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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:13

36. A certi novizii dell'ordine di Santa Maria di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figli obbedienti fino alla morte, imparando dall'Agnello immacolato che fu obbediente al Padre fino all'obrobriosa morte della croce.

Pensate che egli è via (Jn 14,6) e regola, la quale voi e ogni creatura dovete osservare: voglio che vel poniate per obiettivo dinanzi agli occhi della mente vostra. Raguardate quanto egli è obbediente, questo Verbo: egli non schifa la fatica che egli sostiene per lo gran peso che gli è posto dal Padre, anco corre con grandissimo desiderio. Questo manifestòe nella cena del giovedì santo, quando disse: «Con desiderio io ho desiderato di fare Pasqua con voi prima ch'io muoia» (Lc 22,15).

Ciò intendeva di fare: la pasqua d'adempiere la volontà del Padre e l'obbedienzia sua; e però, vedendosi quasi consumato lo tempo - vedevasi nell'ultimo che egli dovea fare sacrifizio del corpo suo al Padre per noi -, gode ed essulta, e con letizia dice: «Con desiderio io ho desiderato» (Lc 22,15). Questa era la pasqua che egli diceva, cioè di dare sé medesimo in cibo, e per obbedienzia del Padre fare sacrifizio del corpo suo, ché, de l'altre pasque del mangiare coi discepoli suoi, spesse volte l'avea fatta, ma non mai questa. Oh inestimabile dolcissima e ardentissima carità, tu non pensi delle tue pene, né dell'obrobriosa morte tua: ché se tu vi pensassi non andaresti con tanta letizia, e non la chiamaresti Pasqua. Pensate, figli miei, che questo dolce Agnello egli è una aquila vera, che non raguarda la terra della sua umanità ma ferma l'occhio solo nella rota del sole, nel Padre eterno; ché i in sé medesimo vede che la volontà sua è questa: che noi siamo santificati in lui. Questa santificazione non si può avere, per lo peccato del nostro primo padre Adam; conviensi dunque che ci sia un mezzo, e pongaci cosa che questa volontà di Dio si possa adempiere: vede lo Verbo che egli ha posto lui, e àlli data per isposa l'umana generazione; comandato gli ha per obbedienzia che egli ci ponga in mezzo lo sangue suo, affinché la sua volontà s'adempia in noi, sì che nel sangue siamo santificati. Or questa è la dolce Pasqua che questo Agnello immacolato piglia; e con grandissimo affetto e desiderio insiememente adempie la volontà del Padre in noi, e osserva e compie la sua obbedienzia.

Oh dolce amore inestimabile, tu hai unita e conformata la creatura col Creatore: hai fatto come si fa della pietra che si conforma colla pietra, affinché, venendo lo vento (Mt 7,25) non vuole che sia impedita: mettevi la calcina viva intrisa coll'acqua. Tu, Verbo incarnato, hai fondata questa pietra della creatura; àila innestata nel suo Creatore; àici messo in mezzo lo sangue intriso nella calcina viva della divina essenzia, per l'unione che hai fatta nella natura umana; hai proveduto a molti venti contrarii di forte battaglie e tentazioni, a molte pene e tormenti che ci sono dati dal demonio, dalla creatura, e dalla carne propria, che tutti ci sono contrarii e percuotono l'anima nostra. Vedo te, dolce prima Verità, che, per lo sangue che ci hai posto in mezzo, questo muro è di tanta fortezza, che veruno vento contrario lo può dare a terra.

Perciò bene ha materia, dolcissimo amore, d'amare la creatura solo te, e di non temere per veruna illusione che venisse.

Così vi prego, figli miei dolci in Cristo dolce Gesù, che non temiate mai, confidandovi nel sangue di Cristo crocifisso. Né per movimenti e illusioni dissolute, né per timore che venisse di non poter perseverare, né per paura della pena che vi paresse in sostenere l'obbedienzia e l'Ordine vostro, né per veruna cosa che potesse adivenire non temete mai: conservate pure in voi la buona e santa volontà, quella che è signore di questo muro, che col piccone del libero arbitrio lo può disfare e conservare, secondo che piace al Signore della buona volontà. Dunque non voglio che già mai temiate: ogni timore servile sia tolto da voi. Direte col dolce inamorato di Pavolo, rispondendo alla tiepidezza del cuore, e alle illusioni deli demoni: «Porta oggi, anima mia: per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, poiché per desiderio e amore è in me che mi conforta». Amate, amate, amate; inebriatevi del sangue di questo dolce Agnello, che fatta v'ha forte la rocca dell'anima vostra, àlla tratta dalla servitudine del tiranno perverso demonio, àvela data libera e donna - ché veruno è che le possa tòllare la signoria, se ella non vuole -: e questo ha dato ad ogni creatura.



Ma io m'aveggo che la divina providenzia v'ha posti in una navicella - affinché non veniate meno nel mare tempestoso di questa tenebrosa vita -: cioè la santa e vera religione, la quale navicella è menata col giogo della santa e vera obbedienzia. Pensate quanta è la grazia che Dio v'ha fatta, conoscendo la debolezza delle braccia vostre, ché chi è nel secolo naviga in questo mare sopra le braccia sue; ma colui che è nella santa religione naviga sopra le braccia altrui: se egli è vero obbediente, egli non ha a rendere ragione di sé medesimo; ma àlla a rendere l'Ordine, ché egli ha osservato l'obbedienzia del prelato suo. A questo m'avedrò che voi seguitarete l'Agnello dissanguato: se sarete obbedienti - già v'ho detto ch'io voglio che impariate dal dolce e buono Gesù, che fu obbediente fino alla morte (Ph 2,8), adempì la volontà del Padre e l'obbedienzia sua -; così vuole Dio che facciate voi, che voi adimpiate la volontà sua osservando l'Ordine vostro, ponendovela per specchio: inanzi scegliere la morte che trapassare mai l'obbedienzia del prelato. Guardate già che se mai veruno caso venisse - e Dio, per la sua pietà, lo levi - che il prelato comandasse cose che fussero fuor di Dio, a questo non dovete, né voglio anco io che obbediate mai, poiché non si debba obbedire la creatura fuore del Creatore; ma in ogni altra cosa vogliate sempre obbedire.

Non mirate a vostra consolazione, né spirituale né temporale. Questo vi dico perché alcune volte lo demonio ci fa vedere sotto colore di virtù e di più divozione: vorremo i luoghi e tempi a nostro modo, dicendo: «Nel cotal tempo e luogo io ho più consolazione e pace dell'anima mia»; l'obbedienzia alcune volte non vorrà. Dico ch'io voglio e dovete seguire più tosto l'obbedienzia che le vostre consolazione.

Pensate che questo è uno inganno occulto che tocca a tutti i servi di Dio, che sotto spezie di più servire a Dio egli diservono Dio. Sapete che sola la volontà è quella che diserve e serve: se tu, religioso, hai volontà, lo demonio non te la mostra colle cose grosse di fuore - ché già le hai abbandonate, avendo lassato lo secolo -, ma egli te la pone dentro con le spirituale, dicendo: «Egli mi par avere più pace e più stare in amore di Dio starmi nel tal luogo, e non nell'altro». E per avere questo egli resiste a l'obbedienzia; e se pur gliel convien fare, lo fa con pena, sì che, volendo la pace, egli si priva della pace.

Meglio è Perciò a tòllare la propria volontà, e non pensare di sé nulla; solo di vedere in sé compire la volontà di Dio e dell'Ordine santo, e compire l'obbedienzia del suo prelato. Sono certa che sarete aquilini che impararete dall'aquila vera. Così fanno li uomini del mondo che si partono dalla volontà del lor Creatore: quando Dio permette a loro alcuna tribulazione e persecuzione, dicono: «Io non le vorrei; non tanto per la pena, quanto mi pare che sieno cagione di partirmi da Dio». Ma i sono ingannati, ché quella è falsa passione sensitiva; ché colla illusione del demonio schifano la pena, e più temano la pena che l'offesa: sì che con ogni generazione usa questo inganno. Convienci dunque annegare questa nostra volontà: i secolari obbedienti osservare i comandamenti di Dio; i religiosi osservare i comandamenti e consigli, come hanno promesso alla santa religione.

Orsù, figli miei, obbedienti fino alla morte colle vere e reali virtù! Pensate che tanto quanto sarete umili, tanto sarete obbedienti, ché dell'obbedienzia nasce la vena dell'umilità, e dell'umilità l'obbedienzia; le quali escono del condotto dell'ardentissima carità. Questo condotto della carità trarrete del costato di Cristo crocifisso: ine voglio che la procacciate; questo vi do per luogo e abitazione. Sapete che il religioso che è fuore della cella è morto, come il pesce che è fuore de l'acqua; e però vi do la cella del costato di Cristo, dove trovarete lo cognoscimento di voi e della sua bontà. Or vi levate con grandissimo e acceso desiderio; andate, entrate e state in questa dolce abitazione, e non sarà demonio né creatura che vi possa tòllare la grazia, né impedire che voi non giogniate al termine vostro a vedere e gustare Dio. Altro non dico. Obbedienti fino alla morte, seguitando l'Agnello che v'è via e regola! Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

Rimanete etc. Amatevi, amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



37. A frate Nicolò di Ghida dell'ordine di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e de la bontà di Dio in voi; la quale cella è una abitazione che l'uomo porta con con sè dovunque va.

In questa cella s'acquistano le vere e reali virtù, e singolarmente la virtù de l'umilità e dell'ardentissima carità, poiché nel cognoscimento di noi l'anima s'umilia, conoscendo la sua imperfezione e sé non essere; ma l'essere suo lo vede avere avuto da Dio. Poi, dunque, che conosce la bontà del suo Creatore in sé, retribuisce a lui l'essere, e ogni grazia che è posta sopra l'essere: e così acquista vera e perfetta carità, amando Dio con tutto lo cuore e con tutto l'affetto, e con tutta l'anima sua (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27).

E come egli ama, così concepe uno odio verso la propria sensualità, in tanto che per odio di sé è contento che Dio voglia e sappi punirlo - per qualunque modo si vuole - delle sue iniquità.

Questi è fatto subito paziente in ogni tribulazione, o dentro o di fuore che l'abbi: se egli l'ha dentro per diverse cogitazioni, egli le porta voluntariamente, reputandosi indegno della pace e quiete della mente la quale hanno gli altri servi di Dio; e reputasi degno della pena e indegno del frutto che segue doppo la pena. Questo dunde gli procede? dal cognoscimento santo di sé: colui che conosce sé, conosce Dio e la bontà sua in sé; e però l'ama.

Di che si diletta allora quella anima? dilettasi di portare senza colpa per Cristo Crocifisso; e non cura le persecuzioni del mondo né le detrazioni delli uomini - ma il suo diletto è di portare i difetti del suo prossimo -; e cerca di portare in verità le fatiche dell'ordine, e inanzi morire che trapassare lo giogo dell’obbedienza, ma sempre è suddito e non tanto che al prelato, ma al più minimo che v'è, poiché non presumme di sé medesimo, reputandosi alcuna cosa; e però si fa veramente suddito a ogni persona per Cristo Crocifisso, non in subiezione di piacere né di colpa di peccato, ma con umilità e per amore della virtù.

Egli fugge la conversazione del secolo e dei secolari e fugge lo ricordo dei parenti - non tanto che d'avere loro conversazione - sì come serpenti velenosi. Egli è fatto amatore della cella, e dilettasi del psalmeggiare con umile e continua orazione e àssi fatto de la cella uno cielo; e più tosto vorrà stare in cella con pene e con molte battaglie del demonio, che fuore della cella in pace e in quiete. Unde ha questo cognoscimento e desiderio? àllo avuto e acquistato nella cella del cognoscimento di sé: poiché, se prima non avesse avuta questa abitazione della cella mentale, non avrebbe avuto desiderio, né amarebbe la cella attuale. Ma perché vidde e cognobbe in sé quanto era pericoloso lo discorrire e stare fuore di cella, però l'ama; e veramente lo monaco fuore della cella muore, sì come lo pesce fuore dell'acqua.

Oh quanto è pericolosa cosa al monaco l'andare a torno! quante colonne abiamo vedute essere date a terra, per lo discorrire e stare fuore della cella sua, di fuore dal tempo debito ed ordinato! E quando lo mandasse l'obbedienzia o una stretta ed espressa carità, per questo l'anima danno non ricevarebbe, ma per leggerezza di cuore e per la semplice carità: la quale alcune volte lo ignorante - per illusione del demonio per farlo stare fuore della cella - egli aduopera nel prossimo suo. Ma egli non vede che la carità si debba prima muovere da sé; cioè che a sé non debba fare male di colpa né cosa che gli abbi a impedire la sua perfezione, per nessuna utilità che potesse fare al prossimo suo.

Perché gli adiviene che lo stare fuore della cella attuale gli è tanto nocivo? perché prima che egli esca de la cella attuale, è uscito de la cella mentale del cognoscimento di sé: perché se non ne fusse escito avrebbe cognosciuta la sua fragilità, per la quale fragilità non faceva per lui d'andare fuore, ma di stare dentro.

Sapete che frutto n'esce per l'andare fuore? frutto di morte, poiché la mente se ne svagola, pigliando la conversazione delli uomini e abandonando quella delli angeli. Votiasi la mente dei santi pensieri di Dio, ed empiesi del piacimento delle creature; con molte varie e malvage cogitazioni diminuisce la sollicitudine e la devozione dell'officio e raffredda lo desiderio nell'anima: unde apre le porte dei sentimenti suoi, cioè l'occhio a vedere quello che non debba, e l'orecchie a udire quello che è fuore della voluntà di Dio e salute del prossimo, la lingua a parlare parole oziose, e scordasi dal parlare di Dio. Unde fa danno a sé e al prossimo suo, tollendoli l'orazione, poiché nel tempo che deve orare per lui, ed egli va discorrendo; e tollegli anco la edificazione, unde la lingua non sarebbe sufficiente a narrare quanti mali n'escono. E non se n'avederà se non s'ha cura: ché a poco a poco sdrusciolarebbe tanto, che si partirebbe da l'ovile della santa religione.

E però colui che conosce sé vede questo pericolo, e però fugge in cella, e ine empie la mente sua, abracciandosi con la croce, con la compagnia dei santi dottori, i quali col lume sopra naturale, come ebbri, parlavano de la larghezza della bontà di Dio, e de la viltà loro; e inamoravansi de le virtù, prendendo lo cibo de l'onore di Dio e della salute delle anime in su la mensa della santissima croce, sostenendo pena con vera perseveranza infine alla morte. Or di questa compagnia si diletta; e quando l'obedienzia lo mandasse fuore, duro gli pare, ma stando di fuore, sta dentro per santo e vero desiderio e in cella si notrica di sangue.

Egli s'unisce col sommo ed eterno bene per affetto d'amore; egli non fugge né refiuta labore, ma come vero cavaliere sta in cella in sul campo della battaglia, difendendosi da' nemici col coltello de l'odio e dell'amore, e con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16). Mai non volta lo capo indietro, ma con speranza e col lume della fede persevera, infine che con la perseveranza riceve la corona della gloria. Costui acquista la ricchezza delle virtù, ma non l'acquista né compra questa mercanzia in altra bottega che nel cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, per mezzo del quale cognoscimento è fatto abitatore de la cella mentale e attuale; poiché in altro modo mai non l'avrebbe acquistate.

Unde considerando me che altro modo non ci ha, dissi che io desideravo di vedervi abitatore della cella del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi. Ma pensate che fuore della cella non l'acquistareste voi mai. E però voglio che voi strettamente torniate a voi medesimo, stando in cella; e lo stare fuore della cella vi venga a tedio, di fuore da quello che vi pone l'obedienzia e la estrema necessità. E l'andare alla terra vi paia andare a uno fuoco, e la conversazione dei secolari vi paia veleno; ma fuggite a voi medesimo e non vogliate essere fatto crudele all'anima vostra. Figlio carissimo, io non voglio che dormiamo più, ma destianci nel cognoscimento di noi, dove trovaremo lo sangue de l'umile e immacolato Agnello. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Strettamente ci racomandate al priore e a tutti gli altri.

Gesù dolce, Gesù amore.





38. A monna Agnesa donna che fu di missere Orso Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera pazienza, considerando me che senza la pazienza non possiamo piacere a Dio.

Poiché sì come lo impaziente piace molto al demonio e a la propria sensualità - e non si diletta altro che d'ira quando gli manca quello che la sua sensualità vuole -, così per contrario dispiace molto a Dio, e perché l'ira e la impazienzia è lo midollo de la superbia, però piace molto al demonio. La impazienzia perde lo frutto della sua fatica, priva l'anima di Dio - e comincia a gustare la caparra dell’inferno -, e dàlle poi l'eterna dannazione, poiché nell’inferno arde la mala e perversa volontà con ira, odio e impazienzia. Arde e non si consuma, ma sempre rinfresca; cioè che non viene meno in loro, e però dico: non consuma. HA bene consumata e diseccata la grazia nell'anime loro, ma non è consumato l'essere, come detto è, e però dura la pena loro etternalmente. Questo dicono i santi, che i dannati dimandano la morte e non la possono avere, perché l'anima non muore mai; muore bene a grazia per lo peccato mortale, ma non muore a essere.



Non è alcuno vizio né peccato che in questa vita faccia gustare la caparra dell’inferno, quanto l'ira e la impazienzia: egli sta in odio con Dio, egli ha a dispiacere lo prossimo suo, e non vuole né sa portare né soportare i difetti del suo prossimo (e ciò che gli è detto o fatto, subito va a vela; e muovesi lo sentimento all'ira e a la impazienzia, come la foglia al vento). Egli diventa incomportabile a sé medesimo, perché la perversa volontà sempre lo rode; e appetisce quello che non può avere; scordasi da la volontà di Dio e da la ragione dell'anima sua. E tutto questo procede da l'arbolo della superbia, lo quale ha tratto fuore lo midollo dell'ira e de la impazienzia. E diventa l'uomo uno demonio incarnato; e molto fa peggio a combattere con questi dimoni visibili, che con gl'invisibili. Bene la debba dunque fuggire ogni creatura che ha in sé ragione.

Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia. Questa è una impazienzia comune, dei comuni uomini del mondo, che l'adiviene per lo disordenato amore che hanno a loro medesimi e a le cose temporali, le quali amano fuore di Dio: che per averle non si curano di perdere l'anima loro, e di metterla nelle mani deli demoni. Questo è senza remedio se egli non conosce sé che ha offeso Dio, tagliando questo arbolo col coltello della vera umilità; la quale umilità notrica la carità nell'anima, che è uno arbolo d'amore, che lo midollo suo è la pazienza e benevolenza del prossimo. Poiché, come la impazienzia dimostra più che l'anima sia privata di Dio, che neuno altro vizio (perché si giudica subito: perché c'è lo midollo, egli c'è l'arbolo della superbia), così la pazienza dimostra meglio e più perfettamente, che Dio sia per grazia nell'anima, che veruna altra virtù. Pazienza, dico, fondata nell'arbolo dell'amore: che per amore del suo Creatore dispregi lo mondo, e ami la ingiuria, da qualunque lato ella viene.

Dicevo che l'ira e la impazienzia era in due modi, cioè in comune e in particulare. Aviamo detto dei comuni; ora la dico in particulare, cioè di coloro che già hanno spregiato lo mondo, e vogliono essere servi di Cristo crocifisso a loro modo, in quanto trovano diletto in lui e consolazione. Questo è perché la propria volontà spirituale non è morta in loro, e però dimandano e chiegono a Dio che doni la consolazione e tribulazione a loro modo, e non a modo di Dio; e così diventano impazienti quando essi hanno lo contrario di quello che vuole la propria volontà spirituale. E questo è uno ramoscello di superbia che esce della vera superbia: sì come l'arbolo che mette lo ramoscello da lato, che pare separato da lui, e non di meno la sustanzia de la quale egli vive la traie pur dal medesimo arbolo. Così la volontà propria dell'anima che sceglie di servire a Dio a suo modo; e mancandoli quello modo, sostiene pena, e da la pena viene alla impazienzia, ed è incomportabile a sé medesimo, e non gli diletta di servire né a Dio né al prossimo. Anco - chi venisse a lui per consiglio o aiuto - non gli darebbe altro che rimproverio, e non saprebbe comportare lo bisogno suo.

Tutto questo procede da la propria volontà sensitiva spirituale che esce de l'arbolo della superbia, lo quale è tagliato ma non dibarbicato. Tagliato è quando già s'è levato lo desiderio suo dal mondo e postolo in Dio, ma àvelo posto imperfettamente: èvi rimasa la radice, e però ha messo lo figlio da lato, e così si manifesta nelle cose spirituali. Se gli manca la consolazione di Dio, e rimanga la mente sterile e asciutta, subito si conturba e contrista in sé medesimo; e sotto colore di virtù, perché gli pare essere privato di Dio, diventa mormoratore e ponitore di legge a Dio. Ma se egli fusse veramente umile, con vero odio e cognoscimento di sé, si reputarebbe indegno della visitazione che Dio fa nell'anima, e reputarebbesi degno della pena che sostiene quando si vede essere privato per consolazione, e non per grazia, la mente di Dio.

Pena sostiene allora perché gli conviene lavorare coi ferri suoi, sì che la volontà spirituale ne sente pena sotto colore di timore di non offendere Dio, ma ella è la propria sensualità.

E però l'anima umile che liberamente ha tratto la barba della superbia con affettuoso amore, e ha annegata la volontà, cercando sempre l'onore di Dio e la salute delle anime, non si cura di pene, ma con reverenzia porta più la mente inquieta che quieta: avendo rispetto santo, che Dio le il dà e concede per suo bene, a ciò che ella si levi da la imperfezione e venga alla perfezione. Quella è la via da farvela venire, poiché per quello conosce meglio lo difetto suo e la grazia di Dio, la quale trova in sé per buona volontà che Dio l'ha data, dispiacendole lo peccato mortale. E anco, per considerazione che ella ha dei difetti e delle colpe sue antiche e presenti, ha conceputo odio verso sé medesima, e amore alla somma eterna volontà di Dio, e però le porta con reverenzia; ed è contenta di sostenere dentro e di fuore, in qualunque modo Dio le il concede.

Purché possa adempire in sé e vestirsi della dolcezza della volontà di Dio, d'ogni cosa gode tanto quanto più si vede privare di quella cosa che ama, o consolazioni da Dio, come detto è, o da le creature.

Che spesse volte adiviene che l'anima ama spiritualmente: e se non trova quella consolazione e satisfazione da quelle creature come vorrebbe - o che le paia che ami o satisfaccia più altri che liei -, ne viene in pena, in tedio di mente, in mormorazione del prossimo e in falso giudicio, giudicando la mente e la intenzione dei servi di Dio; e spezialmente quella di coloro di cui ha pena. Unde diventa impaziente, e pensa quello che non die pensare, e con la lingua dice quello che non die dire. E vuole allora usare, per queste cotali pene, una stolta umilità, che ha colore d'umilità (ma egli è lo figlio della superbia che esce da lato), dicendo in se medesima: «Io non lo' voglio fare motto, né impacciarmi più con loro; starommi pianamente, e non voglio dare pena né a loro né a me». E sta in terra con uno perverso sdegno; e a questo se ne die avedere, che egli è sdegno: nel giudicare che sente nel cuore, e nella mormorazione de la lingua.

Non die fare così, poiché, per questo modo, non levarebbe però via la barba, né mozzarebbe lo figlio da lato, che impedisce che l'anima non giogne a la sua perfezione la quale ha cominciata. Ma debba con libero cuore e con odio santo di sé, e con spasimato desiderio de l'onore di Dio e salute delle anime, e affetto di virtù nell'anima sua, ponarsi in su la mensa della santissima croce a mangiare questo cibo; cercando con pena e con sudori d'acquistare le virtù, e non con proprie consolazioni né da Dio né da le creature; seguitando le vestigie e la dottrina di Cristo crocifisso; dicendo a sé medesima con grande rimproverio: «Tu non debbi, anima mia, tu che sei membro, passare per altra via che lo capo tuo: sconvenevole cosa è che sotto lo capo spinato stieno i membri dilicati». Che se per propria fragilità e inganno di demonio i venti dei molti movimenti del cuore, nel modo detto di sopra o per altra via, venissero, debba allora salire l'anima sopra la coscienza sua, e tenersi ragione, e non lassarlo passare che non sia punito e gastigato, con odio e pentimento di sé medesimo. E così divellerà la radice, e col pentimento di sé cacciarà lo pentimento del prossimo suo, cioè dolendosi più del disordenato sentimento del cuore e cogitazioni che della pena che ricevesse da le creature, o per altra ingiuria o dispiacere che per loro le fusse fatto.

Questo è quello dolce e santo modo che tengono coloro che sono tutti affocati in Cristo, poiché con esso modo hanno divelta la radice de la perversa superbia e il midollo della impazienzia, lo quale di sopra dicemmo che piaceva molto al demonio, perché è principio e cagione d'ogni peccato; così per lo contrario, che come ella piace molto al demonio, così dispiace molto a Dio. Dispiaceli la superbia, e piaceli l'umilità, e in tanto gli piacque la virtù de l'umilità di Maria che fu costretto per la bontà sua di donare a lei lo Verbo dell'unigenito suo Figlio; ed ella fu quella dolce madre che lo donò a noi. Sapete bene che infine che Maria non mostrò col suono della parola l'umilità e volontà sua, dicendo: «"Ecce ancilla Domini"; sia fatto a me secondo la parola tua» (Lc 1,38), lo Figlio di Dio non incarnò in lei; ma, detta che ella l'ebbe, concepé in sé quello dolce immacolato Agnello; mostrando a noi la prima dolce Verità quanto è eccellente questa virtù piccola, e quanto riceve l'anima che con umilità offera e dona la volontà sua al suo Creatore. Sì che nel tempo de le fatiche e persecuzioni, ingiurie e strazii e villania - ricevendole dal prossimo suo -, e battaglie di mente, e privazione di consolazione spirituale e temporale, dal Creatore e da la creatura (dal Creatore per dolcezza, quando ritrae a sé lo sentimento della mente, che non pare che allora Dio sia nell'anima, tante sono le battaglie e le pene che ha; e da le creature per conversazione e recreazione, parendole più amare che ella non è amata), in tutte queste cose l'anima perfetta con umilità dice: «Signore mio, ecco l'ancilla tua. Sia fatto in me secondo la tua volontà, e non secondo quello che voglio io sensitivamente». E così gitta l'odore della pazienza verso del Creatore e de la creatura e di sé medesima, e gusta la pace e la quiete de la mente; e nella guerra ha trovata la pace, perché ha tolto da sé la propria volontà fondata ne la superbia; ed ha conceputo nell'anima sua la divina grazia. E porta nel petto della mente sua Cristo crocifisso, e dilettasi ne le piaghe di Cristo crocifisso, e non cerca di sapere altro che Cristo crocifisso (1Co 2,2), ed lo suo letto è la croce di Cristo crocifisso. Ine anniega la sua volontà e diventa umile e obediente, perché non èobbedienza senza umilità, e non è umilità senza carità.

E questo trova nel Verbo, che con l'obedienzia del Padre e con l'umilità corre all'obrobiosa morte della croce, conficcandosi e legandosi col chiovo e legame della carità; sostenendo con tanta pazienza che non è udito lo grido suo per mormorazione. Non erano sufficienti i chiodi a tenere Dio e Uomo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto. Questo gusta l'anima, e però non si vuole dilettare altro che con Cristo crocifisso. Che se i fusse possibile acquistare le virtù, fuggire l’inferno e avere vita eterna senza pena, e avere le consolazioni del mondo spirituali e temporali, non le vorrebbe; ma più tosto vuole con pena, sostenendo infine a la morte, che per altro affetto avere vita eterna, purché si possa conformare con Cristo crocifisso e vestirsi degli obrobii e de le pene sue. Ella ha trovata la mensa dello immacolato Agnello. Oh gloriosa virtù! chi non volesse darsi mille volte alla morte, e sostenere ogni pena per volerla acquistare? Tu sei regina che possedi tutto quanto lo mondo; tu abiti nella vita durabile, ché, essendo ancora l'anima, che di te è vestita, mortale, tu la fai abitare per affetto d'amore con quelli che sono immortali.

Poi che tanto è eccellente e piacevole a Dio, e utile a noi e salute del prossimo, questa virtù, levatevi, carissima figlia, dal sonno de la negligenzia e ignoranza, gittando a terra la debolezza e fragilità del cuore, a ciò che non senta pena né impazienzia di nessuna cosa che Dio permetta a noi, sì che noi non cadiamo nella impazienzia comune, né ne la particulare, sì come è detto di sopra; ma virilmente con libertà di cuore e con perfetta e vera pazienza servire lo nostro dolce salvatore. Facendo altrimenti, nella prima impazienzia perdaremmo la grazia, e nella seconda impediremmo lo stato perfetto; e non giognareste a quello che Dio v'ha chiamata.

Dio pare che vi chiami alla grande perfezione, e a questo me n'aveggo, che egli vi tolle ogni legame lo quale ve la potesse impedire, poiché, secondo che io intendo, pare che s'abbi chiamata a sé la vostra figlia, che era l'ultimo legame di fuore. De la quale cosa sono molto contenta, con una santa compassione, che Dio abbi sciolta voi, e tratta liei di fatica. Ora voglio che al tutto voi tagliate la propria volontà, a ciò che ella non stia attaccata altro che a Cristo crocifisso: per questo modo adempirete la volontà sua e il desiderio mio. E però vi dissi, non conoscendo io altra via perché voi l'adempiste, che io desideravo di vedervi fondata in vera e santa pazienza, perché senza essa non potremmo tornare al nostro dolce fine. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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