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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 13:08

17. Al venerabile religioso frate Antonio da Nizza dell'ordine dei Frati Eremitani di santo Augustino a Selva di Lago.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi padre e frategli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, a voi mi racomando nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con disiderio di vedervi annegato e affogato ne la fornace de la divina carità, e in essa arsa e abnegata la propia vostra volontà, la quale volontà ci priva della vita e dacci la morte.

Apriamo gli occhi, carissimi frategli, poiché noi abiamo due voluntadi: una sensitiva che cerca le cose sensibili, e una volontà spirituale, che con spezie e colore di virtù tiene ferma la volontà sua. E in questo lo dimostra, quando vorrà scegliere i luoghi e tempi e le consolazioni a suo modo, e dice: « Io vorrei questo per più avere Dio». E questo è grande inganno e illusione di demonio, ché, non potendo lo demonio ingannare li servi di Dio con la prima volontà - ché già gli servi di Dio l'hanno mortificata a le cose sensitive di fuore -, piglia la seconda volontà de le cose spirituali.

Unde spesse volte l'anima riceve consolazione da Dio, poi si sente privata di quella e averne un'altra, la quale sarà di meno consolazione e di più frutto: allora l'anima, che è inanimata a quella che dà dolcezza, essendone privata ha pena e riceve tedio. E perché ha tedio? perché non vorrebbe essere privata de la sua dolcezza, dicendo: «I mi pare amare più in questo che in quello: di questo sento qualche frutto e di quello non sento frutto neuno altro che pena e spesse volte molte battaglie, e parmene offendare Dio». Dico, figliuogli e frategli in Cristo Gesù, che questa anima s'inganna con la propia volontà, ché non ne vorrebbe essere privata e con questa esca la piglia lo demonio. E spesse volte questi perdono il tempo, volendo il tempo a modo loro, che non esercitano quello che hanno altro che in pena e in tenebre.

Disse una volta il nostro dolce salvatore a una sua dilettissima figlia: «Sa' tu come fanno questi che vogliono adempiere la mia volontà in consolazione e in dolcezza e in diletto? Come sono privati, ed eglino vogliono 'scire della mia volontà, parendo loro bene fare per non offendare: ed èvi nascosta la falsa sensualità e per fugire pena cade nell'offesa e non se n'avede. Ma se l'anima fusse savia e avesse il lume dentro de la volontà mia raguardarebbe il frutto e no la dolcezza».

Quale è il frutto? Odio di sé e amore di Dio, uscito del conoscimento di sé medesimo, ché allora conosce sé difettuoso non essere nulla, e vede in sé la bontà di Dio che gli conserva la buona volontà - e àllo fatto perché l'anima viva giustamente umiliando sé medesima a Dio -, giudicando ch'egli l'ha fatto per lo meglio e per suo bene. Questo cotale non vuole lo tempo a suo modo perché è umiliato, e conoscendo la sua infermità non si fida del suo volere ma è fedele a Cristo: vestesi de la somma eterna volontà ché vede che Dio non ci dà e non ci tolle se non per nostra santificazione - ché l'amore lo muove a darci la dolcezza e a tollarci la dolcezza -. E per questo non si può dolere di nessuna consolazione che gli sia tolta, o dentro o di fuore, o dal demonio o da le creature, perché crede che se non fusse suo bene Dio nol permettarebbe.

Brevemente, costui gode ch'egli ha lo lume dentro e di fuore, ed è sì aluminato che, giungendo lo demonio con le tenebre ne la mente sua per confusione dicendo: «Questo è per gli tuoi peccati», ed egli risponde come persona che non schifa pene dicendo: «Grazia sia al mio Creatore che s'è ricordato di me nel tempo de le tenebre, punendomi per pena nel tempo finito». Grande amore è questo, che non lo vuole punire in tempo infinito. Quanta tranquillità di mente ha perché s'ha tolta la volontà che ci dà tempesta! Ma non fa così colui che ha volontà dentro cercando le cose a suo modo, che pare ch'egli vega meglio quello che gli bisogna che Dio. E spesse volte dice: «I mi ci pare offendare Dio: tollami via l'offesa e faccimi ciò che vuole». Questo è segno che ci è tolta l'offesa, unde ne dobbiamo pigliare speranza: quando vediamo in noi lo pentimento del peccato e la buona volontà di non volere offendare, ché se tutte le opere di fuore e le consolazioni venissero meno, se ci ha la buona volontà sì piacciamo a Dio, e sopra questa pietra è fondata la grazia. Se dici: «Non me la pare avere», dico ch'egli è falso, ché, se non l'avessi, non temaresti d'offendare Dio, ma egli è lo demonio che fa vedere questo, perché l'anima venga a confusione e a tristizia disordinata e perché tenga ferma la sua volontà in volere le consolazioni e i luoghi e i tempi a suo modo. Non gli crediamo, frategli carissimi, ma sempre disponga l'anima a sostenere pene, per qualunche modo Dio ce le dà. Altrimenti faremo come colui che sta su l'uscio col lume in mano, che distende la mano fuore e dentro è tenebroso: cioè che già è acordato ne le cose di fuore con la volontà di Dio dispregiando il mondo, ma rimagli la volontà spirituale dentro velata con colore di virtù.

Così disse Dio a quella serva detta di sopra e però diss'io ch'io disiderava che la vostra volontà fusse anegata e trasformata in lui, disponendoci sempre a portare pene e fatiche per qualunche modo ce le vuol dare: così saremo privati de le tenebre e avaremo la luce.

Amen. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso.





18. A Benincasa suo fratello, essendo in Firenze molto tribolato.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Fratello carissimo in Cristo Gesù, io Caterina, serva inutile, ti conforto e benedico, e invito a una dolce e santissima pazienza, ché senza la pazienza non potremo piacere a Dio.

Perciò vi priego, affinché voi riceviate lo frutto delle vostre tribulazioni, che voi pigliate questa arme della pazienza. E se vi paresse molto duro a portare le molte fatiche, riducovi a memoria tre cose, affinché portiate più patientemente. E prima, voglio che pensiate la brevità del tempo vostro, che non sete sicuro del dì di domane. Ben possiamo dire che non abbiamo la fatica passata, né quella ch'è a venire, ma solo lo punto del tempo che noi abbiamo: dunque ben dobiamo portare pazientemente, poi che il tempo è tanto brieve. La seconda è che voi consideriate lo frutto che segue delle fatiche, ché dice san Paolo che no è comparazione dalle fatiche a rispetto del frutto e rimunerazione della superna gloria. La terza si è che voi consideriate lo danno che segue a coloro che portano con ira e con impazienzia: ché segue questo danno qui, e la pena eternale di là. E però vi prego, carissimo fratello, che voi portiate con ogni pazienza.

E non vorrei che vi uscisse di mente lo correggiarvi della vostra ingratitudine e ignoranza, cioè del debito che avete con la madre vostra, al quale voi sete tenuto per comandamento di Dio. E io ho veduto moltiplicare tanto la ignoranza vostra che, non tanto che voi l'abbiate renduto lo debito d'aiutarla, poniamo che di questo io v'ho per scusato, poiché non avete potuto; e se voi aveste potuto, non so che voi aveste fatto, poiché solo delle parole l'avete fatto caro. O ingratitudine! non avete considerato la fatica del parto né il latte ch'ella trasse del petto suo, né le molte fatiche ch'ella ha avute di voi e di tutti gli altri. E se mi diceste ch'ella non abia avuto pietà di noi, dico che non è vero; ch'ella n'ha avuta tanta, di voi e dell'altro, che caro le costa. Ma poniamo caso che fusse vero: voi sete ubrigato a lei, e non lei a voi. Ella non trasse la carne di voi, ma ella dié la sua a voi.

Priegovi che voi vi correggiate di questo difetto e degli altri, e che perdoniate alla mia ignoranza; ché, se io non amassi l'anima vostra, non vi direi quello ch'io vi dico. Ramentovi la vostra confessione, a voi e alla vostra famiglia. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







19. A Nicolaccio di Caterino dei Petroni.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore dei dolci comandamenti di Dio, affinché potiate in voi participare la vita della grazia.

Ma questo non potereste fare col pentimento e odio del prossimo vostro; poiché il secondo comandamento di Dio è d'amare il prossimo come noi medesimi (Mt 22,39 Mc 12,31 Lc 10,27). Questa carità d'amare la creatura esce della fontana della divina carità: Perciò chi non è ne la carità di Dio, non è in quella del prossimo; non essendovi, è come il membro ch'è tagliato dal corpo, che subito perde la vita e seccasi, perché è tagliato dal suo principio. E così l'anima separata per l'odio della divina carità, è subito morta a grazia, in tanto che neuno bene che faccia gli vale quanto a vita eterna.

Vero è che il bene non si debba però lasciare che non si faccia, in qualunque stato altri sia, perché ogni bene è rimunerato e ogni colpa punita. Se non è rimunerato quanto a vita eterna, Dio gli rende questo: che o egli gli presta il tempo per potere coregiare la vita sua; o egli mettarà alcuno mezzo dei servi suoi a trarlo delle mani deli demoni; o egli il fa abondare nei beni temporali. E anco poi, morendo, eziandio essendo ne l’inferno, ha meno pena: ché più pena li succederebbe se quello tempo ch'egli fece quel poco del bene, egli avesse fatto il male. Unde, per questo e molte altre cose, il bene in neuno modo si debba mai lasciare, in qualunque stato egli sia fatto; ma bene è da considerare - poiché Dio è sì dolce rimuneratore - che la buona opera, nonostante ch'ella sia fatta in peccato mortale, egli la vuole retribuire in qualche cosa.

Quanto magiormente farà a coloro che la fanno in istato di grazia, con vero e santo desiderio nella carità di Dio e carità del prossimo! A questi, de la loro opera ne l'è dato frutto infinito, vivendo in questa per grazia; e ne l'altra l'ha dato vita eterna. Perciò voglio che con ogni santa solecitudine voi vi studiate di vivare in grazia, osservando i dolci comandamenti di Dio; ché in altro modo non potreste. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi osservatore dei detti comandamenti. Non dico più qui, se non che in questo ch'io vi domandarò, m'avedrò se starete in questa carità, o no. Quello ch'io vi dimando si è la pace, della quale etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, etc.







20. Questa è una lettera la quale manda santa Caterina detta a Benincasa suo fratello, ed essendo egli tribolato, sendo egli a Firenze.


A laude di Gesù Cristo benedetto e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi tutto accordato e trasformato con la volontà di Dio, sapendo ch'egli è quel giogo santo e dolce (Mt 11,30) che ogni amaritudine fa tornare in dolcezza.

Ogni grande peso diventa leggero sotto questo santissimo giogo della dolce volontà di Dio, senza la quale non potreste piacere a Dio, anzi gustareste la caparra dell’inferno. Confortatevi, confortatevi, carissimo fratello, e non venite meno sotto questa disciplina di Dio; confidatevi, ché quando l'aiuto umano viene meno, l'aiuto divino è presso. Dio vi provvederà.

Pensate che Job perdette l'avere i figli (Gb 1,13-19) e sanità (Gb 2,7); rimasegli la donna sua per un continovo fragello (Gb 2,9): e poi che Dio ebbe provata la sua pazienza, gli rendé ogni cosa doppio (Gb 42,10), e alla fine vita eterna. Job paziente non si turbò mai, ma, sempre adoparando la virtù della santa pazienza, diceva: «Dio me l'ha date e Dio me l'ha tolte; sia lo nome di Dio benedetto» (Gb 1,21). Così voglio che facciate voi, carissimo fratello: che siate amatore delle virtù, con una pazienza santa e con una confessione spessa, che vi farà portare le vostre fatiche. E io vi dico che Dio usarà la sua benignità e misericordia, e remuneraravi d'ogni fatica che per lo suo amore arete portata.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.







21. A uno lo nome del quale per lo meglio non si scrive per alcune parole usate in essa lettera.
- la lettera è indirizzata ad un giovane omosessuale -


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi debitore leale che rendiate lo debito vostro al vostro Creatore.

Sapete che siamo tutti debitori a Dio, poiché ciò che noi abiamo, abiamo solo per grazia e per amore inestimabile. Non pregammo mai che ci creasse: mosso Perciò dal fuoco dell'amore, creocci ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26); creocci in tanta degnità che non è lengua che il potesse narrare né occhio vedere né cuore pensare, la degnità dell’uomo quanto ella è. Questo il debito che noi abiamo tratto da Dio, e questo debito vuole che gli sia renduto: cioè amore per amore. Cosa giusta e convenevole è che colui che si vede amare, ch'egli ami.

Anco ci mostrò maggiore amore che mostrare ci potesse, dando la vita per noi; ché vedendo Dio che l'uomo avea perduta la sua degnità per lo peccato commesso, ed erasi ubligato al demonio, venne la somma eterna bontà essendo inamorato della sua creatura, volsela ristituire e trarla d'obligo: manda lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, condannalo a morte per rendare la vita della grazia all'uomo. Mandalo per ricolta dell'uomo a trarlo de la carcere del peccato e delle mani deli demoni. O dolce amoroso Verbo Figlio di Dio, inestimabile carità dolcissima, tu sei entrato ricolta e pagatore, tu hai stracciata la carta dell'ubligagione fra l'uomo e il demonio (Col 2,14), che per lo peccato era ubligato a lui, sì che stracciando la carta del corpo tuo sciogliesti noi.

Oimé, Signore mio, chi non si consuma a tanto fuoco d'amore? Non si consumaranno coloro che ogni dì di nuovo fanno carta nuova col demonio: non riguardano te, Gesù Cristo fragellato, satollato d'obrobi, Dio e uomo. Oimé oimé, questi cotali fanno del corpo loro una stalla, tenendovi dentro gli animali senza nessuna ragione. Oimé, fratello carissimo, non dormite più nella morte del peccato mortale: io vi dico che la scure è già posta a la radice de l'albero (Mt 3,10 Lc 3,9). Tollete la pala (Lc 3,17) del timore santo di Dio, e sia menata da la mano dell'amore; venite traendo lo fracidume de l'anima e del corpo vostro; non siate crudele di voi né manigoldo, tagliandovi dal vostro capo Cristo dolce e buon Gesù. Non più fracidume, non più immondizia: ricorrite al vostro Creatore, aprite l'occhio dell'anima vostra e vedete quanto è il fuoco della sua carità, che v'ha sostenuto e non ha comandato a la terra che si sia aperta e inghiottitovi (Nb 16,32 Nb 26,10 Dt 11,6), né agli animali che v'abbiano divorato; anco v'ha dato la terra dei frutti suoi, lo sole lo caldo e la luce, lo cielo e il movimento, affinché viviate, dandovi spazio di tempo perché potiate corregiarvi. Questo ha fatto solo per amore.

O ladro ignorante debitore, non aspettate più tempo: fate sacrifizio a Cristo crocifisso della mente e de l'anima e del corpo vostro. Non dico che vi diate la morte più che voi vogliate quanto per separazione di vita corporale, ma morte negli appetiti sensitivi: che la volontà ci sia morta e viva la ragione, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso. Allora renderete lo debito: date a Dio quello ch'è di Dio (Mt 22,21 Mc 12,17 Lc 20,25) e a la terra quello ch'è della terra. A Dio si debba dare lo cuore e l'anima e l'affetto, con ogni sollecitudine e non negligenzia: tutte le vostre opere debano essere fondate in Dio. A la terra che si vuol dare, cioè questa parte sensitiva? Quello che ella merita. Che merita colui che uccide? Merita d'essere morto: così ci conviene uccidare questa volontà fragelando la carne nostra, afligiarla, porle lo giogo dei santi comandamenti di Dio. E non vedete voi ch'ell'è mortale? Tosto passa la verdura sua, sì come lo fiore ch'è levato dal suo principio. Non state più così, per l'amore di Cristo crocifisso, ché io vi prometto che tanta abominazione e tanta iniquità (Lv 18,22) Dio nolla sosterrà, non correggendo la vita vostra, anco ne farà grandissima giustizia mandando giudizio sopra di voi.

Dicovi che non tanto Dio che è somma purezza, ma i demoni non la possono sostenere: ché tutti gli altri peccati stanno a vedere, excepto che questo peccato contro natura. Or sete voi bestia o animale? Io vegio pure che voi avete forma d'uomo, ma è vero che di questo uomo è fatto stalla: dentro vi sono gli animali delli peccati mortali. Oimé non più così, per l'amore di Dio; attendete, attendete alla salute vostra, rispondete a Cristo che vi chiama. Voi sete fatto per essere tempio di Dio (1Co 3,16 2Co 6,16), cioè che dovete ricevare Cristo per grazia, vivendo virtuosamente, participando lo sangue dell'Agnello, dove si lavano le nostre iniquità. Oimé oimé, disaventurata l'anima mia: io non so mettare mano a le mie e vostre iniquità. Or come fu tanto crudele e spiatata l'anima vostra e la vostra bestiale passione sensitiva, che voi oltre al peccato contro natura etc.

Oimé, scoppino i cuori, dividasi la terra, rivollansi le pietre sopra di noi (Lc 23,30), i lupi ci divorino; non sostengano tanta iniquità e tanta immondizia e offesa fatta a Dio e a l'anima vostra. Fratel mio, i ci vien meno la lingua e tutti i sentimenti. Oimé, non voglio più così, ponete fine e termine a la miseria; non vogliate pigliare consuetudine con longa perseveranza in tanta miseria, ché io v'ho detto e vi ricordo che Dio nol sosterrà, se voi non vi correggete. Ben vi dico che se voi vorrete corregiare la vita vostra in questo ponto del tempo che v'è rimaso, e Dio è tanto benigno e misericordioso che vi farà misericordia e benignamente vi riceverà nelle braccia sue; faràvi participare lo frutto del sangue dell'Agnello, sparto con tanto fuoco d'amore, ché non è neuno sì grande peccatore che non truovi misericordia, però ch'è maggiore la misericordia di Dio che le nostre iniquitadi, dove noi ci vogliamo corregiare e bomicare lo fracidume del peccato per la santa confessione, con proponimento d'alegiare inanzi la morte che tornare più al bomito (Pr 26,11 2P 2,22). A questo modo riarete la vostra dignità perduta per lo peccato e rendaremo lo debito che dobiamo rendare a Dio. Sappiate che se voi nol rendeste, voi cadareste nella più oscura prigione che si possa imaginare. Sappiate che quando questo debito non si rende, della confessione e pentimento del peccato, i non bisogna che altri s'afatichi a pigliarlo, ché esso medesimo colla compagnia deli demoni, che sonno i suoi signori a cui egli ha servito, ne va intro il profondo de l’inferno.

Fratello mio dolce in Cristo dolce Gesù, non voglio che questa prigione né condennagione venga sopra di voi, ma voglio e priegovi, e io vi voglio aiutare da parte di Cristo crocifisso, che voi usciate delle mani del diavolo. Pagate lo debito della santa confessione con pentimento dell'offesa di Dio e proponimento di non cadere più in tanta miseria. Abbiate memoria di Cristo crocifisso; spegnete lo veleno della carne vostra coi la memoria della carne fragellata di Cristo crocifisso, Dio e uomo, ché per l'unione della natura divina colla natura umana è venuta in tanta degnità, la nostra carne, ch'ell'è essaltata sopra tutti i cori degli angeli. Ben si debbono vergognare gli stolti figli d'Adam di darsi a tanta miseria e perdare la sua degnità.

Ponetevi per obiettivo Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso.

E non indugiate né aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi. E se la fragelità vostra vi vuole dare fatica, tenetevi ragione come buono giudice: salite sopra la sedia della conscienzia vostra, non lassate passare i movimenti che non sieno corretti da voi con una santa e dolce memoria di Dio. Invitate voi medesimo a fare resistenza e non consentite al peccato per volontà, né attualmente mandarlo ad effetto, ma dite: «Porta oggi, anima mia, questa poca della pena, fa' resistenza e non consentire. Forse che domane sarà terminata la vita tua, e se pure sarai vivo, farai quello che ti farà fare Dio: fa' tu oggi questo». Dicovi che facendo così l'anima vostra e il corpo, ch'è ora fatto stalla, sarà fatto tempio (1Co 3,16 2Co 6,16) dove Dio si dilettarà abitando in voi per grazia. Poi, consumata la vita vostra, ricevarete l'eterna visione di Dio, dove è vita senza morte e sazietà senza fastidio. Non vogliate perdere tanto bene per una trista dilettazione. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonate alla mia ignoranza: òvi forse gravato di parole, e detto quello che non vorremo forse udire.

Abiatemi per iscusata: ché l'affetto e l'amore ch'io ho a la salute dell'anima vostra me l'ha fatto fare, ché se io non v'amassi non me ne impacciarei né curarei perché io vi vedessi nelle mani del demonio; ma perch'io v'amo nol posso sostenere. Voglio che participiate lo sangue del Figlio di Dio. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.

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