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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:53

80. A maestro Giovanni Terzo dell'ordine dei Frati eremiti di santo Agostino essendo egli a Lecceto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue de lo dissanguato Agnello.

Lo quale sangue lava e anniega - cioè uccide la propria perversa volontà -: dico che lava la faccia de la conscienzia e uccide lo verme da questa conscienzia, poiché il sangue c'è fatto bagno, e perché il sangue non è senza fuoco, anco è intriso col fuoco de la divina carità, poiché fu sparto per amore. Sì che lo fuoco col sangue lava e consuma la ruggine de la colpa che è ne la conscienzia, la quale colpa è uno verme che rode in essa conscienzia. Morto che è questo verme, e lavata che è la faccia dell'anima, è privata del proprio disordinato amore; ché, mentre che l'amore proprio è nell'anima, questo verme non muore mai, né si leva la lebbra da la faccia dell'anima, poniamo che il sangue e il fuoco del divino amore ci sia dato.

E a tutti è dato questo sangue e fuoco, nostra redenzione; e non di meno da tutti non è participato, e questo non è per defetto del sangue né del fuoco né de la prima dolce Verità che ce l'ha donato, ma è defetto di chi non votia lo vasello per poterlo empire d'esso sangue. Lo vasello del cuore, mentre che egli è pieno del proprio amore, o spiritualmente o temporalmente, nol può empire del divino amore, né participare la virtù del sangue, e però non si lava la faccia, e non si uccide lo verme. Dunque c'è bisogno di trovare modo di votarsi e d'empirsi, affinché noi giogniamo a questa perfezione d'uccidere la propria volontà: ché, uccisa la volontà, è ucciso lo verme - poiché la volontà concepe questo verme -.

Che modo ci ha, carissimo figlio? Dicovelo: che noi sì apriamo l'occhio dell'intelletto a conoscere uno sommo bene e uno miserabile male. Lo sommo bene è Dio, lo quale ci ama di ineffabile amore, lo quale amore c'è manifestato col mezzo del Verbo unigenito suo Figlio; e il Figlio ce l'ha manifestato col mezzo del sangue suo. Nel sangue conosce l'uomo l'amore che Dio gli porta, e il suo proprio miserabile male: poiché la colpa è quella che conduce l'anima a le miserabili pene eternali, e però è solo lo peccato quello che è male, lo quale procede dal proprio amore, ché veruna altra cosa è che sia male, se non questa.

E questo fu cagione de la morte di Cristo. E però dico che nel sangue cognosciamo lo sommo bene dell'amore che Dio ci ha, e il miserabile nostro male, ché l'altre cose non sono male se non solo la colpa, come detto è.

Né tribulazioni né persecuzioni del mondo non sono male, né ingiurie, né strazii, né scherni, né villanie, né tentazioni del demonio, né tentazioni degli uomini, i quali tentano i servi di Dio; né le tentazioni e molestie che dà l'uno servo di Dio all'altro, le quali tutte Dio permette per tentare e cercare se trova in noi fortezza e pazienza e vera perseveranza fino all'ultimo; anco conducono queste cose l'anima a gustare lo sommo ed eterno bene. Questo vediamo noi manifestamente nel Figlio di Dio, lo quale essendo Dio e uomo, e non potendo volere neuno male, non l'averebbe elette per sé: ché tutta la vita sua non fu altro che pene e tormenti, strazii e rimproverii, e nell'ultimo l'obbrobriosa morte de la croce; e questo volse sostenere perché era bene, e per punire la colpa nostra, che è quella cosa che è male.

Poi che l'occhio dell'intelletto ha così bene veduto e discerto chi gli è cagione del bene e chi gli è cagione del male, e quale è quello che è bene e quello che è miserabile male, l'affetto - perché va dietro all'intelletto - corre di subito e ama lo suo Creatore, conoscendo nel sangue l'amore suo ineffabile; e ama tutto quello che vede che il faccia più piacere e unire con lui. Allora si diletta de le molte tribulazioni, e priva sé medesimo de le consolazioni proprie, per affetto e amore de le virtudi. E non sceglie lo strumento de le tribulazioni - che pruovano le virtù - a suo modo, ma a modo di colui che gli il dà, cioè Dio, lo quale non vuole altro se non che siamo santificati in lui, e però le concede.

Come egli ha tratto l'amore da l'amore, e perché l'occhio dell'intelletto in esso amore ha veduto lo suo male, cioè la colpa sua, odialo, in tanto che desidera vendetta di quella cosa che n'è stata cagione. La cagione del peccato è il proprio amore, lo quale notrica la perversa volontà che ribella a la ragione; e mai non stanca di crescere e di multiplicare l'odio dell'amore sensitivo fino che l'ha morto, e però diventa subito paziente, e non si scandalizza in Dio, né in sé, né nel prossimo suo: ma ha presa l'arme a uccidere questo perverso sentimento, che conduce l'anima a tanto miserabile male che le tolle l'essere de la grazia, e dàlle la morte - tornando a non nulla - perché è privata di Colui che è.

Tolle dunque lo coltello, che è l'arme con che si difende da' nemici suoi; e con quello uccide la propria sensualità. Lo quale coltello ha due tagli, cioè odio e amore, e menalo con la mano del libero arbitrio - lo quale conosce che Dio gli ha dato per grazia e non per debito -, e con esso coltello taglia e uccide. Or a questo modo, carissimo figlio, participiamo la virtù del sangue e il calore del fuoco, lo quale sangue lava, e il fuoco consuma la ruggine de la colpa, e uccide lo verme de la conscienzia: non uccide propriamente la conscienzia, che è guardia dell'anima, ma il verme de la colpa che v'è dentro. In altro modo né per altra via non potremmo giognere a pace e a quiete, né gustare lo sangue de lo immacolato Agnello; e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Dunque levatevi su, e destatevi dal sonno de la negligenzia, e annegate la propria perversa volontà in questo glorioso prezzo; e non vi ritragga né timore servile, né amore proprio, né detto de le creature, né mormorazione, né scandalo del mondo; ma perseverate con virile cuore. E guardate che voi non facciate come i matti - e se voi l'avete fatto, sì ve ne dolete - di scandalizzarvi nei servi di Dio, o mormorare de le loro opere, poiché questo è uno dei segni che la volontà non è morta; e se ella è morta ne le cose temporali, non è anco morta ne le spirituali. Vogliate dunque che in tutto muoia ad ogni suo parere, e viva in voi la dolce eterna volontà di Dio: e di questa siate giudice, sì come dice la nostra lezione. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Scrivestemi che lo figlio non poteva stare senza lo latte e il fuoco de la mamma, unde, se n'averete volontà, non tardarete a venire per esso. Dite che non vorreste offendere l'obedienzia: venite per la licenzia, e non offendarete. Ed ècci necessario, perché Nanni s'è partito per buona necessità, sì che se potete venire sì l'averò molto caro. Gesù dolce, Gesù amore.

Raccomandateci al baccelliere, e a frate Antonio, e a missere Matteo, e all'Abbate, e a tutti gli altri.





81. A Francesca di Francesco di Tato Talomei vestita di santo Domenico, inferma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con vera e santa pazienza, a ciò che virilmente te porti e la infermità, e qualunque altra cosa che Dio ti permettesse, sì come vera serva e sposa di Cristo crocifisso; e così debbi fare poiché la sposa non si debba mai scordare da la volontà del Sposo suo.

Ma attende, carissima figlia, che a questa volontà, così acordata e sottoposta a quella di Dio, non verresti mai se tu col lume de la santissima fede non raguardassi quanto tu sei amata da lui, poiché, vedendoti amare, non poterai fare che tu non ami. Amando, odiarai la propria sensualità, la quale fa impaziente l'anima che l'ama: unde subito che tu l'odiarai sarai fatta paziente. Sì che col lume ci verrai.

Ma dove trovarai questo amore? Nel sangue de l'umile immacolato Agnello, lo quale per lavare la faccia de la sposa sua corse a l'obrobriosa morte de la croce; unde col fuoco de la sua carità la purificò da la colpa, lavandola ne l'acqua del santo baptesmo; il quale baptesmo vale a noi in virtù del sangue, e il sangue le fu colore che fece la faccia de l'anima vermeglia, la quale era tutta impalidita per la colpa d'Adam. Tutto questo fu fatto per amore: Perciò vedi che il sangue ti manifesta l'amore che Dio t'ha. Egli è quello eterno Sposo che non muore mai; egli è somma sapienza, somma potenza, somma clemenza e somma bellezza, in tanto che il sole si maraveglia de la bellezza sua. Egli è somma purezza, in tanto che, quanto l'anima che è sua sposa più s'acosta a lui, tanto più diventa pura e monda d'ogni peccato e più sente l'odore de la virginità. E però la sposa che vede che egli si diletta de la purezza, studia d'acostarsi a lui col mezzo che più perfettamente la possa unire. Quale è questo mezzo? è l'orazione umile, fedele e continua: umile, dico, fatta nel cognoscimento di te; continua, per continuo santo desiderio; e fedele, per lo cognoscimento che hai avuto di Dio, vedendo che egli è fedele e potente a darti quello che adomandi; e somma sapienza, che sa; ed è somma clemenza, che ti vuole dare più che non sai adimandare.

Or con questo verrai a perfettissima pazienza in ogni luogo e in ogni tempo e stato che tu sei o sarai: e ne la infermità e ne la sanità, con bataglie e senza bataglie. Le quali bataglie non vorrei che tu però credessi che faccino l'anima immonda, se non in quanto la volontà le ricevesse per dilettazione, di qualunque bataglia si fusse. E però l'anima che sente la volontà averne pentimento, e non piacere, si debba confortare, e non venire a veruna confusione e tedio di mente, ma debba vedere che Dio gli permette per farla venire ad umilità, e per conservarla e crescerla in essa. Così voglio che facci tu.

Gode, gode, figlia, che Dio per sua misericordia ti fa degna di portare per lui; e reputatene indegna: e facendo così ti conformarai in ogni cosa con la volontà del tuo dolce Sposo. Compirassi a questo modo in te la volontà di Dio e il desiderio de l'anima mia, lo quale dissi che era di vederti con vera e santa pazienza. E così ti prego e voglio che sia, in ciò che piace al tuo dolcissimo Sposo di concederti. Per lo poco tempo non dico più.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.







82. Una dottrina a tre donne di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, poiché la divina bontà v'ha tratte del loto del mondo, non vogliate voltare mai lo capo indietro a mirare l'arato; ma sempre mirate a quello che v'è bisogno di fare per conservare in voi lo santo principio e proponimento che avete fatto.

Quale è quella cosa che ci conviene vedere e fare per conservare la buona voluntà? Dicovelo: che sempre abitiate nella cella del cognoscimento di voi, conoscendo voi non essere e l'essere vostro avere da Dio, i difetti vostri, e la brevità del tempo (lo quale tempo è tanto caro a noi poiché nel tempo si può acquistare la vita durabile, e perdarla, secondo che piace a noi; e passato il tempo neuno bene possiamo adoperare).

Dovete conoscere in voi la grande bontà di Dio, e l'amore ineffabile che egli v'ha, lo quale amore ve l'ha manifestato col mezzo del Verbo dell'unigenito suo Figlio: questo dolce e amoroso Verbo l'ha mostrato col mezzo del sangue suo. Unde noi siamo quello vasello che aviamo ricevuto il sangue, e quella pietra dove fu fitto lo gonfalone della santissima croce, poiché né croce né chiodi erano sufficienti - né terra - a tenere questo umile e amoroso Verbo confitto e chiavellato, se l'amore non l'avesse tenuto; ma l'amore che egli ebbe a noi lo tenne e fecelo stare in su l'albero della croce.

Ora conviene a noi che il cuore e l'affetto nostro sia inestato in lui per amore, se vogliamo participare il frutto del sangue. Allora l'anima, che sì dolcemente conosce Dio, ama quello che conosce della sua bontà, e odia quello che conosce di sé nella parte sensitiva; unde trae la vera umilità, la quale è balia e notrice della carità. Per questo va inanzi, e non torna adietro, crescendo di virtù in virtù; essercitandosi con la vigilia e con l'umile e continua orazione, col continuo santo desiderio, con buone e sante opere - le quali sono quella orazione continua che ogni persona che ha in sé ragione debba avere, oltre all'orazione particolare che si fa all'ore debite e ordinate -. Le quali in neuno modo si debbono lasciare - se non venisse caso d'obedienzia o per carità, ma per altro modo no -, né per battaglie né per sonnolenzia di mente né di corpo; ma debbasi destare il corpo con l'essercizio corporale, o in venie o in altri essercizii che avesseno a stirpare lo sonno, quando egli ha avuto il debito suo.

La sonnolenzia della mente si vuole destare co l'odio e pentimento di sé; con una combatte santa salire sopra la sedia della conscienzia vostra, riprendendo sé dicendo: «E dormi tu, anima mia? tu dormi e la divina bontà vegghia sopra di te: lo tempo passa e non t'aspetta. Vuoli tu essere trovata dormire dal giudice, quando ti richiedarà che tu renda ragione del tempo tuo, come tu l’hai speso, come sei stata grata al beneficio del sangue?». Allora si destarà la mente: poniamo che sapore di quello destare non sentisse, ella si pur desta e stirpa l'amore proprio dell'anima sua. Per questo modo va inanzi, levasi da la imperfezione e giugne alla perfezione alla quale pare che vogliate venire; poiché l'amore non sta ozioso, ma sempre aduopera grandi cose.

Facendo così vi vestirete del midollo della virtù e non solo dell'atto; gustarete la virtù della pazienza, che è il midollo della carità; godarete delle pene, pur che vi potiate conformare con Cristo crocifisso; portare le pene e gli obbrobrii suoi vi parrà godere. Fuggirete le conversazioni, e dilettaretevi della solitudine; non presumarete di voi, ma confidaretevi in Cristo crocifisso; non s'empirà la mente di fantasie, ma di vere e reali virtù, amandolo col cuore schietto e non fincto, libero e non doppio: ma in verità amarete lui sopra ogni cosa, e il prossimo come voi medesime. Né per molestie del demonio - che desse laidi e malvagi pensieri -, né per fragilità della carne, né per la molestia delle creature non verrete a tedio né a confusione di mente; ma con fede viva direte con Paulo: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13). Reputatevi degne della pena e indegne del frutto, per umilità.

Amatevi, amatevi insieme con una carità fraterna in Cristo dolce Gesù tratto dell'abisso della sua carità.

Altro non vi dico. Dio vi riempia della sua dolcissima grazia.

D'una cosa vi prego: che voi non andiate per molti consigli; ma pigliatene uno lo quale vediate che vi consigli coraggiosamente, e quello seguite, ché andare per molti è cosa pericolosa. Non che ogni consiglio che è fondato in Dio non sia buono, ma come i servi di Dio sono differenti in modi - poniamo che tutti sieno nell'affetto della carità -, così differentemente danno la dottrina: se assai ne cercano, con tutti si vorrebbero conformare, e quando venisse a vedere trovarebbesi vòto d'ognuno. E però è il meglio ed è necessario che l'anima si fondi in uno, e in quello s'ingegni d'essere perfetta; e nondimeno le piaccia la dottrina di ciascuno. Non che le vadi cercando per sé; ma debbale piacere i differenti e diversi modi che Dio tiene con le sue creature: averli in reverenzia, vedendo che nella casa del Padre nostro ha tante mansioni. Or vi bagnate e annegate nel sangue di Cristo crocifisso, dolce e buono Gesù amore.





83. A Conte di Conte da Firenze, spirituale, essendo per alcuno modo caduto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in te lo lume de la santissima fede, lo quale lume ci mostra la via della verità.

E senza esso neuno nostro essercizio, desiderio, o opera verrebbe a frutto né a perfezione, né a quello fine per mezzo del quale avessimo cominciato, ma ogni cosa verebbe imperfetta; lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo. La cagione è questa: che pare che tanto sia la fede quanto l'amore, e tanto l'amore quanta la fede. Chi ama, sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente lo serve fino a la morte.

O carissimo figlio, questo è quello lume che conduce l'anima a porto di salute, tra'la del loto de la miseria, e disolve in lei ogni tenebre di proprio amore: poiché in esso conosce quanto è spiacevole a Dio e nocivo a la salute, e però si leva con odio e caccialo fuore di sé. Con fede viva cognobbe che ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato; e però abraccia la virtù e spregia il vizio: con grande solicitudine diventa costante e perseverante in fino a la morte, in tanto che né demonio né creatura né la fragile carne il fanno voltare il capo adietro, quando questo lume perfettamente è ne l'anima. A la quale perfezione si viene con molto essercizio, con ansietato desiderio, e con profonda umilità.

La quale umilità l'anima acquista ne la casa del cognoscimento di sé, col mezzo de la continua umile e fedele orazione, con molte bataglie dal demonio e molestie da le creature e da sé medesimo, cioè da la perversa volontà, e da la fragile carne che sempre combatte contro lo spirito. A tutte risiste col lume de la santissima fede; col quale lume, ne la dottrina del Verbo, s'inamorò del sostenere pene e fatiche per qualunque modo Dio glile permettesse, non elegendo tempo né luogo né fatiche a modo suo, ma secondo che vuole la Verità eterna, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.

Ma perché ci permette queste fatiche e tante ribellioni? Perché si pruovi in noi la virtù; e affinché con lume cognosciamo la nostra imperfezione e l'aiuto che l'anima riceve da Dio nelle bataglie e fatiche; e affinché cognosciamo lo fuoco de la sua carità nella buona volontà che egli ha riservata ne l'anima, nel tempo de le tenebre e de le molestie e de le molte fatiche. Per questo cognoscimento che ha nel tempo de le fatiche, leva da sé la imperfezione de la fede e viene a perfettissima fede, per la molta esperienzia che n'ha avuta e provata, essendo ancora nel camino de la imperfezione. Questo lume tolle via in tutto la confusione de la mente: non tanto che nel tempo de le bataglie, ma eziandio se l'uomo attualmente fusse caduto in colpa di peccato mortale, di qualunque peccato si sia, la fede lo rilieva, perché col lume raguarda ne la clemenza, fuoco e abisso della carità di Dio, distendendo le braccia de la speranza; e con esse riceve e stregne il frutto del sangue, nel quale ha trovato questo dolce e amoroso fuoco, con una contrizione perfetta, umiliandosi a Dio e al prossimo per lui; e reputasi il più minimo e il più vile di tutti gli altri. E così spegne la colpa dentro ne l'anima sua per contrizione e speranza del sangue; al quale sangue fu introdutto dal lume de la fede.

Per questo modo viene a tanta perfezione e a tanto amore del divino e amoroso fuoco, che egli può dire insieme col dolce Gregorio: «O felice e avventurata colpa, che meritaste d'avere così-fatto redentore!» Fu felice la colpa di Adam? No, ma il frutto che per essa ricevemmo fu felice, vestendo Dio il suo Figlio de la nostra umanità e ponendoli la grandeobbedienza che restituisse a grazia l'umana generazione. Ed egli come inamorato corse a pagare il prezzo del sangue suo. Così dico de l'anima: la colpa sua non è felice, ma il frutto che riceve ne l'affetto de la carità, per la grande e perfetta emendazione che ci è fatta col lume de la fede, come detto è; e perché cresce in cognoscimento e umilità.

Ella se ne va tutta gioiosa a l'obedienzia dei comandamenti di Dio, ricevendo con odio e amore questo giogo sopra le spalle sue; e subito corre, come inamorata, a dare la vita, se bisogna, per salute de l'anime, perché col lume ha veduto che l'amore e le grazie, che ha trovate in Dio, a lui non può rendere. Puogli bene rendere amore, ma debito d'utilità no - per grazia che egli riceva da Dio -, poiché egli non ha bisogno di noi; ma può bene rendere al prossimo, facendo utilità a lui poiché a Dio non la può fare. E veramente egli è così, che servendo al prossimo caritativamente noi dimostriamo in lui l'amore che aviamo a la somma eterna verità. In questa carità si pruova se le virtù in verità sonno ne l'anima, o no. Sì che l'anima corre come obediente - e anegata la sua volontà - a compire la volontà di Dio nel prossimo suo, non lassando per pena né per veruna cosa, in fino a la morte.

Con questo lume gusta la caparra di vita eterna, nutrendosi per affetto d'amore al petto di Cristo crocifisso, dilettandosi di furare le virtù e la vita e maturità che ebbero i veri gustatori, cittadini de la vita beata, mentre che furono peregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Con questa fede si porta la chiave del sangue con la quale si diserra vita eterna. La fede non presumme di sé, ma del suo Creatore, perché non v'è il vento de la superbia con la propria reputazione; la quale reputazione, e superbia, immondizia, e ogni altro difetto e miseria, sonno i frutti de la infedeltà che aviamo verso di Dio, e de la presunzione di fidarci in noi medesimi, lo quale è uno verme che sta nascosto sotto la radice de l'albero de l'anima nostra. E se l'uomo non l'uccide col coltello de l'odio, rode tanto che egli fa torcere l'albero, o egli il manda a terra, se con grande diligenzia e umilità l'anima non si procura.

Spesse volte sarà l'uomo sì ignorante, per l'amore proprio di sé, che egli non s'avederà che questo verme vi sia nascosto; e però Dio permette le molte bataglie e persecuzioni, e che l'albero si torca, e alcune volte che caggia. Non permette la mala volontà, ma permeteli lo tempo; e lassalo guidare al libero arbitrio suo, solo perché egli ritorni a sé medesimo e con questo lume, umiliato, cerchi questo verme, e metta mano al coltello de l'odio, ed uccidalo. E non ha materia quella anima di rallegrarsi, e riconoscere la grazia che Dio l'ha fatta d'avere veduto e trovato in sé quello che non conosceva? Sì bene.

Sì che per ogni modo, carissimo figlio, in ogni stato che l'uomo è, o giusto o peccatore, o che sia caduto e poi si relevi, gli è necessario questo lume. Quanti sonno gli inconvenienti che vengono per non averlo? Non mi pongo a nararlo, né a dirne più, ché troppo sarebbe longo; basti per ora quello che n'è detto.

Quanto gli è utile e dilettevole ad averlo? Non tel so esprimere con lingua né con inchiostro; ma Dio tel faccia provare per la sua infinita misericordia. Così voglio che sia, e però dissi ch'io desideravo di vedere in te lo lume de la santissima fede.

Sommi molto maravigliata de le lettere che hai mandate a Barduccio: per nessuna cagione voglio che ti parta da la congregazione dei tuoi in Cristo fratelli - guarda già che tu non andassi al luogo perfetto de la religione -, né che tu venga mai a confusione di mente, ma tutto umiliato ti facci suddito al più minimo che v'è; né, per questo, lasciare che tu non porga a loro quella verità che Dio ti facesse conoscere. Or cominciamo testé di nuovo a pigliare i remedi sopradetti, affinché il demonio de la tristizia e confusione non asalisca l'anima vostra: ché peggio sarebbe l'ultima che le prime, e sarebbe grande offesa di Dio.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



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