù lo' priva della voluntà del peccato. E così, per lo tempo che Dio lo' dié per amore, di nemici sono fatti amici, e hanno la grazia e sono atti ad avere la eredità del padre).

Amore di figlio ha a coloro che in verità lo servono senza alcuno timore servile, i quali hanno abnegata e morta la loro propria voluntà, e sono obedienti per Dio, infine a la morte, a ogni creatura che ha in sé ragione; e non sono mercennai che il servano per propria utilità, ma sono figli; e le consolazioni dispregiano, e de le tribulazioni si dilettano, e cercano pur in che modo si possino conformare con Cristo crocifisso e notricarsi delli obbrobii e de le pene sue. Costoro non cercano né servono Dio per dolcezza, né per consolazione spirituale né temporale che ricevano da Dio o da la creatura, poiché non cercano Dio per loro né il prossimo per loro, ma Dio per Dio - in quanto è degno d'essere amato -, e loro per Dio - per gloria e loda del nome suo -, e il prossimo servono per Dio, facendoli quella utilità che gli è possibile.

Costoro seguitano le vestigie del Padre dilatandosi tutti ne la carità del prossimo, amando i servi di Dio per amore che amano lo loro Creatore; e amano gl'imperfetti perché venghino a perfezione, dando lo' lo santo desiderio e continue orazioni. Amano gli iniqui che giacciono ne la morte del peccato mortale, perché sono creature ragionevoli create da Dio, e ricomprati d'uno medesimo sangue che ellino; unde lo' duole la loro dannazione, e per camparli si darebbero alla morte corporale. I persecutori e i mormoratori e i giudicatori, che sono scandalizzati in loro, amano, sì perché sono creature di Dio - come detto è -, e sì perché sono strumento e cagione di ponere la virtù in loro, e fargli venire a perfezione; e spezialmente in quella reale virtù della pazienza, virtù dolce che non si scandalizza né si turba, né dà a terra per alcuno vento contrario, né per alcuna molestia d'uomini.

Costoro sono quelli che il cercano senza mezzo, e l'amano in verità come legittimi e cari figli; ed egli ama loro sì come vero padre, e manifesta loro il secreto de la sua carità, per far lo' avere la eredità eterna: unde corrono come ebbri del sangue di Cristo, arsi nel fuoco de la divina carità, de la quale sono alluminati perfettamente. Costoro non corrono per la via de le virtù a loro modo, anco a modo di Cristo crocifisso, seguitando le vestigie sue. E se lo' fusse possibile servire Dio e acquistare le virtù senza fatica, non le vogliono.

Questi non fanno come i secondi, cioè l'amico e il servo, ché alcune volte il loro servire è con alcuno rispetto. Talvolta è con rispetto di propria utilità; e per questo viene a grande amicizia - perché conosce il suo bisogno e il suo benefattore, lo quale vede che il può subvenire, e vuole - bene che prima fu servo, ché cognobbe il suo male, del quale male seguitava la pena: unde col timore de la pena caccia lo vizio, e con l'amore abraccia la virtù - cioè servire il suo signore, cui egli ha offeso -; e comincia a pigliare speranza ne la sua benignità, considerando che egli non vuole la morte del peccatore ma vuole che egli si converta e viva (Ez 33,11). Che se egli stesse pur nel timore, non sarebbe sufficiente ad avere la vita, né tornarebbe a perfetta grazia col signor suo, ma sarebbe servo mercennaio.

Né anco debba stare pur nell'amore del frutto e de la consolazione che riceve dal signore suo poi che è fatto amico; poiché questo amore non sarebbe forte, ma verrebbe meno quando fusse ritratto da la dolcezza e consolazione e diletto di mente, o vero quando venisse alcuno vento contrario di persecuzione o tentazione dal demonio. Subito allora verrebbe meno nelle tentazioni del demonio e molestie della carne, unde verrebbe a confusione per la privazione de la consolazione mentale; e ne la persecuzione e ingiurie che ci fanno le creature verrebbe a impazienzia.

Sì che vedete che questo amore non è forte, anco fa - chi ama di questo amore - come santo Pietro, il quale inanzi la Passione amava Cristo dolcemente, ma non era forte, e però venne meno al tempo della croce (Mt 26,69-74 Mc 14,66-71 Lc 22,56-60); ma poi si partì da l'amore della dolcezza, cioè doppo l'avenimento dello Spirito santo, e perdette il timore; e venne ad amore forte e provato nel fuoco de le molte tribulazioni. Unde, venuto ad amore di figlio, tutte le portava con vera pazienza; anco corriva doppo loro con grandissima allegrezza, come se fusse andato a nozze e non ai tormenti, e questo era perché era fatto figlio. Ma se Pietro fusse rimaso solamente nella dolcezza e nel timore, che egli ebbe nella Passione e doppo la Passione di Cristo, non sarebbe venuto a tanta perfezione d'essere figlio e campione della Chiesa santa, gustatore e mangiatore delle anime. Ma attendete il modo che Pietro tenne - con gli altri discepoli - per potere perdere il timore servile e l'amore debole de le proprie consolazioni, e ricevere lo Spirito santo, come l'era promesso da la prima dolce Verità: unde dice la Scrittura che si rinchiusero in casa, e ine stettero in vigilia e continue orazioni (Ac 1,13-14), e stettero diece dì.

Or questa è la dottrina che noi doviamo pigliare, e ogni creatura che ha in sé ragione: cioè rinchiuderci in casa, e stare in vigilia e continua orazione, e stare diece dì; e poi ricevaremo la plenitudine dello Spirito santo, lo quale, poi che fu venuto, gli alluminò della verità. E viddero il secreto della inestimabile carità del Verbo con la voluntà del Padre, che non voleva altro che la nostra santificazione; e questo ci ha mostrato il sangue di questo dolce e amoroso Verbo, il quale è tornato ai discepoli, cioè venendo la plenitudine dello Spirito santo.

E viene con la potenza del Padre, con la sapienza del Figlio, e con la pietà e clemenza d'esso Spirito santo; sì che la verità di Cristo è adempita, lo quale disse ai discepoli: «Io andarò, e tornarò a voi» (Jn 14,3). Unde allora tornò, perché non poteva venire lo Spirito santo senza il Figlio e senza il Padre, perché era una cosa con loro; sì che venne, come detto è, con la potenza che è apropriata al Padre, e con la sapienza che è apropriata al Figlio, e con la benevolenza e amore che è apropriato allo Spirito santo. Bene lo mostrano gli appostoli, poiché subito per l'amore perdero il timore; unde con vera sapienza cognobbero la verità, e con grande potenza andavano contro gl'infedeli, e gittavano a terra gl'idoli, e cacciavano i demoni. Questo non era con potenza del mondo, né con fortezza di corpo, ma con forza di spirito e potenza di Dio, la quale per divina grazia avevano ricevuta.

Or così adiverrà a coloro che sono levati dal bomico (2P 2,22) del peccato mortale e da la miseria del mondo, e cominciano a gustare il sommo bene, e però s'inamorano de la dolcezza sua. Ma, come detto è, a stare pur nel timore non camparebbe però l’inferno; ma farebbe come fa il ladro, il quale ha paura delle forche, e però non fura; ma non che egli non furasse se non credesse patire la pena. Così anco adiviene dell'amare Dio per dolcezza: cioè che non sarebbe forte né perfetto, ma debole e imperfetto. E però non stanno fermi, ma tengono la via e il modo, con vera perseveranza, di giugnere a la perfezione.

Lo modo di giugnervi è questo dei discepoli - come detto è -, cioè che come Pietro e gli altri si rinchiusero in casa, così hanno fatto e debbono fare coloro che sono giunti all'amore di padre, che sono figli. Unde quelli che vogliono passare a questo stato debbono intrare e rinchiudersi in casa, cioè ne la casa del cognoscimento di loro medesimi, che è quella cella ne la quale l'anima debba abitare. Ne la quale cella trova un'altra cella, cioè la cella del cognoscimento della bontà di Dio in sé; unde del cognoscimento di sé trae una vera umilità, con odio santo dell'offesa che ha fatta e fa al suo Creatore; e per questo viene a vera e perfetta pazienza. E nel cognoscimento di Dio, che ha trovato in sé, acquista la virtù de l'ardentissima carità, unde trae santi e amorosi desiderii; e per questo modo trova la vigilia e la continua orazione - cioè mentre che sta rinchiusa in così dolce e gloriosa casa quanto è lo cognoscimento di sé e di Dio -. Vigilia, dico, non solamente dell'occhio del corpo, ma dell'occhio dell'anima: cioè che l'occhio dell'intelletto non si vegga mai serrare, ma sempre debba stare aperto nel suo obiettivo e amore ineffabile, Cristo crocifisso; e ine trova l'amore e la colpa sua propria, poiché per la colpa Cristo ci donò il sangue suo.

Allora l'anima si leva con grandissimo affetto ad amare quello che Dio ama, e a odiare quello che egli odia; e tutte le sue opere dirizza in Dio, e ogni cosa fa a gloria e a loda del nome suo. E questa è la continua orazione, de la quale dice Paulo: «Orate senza intermissione» (1Th 5,17). Or questa è la via di levarsi da essere solamente servo e amico - cioè dal timore servile e da l'amore tenero della propria consolazione -, e a essere vero servo, vero amico, e vero figlio: che essendo fatto vero figlio, non perde poiché non sia servo e vero amico, ma è servo e amico in verità, senza alcuno rispetto di sé né d'altro che solo di piacere a Dio.

Dicemmo che stettero diece dì, e poi venne lo Spirito santo: così l'anima, che vuole venire a questa perfezione, le conviene stare diece dì, cioè nei diece comandamenti della legge; e coi comandamenti della legge osservarà i consigli, poiché sono legati insieme, e non s'osserva l'uno senza l'altro. (è vero che quelli che sono al secolo debbono osservare i consigli mentalmente per santo desiderio; e coloro che sono levati dal mondo gli debbono osservare mentalmente e attualmente). E così si riceve l'abondanzia dello Spirito santo, con vera sapienza di vero e perfetto lume e cognoscimento, e con fortezza e potenza: forte contro ogni battaglia; e potente principalmente contro sé medesimo, signoreggiando la propria sensualità.

Ma tutto questo non potreste fare se v'andaste svagolando con la molta conversazione, dilungandovi dalla cella, e con la negligenzia del coro. Unde considerando me questo, vi dissi, quando vi partiste da me, che studiaste di fuggire la conversazione, e visitare la cella, e non abandonare il coro né il refettorio - quanto fusse possibile a voi -, e la vigilia con l'umile orazione; e così adempirete lo desiderio mio, ché vi dissi che io desideravo di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



95. A certi giovani fiorentini figli adottivi di don Giovanni da le Celle.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati nel legame dolce de la carità sì e per sì-fatto modo che né demonio né creatura ve ne possa mai separare.

Questo è quello dolce legame che legò Dio nell’uomo e l'uomo in Dio quando la natura divina si unì con la natura umana; e questo fu quello amore ineffabile che donò l'essere a l'uomo, traendolo Dio di sé medesimo quando lo creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26). E perché l'anima è fatta per puro amore, l'amore acorda le facoltà dell'anima nostra e lega insieme queste tre facoltà.

La volontà muove l’intelletto a vedere, volendo amare alcuna cosa; e sentendo l’intelletto che la volontà vuole amare, se ella è volontà ragionevole l’intelletto si pone per obiettivo l'amore ineffabile del Padre eterno - che ci ha donato lo Verbo del Figlio suo -, e l'obedienzia e la umilità del Figlio, lo quale sostenne con mansuetudine pene, ingiurie, strazii, scherni e villanie, le quali ha tutte portate con grandissimo amore. E così a quello che l'occhio dell'intelletto ha veduto, la volontà con amore ineffabile va dietro, e come mano forte ripone lo tesoro - che egli trae di questo amore - ne la memoria; e così diventa grato e conoscente al suo Creatore de le grazie e doni che si vede avere ricevuti da lui. E ciò che egli ha, vede di grazia avere in sé, e non per sé medesimo; perciò che noi siamo quelli che non siamo, e però siamo operatori di quella cosa che non è, cioè del peccato.

Oh quanto è orribile morte la colpa che ci priva della vita! E questo vedendo l'anima, nel modo detto, si veste d'amore e di perfetta umilità: la carità trova e gusta ne la bontà di Dio, vedendola in sé medesimo participare con molti doni e grazie, i quali ha ricevuti e riceve continuamente. Del cognoscimento di sé e del peccato - che trova per la legge perversa che ha in sé, che ha ribellato e ribella al suo Creatore - sì concepe uno odio e uno pentimento verso questa sensualità; e ne l'odio trova una pazienza, la quale pazienza lo fa forte a sostenere pene, scherni, villanie, fame, sete, freddo, caldo, tentazioni e molestie dal demonio; e schifa e fugge il mondo con tutti i diletti suoi. E nascene una vena d'umilità, la quale è baglia e nutrice de la carità; e però porta con tanta pazienza, perché la carità, amore ineffabile, ha trovata la baglia sua, cioè l'umilità.

E il servo, cioè l'odio di sé, che per amore la serve con perfetta pazienza, esso fa vendetta e giustizia dei nemici de la divina carità. I nemici suoi sono questi: amore proprio, lo quale per propria utilità ama sé, e ciò che egli ama, ama per sé e non per Dio; diletti, piacimenti, stati, onori e ricchezze. E che vendetta è questa? è una vendetta di tanta dolcezza che lingua non è sufficiente a dirlo, perciò che da l'amore proprio, che dà morte, viene all'amore divino che gli dà vita; da le tenebre e odio e pentimento de la virtù viene a la luce e all'amore delle virtù, in tanto che sceglie inanzi la morte, che volere lasciare la virtù.

Anco si dà a tenere tutti quelli modi e quelle vie per le quali vede che possa venire a virtù, e a conservare la virtù in sé.

E perché i diletti sensitivi e la dilicatezza del corpo, e la conversazione dei gattivi e perversi secolari vede che gli sono nocive, però le fugge con tutto il cuore e con tutto l'affetto. Del corpo fa il contrario e fanne vendetta, macerandolo con la penetenzia, col digiuno, vigilie, orazioni e discipline; e singularmente quando vedesse averne bisogno, cioè quando la carne volesse ribellare allo spirito. La volontà vendica con la morte: poiché l'uccide sottomettendola ai comandamenti di Dio e ai consigli che Cristo, unigenito Figlio di Dio, ci lassò; e con essi comandamenti e consigli si veste dell'eterna volontà sua dolce e navica in questo mare tempestoso, virilmente e realmente seguitando le vestigie di Cristo crocifisso. Or questo è quello dolce legame, nel quale io voglio che siate legati. O dolce e soave legame, lo quale leghi l'anima col suo Creatore, tu legasti Dio nell’uomo, come detto è, e l'uomo in Dio, quando tu, Padre eterno, ci donasti il Verbo del Figlio tuo, e unisti la natura divina con la natura umana. O figli carissimi, questo fu quello legame dell'amore che tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in croce - ché se l'amore non l'avesse tenuto, non erano sufficienti i chiodi né la croce a poterlo tenere -: l'amore che Cristo ebbe a l'onore del Padre e a la salute nostra, e l'odio e il pentimento che egli ebbe del peccato; l'odio insieme con l'amore fece vendetta de le nostre iniquità, e punille con pene e tormenti sopra il corpo suo. Perciò l'anima, che è legata con Cristo crocifisso, lo segue facendo vendetta - per onore di Dio e salute sua e del prossimo - de la parte sensitiva, cacciando i nemici dell'anima sua (dei vizii dico, e de la disobbedienza che egli ha avuta contro il suo Creatore disobediendo ai comandamenti suoi); e mettevi dentro e riceve gli amici.

Gli amici sono le vere e reali virtù, fatte in amore e in perfetta carità. E perché uno dei principali amici che avesse l'anima è la veraobbedienza, ché tanto è umile quanto obediente, obedisce ai comandamenti santi di Dio. Ma l'anima che molto s'innamora di questaobbedienza, che è uno annegare e uccidere la sua volontà, distendesi anco più oltre, perciò che ella vuole osservare l'obedienzia dei consigli di Cristo, pigliando in ordine il giogo della santaobbedienza; e non è dubbio, figli miei, che ella è cosa più sicura e più provata. E perché noi vediamo i relegiosi infermi, non essendo osservatori dell'ordine, non di meno l'ordine non inferma mai, poiché è fondato e fatto da lo Spirito santo.

Unde, se sentite che Dio vi chiami all’obbedienza, rispondeteli: e se vi venisse in pensiero di non contentarvi per gli ordini che sono così venuti meno, e perché per poco amore v'ha di molti traversi, io rispondo a questo pensiero che molti monasterii ci sono che al tutto ogni gattiva barba n'è uscita fuore; unde, avendo voi volontà de la religione, sarebbe molto bene e onore di Dio che voi v'andaste, essendovi uno buono capo. E fra gli altri monasterii, vi so dire di quello di santo Antimo, lo quale, come don Giovanni vi dirà, ha uno abbate, che è specchio d'umilità e di povertà e d'unità: perciò che egli non vuole essere il maggiore, ma il più minimo. Dio per la sua infinita bontà ne dispensi quello che deve essere più suo onore, e il meglio di voi.

Legatevi, legatevi insieme, figli miei, caritativamente; l'uno sopporti e comporti i difetti dell'altro; a ciò che siate legati, e non sciolti, in Cristo dolce Gesù. Amatevi, amatevi insieme: ché voi sapete che questo è il segno che Cristo benedetto lassò ai discepoli suoi, dicendo che ad altro non sono cognosciuti i figli di Dio, se non all'unità dell'amore che l'uomo ha col prossimo suo in perfettissima carità (Jn 13,35). HO avuta grandissima consolazione de le buone novelle dell'unità che io ho udito che avete insieme. Crescete e non vollete il capo adietro (Lc 9,62); sì che io possa dire con santo Paulo, quando disse ai discepoli suoi, che essi erano lo suo gaudio, la sua letizia e la sua corona (Ph 4,1 1Th 2,19-20).

Unde io vi prego che adoperiate sì, che io lo possa dire io. Altro non dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e legatevi insieme col legame dell'amore.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





96. A Piero Canigiani da Fiorenze (patri meo secundum carnem).

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vero e perfettissimo amore, affinché siate vestito del vestimento nuziale della carità; senza il quale vestimento non potremo intrare alle nozze di vita eterna, alle quali siamo invitati, ma saremmo scacciati, e sbanditi della vita durabile con grandissima vergogna (Mt 22,11-13).

Oh quanta confusione sarà a quell'anima che nell'ultima estremità della morte, quando ella è per intrare nelle nozze della patria sua, ella per sua colpa se ne truovi isbandita, trovandosi terminata la vita sua senza questo dolce e grazioso vestimento! Confusione trova nel cospetto di Dio, nell'aspetto degli angeli e degli uomini, e nella coscienza sua - la quale è uno verme che sempre rode -, e nella visione deli demoni, dei quali si fece servo, servendo a loro, al mondo e alla propria sensualità. Quello è il merito che egli ne riceve: confusione e rimproverio, con molto supplicio e tormento, dando i demoni a lui quello che hanno per sé. Questo perché gli adiviene? Perché andava al convito senza lo vestimento nuziale. Chi ne l'avea privato? L'amore proprio di sé medesimo: poiché colui che ama sé d'amore sensitivo non può amare Dio né lo prossimo né sé d'amore ragionevole, perché l'un amore è contrario all'altro, in tanto che nessuna conformità hanno insieme.

O carissimo padre, raguardate quanto egli è differente l'uno da l'altro, e quanto è penoso l'amore sensitivo, e quanto è dilettevole l'amore divino! La differenza è questa: che colui che ha posto l'affetto suo nel mondo ama e cerca tutte quelle cose nelle quali si possa dilettare sensitivamente. Egli cerca gli onori, stati e ricchezze del mondo; dove il vero servo di Dio - che n'ha levato l'amore, trattone l'affetto e il cuor suo, e postolo solamente nel suo Creatore - gli fugge come veleno, reputandosi a gloria d'essere privato dei suoi stati, ricchezze, diletti e piaceri, e di ricevere grandi persecuzioni e rimproverii dal mondo e da' suoi seguaci: ogni cosa porta con vera e santa pazienza, perché gli ha conculcati coi piedi dell'affetto suo. è fatto signore del mondo - perché pienamente l'ha lassato, non a mezzo, ma in tutto; e se non lo lassa attualemente, almeno col santo e vero desiderio, apprezzando il mondo per quello che vale, e non più, e spregiando la propria fragilità, tenendola per serva, e la ragione per donna -; dove l'amatore di sé medesimo si fa Dio di sé e del mondo coi suoi piaceri: cioè, che quello tempo che egli debbe spendere in servizio del suo Creatore, egli lo spende in cose vane e transitorie, e nel corpo suo fragile che oggi è e domane non è, perché è cibo di vermini e cibo di morte, ed è uno sacco pieno di sterco. Egli ama la superbia, e Dio l'umilità; egli è impaziente, e Dio ama la pazienza; egli ha lo cuore stretto - che non vi cape Dio né il prossimo per amore -, ed egli è largo e liberale.

E però i servi di Dio, seguitatori della divina carità, che in verità amano la dottrina di Cristo crocifisso, si dispongono a dare la vita per onore di Dio e in salute del prossimo; dove lo misero uomo servo del mondo il rode coi denti della invidia e de l'odio: con ira e dispiacere divora le carni sue, con appetito di vendetta l'onore e lo stato suo, increscendogli del suo bene. Egli si diletta nel loto della immundizia; e il servo di Dio ne l'odore della continenzia, eziandio essendo nello stato legittimo del matrimonio, s'ingegna di conservare, per amore della virtù, sentendo l'odore della continenzia. In tutte quante le cose troviamo che l'uno è contrario all'altro; e però non possono stare insieme, ma l'uno caccia l'altro. Unde vediamo che quando l'uomo si vòlle a conoscere la miseria sua, e la poca fermezza constanzia e stabilità del mondo, subito l'odia, e con l'odio caccia l'amore. E perché senza amore non può vivere, subitamente ama quello che col lume dell’intelletto ha veduto e cognosciuto nell'affetto della divina carità, trovando in sé la grande bontà di Dio, e la fermezza e stabilità che riceve da lui, vedendosi ricreato a grazia nel sangue de l'umile e immacolato Agnello: lo quale per amore ha lavata col proprio sangue la faccia dell'anima sua. Vedendosi tanto amare, non può fare che non ami. E però ci è molto neccessario lo lume per conoscere l'amore che Dio ci ha, e le grazie e doni che riceviamo continuamente da lui.

Questo amore fa l'uomo grato e conoscente verso Dio e verso il prossimo suo, sì come l'amore proprio fa l'uomo ingrato e sconoscente, ché quasi retribuisce al suo proprio sapere e virtù quello che egli ha. Chi mostra che così sia? la ingratitudine sua. E la ingratitudine chi mostra? le colpe che tutto dì egli commette; sì come la gratitudine dimostra che l'anima retribuisce solo a Dio ciò che ha - eccetto il peccato, che non è -, e la virtù dimostra la gratitudine. Bene è Perciò vero che in ogni cosa sono differenti. Dico che il servo del mondo, amatore di sé, porta grandissime e intollerabili fatiche, perché, come dice santo Agostino: «Signore tu hai permesso che l'uomo che disordinatamente ama, sia incomportabile a sé medesimo». Questi porta la croce del demonio, poiché, se egli acquista i diletti, egli gli acquista con pena; se egli gli ha, gli tiene con fatica, per timore di non perdergli; e se gli perde, egli n'è crociato con grandissima impazienzia; e se non gli può avere, pena ha, perché gli vorrebbe. Tanto è cieco che perde la libertà sua, facendosi servo e schiavo del peccato, e del mondo con le sue delizie, e della propria fragilità.

Queste sono pene generali, ma quante sono le particolari? Tutto dì il vediamo, le fatiche che portano gli uomini in servizio del demonio. Oimé, per acquistare l'inferno essi non curano la morte corporale, né rifiutano veruna fatica; e io (misera me!), per Dio, e per acquistare virtù, non sostenni mai una piccola cosa. L'ombra mia mi possiede fatto paura. Veramente io confesso che i figli delle tenebre fanno vergogna e confusione ai figli della luce, perché vanno con più sollicitudine e con più essercizio e con maggiore fatica all’inferno, che i figli della luce a vita eterna. Si che la fatica è grande, e l'amaritudine è assai, che dà questo perverso e miserabile amore.

Ma il vero e perfettissimo amore è di tanto diletto, dolcezza e suavità, che nessuna amaritudine gli può togliere la dolcezza sua; né la tribolazione il può conturbare, ma molto maggiormente fortifica la mente, perché l'accosta più al suo Creatore; e in lui gusta la dolcezza della sua carità, tenendo con fede viva che ciò che Dio gli dà e permette, il fa per suo bene e per sua santificazione. Chi gliel'ha mostrato? Il sangue di Cristo, nel quale vide col lume della fede che se egli avesse voluto altro che il nostro bene, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore quanto è il Verbo del suo Figlio; e il Figlio non avrebbe data la vita la quale diede con tanto fuoco d'amore, fabricando le nostre iniquità sopra al corpo suo. Egli riempie l'anima di fortezza e di lunga perseveranza, non voltando mai il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62); egli non si scandalizza né in sé né nel prossimo suo, ma con benevolenza e carità fraterna porta e sopporta i suoi difetti. Non ha pena per privazione di stato; né, se egli l'ha, il possiede con pena; e se egli non l'ha, nol cerca, né ha fatica per non averlo, perché l'affetto suo è ordinato e dirizzato secondo la voluntà di Dio, nella quale ha annegata e uccisa la voluntà sua propria, la quale voluntà dà pena e fatica mentre che è viva. Questo amore taglia la persona dal mondo, e uniscelo in Dio per affetto d'amore; ordina la memoria a ritenere i beneficii suoi; allumina l'occhio dell’intelletto a conoscere la verità nella dottrina di Cristo crocifisso; e dirizza l'affetto ad amarla con tutto il cuore e con ansietato e grande desiderio. Ordina ancora gli stormenti del corpo, cioè che tutti i suoi essercizii corporali e spirituali sono drizzati e ordinati ne l'onore di Dio e in amore della virtù.

Allora si trova in verità avere risposto a Dio, che l'ha invitato alle nozze di vita eterna dal principio della sua creazione fino all'ultimo, e, come grata, s'ha messo il vestimento nuziale dell'affetto della carità.

Perché? perché si spogliò de l'amore sensitivo, odiandolo; e amò Dio e sé d'amore ragionevole: e però si trovò vestita di carità, ché in altro modo non poteva né sarebbe giunta al termine suo. Considerando io che non ci è altra via, dissi che io desiderava di vedervi fondato in vero e perfettissimo amore; e così voglio che facciate questo punto del tempo che Dio v'ha serbato: che ora di nuovo cominciate a spogliarvi di voi e vestirvi di Cristo crocifisso (Ep 4,22-24 Rm 12,14). Lassate oggimai i morti sepellire ai morti (Mt 8,22); e voi seguitate lui con ogni verità. Lassate oggimai gli affanni del mondo, e rimanga la fatica in cui ella debbe essere; e voi furate il tempo nei santi essercizii con le vere e reali virtù. E non dite «quando io mi sarò un poco ricolto io il farò»: non è da fare così, poiché il tempo non v'aspetta; Perciò non aspettate voi lui. Amate, amate; ché ineffabilemente sete amato. Altro non vi dico.

Confortate e benedite tutta la famiglia. E voi pigliate diletto e spasso coi servi di Dio, avendo la loro conversazione. Confessatevi molto spesso (bene che io credo che non bisogni dire); e la comunione ricevete per tutte le pasque solenni, affinché più perfettamente potiate acquistare questo dolce vestimento.

E studiate che la famiglia s'allevi col timore di Dio.

Rimanete etc. Gesù etc.

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19/10/2012 15:07

97. A monna Pavola da Siena e a le sue discepole, quando stava a Fiesole.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso. Amen.

A voi, dilettissima e carissima figlia e sorella in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, confortovi e benedico nel prezioso sangue del Figlio di Dio. Con desiderio io ho desiderato di vedervi unite ne la sua ardentissima carità, la quale carità e amore fa diventare l'anima una cosa con Dio.



O carità piena di letizia e di galdio e d'ogni soavità, in tanto che ogni cosa tempestosa vi diventa pacifica e tranquilla! O madre carissima de la dolce carità, che parturisci tutti i figli de le virtù! Sapete, dilettissima mia sorella, che nessuna virtù è viva senza la carità. Così disse quello dolce inamorato di Pavolo, vasello di dilectione: «Se io avessi lingua angelica, e dessi ogni cosa ai povari, non avendo carità nulla mi vale» (1Co 13,1-3). E veramente è così, ché l'anima che non è in carità non può fare cosa che sia piacevole a Dio; anco parturisce i figli morti de le virtù. Perché sono morte? perché non v'è Dio che lo' dà vita, cioè la carità: chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui (1Jn 4,16).

Ma la sposa di Cristo ch'è vulnerata di questa saetta de la carità non resta mai d'adoperare; come la ferita fresca che sempre batte, molto maggioremente lo cuore nostro, ché ogni dì di nuovo gli sono gittate nuove, cioè saette d'ardentissima carità: ché non passa mai tempo che la bontà di Dio non gitti carboni accesi sopra del capo nostro (Rm 12,20 Pr 25,22). Se noi ci volliamo verso l'essare che la bontà di Dio ha dato a noi, non ci creò se non per pura carità - perché noi godessimo lo bene lo quale aveva in sé medesimo - e darci vita eterna. E però dice santo Pavolo che Dio non vuole altro che la nostra santificazione: e ciò che dà, dà a questo fine, affinché siamo santificati in lui.

O somma ed eterna verità, bene lo desti a divedere, ché avendo noi perduta la grazia, non potavamo participare questo bene; vedendo Dio che questa sua volontà non si poteva adempire per lo peccato, costretto dall'amore pazzo che aveva in noi mandò l'unigenito suo Figlio a fabricare le nostre iniquità sopra lo corpo suo. Subito che questo Verbo fu innestato ne la carne nostra nel ventre di Maria, subito lo giudicò all'obrobriosa morte de la croce, posto nel campo di questa vita a combattare per la sposa sua, per trarla de le mani del demonio che la possedeva come adultera. Venne questo dolce cavaliere, come dice santo Bernardo, e salse a cavallo in sul legno de la santissima croce, missesi l'elmo - la corona de le spine bene fondata -, i chiodi ne le mani e nei piei, la lancia nel costato (Jn 19,34), per manifestarci lo segreto del cuore. Oimé, amore amore! Parti che sia bene armato questo nostro dolce Salvatore? Confortianci, ché ha venta la battaglia per noi. Così disse a li discepoli suoi: «Rallegratevi, poiché io ho sconfitto lo principe del mondo» (Jn 16,33). E santo Agostino dice che coi la mano confitta e chiavellata ha sconfitte i demoni. Perciò non voglio che neuno timore caggia in voi, dilettissime mie figlie, né per demonio visibile né invisibile; se vi desse le molte battaglie e illusioni, o paura di non potere perseverare nelle opere cominciate, confortatevi dicendo: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, poiché per me ha sconfitte i demoni».

O dolcissimo amore Gesù, tu hai giocato con la morte in su la croce a le braccia: la morte vinse la vita, e la vita vense la morte; cioè che per la morte del corpo suo distrusse la morte nostra, e per la nostra morte distrusse la vita del corpo suo. O inestimabile carità di carità, che tutto questo ci manifesta l'amore e la volontà e il fine per mezzo del quale ci creasti: solo per darci vita eterna. O amore dolce, qual cuore Perciò si difendarà che non s'acenda a tanto fuoco d'amore? ché Dio ci ha donato l'unigenito suo Figlio; e il Figlio ci ha donata la vita con tanto desiderio che non pare che il possa esprimere quando dice: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi inanzi ch'io muoia» (Lc 22,15). O dolcissimo amore, dicevi tu de la Pasqua del mangiare con loro? no, ma dicevi de la Pasqua di fare sagrificio del corpo tuo al Padre tuo per noi. O amore, con quanta carità e con quanta letizia dicesti quella parola di fare di te sacrifizio, perché ti vedevi presso al termine! Tu facesti come colui che ha avuto grandissimo desiderio di fare una grandissima opera, che quando se la vede presso a fare, ha galdio e letizia; e con questa letizia corre questo inamorato all'obrobrio de la santissima croce.

Perciò io vi prego, dilettissima sorella, e voi figlie, che di questo noi ci dilettiamo, cioè di portare gli obrobrii suoi. Ponete ponete la bocca al costato del Figlio di Dio, poiché è una bocca che gitta fuoco di carità, cioè sangue per lavare le vostre iniquità. Dicovi che l'anima che vi si riposa, e raguarda con l'occhio dello intendimento lo cuore consumato e aperto per amore; ella riceve in sé tanta conformità con lui, vedendosi tanto amare, che non può fare che non ami: e allora diventa l'anima ordenata, ché ciò che ama, ama per Dio, e nessuna cosa ama fuore di lui; e così diventa un altro lui per desiderio, poiché non si trova altra volontà che quella di Dio. Non siate Perciò negligenti, ma sempre corrite, rompendo sempre le vostre volontà.



Rimanete, figlie mie, ne la santa carità di Dio. Fate che adempiate lo mio desiderio che io vi veggia una cosa, unite e transformate in lui. Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo.

Molto confortate monna Bartolomea e tutte l'altre: che non si volla adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma sempre perseveri nel santo proponimento, ché senza la perseveranza non potreste ricevare la corona.

Laudato sia Gesù Cristo.



98. A frate Tomaso dalla Fonte de l'Ordine dei Predicatori in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato di voi pienamente, affinché perfettamente vi troviate vestito di Cristo crocifisso.

E pensate, padre mio dolce, che tanto ci manca di lui quanto ci reserbiamo di noi. Quanto doviamo dunque diradicare da noi ogni propria volontà, e uccidarla e anegarla, poiché ella è cagione di privarci di tanto ricco vestimento, lo quale illumina l'anima, infiammala e fortificala! Illuminandola della verità eterna, le mostra che ciò che ci adiviene in questa vita è per nostra santificazione, e per farci venire a virtù, infiammandola di disiderio ardente di fare grandi fatti per Dio, e di dare la vita per onore di Dio e salute delle anime; e fortificala, poiché non è lume né fuoco senza fortezza. Perché il lume e l'amore portano ogni grande peso: la guerra l'ha pace, e la tempesta ell'ha bonaccia; e tanto le pesa la mano dritta quanto la manca, tanto l'avversità quanto la prosperità, perché da una medesima fonte vede procedare l'una e l'altra, e per uno medesimo fine.

Oh quanto virilmente navica quella anima che sì bene si spogliò, unde fu rivestita! Ella non può volere né disiderare se non la gloria e loda del nome di Dio, la quale cerca nella salute delle anime: di queste si fa uno suo cibo; e non lo vuole mangiare altrove che in su la mensa della croce - cioè con pena, scherni e rimproverio quanti a Dio piace di concedarle -: tanto gode quanto si vede portare senza colpa. A questo alto stato non si può venire col peso del vestimento nostro, e però vi dissi che io desideravo di vedervi spogliato di voi pienamente; e così vi prego che v'ingegniate di fare per l'amore di Cristo crocifisso. Non dico più qui.

Avemmo a dì xiij di giugno la vostra lettera etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





99. A Neri di Landoccio, essendo ad Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio mio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi unito e trasformato e conformato in Cristo Gesù.

La quale cosa, figlio mio dolcissimo, l'anima non può fare - cioè da essere conformata con Cristo perfettamente - se al tutto non si stacca da la conformazione del secolo; poiché il mondo è contrario a Dio, e Dio è contrario al mondo: non hanno veruna conformità insieme. E veramente così è, ché noi vediamo che Dio e Uomo elesse perfetta povertà, ingiurie e strazii e scherni e villania, fame e sete; spregiò gloria e onore umano: sempre cercò la gloria del Padre e la salute nostra, sempre perseverando con vera e perfetta pazienza; non era in lui superbia, ma perfetta umilità. O inestimabile diletta carità, ben sei contrario al secolo! Lo secolo cerca gloria e onori e delizie, superbia, impazienzia, avarizia, odio, rancore, amore propio di sé medesimo, con tanta strettezza di cuore che non vi cape lo prossimo per Dio. O quanto s'ingannano li stolti uomini che sono conformati con questo malvagio secolo, che volendo onori sono vitoperati; volendo ricchezza sono povari, perché non cercano la vera ricchezza; volendo letizia e delizie hanno tristizia e amaritudine, perché sono privati di Dio che è somma letizia. Non vogliono né morte né amaritudine, e caggiono ne la morte e nell'amaritudine; vogliono fermezza e stabilità, e dilongansi da la pietra viva. Or vedi, carissimo figlio, quanta differenza egli è da Cristo al secolo.

E però i veri servi di Dio, vedendo che il mondo non ha veruna conformità con Cristo, si studiavano, con ogni sollecitudine, di non avere nessuna conformità col mondo; anco si levano con odio e pentimento, e diventano amatori di ciò che Dio ama, odiatori di ciò che Dio odia; non hanno altro desiderio se non di conformarsi con Cristo crocifisso, seguitando sempre le vestigie sue, affocati e innamorati de le vere virtù.

Quello che essi vegono che Cristo elesse per sé, vogliono per loro, e per contrario ricevono: ché, scegliendo povertà e viltà, sono sempre onorati; eglino hanno pace e diletto e letizia, galdio e ogni consolazione, privati d'ogni tristizia. E non mi maraviglio, poiché sono conformati e transformati con la somma eterna verità e bontà di Dio, due si contiene ogni bene, due s'adempiono i veri e santi desiderii.

Perciò bene è da seguitarlo e al tutto levarsi via, tagliarvi da questa tenebrosa vita: lo coltello dell'odio e pentimento di voi, e l'amore puro di Dio ve ne tagliarà. Dicovi, figlio mio carissimo, che questo coltello e pentimento non potreste avere senza la continua memoria di Dio, singularmente dell'abondanzia del sangue del Figlio di Dio che ce n'ha fatto bagno, svenando e uprendo sé medesimo, con tanto fuoco e ardentissimo amore, in sul legno de la santa croce. Or qui acquistarete questo coltello dell'odio, poiché per l'odio e pentimento del peccato è morto. L'amore lo tiene legato: come dicono i santi, né chiodi né croce era sufficente a tenerlo, se non fusse lo legame de la divina carità. Or qui voglio che raguardi e si riposi sempre l'occhio dello intendimento vostro; ine trovarete e inamorarete de le virtù vere: trovarete una perseveranza che né dimonia né creature vi potrà separare da esse virtù, con volontà di soggiogarvi e sottomettarvi ad ogni creatura per Dio, con vera e perfetta umilità. Verràvi in tedio e abominazione lo mondo e ogni sua opera, ne la memoria di questo sangue; diventarete gustatore e mangiatore delle anime, lo quale è cibo dei servi di Dio; e di questo vi prego e consiglio che sempre vi dilettiate di mangiare. Perché vi paia essare difettuoso, non lassate perciò, ché Dio raguarda più a la buona volontà che ai difetti nostri. Anco vi dico che ne la carità del prossimo, fatta per Dio, è quello fuoco che purifica l'anima.

E affinché sia bene purificata, aitate a frate Bartalomeo quanto potete, mentre che vi sta, a trarli de le mani de i demoni. Se io potessi venirvi aitare, verrei volentieri; non pare che sia stata volontà di Dio.

Per ora ci ha poco tempo, faremo quello che Dio ci farà fare. Sappiate, fratello, ch'io non ho fatto visibile, ma io ho fatto e farò invisibilemente.

Dimandastemi ch'io vi ricevesse per figlio: io, poniamo che indegna misera miserabile sia, già v'ho ricevuto e ricevo con affettuoso amore; e sempre m'obligo e obligarò dinanzi da Dio d'intrare in ricolta per voi, d'ogni vostra inequità commessa o che commetteste. Ma pregovi che adempiate lo mio desiderio, cioè che vi conformiate con Cristo crocifisso, levandovi pienamente da la conversazione del secolo, sì come detto è di sopra; in altro modo non potremmo avere la conformità di Cristo. Vestitevi vestitevi di Cristo crocifisso, ché egli è quello vestimento nuziale che vi darà qui la grazia, e poi vi porrà a la mensa de la vita durabile, a mangiare coi veri gustatori. Non dico più.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Benedite e confortate frate Bartalomeo e frate Simone in Cristo Gesù.





100. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi portatore dei pesi delle creature - per affetto e desiderio de l'onore di Dio e della salute loro -, e pastore vero che con sollicitudine governiate le pecorelle che vi sono o fussero messe tra le mani, a ciò che lo lupo infernale non ne le portasse; poiché se ci commetteste negligenzia, vi sarebbe poi richiesto.

Ora è tempo da mostrare chi ha fame o no, e chi si sente dei morti che noi vediamo giacere privati della vita della grazia. Sollicitate virilmente, e con vero cognoscimento, e con umili e continue orazioni infine alla morte. Sapete che questa è la via a volere conoscere, ed essere sposo della verità eterna; e nessuna altra ce n'ha. E guardate che voi non schifiate fatiche; ma con allegrezza le ricevete, facendove lo' a rincontra per santo desiderio, dicendo: «Voi siate le molto bene venute»; e dicendo: «Quanta grazia mi fa lo mio Creatore, che egli mi facci sostenere e patire per gloria e loda del nome suo!».

Facendo così, l'amaritudine vi sarà dolcezza e refrigerio, offerendo lacrime, con dolci sospiri per ansietato desiderio, per le miserabili pecorelle che stanno nelle mani delle demonia: allora i sospiri vi saranno cibo, e le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6). Non terminate la vita vostra in altro, dilettandovi e riposandovi in croce con Cristo crocifisso: facendo così, sarete figlio dolce di Maria, e sposo della verità eterna.

Altro non dico.

Date la vita per Cristo crocifisso, e annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso; mangiate lo cibo delle anime in su la croce con Cristo crocifisso; affogatevi e annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:08

Continua l'elenco delle Lettere fino a qui postate:

36 A certi novizii dell'ordine di Santa Maria di Monte Oliveto.

37 A frate Nicolò di Ghida dell'ordine di Monte Oliveto.

38 A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

39 A don Giacomo monaco di Certosa nel monasterio di Pontignano presso a Siena.

40 A certe figlie da Siena.

41 A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine dei Predicatori, quando era a santo Quirico nel loro spedaletto.

42 A Neri di Landoccio quando era a Firenze.

43 Data a ser Cristofano di Gano, notaio in Siena.

44 A ser Antonio di Ciolo.

45 A Francesco di missere Vanni Malavolti.

46 A Neri di Landoccio.

47 A Pietro di Giovanni Venture da Siena.

48 A Matteo di Giovanni Colombini da Siena.

49 A monna Alessa.

50 A Caterina di Ghetto mantellata di santo Domenico.

51 A frate Felice da Massa dell'ordine di santo Agostino.

52 A frate Girolamo da Siena dei frati di santo Agostino

53 A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

54 A una monaca nel monastero di santa Agnesa di Montepulciano.

55 Al venerabile religioso don Guglielmo, priore generale dell'ordine di Certosa.

56 A frate Simone da Cortona dell'ordine dei Predicatori.

57 Al sopradetto misser Matteo, rettore della Casa della Misericordia in Siena

58 A sorella Cristofana priora del monisterio di santa Agnesa in Montepulciano.

59 A ser Pietro prete da Semignano di montagna del contado di Siena, lo quale aveva odio con uno altro prete.

60 A uno secolare lo nome del quale io non so.

61 A monna Agnesa, donna che fu di missere Orso Malavolti.

62 A Sano di Maco e agli altri figli.

63 A missere Matteo rettore della Casa della Misericordia in Siena.

64 A frate Guiglielmo d'Inghilterra dei Frati eremiti di santo Agostino.

65 A Daniella da Orvieto vestita dell'abito di santo Domenico.

66 A frate Guglielmo d'Inghilterra, baccelliere che sta a Lecceto, dell'ordine di santo Agostino.

67 Al convento dei monaci di Passignano dell'Ordine di Valle Ombrosa.

68 A madonna Bandecca donna che fu di missere Bocchino dei Belforti da Volterra, essendo essa in Firenze.

69 A Sano di Maco in Siena.

70 A frate Bartolomeo Dominici, dell'ordine dei Predicatori, quando era baccelliere di Pisa.

71 A monna Bartalomea d'Andrea Mei da Siena.

72 A Romano linaiuolo a la Compagnia del Bigallo in Firenze.

73 A sorella Constanzia monaca del monistero di Santo Abondio presso a Siena.

74 A frate Nicolò da Montalcino dell'ordine dei frati Predicatori a Montepulciano.

75 Al monasterio di Santo Gaggio a Firenze; Alla badessa e monache del monastero che è in Monte San Savino.

76 A frate Giovanni di Bindo di Doccio dei frati di Monte Oliveto.

77 Al venerabile religioso frate Guglielmo d'Inghilterra, lo quale era baccelliere dell'Ordine dei frati Eremitani di santo Agostino a Selva di Lago.

78 A Nicolò povaro di Romagna, romito a Firenze.

79 All'abbadessa e monache di santo Piero in Monticelli a Lignaia in Firenze.

80 A maestro Giovanni Terzo dell'ordine dei Frati eremiti di santo Agostino essendo egli a Lecceto.

81 A Francesca di Francesco di Tato Talomei vestita di santo Domenico, inferma.

82 Una dottrina a tre donne di Firenze.

83 A Conte di Conte da Firenze, spirituale, essendo per alcuno modo caduto.

84 A frate Filippo di Vannuccio e a frate Nicolò di Piero da Firenze, de l'Ordine di Monte Oliveto.

85 A Piero di Tommaso dei Bardi da Firenze.

86 All'abbadessa del monasterio di santa Maria delli Scalzi in Firenze.

87 A monna Giovanna pazza.

88 Al vescovo di Firenze, cioè a quello da Ricasole.

89 A Bartalo Usimbardi e a Francesco sarto predetto da Firenze.

90 A madonna Laudomia donna di Carlo delli Strozzi da Firenze.

91 A monna Agnesa predetta.

92 A uno spirituale in Firenze.

93 A monna Orsa donna di Bartalo Usimbardi e a monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

94 A frate Matteo di Francesco di Tato Talomei dell'ordine dei Predicatori.

95 A certi giovani fiorentini figli adottivi di don Giovanni da le Celle.

96 A Piero Canigiani da Fiorenze (patri meo secundum carnem).

97 A monna Pavola da Siena e a le sue discepole, quando stava a Fiesole.

98 A frate Tomaso dalla Fonte de l'Ordine dei Predicatori in Siena.

99 A Neri di Landoccio, essendo ad Asciano.

100 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

.... l'esposizione delle Lettere continua qui:

LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

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[Modificato da Caterina63 19/10/2012 15:18]
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