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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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Sesso: Femminile
19/10/2012 14:28

63. A missere Matteo rettore della Casa della Misericordia in Siena.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi portatore dei pesi delle creature - per affetto e desiderio de l'onore di Dio e salute loro -, e pastore vero, che con sollecitudine governiate le pecorelle che vi sono commesse o fussero messe fra le mani, affinché il lupo infernale non le portasse; poiché se ci cometeste negligenzia vi sarebbe poi richiesto.

Ora è tempo di mostrare chi ha fame o no, e chi si sente dei morti che noi vediamo giacere privati della vita della grazia: sollecitate virilmente, e con vero cognoscimento, e con umili e continove orazioni fino alla morte. Sapete che questa è la via a volere cognosciare ed essere sposo della verità eterna, e verun'altra ce n'è; e guardate che voi non schifiate fatiche, ma con allegrezza le ricevete - facendove-lo' a riscontro per santo desiderio -, dicendo: «Voi siate le molto ben venute», e dicendo: «Quanta grazia mi fa lo mio Creatore, che egli mi facci sostenere e patire per gloria e loda del nome suo!». Facendo così l'amaritudine vi sarà dolcezza e refrigerio, offerendo lacrime, con dolci sospiri per ansietato desiderio, per le miserabili pecorelle che stanno nelle mani delle demonia: allora i sospiri vi saranno cibo, e le lacrime bevaraggio (Ps 41,3 Ps 79,6). Non terminate la vita vostra in altro, dilettandovi e riposandovi in croce con Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

HO inteso che avete avuto e avete grandissimo male, per la qual cosa ho avuto desiderio di ritrovarmi con voi: non m'è ora possibile, ma ritrovaròmi per continova orazione. Non voglio in veruno modo del mondo che avesseate più male, affinché meglio potiate portare; e fate - ché io vi comando - che voi non stiate ora a fare penitenza per veruno modo, ma pigliate ogni conforto che potete. Non dico più qui. Giovanni povero è venuto a me etc.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce etc.





64. A frate Guiglielmo d'Inghilterra dei Frati eremiti di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero lume, poiché senza lo lume non potremmo andare per la via de la verità, ma andaremmo in tenebre.

Due lumi ci sono necessarii d'avere: lo primo è che noi siamo alluminati in conoscere le cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come lo vento. Ma non si conosce bene questo se noi non cognosciamo la propria nostra fragilità quanto ella è inchinevole - con la legge perversa che è legata ne le membra nostre -, a ribellare al suo Creatore. Questo lume è necessario a ogni creatura che ha in sé ragione, in qualunque stato si sia, se vuole avere la divina grazia e participare lo frutto del sangue de lo immacolato Agnello: questo è lo lume comune, cioè che comunemente ogni persona lo debba avere, poiché chi non l'ha, sta in stato di dannazione. E questa è la cagione che egli non è in stato di grazia non avendo lo lume: che chi non conosce lo male de la colpa e chi n'è cagione, nol può schifare, né odiare la cagione. Così chi non conosce lo bene e la cagione del bene, cioè la virtù, non può amare né desiderare esso bene.

Poi che l'anima è venuta e ha acquistato lo lume generale, non debba stare contenta; anco debba con ogni sollicitudine andare al lume perfetto, perocché essendo prima imperfetti che perfetti, col lume si vuole andare a la perfezione. Due maniere di perfetti sono in questo perfetto lume: ciò sono alcuni che perfettamente si danno a gastigare lo corpo loro facendo aspra e grandissima penetenzia; e a ciò che la sensualità non ribelli a la ragione, tutto hanno posto lo desiderio loro più in mortificare lo corpo che in uccidere la propria volontà. Costoro si pascono a la mensa de la penetenzia, e sono buoni e perfetti; ma se essi non hanno una grande umilità, e tutti conformati a essere giudici de la volontà di Dio e non di quella de li uomini, spesse volte offendono la loro perfezione facendosi giudicatori di coloro che non vanno per quella medesima via che vanno ellino. E questo l'adiviene perché hanno posto più studio e desiderio in mortificare lo corpo che in uccidere la propria volontà.

Questi cotali sempre vogliono scegliere i tempi i luoghi e le consolazioni de la mente a loro modo, e anco le tribolazioni del mondo e le battaglie del demonio, dicendo per inganno di loro medesimi, ingannati da la propria volontà, la quale si chiama volontà spirituale: «Io vorrei questa consolazione, e non queste battaglie né molestie del demonio; non già per me, ma per più piacere e avere Dio: perché meglio me il pare avere in questo modo che in quello». E per questo modo spesse volte cade in pena e in tedio, e diventane incomportabile a sé medesimo, e così offende lo suo stato perfetto. E giàcevi dentro l'odore de la superbia, e non se n'avede; poiché, se egli fusse veramente umile e non presuntuoso, vederebbe bene che la prima dolce Verità dà lo stato, lo tempo ed lo luogo, e consolazione e tribulazione, secondo che è necessità a la salute nostra e a compire la perfezione nell'anima, a la quale è eletto.

E vederebbe che ogni cosa dà per amore; e con amore e con reverenzia debba ricevere ogni cosa, sì come fanno i secondi, che sono in questo dolce e glorioso lume, i quali sono perfetti in ogni stato che sono, e in ciò che Dio permette a loro. Ogni cosa hanno in debita reverenzia, reputandosi degni de le pene e scandali del mondo, e d'essere privati de le loro consolazioni; e come si reputano degni de le pene, così si reputano indegni del frutto che segue doppo la pena. Costoro nel lume hanno cognosciuta e gustata l'eterna volontà di Dio, la quale non vuole altro che lo nostro bene, e che siamo santificati in lui: e però le dà. E poiché l'anima l'ha cognosciuta, sì se n'è vestita, e non attende ad altro se non a vedere in che modo possa conservare e crescere lo stato perfetto suo per gloria e loda del nome di Dio. Apre l'occhio dell'intelletto ne l'obiettivo suo, Cristo crocifisso, lo quale è regola via e dottrina ai perfetti e a li imperfetti; e vede che lo inamorato Agnello gli dà dottrina di perfezione, e vedendola se ne inamora.

La perfezione è questa: che lo Verbo del Figlio di Dio si notricò a la mensa del santo desiderio de l'onore del Padre e salute nostra, e con questo desiderio corre con grande sollicitudine all'obrobriosa morte de la croce, non schifando fatica né labore, né ritraendosi per nostra ingratitudine e ignoranza di non conoscere lo beneficio suo, né per persecuzione dei Giudei, né per persecuzioni del demonio o dal mondo, né per scherni e villania e mormorazioni del popolo; ma tutte le trapassa, come nostro capitano e vero cavaliere, lo quale era venuto per insegnarci la via e la dottrina e regola sua, giungendo a la porta con la chiave del suo prezioso sangue sparto con fuoco d'amore, e con odio e pentimento del peccato. Quasi dica questo dolce inamorato Verbo: «Ecco che io v'ho fatta la via, e aperta la porta col sangue mio; non siate voi dunque negligenti a seguitarla, ponendovi a sedere con amore proprio di voi, e con ignoranza di non conoscere la via, e con presunzione di volerla scegliere a vostro modo e non di me che gli ho fatta.

Levatevi dunque suso e seguitatemi, poiché neuno può andare al Padre se non per me: io sono la via (Jn 14,6) e la porta» (Jn 10,7).

Allora l'anima inamorata e ansietata d'amore corre a la mensa del santo desiderio, e non vede sé per sé cercando la propria consolazione né spirituale né temporale, ma - come persona che al tutto in questo lume e cognoscimento ha annegata la propria volontà - non refiuta nessuna fatica da qualunque lato ella si viene; anco, con pena, con obrobrio, e molte molestie del demonio e mormorazioni de li uomini, mangia in su la mensa de la croce lo cibo de l'onore di Dio e salute delle anime. E non cerca alcuna remunerazione né da Dio né da le creature: cioè, che non servono a Dio per proprio diletto, né al prossimo per propria utilità, ma per puro amore. Perdeno loro medesimi, spogliandosi dell’uomo vecchio, cioè de la propria sensualità; e vestonsi dell’uomo nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10) Cristo dolce Gesù, seguitandolo virilmente.

Questi sono quelli che si pascono a la mensa del santo desiderio, e che hanno posto più la sollicitudine loro in uccidere la propria volontà che in uccidere o in mortificare lo corpo. Essi hanno bene mortificato lo corpo, ma non per principale affetto: ma come strumento che egli è ad aitare a uccidere la propria volontà, poiché lo principale affetto debbe essere, ed è, d'uccidere la volontà, che non cerchi né voglia altro che seguire Cristo crocifisso, cercando l'onore e gloria del nome suo, e la salute delle anime. Costoro stanno sempre in pace e in quiete, e non hanno chi gli scandalizzi, perché hanno tolto via quella cosa che lo' dà scandalo, cioè la propria volontà. Tutte le persecuzioni che lo mondo può dare e il demonio, tutte corrono sotto ai piedi suoi: sta nell'acqua ataccato ai tralci dell'ardente desiderio, e non s'immolla.

Questi gode d'ogni cosa, e non è fatto giudice dei servi di Dio, né di nessuna creatura che ha in sé ragione; anco gode d'ogni stato e d'ogni modo che vede, dicendo: «Grazia sia a te, Padre eterno, ché ne la casa tua ha molte mansioni! » (Jn 14,2). E più gode dei diversi modi che vede, che di vederli andare tutti per una via, perché vede manifestare più la grandezza de la bontà di Dio: d'ogni cosa gode e trae l'odore de la rosa.

Eziandio di quella cosa che vede ch'espressamente è peccato non piglia per giudicio, ma più tosto con santa e vera compassione, dicendo: «Oggi tocca a te, e domane a me, se non fusse la divina grazia che mi conserva». O menti sante, mangiatori a la mensa del santo desiderio, che con tanto lume sete giunti a notricarvi del cibo, vestiti del vestimento dolce dell'Agnello, cioè dell'affetto e carità sua! Voi non perdete lo tempo a ricevere i falsi giudicii né dei servi di Dio, né dei servi del mondo; voi non vi scandalizzate per veruna mormorazione, né per voi né per altrui. L'amore vostro è ordenato in Dio e nel prossimo, e non disordenato. E perché egli è ordenato non pigliano, carissimo figlio, questi cotali mai scandalo in coloro che essi amano; perché lo loro parere è morto, e non hanno preso giudicio che sieno guidati da uomini, ma solo da lo Spirito santo. Vedete dunque che gustano la caparra di vita eterna in questa vita.

Or a questo lume vorrei che voi e gli altri ignoranti figli giognessero, poiché vedo che questa perfezione manca a voi ed agli altri; poiché se ella non vi mancasse, non sareste giunti a tanti scandali e mormorazioni e falso giudicio, cioè di credere e dire che altri sia guidata e tenuta per volontà de la creatura e non del Creatore. Duolmene lo cuore e l'anima, di vedervi offendere la vostra perfezione a la quale Dio v'ha chiamato, sotto spezie d'amore e colore di virtù. E nondimeno ella è quella zizzania che lo demonio ha seminata nel campo del Signore (Mt 13,24-25 Mt 37-39); e questo ha fatto per affogare lo grano dei santi desideri e dottrina che è stata seminata nei campi vostri. Non vogliate fare più così, poiché Dio di grazia v'ha dato lo lume di spregiare lo mondo; lo secondo, di mortificare lo corpo; lo terzo, di cercare l'onore di Dio. Non offendete questa perfezione con la propria volontà spirituale, ma trapassate da la mensa de la penetenzia e giognete a la mensa del desiderio di Dio, dove l'anima è morta in tutto a la propria volontà, notricandosi senza pena ne l'onore di Dio e salute delle anime, crescendo la perfezione e non offendendola. Unde, considerando me che senza lo lume questo non si può avere, e vedendo che non c'era, dissi che io desideravo e desidero di vedervi con vero e perfetto lume. E così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, voi e frate Antonio e tutti gli altri, e singularmente voi, che v'ingegniate d'acquistarlo, a ciò che siate del numero dei perfetti e non de li imperfetti. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

A tutti mi racomando. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.







65. A Daniella da Orvieto vestita dell'abito di santo Domenico.

Ricevono la caparra, ma non lo pagamento; ma aspettanlo di ricevere ne la vita durabile, dove ha vita senza morte, sazietà senza fastidio, e fame senza pena, perché di lunga è la pena da la fame - poiché essi hanno compitamente quello che essi desiderano -, e di lunga è lo fastidio da la sazietà - perché egli è cibo di vita senza alcuno difetto -. è vero che in questa vita si comincia a gustare la caparra a questo modo, che l'anima comincia a essere affamata del cibo de l'onore di Dio e de la salute delle anime; e come ella ha fame così se ne pasce: cioè che l'anima si notrica de la carità del prossimo del quale ha fame e desiderio, che l'è uno cibo che, notricandosene, non se ne sazia mai. è insaziabile, e però rimane la continua fame.

Sì come la caparra è uno comincio di sicurezza che si dà all'uomo, per la quale aspetta di ricevere lo pagamento - non che la caparra sia perfetta in sé, ma per fede dà certezza di giognere al compimento -, così l'anima inamorata di Cristo, che già ha ricevuta la caparra, in questa vita, de la carità di Dio e del prossimo, in sé medesima non è perfetta, ma aspetta la perfezione de la vita immortale. Dico che non è perfetta questa arra, cioè che l'anima che la gusta non ha ancora la perfezione che non senta le pene in sé e in altrui: in sé per l'offesa che fa a Dio, per la legge perversa che è legata ne le membra nostre; e in altrui, per l'offesa del prossimo. è bene perfetto a grazia, ma non ha quella perfezione dei santi che sono a vita eterna, come detto è, poiché i desiderii loro sono senza pena, e i nostri sono con pena.

Sai come sta lo vero servo di Dio, che si notrica a la mensa di questo santo desiderio? Sta beato e doloroso, come stava lo Figlio di Dio in su lo legno de la santissima croce: poiché la carne di Cristo era dolorosa e tormentata, e l'anima era beata per l'unione de la natura divina. Così noi doviamo essere beati, per l'unione del desiderio nostro in Dio, d'essere vestiti de la dolce sua volontà; e dolorosi, per la compassione del prossimo e per togliere a noi delizie e consolazioni sensuali, affligendo la propria sensualità.

Ma attende, figlia e sorella carissima: io ho parlato a te e a me in generale, ora parlarò a te e a me in particulare. Io voglio che due cose singulari facciamo, a ciò che l'ignoranza non c'impedisca la nostra perfezione a la quale Dio ci chiama, e a ciò che lo demonio col mantello de la virtù e de la carità del prossimo non notricasse dentro nell'anima la radice de la presunzione: poiché da questo cadaremmo nei falsi giudicii, parendoci giudicare dritto, e noi giudicaremmo torto; e andando noi dietro al nostro vedere, spesse volte lo demonio ci farebbe vedere molte verità per conducerci ne la bugia, e perché noi ci facessimo giudici de le menti de le creature - la quale cosa solo Dio l'ha a giudicare -. Questa è una de le cose di quelle due, da la quale io voglio che noi al tutto ce ne leviamo, ma voglio che sia preso con modo, e non senza modo. Lo modo suo è questo: che se già Dio 'spressamente, non pur una volta né due, ma più, non manifesta lo difetto del prossimo ne la mente nostra, noi nol doviamo mai dire in particulare a cui egli tocca, ma in comune correggere i vizii di chi ci venisse a visitare, e piantare la virtù e caritativamente e con benignità; e ne la benignità l'asprezza, quando bisogna.

E se paresse che Dio spesse volte ci manifestasse i difetti altrui - se non fusse già 'spressa revelazione, come detto è -, attienti a la parte più sicura, a ciò che fuggiamo lo inganno e la malizia del demonio, poiché con questo lamo del desiderio ci pigliarebbe: ne la bocca tua dunque stia il silenzio, e uno santo ragionamento de le virtù e spregiamento del vizio. E il vizio che ti paresse conoscere in altrui, ponlo insiememente e a loro e a te, usando sempre una vera umilità. E se in verità quello vizio sarà in quella cotale persona, egli si correggiarà meglio, vedendosi compreso così dolcemente, e dirà a te quello che tu volevi dire a lui, e tu ne starai sicura, e tagliarai la via al demonio, che non ti potrà ingannare né impedire la perfezione dell'anima tua. E sappi che d'ogni vedere noi non ci doviamo fidare, ma doviamceli ponere doppo le spalle, e solo rimanere nel vedere e nel cognoscimento di noi.



E se alcune volte venisse caso che noi pregassimo particolarmente per alcune creature, e nel pregare noi vedessimo in colui per cui è pregato alcuno lume di grazia e in uno altro no, che è pur servo di Dio, ma paressetel vedere con la mente avviluppata e sterile, nol pigliare però per giudicio di difetto di grave colpa in lui, poiché potrebbe essere che lo tuo giudicio sarebbe falso. Ché alcune volte adiviene che, pregando per una medesima persona, l'una volta lo trovarò con uno lume e con uno desiderio santo dinanzi da Dio, intanto che del suo bene pare che l'anima ingrassi; e una altra volta lo trovarò che parrà che la mente sua sia di longa da Dio e tutta piena di tenebre e di molestie, che parrà che sia fatica a chi prega di tenerlo dinanzi a Dio. Questo adiviene alcune volte, che può essere per difetto che sarà in colui per cui è pregato; ma lo più de le volte non sarà per difetto, ma sarà per traimento che Dio averà fatto di sé in quella anima, cioè che si sarà sottratto per sentimento - ma non per grazia, ma per sentimento di dolcezza e di consolazione -. Unde sarà rimasa la mente sterile, asciutta e penosa; la quale pena Dio fa sentire a quella anima che ne prega, e questo fa Dio per grazia di quella anima che riceve l'orazione, a ciò che insiememente con lui aiti a dissolvere la nuvola.

Sì che vedi, sorella mia dolce, quanto sarebbe ignorante e degno di grande reprensione quello giudicio: che noi, per questo semplice vedere, giudicassimo che vizio fusse in quella anima, e però Dio cel manifestasse così turbo e tenebroso; dove noi già aviamo veduto che egli non è privato di grazia, ma del sentimento de la dolcezza del sentimento di Dio. Pregoti dunque, e te e me e ogni servo di Dio, che ci diamo a conoscere perfettamente noi, a ciò che più perfettamente cognosciamo la bontà di Dio, sì che, col lume, abandoniamo lo giudicio del prossimo e pigliamo la vera compassione, con fame d'annunziare le virtù e riprendere lo vizio e in noi e in loro, nel modo detto di sopra. Detto aviamo dell'una; ora dico dell'altra, la quale io ti prego che noi riprendiamo in noi, se alcune volte lo demonio o lo nostro parere ci molestasse di volere mandare e vedere andare tutti i servi di Dio per quella via che noi andiamo noi. Poiché spesse volte adiviene che, vedendosi andare per la via de la molta penetenzia, tutti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi vada, ne piglia pentimento e scandalo in sé medesimo, parendoli che non facci bene; e alcune volte adiverrà che farà meglio colui e più virtuoso sarà - poniamo che non facci tanta penetenzia che non quello che ne mormora -, poiché la perfezione non sta in maciarare né in uccidere lo corpo, ma in uccidere la propria perversa volontà. E per questa via de la volontà annegata, sottoposta a la dolce volontà di Dio, doviamo desiderare che tutti vadano.

Buona è la penetenzia e il maciarare del corpo, ma non mel ponere per regola ad ognuno, poiché tutti i corpi non sono aguegliati, e anco perché spesse volte adiviene che la penetenzia che si comincia - per molti accidenti che possono avenire - si conviene lasciare. Se lo fondamento dunque o in noi o in altrui facessimo, o facessimo fare, sopra la penetenzia, verrebbe meno e sarebbe sì imperfetto che mancarebbe la consolazione e la virtù nell'anima, perché sarebbe privato di quella cosa che egli amava, dove aveva fatto lo suo principio; e parrebbeli essere privato di Dio, e parendoli essere privato di Dio verrebbe a tedio, a grandissima tristizia e amaritudine, e nell'amaritudine perdarebbe l'essercizio e la fervente orazione la quale soleva fare. Sì che vedi quanto male ne succederebbe per fare solo lo suo principio ne la penetenzia, poiché noi saremmo ignoranti, e cadaremmo ne la mormorazione, e verremone a tedio e a molta amaritudine; e studiaremmo di dare solo opera finita a Dio, che è bene infinito lo quale ci richiede infinito desiderio.

Convienci dunque fare lo fondamento in uccidere e annegare la propria perversa volontà, e con essa volontà, sottoposta a la volontà di Dio, daremo dolce e affamato e infinito desiderio in onore di Dio e in salute delle anime; e così ci pasciaremo a la mensa del santo desiderio detto, lo quale desiderio non è mai scandalizzato né in sé né nel prossimo suo, ma d'ogni cosa gode e trae lo frutto.

Dogliomi io miserabile, ché non seguitai mai questa vera dottrina; anco ho fatto lo contrario, e però mi sento d'essere caduta spesse volte in dispiacere e in giudicio del prossimo. Unde ti prego, per amore di Cristo Crocifisso, che in questa e in ogni altra mia infermità ponga remedio, sì che io e tu cominciamo oggi ad andare per la via de la verità, alluminate in fare lo vero fondamento nel desiderio santo, e non fidarci dei nostri pareri e vederi, poiché leggiermente non escissimo di noi e giudicassimo i difetti del nostro prossimo, se non per compassione e reprensione generale. Questo faremo, notricandoci a la mensa del santo desiderio; in altro modo non potremmo, poiché dal desiderio aviamo lo lume, ed lo lume ci dà desiderio, e l'uno notrica l'altro. E però dissi che io desideravo di vederti con vero lume. Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





66. A frate Guglielmo d'Inghilterra, baccelliere che sta a Lecceto, dell'ordine di santo Agostino.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e figlio in Cristo Gesù, la vostra indegna Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio che a noi sia detta quella parola che disse Dio ad Abraam: «Esce de la casa e de la terra tua» (Gn 12,1). Abraam obbediente non fece resistenza al comandamento di Dio, che disse «seguitami», ed egli lo seguitò.

O quanto sarà beata l'anima nostra quando udiremo questa dolce parola: che noi ci partiamo da questa nostra terra del misero miserabile corpo! In due modi si debba levare l'uomo e seguire la prima Verità che il chiama. Lo primo è che noi traiamo l'affetto de la casa di questa nostra passione sensitiva terrena, amore proprio di noi medesimi, e de la terra nostra: cioè che l'affetto si levi da ogni amore terreno e seguiamo l'Agnello, dissanguato in sul legno della santissima croce. Lo quale Agnello c'invita e ci chiama a seguitarlo per vie d'obrobrii di pene e di rimproveri, i quali, all'anima che il gusta, sono di grandissima dolcezza e suavità. A questo affetto ci ha tratti Dio per la sua infinita bontà e misericordia.

Or che voce aspetta ora l'anima poi che ella ha udita la prima voce, ed ella ha risposto abbandonando lo vizio e seguitando le virtù, le quali fa gustare Dio per grazia in questa vita? Sapete, padre, quale ella aspetta? quella dolce parola de la Cantica: «Vieni, diletta sposa mia» (Ct 4,8). E drittamente s'adempie la parola, tra l'anima e il corpo, che disse Cristo ai discepoli suoi, dicendo: «Lassate i parvoli venire a me, ché di costoro è lo reame del cielo» (Mt 19,14 Mc 10,14 Lc 18,16). Questo modo tiene Dio coi servi suoi, quando gli trae di questa miserabile vita, e menagli a luogo di riposo, comandando a questa nostra carne, che è stata serva e discepola dell'anima: «Lassa questa anima venire a me, ché di costei è lo reame del cielo!».

O inestimabile dolcissima ardentissima carità! tu dici, né più né meno, come se l'anima t'avesse servito per sé medesima, con-ciò-sia-cosa-che ogni servigio fatto a te, tu ne sei l'operatore e donatore, poiché tu sei colui che sei (Ex 3,14), e senza te noi non siamo. Così diceva l'appostolo: «Noi non possiamo bene pensare, se non ci fusse dato di sopra» (2Co 3,5), Perciò per grazia ci dai e non per debito. Questo fa lo tuo smisurato amore - che il tuo medesimo vuoli remunerare in noi -: che, quando l'anima raguarda tanto fuoco d'amore, s'inebria per sì-fatto modo che perde sé medesima, e ciò che vede e sente, vede nel suo Creatore. Or questa è la voce de la quale desidera l'anima mia che noi siamo chiamati.

Ma non parrebbe, padre, che io fussi molto contenta, se, innanzi a questa, io non n'udissi un'altra: cioè la voce desiderata da tutt'i servi di Dio, cioè che noi udiamo: «Escite, figli, de le terre e de le case vostre; seguitatemi, venite a fare sacrifizio del corpo vostro». Quando io considero, padre, che Dio ci facesse tanta di grazia d'udirla e di vederci dare la vita per lo smisurato amore dell'Agnello, i pare che l'anima, a mano a mano, pur del pensiero si voglia partire dal corpo! Or corriamo, figli e fratelli miei in Cristo Gesù, distendiamo i dolci e amorosi desiderii, costregnendo e pregando la divina bontà che tosto ce ne faccia degni; e qui non ci conviene commettare negligenzia, ma grande sollicitudine: e voi sempre sollecitando, e altrui.

Lo tempo pare che s'abrevii, trovando molta disposizione ne le creature, e sappiate che quello frate Iacomo, che noi mandammo al giudice d'Alberoa con una lettara dove si conteneva di questo santo passaggio, egli mi possiede risposto graziosamente che vuole venire con la sua persona, e fornire per due anni diece galee e mille cavalieri e tremilia pedoni e seicento balestrieri. Sappiate che anco Genova è tutta commossa, a questo medesimo profferendo l'avere e le persone. E sappiate che di questo e dell'altre cose Dio aduopera l'onore suo.

Altro non dico, se non che io vi prego e vi racomando questo giovane, che ha nome Matteo Forestani, che vi sia racomandato che il faciate spacciare lo più tosto che potete che sia ricevuto a la santa religione.

Studiatevi quanto potete che egli venga a le vere e reali virtù, singularmente di mortificarli in lui lo parere del mondo e la volontà sua. Èmmi paruto lo meglio che egli non sia andato in altro viaggio, perché poteva essere più tosto esvagolamento de la mente sua che altro.

Dissemi frate Nofrio come frate Stefano stava male, e voi ancora avete sentito, e temavate di non avere chi vi servisse. Non temete, ma confidatevi che quando Dio tolle l'uno, egli ci provede dell'altro. Confortate e benedite frate Antonio cento migliaia di volte in Cristo Gesù.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù Gesù Gesù.

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