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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 13:04

13. A Marco Bindi mercatante.

Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, poiché in altro non potremmo piacere a Dio, ma perdaremmo lo frutto delle nostre fatiche, e però c'è bisogno questa gloriosa virtù della patientia.

E se voi mi diceste, carissimo fratello: «Io ho le grandi fatiche, e non mi sento forte ad avere questa pazienza; né non so in che modo acquistarla», io vi rispondo che neuno è che voglia seguire la ragione che non la possa avere. Ma bene vi confesso che noi siamo fragili e debili per noi medesimi, secondo la sensualità, e spezialmente quando l'uomo ama molto sé e le creature e la sustanzia temporale sensualmente. Unde amandole tanto d'un amore tenero sensitivo, quando poi le perde ne riceve intollerabile pena.

Ma Dio che è nostra fortezza, se noi vorremo con la ragione, con la forza della volontà, e con la mano del libero arbitrio conculcare la fragilità nostra, Dio non dispregiarà la forza che faremo a noi medesimi per non dolerci disordenatamente. Poiché egli è acettatore dei santi desiderii e daracci questa dolce e reale virtù; e portaremo ogni fatica con vera e santa pazienza. Sì che vedete che ognuno la può avere, se vorrà usare la ragione che Dio gli ha data e non seguire solamente la fragilità. Poiché sarebbe cosa molto sconvenevole che noi, creature ragionevoli, non usassimo altra ragione che gli animali bruti, poiché essi non possono usare la ragione, perché non l'hanno; ma noi, perché l'aviamo, la doviamo usare e, non usandola, veniamo a impazienzia e scandalizzianci ne le cose che Dio ha permesse a noi; e così l'offendiamo.

Che modo dunque possiamo tenere ad avere questa pazienza, poi che io la posso e debbo avere, e senza essa offendarei Dio? Quattro cose principali ci conviene avere e considerare. E prima dico che ci conviene avere lo lume della fede, nel quale lume della fede santa acquistaremo ogni virtù; e senza questo lume andaremmo in tenebre, sì come lo cieco a cui lo dì gli è fatto notte. Così l'anima senza questo lume: quello che Dio ha fatto per amore - lo quale amore è uno dì lucido sopra ogni luce - ella se il reca a notte, cioè a notte d'odio, tenendo che per odio Dio gli permetta le tribulazioni e le fatiche che egli ha: sì che vedete che ci conviene avere lo lume della santissima fede.

La seconda cosa si è - la quale s'acquista con questo lume, cioè che in verità ci conviene credere, e non tanto credere ma esserne certi, come egli è -, che ogni cosa che ha in sé essere procede da Dio, eccetto lo peccato, che non è. La mala volontà dell’uomo che commette lo peccato non fa egli, ma ogni altra cosa, o per fuoco o per acqua o per altra morte, o qualunque altra cosa si sia, ogni cosa procede da lui. E così disse Cristo ne l'evangelio, che non cadeva una foglia d'arbolo senza la sua providenzia; dicendo ancora più, cioè che i capelli del capo nostro sono tutti numerati (Mt 10,30 Lc 12,7), e neuno ne cadeva che egli nol sapesse. Se dunque così dice de le cose insensibili, molto maggiormente ha cura di noi creature ragionevoli; e in ciò che egli ci dà e permette usa la providenzia sua, e ogni cosa è fatta con misterio, per amore e non per odio.

a terza cosa è questa: che egli ci conviene vedere e conoscere in verità, col lume della fede, che Dio è somma ed eterna bontà, e non può volere altro che lo nostro bene, poiché la volontà sua è che noi siamo santificati in lui; e ciò che egli ci dà e permette, ci dà per questo fine. E se noi di questo dubbitassimo, che egli volesse altro che lo nostro bene, non ne possiamo dubbitare se noi raguardiamo lo sangue de l'umile e immacolato Agnello. Poiché Cristo aperto, appenato e afflitto di sete in croce, ci mostra che lo sommo ed eterno Padre ci ama inestimabilemente: poiché per l'amore che egli ebbe a noi, essendo noi fatti nemici per lo peccato commesso, ci donò lo Verbo dell'unigenito suo Figlio e il Figlio ci dié la vita, correndo come inamorato all'oprobiosa morte della croce.

Chi ne fu cagione? l'amore che egli ebbe alla salute nostra; sì che vedete che lo sangue ci tolle ogni dubbitazione che noi avessimo, che Dio volesse altro che lo nostro bene. E come può la somma bontà fare altro che bene? non può. E la somma ed eterna providenzia, come usarà altro che providenzia? Colui che ci ha amati prima che noi fussimo, e per amore ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), non può fare che egli non ci ami, e che non ci provegga in ogni nostro bisogno, nell'anima e nel corpo.

Sempre ci ama in quanto creature sue; ma solo lo peccato è quello che egli odia in noi, e però egli ci permette molte fatiche in questa vita sopra i corpi nostri, o nella sustanzia temporale in diversi modi, secondo che egli vede che noi abbiamo bisogno. E sì come vero medico, dà la medicina che bisogna alla nostra infermità; e questo fa, o per punire i nostri difetti in questo tempo finito - a ciò che meno pene riceviamo nell'altra vita -, o egli lo fa per provare in noi la virtù della pazienza: sì come fece a Job, che per provare la pazienza sua gli tolse i figli e tutta la sustanzia temporale che egli aveva (Jb 1,13-19), e nel corpo suo dié una infermità (Jb 2,7) che continuamente menava vermini; la moglie gli riserbò per sua croce e stimolo, poiché sempre tribolava Job con molta villania e rimproverio (Jb 2,9). E poi che Dio ebbe provata la pazienza sua, gli restituì a doppio ogni cosa (Jb 42,10). Job mai in queste cose non si lagnò, anco diceva: «Dio me le dié e Dio me l'ha tolte; sempre sia benedetto lo nome suo » (Jb 1,21).

Alcune volte Dio ce le permette a ciò che noi cognosciamo noi medesimi, e la poca fermezza e stabilità del mondo; e perché tutte le cose che noi possediamo, e la vita e la sanità, moglie e figli, ricchezze, stati e delizie del mondo, tutte le possediamo come cose prestate a noi per uso da Dio, e non come cose nostre; e così le doviamo usare. Questo c'è a noi manifesto che egli è così, poiché nessuna cosa possiamo tenere che nostra sia che non ci possa essere tolta, se non solo la grazia di Dio: questa grazia né dimoni né creature (...) - né per alcuna tribulazione ci può essere tolta - se noi non vogliamo. Quando l'uomo conosce questo, cioè la perfezione della grazia e la imperfezione del mondo e de la vita nostra corporale, gli viene in odio lo mondo con tutte le sue delizie e la propria fragilità sua, che è cagione spesse volte, quando ama sensitivamente, di tollarci la grazia; e ama le virtù che sono strumento a conservarci nella grazia.

Sì che vedete che Dio per amore ce le permette, a ciò che con cuore virile ci stacchiamo dal mondo con ogni santa sollicitudine, col cuore e con l'affetto; e cerchiamo un poco i beni immortali, e abandoniamo la terra con tutte le puzze sue e cerchiamo lo cielo; poiché noi non fummo fatti per notricarci di terra, ma perché noi in questa vita stiamo come pellegrini che sempre corriamo al termine nostro di vita eterna, con vere e reali virtù. E non ci doviamo ristare tra via per alcuna prosperità o diletto che lo mondo ci volesse dare, né per aversità, ma corrire virilmente e non vollarsi a loro né con disordenata allegrezza né con impazienzia, ma con pazienza e santo timore di Dio tutte trapassarle.

Di grande necessità v'era questa tribolazione: Dio vi dava lo desiderio di sciogliarvi i molti legami, e sviluppare la conscienzia vostra, onde da l'uno lato vi tirava lo mondo e da l'altro Dio. Ora Dio, per grande amore che egli ha alla salute vostra, v'ha sciolto e datavi la via, se voi la saprete pigliare: a loro ha dato vita eterna, e voi chiama col tesoro della tribolazione, perché voi non ne siate privato, ma perché in questo punto del tempo che v'è rimaso cognosciate la bontà sua e i difetti vostri.

La quarta cosa che ci conviene avere per potere venire a vera pazienza, è questa: che noi consideriamo i peccati e i defetti nostri, e quanto aviamo offeso Dio, lo quale è bene infinito: per la quale cosa succederebbe - non tanto che de le grandi colpe, ma d'una piccola - pena infinita; e degni siamo di mille inferni, considerando chi siamo noi miserabili che aviamo offeso lo nostro Creatore, e chi è lo dolce Creatore nostro che è offeso da noi. Vediamo che egli è colui che è bene infinito, e noi siamo coloro che non siamo per noi medesimi, poiché l'essere nostro e ogni grazia che è posta sopra l'essere aviamo da lui; noi per noi siamo miseri miserabili.

E non di meno che noi meritiamo pena infinita, egli con la misericordia ci punisce in questo tempo finito, nel quale tempo, portando le fatiche con pazienza, si scontia e merita; che non aviene così de le pene che sostiene l'anima nell'altra vita, poiché se ella è alle pene del purgatorio, sì scontia, ma non merita. Bene doviamo dunque portare volontariamente questa fatica piccola: piccola si può dire questa e ogni altra, per la brevità del tempo, poiché tanto è grande la fatica quanto è grande lo tempo in questa vita. Quanto è lo tempo nostro? è quanto una punta d'aco; Perciò bene è vero che ella è piccola: la fatica che è passata io non gli ho, poiché è passato lo tempo; quella che è a venire anco non gli ho, poiché non sono sicura d'avere lo tempo, con-ciò-sia-cosa-che io debbo morire e non so quando. Solo dunque questo punto del presente c'è, e più no.

Perciò, bene doviamo portare con grande allegrezza, poiché ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. E Paulo dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che riceve l'anima che porta con buona pazienza» (Rm 8,18). Or a questo modo potrete portare, e acquistare la virtù della vera pazienza; la quale pazienza, acquistata per amore e col lume della santissima fede, vi rendarà lo frutto d'ogni vostra fatica. In altro modo perdareste lo bene della terra e il bene del cielo, poiché altro modo non ci ha. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, e così vi prego che facciate. Abbiate memoria del sangue di Cristo crocifisso, e ogni amaritudine vi tornarà in dolcezza, e ogni grande peso vi tornarà leggiero. E non vogliate scegliere né tempo né luogo a vostro modo, ma siate contento nel modo che Dio ve l'ha date.

Òvi avuta compassione del caso avenuto: secondo l'aspetto pare molto forte, e non di meno egli è fatto con grande providenzia e per vostra salute. Pregovi che vi confortiate, e che non veniate meno sotto questa dolce disciplina di Dio. Altro non vi dico se non che sappiate conoscere lo tempo, mentre che voi l'avete.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





14. Ai tre suoi fratelli in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo Gesù, risoviemmi dello smisurato amore che ebbe lo nostro dolce salvatore, che dé a sé la morte per dare a noi la vita della grazia. Non volse fare altro lo nostro dolce salvatore se no che, vedendo che noi uscivamo dell'ordine della carità, per rendarci questa unione della carità volse essere unito con la più vituparosa morte che potesse scegliere. Oimé, che il nostro salvatore vedeva noi infermati per lo appetito disordinato che noi abiamo in noi medesimi a queste cose transitorie, che passano come il vento e vengono meno, o elle a noi o noi a loro.

E però vi priego io, indegna serva e inutile, Caterina, che voi vogliate porre la vostra speranza in Dio, e non fidarvi in questa vita mortale. Pregovi, come servi ricomperati, che il vostro desiderio e l'affetto dell'anima vostra lo poniate con ogni sollecitudine al Signore vostro, che v'ha ricomperati, come dice san Piero: «Non v'ha ricomperati d'oro né d'argento, ma del suo prezioso e dolcissimo sangue» (1P 1,18-19). E però vi prego, fratelli carissimi, che voi questo dolce prezzo teniate molto caro, cioè che l'amiate, e, per dimostrare che voi l'amiate, sempre siate amatori e osservatori dei comandamenti di Dio.

E singularmente vi priego e costringo, da parte di Cristo crocifisso, del primo e ultimo comandamento di Dio, cioè della carità e dell'unione di Dio (Mt 22,36-38 Mc 12,28-30). Di questa carità santa vi voglio vedere tutti inamorati, e piene l'anime vostre, e questo è l'animo mio. Volendomi voi mostrare questa carità, sempre vi voglio vedere uniti e legati con questo dolce vincolo della carità, affinché né demonio né detto di nessuna persona vi possa partire.

Ricordomi della parola che disse Gesù Cristo, che chi s'umilia, sarà esaltato (Mt 23,12 Lc 14,11). E però ti prego, Benincasa, tu che sei lo maggiore, che tu voglia essere lo minore di tutti; e tu, Bartolomeo, voglia essere lo minore del minore; e tu, Stefano, prego che tu sia soggiogato a Dio e a loro, e così dolcemente vi conservate in perfettissima carità. Dio vi dia sempre la sua perfettissima grazia.

Altro non vi scrivo.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.







15. A Consiglio giudeo.

Laudato sia Gesù Cristo crocifisso, figlio de la gloriosa vergine Maria.

A te, dilettissimo e carissimo fratello, ricomprato del prezioso sangue del Figlio di Dio (1P 1,18-19) come io, essendo io indegna Caterina costretta da Cristo crocifisso e da la sua dolce madre Maria ch'io vi preghi e costrenga che doviate uscire e abandonare la durezza e la tenebrosa infedelità: doviatevi riducere e ricevare la grazia del santo battesimo.

E dico che senza il battesimo non potete avere la grazia di Dio: chi è senza il battesimo non participa lo frutto de la Chiesa santa, ma come membro putrido, tagliato da la congregazione dei fedeli cristiani, passa de la morte corporale a la morte eterna. Ragionevolmente riceve pena e tenebre, perché non s'è voluto lavare nell'acqua del santo battesimo e ha tenuto a vile lo sangue del Figlio di Dio, il quale è sparto con tanto amore.

O carissimo fratello in Cristo Gesù, apre l'occhio de lo intendimento a riguardare la sua inestimabile carità, che ti manda invitando co.le sante inspirazioni che ti sono venute nel cuore, e per li servi suoi ti richiede e t'invita che vuole fare pace con te, non raguardando a la lunga guerra e ingiuria che ha ricevuta da te per la tua infedelità; ma egli è tanto dolce e benigno lo Dio nostro che, poi che venne la legge dell'amore, che il Figlio di Dio venne ne la vergine Maria e sparse l'abbondanza del sangue in sul legno de la santissima croce, possiamo ricevere l'abbondanza de la divina misericordia.

Sì come la legge di Moisè era fondata in giustizia e in pena, così la legge nuova, data da Cristo crocifisso, vita evangelica, è fondata in amore e in misericordia - in tanto ch'egli è dolce e benigno, pur che l'uomo ritorni a lui umiliato e fedele - e credare per Cristo avere vita eterna; e pare che non si voglia ricordare dell'offese che noi gli facciamo: non ci vuole dannare etternalmente ma sempre fare misericordia.

Perciò levati, fratello mio, in quanto tu vogli essare legato con Cristo; non dormire più in tanta cecità, ché Dio non vuole, né io non voglio, che l'ora de la morte ti truovi cieco, ma desidera l'anima mia di vederti pervenire al lume del santo batesimo, sì come lo cervio desidera l'acqua viva (Ps 41,2). Non fare più resistenza a lo Spirito santo che ti chiama, e non spregiare l'amore che t'ha Maria né le lacrime e l'orazioni che sono fatte per te: troppo ti sarebbe grande giudicio.

Permane ne la santa carità di Dio, e io prego lui, che è somma verità, che t'allumini e riempia de la sua santissima grazia, e adempi lo mio desiderio di te, Consiglio. Data a te questa da parte di Cristo Gesù.

Laudato sia Cristo crocifisso e la sua dolcissima madre Maria dolce.







16. A uno grande prelato.



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi affamato del cibo delle creature per onore di Dio, imparando dalla prima dolce Verità che, per fame e sete che egli ha della nostra salute, muore.

Non pare che questo Agnello immacolato si possa saziare; grida in croce satollato d'obrobrii, e dice che ha sete (Jn 19,28): poniamo che corporalmente egli avesse sete, ma maggiore era la sete del santo desiderio che egli avea della salute delle anime. O inestimabile dolcissima carità, i non pare che tu dia tanto - dandoti a tanti tormenti - che non rimanga maggiore lo desiderio di più volere dare tutto: n'è cagione l'amore. Non me ne maraviglio, ché l'amore tuo era infinito, e la pena era finita: e però gli era maggiore la croce del desiderio che la croce del corpo.

Questo mi ricordo che il dolce e buono Gesù manifestava una volta a una serva sua: vedendo ella in lui la croce del desiderio e la croce del corpo, ella dimandava: «Signore mio dolce, quale ti fu maggiore pena, o la pena del corpo, o la pena del desiderio?» Egli rispondeva dolce e benignamente, e diceva: «Figlia mia, non dubitare; ch'io ti faccio sicura di questo: che veruna comparazione si può fare dalla cosa finita alla infinita. Così ti pensa che la pena del corpo mi fu finita; ma lo santo desiderio non finisce mai: però io portai la croce del santo desiderio. E non ti ricorda egli, figlia mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo pargolo nato con la croce in collo? Perch'io ti faccio sapere che come io, Parola incarnata, fui seminata nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch'io avevo di fare l'obbedienzia del Padre mio e d'adempire la sua volontà nell'uomo, cioè che l'uomo fusse restituito a grazia: ricevesse lo fine per mezzo del quale egli fu creato. Questa croce m'era maggior pena che verun' altra pena che io portasse mai corporalmente. E però lo spirito mio essultò con grandissima letizia, quando mi viddi condotto a l'ultimo, e spezialmente nella cena del giovedì santo, e però dissi: «con desiderio io ho desiderato» (Lc 22,15), cioè di fare questa pasqua di fare sacrifizio del corpo mio al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perché vedevo apparecchiare lo tempo disposto a tollarmi questa croce del desiderio, cioè che quanto più mi vidi giognare ai fragelli e ai tormenti corporali, tanto mi scemava più la pena: ché con la pena corporale si cacciava la pena del desiderio, perché vedevo adempito quello ch'io desideravo».

Ella rispondeva e diceva: «O Signore mio dolce, tu dici che questa pena della croce del desiderio ti si partì in croce. In che modo fu? Or perdesti tu lo desiderio di me?» Egli diceva: «Figlia mia dolce, no: ché morendo io in su la croce, terminò la pena del santo desiderio a un'ora con la vita, ma non terminò lo desiderio e la fame ch'io ho della salute vostra. Ché se l'amore ineffabile che io ebbi e ho all'umana generazione fusse terminato e finito, voi non sareste; poiché come l'amore vi trasse del seno del Padre mio, creandovi con la sapienza sua, così esso amore vi conserva: ché voi non siete fatti d'altro che d'amore.

Se retraesse a sé l'amore con quella potenza e sapienza con la quale egli vi creò, voi non sareste. Io, unigenito Verbo Figlio di Dio, sono fatto a voi uno condotto che vi porge l'acqua della grazia. Io vi manifesto l'affetto del Padre mio, poiché quello affetto che egli ha, e io ho; e quel che ho io, sì ha egli, perché sono una cosa col Padre e il Padre è una cosa con con me (Jn 10,30), e per mezzo di me ha manifestato sé. E però dissi io: «Ciò ch'io ho avuto dal Padre, io ho manifestato a voi » (Jn 15). Ogni cosa, n'è cagione l'amore».

Perciò ben vedete, reverendo padre, che il dolce e buon Gesù amore egli muore di sete e di fame della salute nostra: io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi vi poniate per obiettivo la fame di questo Agnello. Questo desidera l'anima mia, di vedervi morire per santo e vero desiderio, cioè che per l'affetto e amore che voi avarete a l'onore di Dio, salute de l'anime ed essaltazione della santa Chiesa, ho volontà di vedervi tanto crescere questa fame, che sotto questa fame rimaneste morto. Ché, come lo Figlio di Dio, come detto abiamo, di fame morì, così voi rimaniate morto a ogni amore proprio di voi medesimo; e a ogni passione sensitiva rimanga morta la volontà e appetito, a stati e delizie del mondo, al piacere del secolo e di tutte le pompe sue. Non dubito che, se l'occhio del cognoscimento si vòlle a raguardare voi medesimo, conoscendo voi non essere trovarete l'essere vostro dato a voi con tanto fuoco d'amore. Dico che il cuore e l'affetto vostro non potrà tenersi che non si spasimi per amore: non ci potrà vivere amore proprio; non cercarà sé per sé per propria sua utilità - ma cercarà sé per onore di Dio -, né lo prossimo per sé, per utilità propria, ma amarallo e desiderarà la salute sua per loda e gloria del nome di Dio, perché vede che Dio sommamente ama la creatura.

E questa è la cagione che subito i servi di Dio amano tanto la creatura, poiché veggono sommamente che l'ama lo Creatore; e condizione de l'amore è d'amare quello che ama colui che io amo. Dico che non amano Dio per sé, ma amanlo in quanto è somma eterna bontà degno d'essere amato. Veramente, padre, che costoro hanno messa a uscita la vita, perché non pensano di loro più: eglino non vogliono altro che pene, strazii, tormenti e villanie; eglino hanno in dispregio tutti i tormenti del mondo, tanto è maggiore la croce e pena che portano di vedere l'offesa e il vituperio di Dio e la dannazione della creatura. è sì grande questa pena che dimenticano lo sentimento della vita propria; e non tanto che fuggano le pene, ma essi se ne dilettano e vannole cercando. Acordansi con quel dolce innamorato di Pavolo che si gloriava nelle tribulazioni per l'amore di Cristo crocifisso (2Co 11-18ss.): or questo dolce banditore voglio e pregovi che seguitiate.

Oimé, oimé, disaventurata l'anima mia! Uprite l'occhio e raguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singularmente nel corpo della santa Chiesa. Oimé, scoppi lo cuore e l'anima vostra a vedere tante offese di Dio! Vedete, padre, che il lupo infernale ne porta la creatura - le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa -, e non si trova chi si muova a traglili di bocca. I pastori dormono nell'amore proprio di loro medesimi, in una cupidità e immondizia: sono sì ebbri di superbia che dormono, e non si sentono. Perché veggano che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della grazia in loro, e anco quella dei sudditi loro, essi non se ne curano; e tutto n'è cagione la perversità dell'amore proprio. Oh quanto è pericoloso questo amore nei prelati e nei sudditi! S'egli è prelato ed egli ha amore proprio, egli non corregge lo difetto dei suoi sudditi - poiché colui che ama sé per sé cade in timore servile -, e però non riprende; che se egli amasse sé per Dio non temarebbe di timore servile, ma arditamente con virile cuore riprendarebbe i difetti, e non tacerebbe né farebbe vista di non vedere. Di questo amore voglio che siate privato, padre carissimo.

Pregovi che facciate che non sia detto a voi quella dura parola con riprensione dalla prima Verità dicendo: «Maledetto sia tu che tacesti!» (Is 6,5). Oimé, non più tacere! Gridate con centomiglia di lingue. Vedo che, per lo tacere, lo mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impalidita; tolto l'è lo colore perché l'è succhiato lo sangue da dosso, cioè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, eglino sel furano con la superbia, tollendo l'onore che deve esser di Dio, e dannolo a loro; e si robba per simonia, vendendo i doni e le grazie che ci son dati per grazia col prezzo del sangue del Figlio di Dio. Oimé! ch'io muoio e non posso morire. Non dormite più in negligenzia; adoperate nel tempo presente ciò che si può.

Credo che vi verrà altro tempo che anco potrete più adoperare; ma ora per lo tempo presente v'invito a spogliare l'anima vostra d'ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reali e vere, a onore di Dio e salute de l'anime. Confortatevi in Cristo Gesù dolce amore, ché tosto vedremo apparire i fiori. Studiate che il gonfalone della croce tosto si levi; e non venga meno lo cuore e l'affetto vostro per veruno inconveniente che vedeste venire; ma più allora vi confortate, pensando che Cristo crocifisso sarà lo facitore e adempitore degli spasimati desiderii dei servi di Dio. Non dico più.

Rimanete etc.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso ponetevi in croce con Cristo crocifisso niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso fatevi bagno nel sangue di Cristo crocifisso.

Perdonate, padre, alla mia presunzione. Gesù dolce, Gesù amore.

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