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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:17

39. A don Giacomo monaco di Certosa nel monasterio di Pontignano presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, la quale pazienza dimostra se le virtù sono vive nell'anima o no.

La pazienza non si pruova se no nel tempo della fatica, poiché senza la tribulazione non si pruova questa virtù, ché chi non è tribulato non gli bisogna pazienza, perché non ha chi gli faccia ingiuria. Dico che la pazienza dimostra se le virtù sono nell'anima: con che cel dimostra se esse non vi sono? con la impazienzia. Vuoli tu vedere se le virtù sono anco imperfette, e se la radice dell'amore proprio vive ancora nell'anima? Miralo al tempo delle fatiche, che frutto gli nasce. Poiché se gli nasce frutto di pazienza, la radice della propria volontà è segno che è morta, e le virtù sono vive; e se nasce frutto di impazienzia, mostra chiarissimamente che la radice della propria volontà è anco viva in lui (e però si sente: poiché colui che è vivo si sente, ma la cosa morta no); e le virtù mostrano alienate in quella anima.



Ma attendete che sono due ragioni di impazienzia: l'una dà morte, perché esce della morte, e l'altra impedisce la perfezione, perché esce de la imperfezione, sì come sono due stati principali: che nell'uno sta la vita e nell'altro la morte, cioè in coloro che stanno nella morte del peccato mortale. Costoro parturiscono, ricevendo tribulazione e persecuzione dal mondo - perché questa vita non passa senza fatica, in qualunque stato si sia -, una impazienzia con odio e pentimento del prossimo suo, con una mormorazione verso di Dio, giudicando in suo male quello che Dio gli ha fatto per bene, e per reducerlo allo stato della grazia, e per tollergli la morte del peccato mortale. Ma egli, come ignorante e miserabile, perché la radice sua è morta a grazia, però produsse lo frutto morto della impazienzia; e con questo segno della impazienzia dimostra la morte che è dentro nell'anima.

Un'altra impazienzia è, la quale dico che impedisce la perfezione - e così è la verità -, e dimostra la imperfezione, e, se esso non se ne corregge, potrà venire a tanto che perdarà lo frutto della sua fatica, e starà in continua pena. Questi sono coloro che sono levati da le tenebre del peccato mortale, e vivono in grazia; ma che è? è che la radice dell'amore proprio non è anco morta in loro: sono ancora imperfetti, con una tenerezza di loro medesimi, con la quale tenerezza s'hanno compassione. Poiché, perché anco s'ama, si duole; e quello che egli ha in sé - d'aversi compassione - vorrebbe che ognuno gli l'avesse, e non trovando che gli sia avuta compassione, ha pena. E così l'una pena con l'altra, cioè la pena della tribulazione - o di infermità o di molestia mentale, o per persecuzione dagli uomini, o da qualunque lato ella viene -, acordata questa pena con quella che egli porta - cioè di volere che altri gli abbi compassione -, viene a impazienzia, e spesse volte a mormorazione contro lo prossimo suo, e a giudicio, giudicando la volontà altrui, poiché spesse volte potrà averli compassione, e non gli il dimostrarà. E tutto questo gli adiviene, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui.Chi ce la mostra? la impazienzia, come detto è. Perocché ella ha partorito frutto imperfetto: non però di morte, perocché egli è levato dalla colpa mortale, ma uno pentimento e una pena che egli riceve delle fatiche sue proprie, e verso del prossimo suo, non parendogli ch'egli gli abbia compassione come egli vorrebbe.

Questa è una imperfezione la quale impedisce la grande perfezione del monaco o d'altri religiosi, li quali hanno lassato lo stato imperfetto della carità comune - dove stanno i secolari -, volendo vivere in grazia, e iti alla grande perfezione dove essi debbono essere specchio d'obedienzia e di pazienza, con volontà morta e non viva. Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare quanti inconvenienti ne vengono? non credo che ne fusse nessuna. Ma tre principali n'escono di colui che non ha morta la sua voluntà: l'uno è che egli è infedele, e non fedele col lume della fede viva; anco ha posta la nebula sopra l'occhio dell'intelletto, dove sta la pupilla del lume de la fede. Unde, subito che egli ha questo principale - cioè d'avere posta una nebbia d'amore proprio sopra l'occhio suo, e offuscato lo lume della fede - cade subito nel secondo e nel terzo, cioè ne la disobbedienza - dunde verrà la impazienzia -, e nel giudicio - dunde verrà nella mormorazione -; e se voi raguardate bene, di questi tre l'uno non è senza l'altro.

Non è dunque da dubbitare che, essofatto che la radice dell'amore proprio non è morta in noi, l'occhio è tenebroso, e tutti i frutti delle virtù sono imperfetti, poiché ogni perfezione procede da uccidere la volontà sensitiva e dare vita a la ragione nella dolce volontà di Dio. Sì che, essendo viva e imperfetta, subito è disobbediente contro Dio e contro lo prelato suo, poiché, se egli fusse obediente, portarebbe la disciplina di Dio e quella del prelato con debita reverenzia; ma perché egli non è obediente - ma è disobbediente con volontà viva - però viene a impazienzia verso di Dio e a disobbedienza. Poiché volontà di Dio è che noi portiamo con pazienza ogni disciplina, da qualunque lato egli ce la concede; e con vera pazienza ricevarle da lui e con quello amore che egli ce le dà, poiché ciò che egli dà e permette a noi è per nostra santificazione, e però con amore le doviamo ricevere. Unde, non facendo così, siamo disobedienti a lui, e cadiamo nella mormorazione e in uno giudicio, con una tenerezza di noi medesimi, con una superbia e infedelità di volere scegliere di servire a Dio a nostro modo. Poiché, se in verità credessimo che ogni cosa che è procede da Dio, eccetto lo peccato, e che egli non può volere altro che lo nostro bene, lo quale vediamo e gustiamo nel sangue di Cristo Crocifisso - poiché se egli avesse voluto altro che la nostra santificazione, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore -, dico che se questo credessimo in verità, che lo lume della fede non fusse offuscato con l'amore proprio di noi, saremmo obedienti e ricevaremmo con reverenzia quello che egli ci dà, e giudicaremmolo in nostro bene, dato a noi per amore e non per odio, come egli è. Ma perché c'è la infedelità, però riceviamo pena e siamo impazienti delle pene che noi sosteniamo e disobedienti verso lo prelato, giudicando la volontà del prelato e non la volontà di Dio in lui.

Poiché spesse volte lo prelato farà con buona e santa intenzione quello che egli farà verso del suddito; e il suddito infedele e disobbediente terrà tutto lo contrario. Questo è per la superbia sua, perché la radice dell'amore proprio non è morta in lui: poiché se ella fusse morta, farebbe quello per che egli entrò all'ordine, cioè d'obedire coraggiosamente e senza alcuna passione, sì come fa l'umile obediente. Che se lo prelato suo fusse uno demonio, lo vero obediente ciò che gli è fatto, o imposte le gravi obedienzie, ogni cosa riceve con pazienza, giudicando che volontà di Dio è di fare tenere quelli modi al prelato verso di lui: o per necessità della sua salute, o per farlo venire a grande perfezione; e però riceve con pace e quiete di mente l'obedienzia sua, e gusta la caparra di vita eterna in questa vita. Perché esso ha morta la volontà, e ito col lume della fede e con veraobbedienza, però gusta lo dolce e amoroso frutto de la pazienza, con fortezza e perseveranza infine alla morte. Questo frutto ha dimostrato che egli in verità s'è levato da la imperfezione e gionto alla perfezione, sì come lo disobbediente mostra i difetti suoi con la impazienzia.

Unde vediamo che sempre si scandalizza, se non quando la prosperità andasse a modo suo e il prelato facesse quello che egli vuole; ma se fa lo contrario, si turba. Perché? perché egli è vivo, poiché, se egli fusse morto, non gli adiverrebbe.

Unde questi cotali sono debili, poiché come la paglia se lo' rivolle trai piedi, così vengono meno. E se lo prelato comanda cosa che non gli piaccia, egli si turba; e se egli è infermo, egli è impaziente per la tenerezza che ha al corpo suo, e spesse volte sotto colore di bene dirà: «Se io avesse un'altra infermità, io me la portarei più agevolmente, ma questa infermità è una cosa occulta, che non si vede, e però non m'è creduta e impediscemi l'offizio e l'altre osservanzie, di non potere fare come gli altri: e però non pare che io ci possa avere pace». Costui, come imperfetto e con poco lume, è ingannato da la propria passione e tenerezza di sé. Chi cel dimostra? la impazienzia che egli ha, perché non gli pare che altri gli abbi compassione: questi vuole scegliere lo tempo e il luogo e le fatiche a suo modo. Non debba fare così, ma umiliarsi sotto la potente mano di Dio (1P 5,6) e ogni cosa avere in reverenzia, e fare quello che egli può fare. E quando egli non può rendere lo debito dell'offizio e degli altri essercizii, come gli altri, ed egli renda lo debito de la pazienza.

Poiché Dio non ci richiede più che noi possiamo fare, ma bene ci richiede l'amore col santo desiderio, e con pazienza portare ogni pena e fatica in ogni tempo e in ogni luogo che noi siamo, con odio e pentimento della propria sensualità; perocché così fanno coloro che vogliono essere perfetti. E a questo modo gustarà vita eterna in questa vita nelle pene sue; e avendo pena, non averà pena, ma la pena gli sarà refrigerio, pensando che egli si possa conformare con gli obrobii di Cristo Crocifisso. E non vorrà egli, servo, tenere per altra via che il Signore e però portarà con reverenzia, bagnandosi e annegandosi nel sangue di Cristo Crocifisso, lo quale sangue, all'anima che il gusta con affetto di carità, rimane morta la volontà sua. Morta la volontà gli è tolta ogni pena, poiché solo la volontà è quella cosa che le pene e tribulazioni ce le fa essere pene; ma morta la volontà nostra, e vestiti della volontà di Dio, la pena c'è diletto, e il diletto sensitivo, per odio santo di noi, ci sarebbe fatica, perché vedremmo che la via del diletto non è la via di Cristo Crocifisso, né dei santi che l'hanno seguitato. E vede che lo regno del cielo, vita eterna, non si vende né s'acquista per diletto, anco s'acquista e si guadagna lo regno di Dio con povertà volontaria, e con avere la pena per diletto, e con molto sostenere; e il diletto ci paia fatica, come detto è.

La volontà allora, acordata con la volontà di Dio, ne riceve la caparra: e però dicevo che in questa vita gusta la caparra di vita eterna.

Costui non cade nel terzo difetto, del giudicio: cioè di giudicare la volontà di Dio altro che giustamente, e con amore - e vedendosi amato da lui, per amore riceve ogni cosa -, né in giudicare la volontà delli uomini in alcun modo del mondo - né per strazio, né per ingiurie, o persecuzioni che gli fussero dette o fatte da loro -, ma giudica, con una santa considerazione, che Dio lo permetta per suo bene, e che essi lo faccino per provarlo in virtù. Né non giudicarà mai i servi di Dio, né le opere d'alcuna creatura; eziandio se vedesse lo male 'spressamente, nol vede né debba vedere per giudicio né per mormorazione, ma con compassione portarlo dinanzi da Dio, ponendo i difetti del prossimo suo sopra di sé. Così vuole l'affetto della carità; e non vuole che si faccia come fanno gl'imperfetti - acecati ancora da uno proprio amore di loro medesimi -, che pare che si notrichino del giudicare le creature: e non tanto che gli uomini del mondo, ma i servi di Dio, volendoli mandare al loro modo; e se non vanno al loro modo, sono scandalizzati in loro, e spesse volte, sotto colore di compassione, caggiono nella mormorazione.

Costui vuole ponere legge allo Spirito santo, e non se n'avede. Perché non se n'avede? perché il demonio l'ha velato col velame de la compassione, ma ella è piuttosto una radicata invidia e presunzione - presummendo di sé di sapere alcuna cosa - più che compassione. Poiché se ella fusse compassione e zelo della salute delle anime e onore di Dio, usarebbe la carità, e dichiararebbe sé medesimo a le proprie persone di cui egli avesse pena; e così guadagnarebbe sé e il prossimo suo, e godarebbe - se egli fusse largo in carità e con vero lume - di vedere i differenti modi e vie che Dio tiene coi servi suoi, unde dimostra la somma bontà che egli ha che dare. E però disse Cristo benedetto: «Ne la casa del Padre mio ha molte mansioni» (Jn 14,2).

E quale sarà quella lingua che possa narrare tanti diversi modi e visitazioni, doni e grazie che Dio fa, non tanto in molte creature, ma in una anima medesima? Poiché come le virtù sono diverse, poniamo che tutte traghino nel segno de la carità, così sono diversi i modi e costumi dei servi di Dio. Non che chi ha perfettamente la virtù della carità, non abbi tutte quante l'altre virtù; ma a cui è propria una virtù, e a cui un'altra, sopra la quale principale virtù tira tutte l'altre. Altri modi vediamo in colui a cui è propria la virtù della carità, e tutto dilatato nella carità del prossimo suo; e altro modo ha colui a cui è appropriata la virtù de l'umilità, con una fame di solitudine; in uno altro la giustizia; in uno altro una libertà con una fede viva, che di nessuna cosa pare che possa temere; e altri in una penetenzia, dandosi tutti a mortificare i corpi loro; e altri studia a uccidere solamente la propria volontà, con vera e perfettaobbedienza.

Or così sono diversi i modi e costumi loro, e ciascuno corre però nella virtù della carità; unde aviamo che i santi, che sono a vita eterna, tutti sono andati per la via della carità, ma in diversi modi, ché l'uno non è simile all'altro - e eziandio ne la natura angelica è differenza, ché non sono tutti equali -: unde tra gli altri diletti che avesse l'anima a vita eterna, si è di vedere la grandezza di Dio nei santi suoi, in quanti diversi modi gli ha remunerati. E in tutte quante le cose create troviamo questa differenza, cioè di vederle variate in qualche cosa, poiché tutte non sono a uno modo, poniamo che tutte sieno fatte da uno medesimo affetto, cioè create da Dio in uno medesimo amore. E questa è la grande dignità a vedere in Dio, a chi avesse lume e volesse punto conoscere la sua grandezza, poiché la trovarebbe nelle cose visibili e invisibili, come detto è. Dunque bene è matto e folle colui che vorrà mandare le creature a suo modo e, chi non andarà secondo lo suo parere, ne sarà scandalizzato in lui. Non debba dunque cadere in questo terzo giudicio, ma debba godere e avere in reverenzia i modi e costumi dei servi di Dio, dicendo in sé medesimo con umilità: «Grazia sia a te, Signore, dei tanti modi e vie, quante tu dai e fai tenere a le tue creature».

E quando 'spressamente vedesse lo difetto o nei servi di Dio o nei servi del mondo, portilo con grande compassione dinanzi da Dio, e se può caritativamente dirlo al prossimo suo, lo debba dire. Così fa colui che è perfetto in carità e umile, che non presumma di sé medesimo: costui è veramente fondato, e non si scandalizza in sé per pena che sostenga, né nel prelato per la graveobbedienza; anco obbedisce fino alla morte in ogni cosa, se non in quello che vedesse che fusse fuora de la volontà di Dio, poiché cosa che egli vedesse che fusse offesa di Dio, nol debba fare, ma ogni altra cosa, sì. E non si scandalizza nel prossimo, né per ingiuria che gli fusse fatta da lui, né per modi e costumi diversi che in loro vedesse; ma d'ogni cosa gode e guadagna, e trae lo frutto a sé per la virtù della carità che è dentro nell'anima sua. Chi il dimostra questo? la virtù della pazienza che ha fatto chiaro e manifesto la virtù nel perfetto, e il mancamento della virtù nello imperfetto vedendovisi lo contrario, cioè la impazienzia.



Perciò bene è vero che la virtù della pazienza è uno segno dimostrativo, che mostra l'uomo perfetto e imperfetto. Voi sete posto nello stato della grande perfezione, e però dovete essere paziente nel modo che detto è - bagnata e annegata la propria volontà nel sangue di Cristo Crocifisso -, poiché in altro modo offendareste la propria perfezione, a la quale sete entrato a servire, e così cadareste nella seconda impazienzia, de la quale facemmo menzione. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, a ciò che fra le fatiche godeste e gustaste la caparra di vita eterna, e nell'ultimo riceveste lo frutto delle vostre fatiche. E però riposatevi in croce col dolce e immacolato Agnello. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



40. A certe figlie da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore e perseveranti, che giamai non volliate lo capo adietro per veruna cosa che sia: né per prosperità pigliandone troppo letizia, né per aversità pigliandone impazienzia e amaritudine.

Ma io voglio, e vi prego, che veruna cosa sia che vi tolga e impedisca lo santo desiderio. E affinché il desiderio cresca in voi e non scemi, voglio che upriate l'occhio dell’intelletto a conosciare l'amore inefabile che Dio v'ha: che per amore v'ha dato l'unigenito suo Figlio, e il Figlio v'ha data la vita con tanto fuoco d'amore che ogni cuore duro debba disolvare la durezza sua. Or qui ponete l'occhio dell’intelletto vostro, pensando e cogitando lo prezzo del Figlio di Dio; e nel sangue lavate la faccia de l'anima vostra. Levisi e destisi dal sonno de la negligenzia; e pigliate solicitudine, poi che è lavata, di ponare la bianchezza della purezza e il colore de l'ardentissima carità, la quale tutta trovarete nel sangue de l'Agnello.

E voglio che voi pensiate, figlie mie, che questa purezza di mente e di corpo non si potrebbe avere con le molte conversazioni de le creature, né col ponere l'affetto e l'amore vostro in loro né in cose create, fuori de la volontà di Dio, né con amore proprio e tenerezza del corpo vostro, ma acquistasi con molta solicitudine di vigilie e d'orazioni, e con continova memoria del suo Creatore, sempre riconoscendo l'amore inefabile che Dio gli ha.

Poi che l'anima avarà acquistata la purezza nel modo detto, vedendo che a Dio non può fare utilità nessuna distendarà l'amore al prossimo suo, facendo a lui quella utilità che egli non può fare a Dio: visitando gli infermi (Mt 25,36), sovenendo ai povari, consolando i tribolati; piangendo con coloro che piangeno, e godendo con coloro che godono (Rm 12,15): cioè piangendo con coloro che sonno nel pianto del peccato mortale - avendo lo' compassione, offrendo per loro continove orazioni nel cospetto di Dio -, e godendo con coloro che godono, che sonno veri servi di Cristo crocifisso; e sempre dilettarvi de la loro conversazione. Così vi prego, figlie mie, che facciate, e a questo modo sarete serve fedeli, e non infedeli; e questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce.







41. A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine dei Predicatori, quando era a santo Quirico nel loro spedaletto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, carissimo e dilettissimo padre delle anime nostre in Cristo Gesù, Caterina e Alessa e tutte l'altre vostre figlie vi si racomandano, con desiderio di vedervi sano dell'anima e del corpo quanto piace a Dio.



Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, vostra indegna figlia sopra tutte l'altre vostre figlie io sono, perché io abbi poca fame dell'onore di Dio e avesse poco tenuto a mente la petizione che spesse volte mi possiede detta, che io viva morta a la mia perversa volontà, la quale volontà non ho sottoposta con debita reverenzia al giogo de la santa obbedienzia quanto avrei potuto e dovuto. Oimé, disaventurata l'anima mia, che non sono corsa con cuore virile, abbraccicando la croce del mio dolcissimo e carissimo Sposo Cristo crocifisso, ma sommi posta a sedere per negligenzia e per ignoranza! Perciò io mi doglio e rendomi in colpa a Dio e a voi, carissimo padre, e pregovi pietosamente che m'assolviate, e benedite me e tutte l'altre.

Ora prego voi, padre carissimo, che vogliate adempire lo mio desiderio, cioè di vedervi unito e trasformato in Dio; e questo non possiamo avere, se noi non siamo uniti co.la volontà sua. O dolcissima volontà eterna, che ci hai insegnato lo modo a trovare la santa tua volontà! E se noi domandissimo quello dolcissimo e amantissimo giovane, clementissimo padre, egli ci rispondarebbe e diciarebbe così: «Dilettissimi figli, se volete sentire e trovare lo frutto della mia volontà, fate che voi sempre siate abitatori de la cella dell'anima vostra», la quale cella è uno pozzo, lo quale pozzo tiene in sé l'acqua e la terra (ne la quale terra possiamo cognosciare la nostra miseria: cognosciamo noi non essare; poiché noi non siamo, Perciò vediamo che l'essare nostro è da Dio). O ineffabile infiammata carità, vego dunque che è trovata la terra, l'acqua viva è gionta, cioè lo vero del cognoscimento de la sua dolce e vera volontà, che non vuole altro che la nostra santificazione.

Perciò entriamo in questa profondità di questo pozzo, ché per forza si convenrà che, abitandoci dentro, noi cognosciamo noi e cognosciamo la bontà di Dio. Conoscendo noi non essare, noi ci aviliamo umiliandoci, e noi entriamo nel cuore arso consumato aperto, come finestra senza uscio che non si serra mai; mettendo noi l'occhio de la volontà libera che Dio ci ha data, cognosciamo e vediamo che la sua volontà non è andata in altro che ne la nostra santificazione. Amore amore dolce, uopreci uopreci la memoria a ricevare e a ritenere tanta bontà di Dio e intendare, ché intendendo amiamo; amando, noi ci troviamo uniti e transformati ne la carità de la madre de la carità, passati e passando per la porta di Cristo crocifisso, sì come egli disse ai discepoli suoi: «Io venrò e farò mansione con voi» (Jn 14,23). E questo è il mio desiderio: di vedervi in questa mansione e trasformazione desidera l' anima mia di voi singularmente, e di tutte l'altre creature. Pregovi che stiate confitto e chiavellato in su la croce.

Mandastemi dicendo che fuste al corpo di santa Agnesa, della qual cosa molto ne sono consolata che ci racomandaste a lei e alle sue figlie. Perché dicete che non avete desiderio di tornare e non sapete la cagione, due cagioni ci possono essare: l'una si è - quando l' anima è molto unita e trasformata in Dio, dimentica sé e le creature; l' altra si è - quando altri si fusse abbattuto in luogo che fusse cagione di riduciarsi a sé medesimo. Se queste cagioni sono in voi, è a me grandissima consolazione, ché altro non desidera l'anima mia di voi; bene che alcune volte io ho creduto e credo che la mia miseria e ignoranza è cagione del tempo che passa, credo che quella ineffabile carità di Dio vogli gastigare e correggere la mia iniquità, e questo fa per singulare amore, acciò ch'io riconosca me medesima. Parmi che avesseate intendimento d'andare altrui, de la quale andata non mi pareva che doveste fare ora; non di meno sia adempita la volontà di Dio e la vostra. Dio vi dia a pigliare lo meglio di questo: date le vostre opere, sì che sia onore di Dio e salute dell'anima vostra. Laudato sia Gesù Cristo crocifisso.

Racomandovi la nostra Caterina, e Alessa vi si manda molto racomandando che voi preghiate Dio per lei, e che voi la benediciate da parte di Cristo crocifisso; e pregate Dio per Giovanna pazza.

Caterina serva e schiava ricomprata del sangue del Figlio di Dio.

Perdonatemi se io avesse dette parole di presunzione. Dio v'arda d'amore. Gesù dolce Gesù dolce Gesù dolce Gesù.

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