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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:31

67. Al convento dei monaci di Pasignano dell'Ordine di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi frategli e figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fiori odoriferi piantati nel giardino della santa religione, e non fiori puzzolenti.

Sappiate, figli carissimi, che lo religioso che non vive secondo la santa religione con costumi religiosi, ma lascivamente con appetito disordenato, con impazienzia - portando impazientemente le fatiche dell'Ordine -, o con disordenata allegrezza nei diletti e piaceri del mondo, con superbia e vanità - della quale superbia e vanità nasce la disonestà e di mente e di corpo -, o con desiderare l'onore e lo stato e le ricchezze del mondo - le quagli sono la morte dell'anima, vergogna e confusione dei religiosi -, questo cotale è fiore puzzolente che gitta puzza a Dio e agli angeli e nel cospetto degli uomini.

Costui è degno di confusione: egli conduce sé medesimo in morte eterna. Desiderando le ricchezze, impoverisce; volendo onore, si vituopera; volendo diletto sensitivo e amare sé senza Dio, egli s'odia; volendosi saziare dei diletti e piaceri del mondo egli rimane affamato, e di fame si muore, perché tutte le cose create e diletti e piaceri del mondo non possono saziare l'anima (perché queste cose create sono fatte per la creatura ragionevole, e la creatura è fatta per Dio; sì che le cose create sensibili non possono saziare l'uomo, perché sono minori dell’uomo: solo Dio è colui che è Creatore e fattore di tutte le cose create, e colui che il può saziare). Sì che vedete bene che si muore di fame.

Ma non fanno così i fiori odoriferi, ciò sono i veri religiosi, osservatori dell'Ordine e non trapassatori, che inanzi eleggono la morte che trapassarlo mai; spezialmente nel voto che fa nella professione, quando promette obbedienzia, povertà volontaria e continenzia di mente e di corpo. Dico che i veri religiosi, i quagli voi figli dovete essere, e che osservano l'Ordine suo, già mai non vogliono trapassare l'obbedienzia dell'Ordine e del prelato. Ma sempre vuole obbedire; e non investiga la volontà di chi gli comanda, ma semplicemente obbedisce: e questo è il segno della vera umilità, poiché l'umilità è sempre obediente, e l'obbediente è sempre umile. L'obbediente è umile perché ha tolto da sé la perversa volontà, la quale fa l'uomo superbo; l'umile è obbediente, perché per amore ha renunziato alla propria volontà: annegata l'ha, e tolto lo giogo suo sopra di sé, cioè che la rebellione della parte sensitiva che vuole ribellare al suo Creatore, col giogo suo de la sua volontà, lo rompe: cioè che volontariamente ha sottomesso sé alla volontà di Dio, e al giogo della santa obbedienzia.

Sì che, umile, ha spregiata la ricchezza - unde la propria volontà trae la superbia -, e appetisce la vera e santa povertà, perché vede che la povertà volontaria del mondo aricchisce l'anima e tra'la della servitudine; fallo benigno e mansueto; e tollegli la vana fede e speranza delle cose transitorie: dàgli fede viva e speranza vera. Spera nel suo Creatore per Cristo crocifisso, e non per sé, potere ogni cosa. Vede bene che egli è maladetto colui che si confida nell’uomo, e però pone la sua speranza e fede in Dio e ne le vere e reali virtù, perché la virtù è ricchezza dell'anima, onore, gaudio, riposo e perfetta consolazione. E però cerca lo vero religioso di fornire la casa dell'anima sua; e giusta al suo potere spregia ciò che è contrario alla virtù, e ama tutto quello che ve il fa venire: e però è tanto amatore de le pene, de le ingiurie, scherni e villanie, perché vede bene che questa è quella cosa che pruova l'uomo e fallo venire a virtù. Così vedete che per amore della vera ricchezza spregia la vana ricchezza, e cerca povertà e fassela sposa per amore di Cristo crocifisso, che tutta la vita sua non fu altro che povertà. Nascendo, vivendo e morendo, non ebbe luogo dove riposare lo capo suo (Mt 8,20 Lc 9,58); con-ciò-sia-cosa-che fusse Dio, somma eterna ricchezza, nondimeno, come regola nostra, elesse e amò la povertà (2Co 8,9) per insegnare a noi ignoranti miserabili.

A mano a mano segue l'altro della vera continenzia, poiché colui che è umile e obbediente - e ha spregiato la ricchezza e il mondo con tutte le delizie sue -, fatto amatore della povertà e viltà, dilettasi de la conversazione della cella e de la santa orazione: è fatto subito continente, ché, non tanto che egli s'involla nel loto della carnalità attualmente, ma lo pensiero gli verrà a tedio, e correggiarà sé medesimo; e fugge tutte le cagioni e le vie le quali gli possono tòllare la ricchezza della continenzia e della purezza del cuore, e stregne e ama quello che glil conserva. Perché vede che la conversazione dei gattivi e dei dissoluti gli è molto nociva - e la conversazione e amistà di femmine -, e però le fugge come serpenti velenosi; piglia, e studiasi di pigliare, la conversazione della santissima croce, e con tutti quelli servi di Dio che sono amatori di Cristo crocifisso. Della vigilia e dell'orazione non se ne sazia e stanca mai, perché vede che ella è la madre che ci dona lo latte de la divina dolcezza, e notrica al petto suo i figli de le virtù: però tanto se ne diletta. Ella fa unire l'anima con Dio, ella l'adorna di purezza, e donagli perfetta sapienza di vero cognoscimento di sé e de la bontà di Dio in sé. Cercando, carissimi figli, tutti i tesori e diletti che può avere una anima in questa vita, trova nella santissima orazione.

Or questi cotali sono fiori odoriferi che gittano odore nel cospetto di Dio, ne la natura angelica, e dinanzi agli uomini, e però io vi prego, per amore di Cristo crocifisso, che se per infine al dì d'oggi fuste stati lo contrario che voi vi poniate fine e termine. Fate ragione d'essere novizii, che testé di nuovo con grande reverenzia entraste a osservare la santa religione: poiché Dio v'ha fatti degni d'essere nello stato angelico non vogliate ponarvi a stato umano, ché nello stato umano stanno i secolari - che sono chiamati allo stato comune -, ma voi sete nello stato perfetto, che non essendo perfetti, non sareste in stato umano, ma peggio che in istato d'animali. Orsù, figli, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso - lo quale fortificarà l'anima e torràvi ogni debolezza -, conversate in cella, dilettatevi del coro, siate obbedienti e fuggite la conversazione, studiate all'orazione e alla vigilia. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



68. A madonna Bandecca donna che fu di missere Bocchino dei Belforti da Volterra, essendo essa in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi dilettissima e carissima madre e sorella in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, e desidero di vedervi vestita dell'uomo nuovo - e spogliata dell'uomo vecchio (Ep 4,22-24) - cioè de la pazienza dell'uomo nuovo Cristo crocifisso, sapendo che senza la pazienza non possiamo piacere a Dio.

E però io v'invito carissimamente a questa vera pazienza, poiché colui che è impaziente è vestito del vecchio, cioè del peccato, ha perduta la libertà e non possede la città dell'anima sua, poiché si lassa signoreggiare a l'ira. Ma non è così colui ch'è paziente che possede sé medesimo (così disse lo nostro dolce salvatore: «Ne la pazienza vostra possedarete l'anime vostre» (Lc 21,19)). O pazienza dolce piena di letizia e di galdio, poiché quando ella procede da carità, cioè portando per Dio ogni tribolazione o per morte o per vita o per qualunque cosa Dio la conceda, allora dico che sotto questo giogo de la pazienza, acquistata co.la soavità dolce de la volontà di Dio, ogni amaritudine diventa dolce e ogni gran peso diventa legiero. Di questo santo e dolce vestimento si veste l'anima quando ella si veste de la volontà di Dio, che non vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette a noi sì ci dà per nostro bene perché siamo santificati in lui.

Non vi paia malagevole, carissima madre e sorella in Cristo Gesù, ché il medico de la vita durabile è venuto nel mondo per sanare le nostre infermità e fa come vero medico, dandoci medicina amara e traendoci sangue per conservare la sanità: ogni cosa porta lo infermo per lo rispetto che ha a la sanità. Oimè perché facciamo peggio al medico celestiale che non vuole la morte del peccatore, anco vuole che si converta e viva? (Ez 33,11 2P 3,9) Allora, dilettissima madre, ci dà lo dolce Gesù l'amaritudine a la sensualità ma no a la ragione, e trae lo sangue quando ritrae a sé privandoci o di figli o di sanità o di prosperità o di qualunque altra cosa sia. Confortatevi dunque, poiché non l'ha fatto per darvi morte, anco per darvi vita e conservarvi la sanità. Pregovi per amore di quello dolcissimo e abbondantissimo sangue, lo quale fu sparto per la nostra redenzione, affinché la volontà di Dio sia piena in voi: affinché tutte queste amaritudini tornino in vostra santificazione, sì come vuole la volontà di Dio. Non voglio che pensiate, madre carissima, nel vostro figlio che v'è rimaso, come cosa vostra, ché non è vostra - anco saremmo ladri -; ma, come cosa prestata, usare a vostra necessità. Sapete bene che è così, ché se fusse nostra noi la potremmo tenere e usare secondo la nostra volontà, ma perché è prestata conviencela rendare secondo lo piacere del dolce maestro de la verità che è donatore e facitore di tutte le cose che sono. O 'nestimabile carità di carità, quanta è la pazienza tua che tu hai inverso l'indurati ignoranti cuori, che vogliono possedere quello che è tuo per loro: lagnansi di quello che hai fatto per loro bene. Non facciamo così, per l'amore di Dio, ma portiamo con pazienza la disciprina sua; e se mi diceste: «Io non posso acordare questa sensualità», voglio che la ragione venca e pigli tre cose. L'una si è la brevità del tempo; e la volontà di Dio che gli ha tratti a sé secondo che mi mandaste dicendo (de la quale cosa quando l'udii rallegra'mi de la loro salute; ebbivi un poca di compassione poniamo ch'io mi rallegrasse del frutto che avarete de la tribolazione); e il danno che succederebbe de la impazienzia. Confortatevi che il tempo è breve e la fatica è poca e il frutto è grande.

La pace di Dio sia con voi. Caterina serva inutile vi si raccomanda.





69. A Sano di Maco in Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedere in voi quella virtù della santa fede e perseveranza che fu nella Cananea, poiché ella l'ebbe tanto forte che ella meritò ched lo demonio fusse cacciato da dosso de la figlia sua; e più ancora, ché, volendo Dio manifestare quanto gli piaceva la fede sua, volse rimettare la vittoria in lei, dicendo: «Sia fatto alla figlia tua come tu vuogli» (Mt 15,22-28 Mc 7,25-30).

O gloriosa ed eccellentissima virtù! tu sei colei che manifesti lo fuoco de la divina carità quando è nell'anima, poiché l'uomo non ha mai fede né speranza se non in quello che egli ama. Queste tre virtù, l'una tiene dietro all'altra, poiché amore non è senza fede, né fede senza speranza. Elle sono tre colonne che conservano e mantengono la rocca dell'anima nostra, sì e per sì-fatto modo che neuno vento di tentazione, né parole iniuriose, né lusinghe di creatura, né amore terreno, né di sposa né di figli, lo può dare a terra; ma in tutte queste cose sarà fortificato da queste vere colonne. Allora faremo come questa Cananea, che, vedendo passare Cristo dentro per l'anima nostra, per santo e vero desiderio vollarenci a lui, con vera contrizione e pentimento del peccato, e diremo: «Signore, delibera la figlia mia, cioè l'anima mia, poiché il demonio la molesta con le molte tentazioni e desordenati pensieri».

E se noi perseverremo e terremo ferma la volontà che non consenta, né s'inchini a veruna cosa amare fuore di Dio - umiliandosi e reputandosi indegno della pace e de la quiete, e con fede aspettare, e con pazienza e speranza, per Cristo Crocifisso, di potere ogni cosa: dire con santo Paulo «Ogni cosa posso, non per me, ma per Cristo Crocifisso, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13) -, allora udiremo quella dolce voce: «Sia sanata la figlia, cioè l'anima tua, secondo che tu vuogli». Qui manifesta la smisurata bontà di Dio lo tesoro, che egli ha dato nell'animo, del proprio e libero arbitrio, che né demonio né creatura lo può constrignare a uno peccato mortale, se egli non vuole. O carissimo figlio in Cristo Gesù, raguardate, con fede e vera perseveranza, che infine alla morte queste parole sono dette a noi. Sappiate che, come l'uomo è creato da Dio, gli sono dette queste parole: «Sia fatto come tu vuogli», cioè: «Io ti faccio libero, che tu non sia suggetto a veruna cosa se non a me».

O inestimabile dilettissimo fuoco d'amore, tu mostri e manifesti l'eccellenza della creatura, ché ogni cosa hai creato perché serva alla tua creatura; la creatura hai fatta perché serva a te. Ma noi, miseri miserabili, andiamo ad amare lo mondo con le pompe e diletti suoi, per mezzo del quale amore l'animo perde la signoria, ed è fatto servo e schiavo del peccato. Questo cotale ha preso per signore lo demonio: o quanto è pericolosa la signoria sua, ché sempre cerca e tratta la morte dell’uomo! Non mi pare che sia da servire sì-fatto signore, ma voglio che noi siamo di quelle anime inamorate di Dio, raguardando sempre noi essere schiavi ricomprati del sangue dell'Agnello: lo schiavo non si può più vendare, né servire altro signore. Noi siamo comprati non d'oro, né di dolcezza d'amore, ma di sangue.

Scoppino i cuori e l'anime nostre d'amore; levinsi con sollicitudine a servire e temere lo dolce e buono Gesù, raguardando che egli ci ha tratti di prigione e della servitudine del demonio che ci possedea come suoi. Egli entrò in ricolta e pagatore, e stracciò la carta dell'obligagione (Col 2,14). Quando intrò in ricolta? quando si fece servo, prendendo la nostra umanità. Oimé, non bastava a noi, se non avesse pagato lo debito fatto per noi. E quando si pagò? in su.legno della santissima croce, dando la vita per renderci la vita della grazia, la quale noi perdemmo. O inestimabile dolcissima carità, tu hai rotta la carta che era tra l'uomo e il demonio, stracciandola in su legno della santissima croce. La carta non è fatta d'altro che d'agnello, e questo è quello Agnello immacolato lo quale ci ha scritti in sé medesimo; ma stracciò questa carta. Confortinsi dunque l'anime nostre: poi che siamo scritti, e rotta la carta, non ci può più dimandare l'aversario e contrario nostro.

Or corriamo, figlio dolcissimo, con santo e vero desiderio, abracciando le virtù, con la memoria del dolce Agnello dissanguato con tanto ardentissimo amore. Non dico più. Sappiate che in questa vita noi non possiamo avere altro che dei mollicoli che caggiono della mensa, sì come questa Cananea (Mt 15,27 Mc 7,28): le mollicole sono la grazia che riceviamo, e caggiono della mensa del Signore. Ma quando noi saremo nella vita durabile, dove noi gustaremo Dio e vedrello a faccia a faccia, allora averemo delle vivande della mensa. Perciò non schifate mai labore: io vi mandarò de le mollicole e de le vivande come a figlio, e voi combattete e predicate virilmente.

Sappiate che noi stiamo tutti bene, per la divina grazia. L'onore di Dio si vede più l'uno dì che l'altro. Noi non uscimmo mai di casa di Gherardo; ne esciremo quando sarà l'ora del tempo che Dio averà ordenato.

Io ve lo scrivarò il più tosto che si potrà.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





70. A frate Bartolomeo Dominici, dell'ordine dei Predicatori, quando era baccelliere di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Alessa, e Caterina, e Caterina serva inutile di Gesù Cristo vi si racomanda, con desiderio di vedervi unito e trasformato in quello trasformato e unito desiderio di Dio.

O fuoco ardentissimo che sempre ardi, drittamente tu sei uno fuoco! Così parbe che dicesse la bocca de la Verità: «Io sono fuoco e voi le faville» (Sg 3,7 Is 1,31). Dice che il fuoco sempre vuole tornare nel suo principio, ché sempre ritorna in su. O ineffabile diletta carità, che bene dici vero: ché bene siamo faville, però vuoli che siamo umiliati. Sì come favilla riceve l'essare dal fuoco, così noi riconosciamo l'essare dal nostro primo principio, e però disse egli: «Io sono fuoco e tu favilla». Fa' sì che l'anima tua non si levi in superbia, e fa' che tu facci come la favilla, che prima va in su e poi torna in giù: lo primo movimento del santo desiderio nostro die essare nel cognoscimento di Dio e nell'onore suo; poi che siamo saliti, ora scendiamo a cognosciare la miseria e la nigligenzia nostra - o adormentato, destati! - e così saremo umiliati, trovandoci nell'abisso de la sua carità. O madre dolce de la carità, che non è veruna mente tanto dura né tanto adormentata, che non si dovesse destare e risolvere a tanto fuoco di carità! Dilatate dilatate l'anima vostra a ricevare lo prossimo per amore e per desiderio. Non vego che possiamo avere questo desiderio, se l'occhio non si vòlle come aquila verso lo legno de la vita. O dolcissimo amore Gesù, che dicesti: «Vuoli tu essare inanimato all'onore di me e a la salute de le creature, essare forte a sostenere ogni tribolazione con pazienza? sì raguarda me, Agnello dissanguato in croce per te: tutto verso da capo a pie'; non è udito lo grido mio per mormorazione. Non raguardo la tua ignoranza; né la tua ingratitudine non mi ritrae che, come pazzo e transformato per fame ch'io ho di te, io non aduopari la tua salute.»

O carissimi, o dolcissimi fratelli, levianci levianci da tanta negligenzia, corriamo con sollecitudine per la via de la verità, e corriamo con sollecitudine e morti; non ci ritraga la ingratitudine de le creature.

Seminate seminate la parola di Dio: rendete i talenti commessi a voi (Mt 25,14-29 Lc 19,12-26). Non tanto che Dio v'abbi commesso uno talento, egli ve n'ha commessi diece, a voi e al prossimo vostro, i quali sono i dieci comandamenti, che sono la vita dell'anima nostra: Perciò siate sollecito d'essercitarli.

Ricordivi di quella santa abitazione de la cella dell'anima e del corpo, e così dicete a frate Tommasso e agli altri nostri fratelli. Pregovi che siate solleciti: lo tempo è breve, e il camino è longo.

Io, misera miserabile, sono tanto moltiplicati li miei peccati che mai, poi che voi andaste, (.) dì non fui degna di ricevare lo dolcissimo e venerabile sagramento. Questo vi dico, perché voi m'aitiate a piangere, e preghiate che mi sia aitato acciò ch'io riceva la plenitudine de la grazia. Perdonatemi, padre, a la mia ignoranza; racomandatemi a la vostra santissima messa, ed io ricevarò lo corpo dolce del Figlio di Dio spiritualmente da voi.

Io Alessa vi prego che preghiate quello dolcissimo Agnello che mi faccia insieme con voi vivare e trasformare nell'amore di Dio e nel cognoscimento di me. Racomandomivi cento cento migliaia di volte; maravigliomi come non ci avete mandate novelle di voi, con-ciò-sia-cosa-ch'io ve ne pregasse.

Secondo ch'io ho inteso, parmi che vi sia la mortalità. Racordatemi a frate Tommasso. Se la mortalità v'è, pare a frate Tommasso che voi ne veniate amenduni. Altro non dico. Racomandovi lo vostro frate Tommasso, e fratelli e sorella e figlie. Pregovi che voi mandiate una lettara a monna Gemmina, ché voi sete degno di riprensione, ché vi partiste e non le faceste motto.

Laldato sia Gesù Cristo crocifisso. Amatevi amatevi insieme.





71. A monna Bartalomea d'Andrea Mei da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e reale virtù, poiché senza lo mezzo della virtù non potremmo piacere al nostro Creatore.

Poiché Dio sempre ha voluto dare la vita de la grazia col mezzo: sapete bene che essendo caduto l'uomo primo Adam, per la disobbedienza, nella colpa - a la quale colpa seguitò la morte eterna -, e volendolo restituire a grazia e darli vita eterna, egli lo fece col mezzo dell'unigenito suo Figlio, ponendoli che con l'obedienzia uccidesse la disobbedienza nostra, e col mezzo della morte sua ci rendesse la vita, e consumasse e distruggesse la nostra morte. E veramente così fu; ché facendo uno torniello in su lo legno de la croce questo dolce e innamorato Verbo, egli giocò alle braccia con la morte, e con la morte vinse la morte; e la morte uccise la vita: cioè che la morte della colpa nostra uccise lo Figlio di Dio in su lo legno della santissima croce, sì che con la morte sua ci tolse la morte e rendecci perfetta vita. Dunque la vita è rimasa donna e ha sconfitto lo demonio infernale che teneva e possedeva la signoria de l' uomo, del quale non debba essere signore altri che solo Dio.

Da questo veniamo noi a la prima morte e perdiamo la vita la quale aviamo col mezzo del sangue di Cristo: cioè quando l'anima piglia a servire la propria sensualità con disordenati desiderii o di stato o di ricchezze o di figli o d'altra creatura, o in qualunque modo si sia, che non sia ordenato e fondato in Dio. Ed eziandio alcune volte l'anima spiritualmente diventarà serva e schiava de la propria volontà sotto colore di spirito, e per più avere Dio: cioè quando noi desideriamo consolazione o tribulazione o tentazione dal demonio, o tempo o luogo a nostro modo, dicendo alcune volte: «In altro modo vorrei avere la tribulazione, poiché in questo me ne pare perdere Dio. Questa portarei pazientemente, ma quella non posso. Se io non n'offendesse Dio, io la vorrei, ma perché me ne pare offendere, però me ne doglio».

Carissima madre, se aprite l'occhio dell'intelletto vederete che questa è la propria volontà sensitiva, amantellata col mantello spirituale; poiché se fusse savio, non farebbe così, ma con fede viva credarebbe che Dio non gli permette più che egli possa portare, né senza necessità della salute sua: poiché egli è lo Dio nostro che non vuole altro che la nostra santificazione. E così facciamo spesse volte delle proprie consolazioni della mente: che, non sentendole quando vuole - né quelli tempi né quelli luoghi che desidera -, ma più tosto sente battaglie e molestie e la mente sterile e asciutta, ne viene in pena, in amaritudine e in afflizione e in tedio grandissimo. E spesse volte, per inganno del demonio, le fa vedere che quello che ella dice allora e fa non sia piacevole né acetto a Dio, quasi le dica: «Poiché non gli piace - perché tu sei così gattiva - lassa stare ora; e un' altra volta forse ti sentirai meglio e potrai fare la tua orazione». Questo fa lo demonio perché noi perdiamo l'essercizio corporale e mentale della santa orazione attuale, vocale e mentale. Poiché, avendo noi perduta l'arme con che lo servo di Dio si difende da' colpi del demonio, della carne e del mondo, avrebbe da noi ciò che egli volesse; e arrendarebbesi allora la città dell'anima a lui, e intrarebbevi come signore.

E non ne potrebbe essere altrimenti, avendo perduta l'arme e la forza dell'orazione, la quale orazione ci dà l'arme de la vera umilità e dell'ardentissima carità: poiché l'orazione santa ci fa conoscere perfettamente noi medesimi e la propria fragilità, e la infinita carità e bontà di Dio; e meglio si conosce l'uno e l'altro nel tempo delle battaglie e de la mente asciutta, e tra'ne più perfetta umilità e sollicitudine.

Unde se ella è prudente, che non serva alla propria volontà sotto colore di consolazione, e non creda al demonio, ma virilmente e con odio santo di sé perseveri ne l'orazione - in qualunque modo Dio le il dà, o con sentimento di dolcezza o con sentimento d'amaritudine -, ella guadagna più nel modo detto nell'amaritudine e pene, per qualunque modo Dio le il concede, che ne la dolcezza: poiché nel bisogno va tutta umiliata e con vera sollicitudine corre al suo benefattore, conoscendo che per sé non può nulla, ma solo Dio è quello in cui ella spera e che può e vuole venirla ad aitare. Dunque per farci venire a vera virtù - che senza questo mezzo non verremmo alla virtù provata, ma potrebbe bene essere conceputa per desiderio la virtù - si conviene necessario che col sostenere - con vera e reale pazienza - la tribulazione della mente e quella che ci danno le creature - o per infamie o per altri scandali che ci dessero - veniamo a virtù; poiché questi sono quelli mezzi che ci fanno parturire la virtù: perché è provato ne le fatiche, sì come l'oro si pruova nel fuoco.



Poiché, se ne le fatiche non avesse fatta pruova vera di pazienza - anco le schifasse nel modo detto di sopra, o per alcuna altra cosa che avenisse -, segno sarebbe manifesto che non servirebbe lo suo Creatore; e non si lassarebbe signoreggiare a lui, ricevendo umilemente e con amore quello che lo suo signore gli dà; e non mostrarebbe segno di fede che credesse essere amato dal signore. Poiché se egli lo credesse in verità, di nessuna cosa si potrebbe mai scandalizzare, ma tanto gli pesarebbe e avrebbe in reverenzia la mano dell'aversità quanto quella della prosperità e consolazione, poiché ogni cosa vedarebbe fatto per amore. Ma però nol vede, perché dimostra che egli sia fatto servo della propria sensualità e volontà spirituale, o da qualunque lato viene, come detto è, e àssene fatto suo signore, e però si lassa signoreggiare a loro. Convienci dunque, perché questa servitudine ci dà morte - cioè la servitudine del mondo e la servitudine della propria volontà spirituale detta -, fuggirla, poiché c'impedisce la perfezione di non essere servi liberali a Dio, ma facci volerli più tosto servire a nostro modo che a suo, la quale cosa è sconvenevole e fa lo servigio mercennaio.

Dico dunque che poi che tanto male ne segue, e Dio vuole fare ogni cosa con mezzo, che noi seguiamo questa via (Jn 14,6) e dottrina sua che egli ci ha data. Noi vediamo bene che per noi medesimi noi non fummo creati; ma esso medesimo fece mezzo la sua carità, poiché per puro suo amore ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), perché noi participassimo e godessimo dell'eterna sua visione. Ma noi la perdemmo per la colpa e amore proprio del primo nostro padre; unde per rendere a l'uomo quello che aveva perduto, ci donò lo mezzo del suo Figlio, lo quale fece come mediatore a pacificare l'uomo con Dio; ed esso mediatore ricevé le percosse, poiché in altro modo questa pace non si poteva fare, sì grande era stata la guerra. Poiché era offeso Dio infinito, e l'uomo finito, che aveva offeso, per nessuna sua pena che avesse sostenuta non poteva satisfare allo infinito dolce Dio; e però lo fuoco dell'abisso de la sua carità trovò lo modo per fare questa pace. E perché a la giustizia sua fusse satisfatto, unisce sé medesimo, cioè la deità eterna, natura divina, con la nostra natura umana.

E unito Dio infinito con la natura dell’uomo finita, fu sufficiente Cristo uomo, sostenendo le pene in su lo legno della santissima croce, a satisfare al Padre suo e a placare l'ira che veniva sopra dell’uomo. E gittando uno colpo questo dolce Verbo in su lo legno della croce, e facendo insiememente misericordia a l'uomo, ha in questo modo contenta la misericordia e ha donata la grazia a noi che l'avavamo perduta, ed è contenta la giustizia che voleva che de la colpa si facesse la vendetta; ed egli l'ha fatta sopra lo corpo suo in quella medesima natura che aveva offeso, perché la carne di Cristo fu della massa d'Adam. Ma noi ingrati e irriconoscenti perdiamo spesse volte per li peccati nostri la grazia e intriamo in guerra con Dio: e alcune volte è guerra mortale, e alcune volte è sdegno d'amico.

La guerra mortale è quella quando l'anima giace nella morte del peccato mortale, facendosi Dio del mondo, della carne e dei miserabili diletti, unde questi hanno perduta la vita in tutto. è vero che con la confessione e mezzo del sangue di Cristo la può ricoverare mentre che vive, sì che vedete che senza lo mezzo non può vivere in grazia, né giognere alla vita durabile. Sdegno d'amico è in quelli e in quelle che servono a Dio privati del peccato mortale, e sono in grazia e vogliono essere servi di Dio veri. Ma spesse volte, per ignoranza - la quale ignoranza procede da la propria volontà spirituale, la quale s'ha fatta signore, che il dilonga dalla verità -, non che esca della verità che caggia in peccato mortale, ma offende la perfezione a la quale in verità vorrebbe venire, volendo scegliere lo tempo, lo luogo, la consolazione e tribulazione e tentazione a suo modo. Allora Dio piglia sdegno con l'anima che gli è amica, perché non gli pare che vada, né va, con quella libertà schietta che deve andare; unde uno mezzo ci ha posto, e richiede che noi l'usiamo se vogliamo che sia levato lo sdegno e il dispiacere, e non ci sia impedito lo nostro andare a la perfezione dolce: cioè che noi anneghiamo la propria volontà, sì che non cerchi né voglia altro che Cristo Crocifisso, e tutto lo suo diletto sia di riposarsi ne gli obrobrii di Cristo, parturendo le virtù, concepute per santo desiderio, nella carità del prossimo con vera umilità. Unde col mezzo del sostenere pene e fatiche secondo che Dio concede, e sterelità di mente, con vera e santa pazienza, saremo fondati in vera e reale virtù, e avaremo forza e cognoscimento di grande e non di fanciullo che non vuole andare né fare altro che a suo modo.



Per altra via non vedo che possiamo passare, e però vi dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e reale virtù. E volendo che l'anima vostra sia unita in Dio per affetto d'amore, non si poteva fare senza lo mezzo della virtù, perché ogni cosa vuole fare con mezzo, come detto è. Sono certa per la infinita bontà di Dio che adempirete la volontà sua ed lo desiderio mio. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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