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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:55

84. A frate Filippo di Vannuccio e a frate Nicolò di Piero da Firenze, de l'Ordine di Monte Oliveto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio de vedervi fondati in vera e santa pazienza, poiché senza la pazienza non sareste piacevoli a Dio, non portareste lo giogo della santaobbedienza, ma con impazienzia ricalcitrareste al prelato e all'Ordine vostro.

E pazienza non è mai se non in colui che sta in perfetta carità, unde colui che ama perde la malagevolezza che pare che sia in portare i costumi dell'Ordine, e le gravi obedienzie e alcune volte indiscrete. Ma poi che per l'amore la malagevolezza si parte, e con pazienza porta, è fatto subbitamente suddito e veramente obediente. Ed è umile, che per superbia non leva mai lo capo contro al prelato suo; e tanto sarà umile quanto obediente, e tanto obediente quanto umile. Oh quanto è dolce, figli carissimi, questa virtù della prontaobbedienza! La quale tolle ogni fatica, perché è fondata in carità; e carità non è senza pazienza né senza umilità, poiché ella è baglia e nutrice della carità.

Ma vediamo un poco lo frutto di questa virtù dell’obbedienza, se egli è frutto di vita o no; e quello che esce del disobbediente. Ogni creatura, figli carissimi, che ha in sé ragione, debba essere obediente ai comandamenti di Dio. La qualeobbedienza leva via la colpa del peccato mortale, e riceve la vita della grazia; poiché con altro strumento non si leva la colpa e non si fa la colpa. Nellaobbedienza si leva la colpa, poiché osserva i comandamenti della santa legge; e nella disobbedienza offende, perché trapassa quello che gli fu comandato e fa quello che gli è vetato; unde ne li nasce la morte ed sceglie subito quello che Cristo fuggì, e fugge quello che egli elesse.

Cristo fuggì le delizie e gli stati del mondo; ed egli le cerca - mettendo l'anima sua nelle mani delle demonia per potere avere e compire i suoi disordenati desiderii -, fuggendo quello che lo Figlio di Dio abracciò, cioè scherni strazii e rimproverii, i quali con pazienza portò infine alla obbrobriosa morte della croce, e umilemente, in tanto che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione, ma sostenne infine alla morte per compire l'obedienzia del Padre e la salute nostra. Ma colui che è obediente segue le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo, e cerca l'onore di Dio e la salute delle anime. Sì che vedete che ogni creatura che ha in sé ragione, se vuole la vita della grazia, si conviene che passi col giogo dell’obbedienza: ma attendete che questa è unaobbedienza generale, che generalmente ciascuno c'è obligato.

Ed è unaobbedienza particulare, la quale hanno coloro che, osservati i comandamenti, seguitano i consigli, volendo andare attualmente e mentalmente per la via della perfezione: questi sono quelli che entrano nel giardino della santa religione. Ma agevole cosa gli sarà a obedire all'Ordine e al prelato suo, a colui che ha osservato l'obedienzia generale, e da la generale è ito alla particulare. Unde se egli è ito con la voluntà morta, come debba, egli gode; e stando nell'amaritudine sente la dolcezza; e nel tempo della guerra gusta la pace; e nel mare tempestoso fortemente navica, poiché lo vento dell’obbedienza tanto forte mena l'anima nella navicella dell'Ordine, che neuno altro vento contrario che venisse la può impedire: non lo vento della superbia - poiché egli è umile, che altrimenti non sarebbe obediente -; non la impazienzia, poiché egli ama - e per amore s'è sottoposto all'Ordine e al prelato, e non tanto al prelato, ma a ogni creatura per Dio -; e la pazienza è lo midollo della carità. Unde nol può percuotere lo vento della infedelità, né della ingiustizia, poiché giustamente rende lo debito suo: a sé rende odio e pentimento della propria sensualità, la quale, se la ragione non tenesse lo freno in mano, ricalcitrarebbe all’obbedienza; e a Dio rende gloria e loda al nome suo; e al prossimo la benevolenza, portando e sopportando i difetti suoi.

Allora con fede viva - perché alla fede sono seguitate le opere - aspetta, nell'ultimo della vita sua, di tornare al fine suo nella vita durabile, sì come lo prelato gli promisse nella sua professione. Poiché egli promette di darli vita eterna, se in verità osserva i tre voti principali - cioèobbedienza continenzia e povertà voluntaria -, i quali tutti lo vero obediente osserva. Questa navicella va sì dritta verso lo porto di vita eterna col vento dell’obbedienza, che in neuno scoglio si percuote mai.

Molti scogli si trovano nel mare di questa tenebrosa vita, nei quali ci percotaremmo, se lo vento prospero dell’obbedienza non ci fusse. Or che duro scoglio è quello della 'mpugna deli demoni, le quali non dormono mai, volendo assediare l'anima di molte varie, diverse e laide cogitazioni; e più nel tempo che l'anima si vuole strignere e serrare con questo vento dell’obbedienza, con umile orazione - la quale orazione è uno petto dove si notricano i figli delle virtù -, solo per impedirla! Poiché la malizia del demonio lo fa solamente per farci venire a tedio l'orazione e la santaobbedienza, quasi volendo mettarci nel cuore una impossibilità di non potere perseverare in quello che è cominciato, né portare le fatiche dell'Ordine; e la paglia gli fa parere una trave, e una parola che gli sia detta nel tempo delle battaglie gli farà parere uno coltello, dicendoli: «Che fai tu in tante pene? meglio t'è di tenere altra via». Ma questa è una battaglia grossa a chi ha punto d'intelletto, poiché l'uomo vede bene che meglio è per l'anima sua che sia perseverante e costante nella virtù cominciata.



Ma un'altra ne pone, colorata col colore de l'odio e del cognoscimento del difetto suo, e dello schietto e puro servire che gli pare che deve fare al suo Creatore, dicendo nella mente sua: «O misero, tu debbi fare le tue opere e l'orazioni schiette, con purezza di mente e simplicità di cuore, senza altri pensieri; e tu fai tutto lo contrario, unde, perché tu non le fai come tu debbi, elle non sono piacevoli a Dio. Meglio t'è dunque di lassarle stare». Questa, figli carissimi, è una battaglia occulta, mostrandoci prima la verità di quello che è, e facendocela conoscere, ma poi di dietro v'attacca la bugia, la quale germina lo veleno della confusione. Unde, giunta la confusione, perde l'essercizio; e, perduto l'essercizio, è atto a cadere in ogni miseria, e, nell'ultimo, nella disperazione. E però lo demonio si fa tanto dinanzi, e tanto da lunga con sottile arte, cioè per giugnarlo qui, non perché egli creda che di primo colpo egli cadesse in quelle cogitazioni, cioè che v'aconsentisse.

Chi è colui che campa e non percuote in questo scoglio? Solo l'obediente, poiché egli è umile, e l'umile passa e rompe tutti i lacciuoli del demonio; sì che vedete che all'obediente non bisogna temere di timore servile per alcuna cogitazione o molestia del demonio. Tenga pur ferma la volontà, che non consenta, annegandola nel sangue di Cristo crocifisso, e legandola col legame della veraobbedienza, per amore e reverenzia dell’obbedienza del Verbo unigenito Figlio di Dio.

E trovasi lo scoglio della fragile e miserabile carne che vuole combattere contro allo spirito, la quale è vestita d'amore sensitivo; lo quale amore farebbe offendere, poiché la carne ha sempre in sé ribellione, e alcune volte si corrompe. Ma non sarebbe offesa se non in quanto la voluntà, legata col proprio amore sensitivo, consentisse alla fragile carne, e dilettassesi nel suo corrompere; ma se la voluntà è morta nell'amore sensitivo e nel proprio diletto, e legata nell'obedienzia, come detto è, con tutte le sue ribellioni non gli può nuocere, né impedire la navicella; anco è uno augmentare e dare vigore al vento, che più velocemente corra verso lo termine suo.

Poiché l'anima che si sente combattere si leva tale ora dal sonno della negligenzia, con odio e cognoscimento di sé e con vera umilità; che se così non fusse, dormirebbe nella negligenzia con molta ignoranza e presunzione, la quale presunzione notricarebbe la superbia, presumendo di sé medesimo alcuna cosa. Unde per le impugne diventa più umile; e già dicemmo che tanto è obediente quanto umile: se dunque cresce la virtù de l'umilità, cresce anco la virtù dell’obbedienza, sì che vedete che corre più velocemente.

Ècci anco lo scoglio del mondo, lo quale come ingannatore si mostra con molte delizie stati e grandezze, tutto fiorito; e non di meno egli ha in sé continua amaritudine, ed è senza alcuna fermezza o stabilità, ma ogni suo diletto e piacere viene tosto meno: sì come la bellezza del fiore, lo quale, quando è colto del campo, pare, a vederlo, bello e odorifero; e, colto, subito è passata la bellezza e l'odore suo, ed è tornato a non nulla. Così la bellezza e gli stati del mondo paiono uno fiore; ma subito che l'affetto de l'anima gli piglia con disordenato amore, si trova votio e senza bellezza alcuna, perduto quello odore che avevano in loro. Odore hanno in quanto elle sono escite dalla santa mente di Dio; ma subito l'odore è partito in colui che l'ha colte e possiede con disordenato amore, non per difetto loro né del Creatore che l'ha date, ma per difetto di colui che l'ha colte, lo quale non l'ha lassate nel luogo dove elle debbono stare, cioè d'amarle per gloria e loda del nome di Dio.

Chi lo passa questo scoglio? l'obediente, osservando lo voto della povertà voluntaria. Sì che vedete che non bisogna temere di veruno scoglio che sia, avendo voi lo vento della veraobbedienza. L'obediente gode, poiché non navica sopra le braccia sue, ma sopra le braccia dell'Ordine: egli è privato della pena affriggitiva, poiché ha morta la propria volontà che gli dava pena - ché tanto c'è fatica ogni fatica, quanto la voluntà le pare fatica -; ma all'obediente che non ha voluntà, la fatica gli è diletto, i sospiri gli sono uno cibo, e le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6). E ponendosi alle mammelle della divina carità, trae a sé lo latte della divina dolcezza per lo mezzo di Cristo crocifisso, seguitando in verità le vestigie e dottrina sua.

Oobbedienza, che sempre stai unita nella pace e nell'obedienzia del Verbo, tu sei una regina coronata di fortezza, tu porti la verga della lunga perseveranza, tu tieni nel grembo tuo i fiori delle vere e reali virtù; e, essendo l'uomo mortale, tu gli fai gustare lo bene immortale, ed essendo umano lo fai diventare angelico, e d'uomo angelo terrestro; tu pacifichi e unisci i discordanti. Tu, suddito agli più minimi: e quanto più ti fai suddito, più sei signore, perché signoreggi la propria sensualità; e hai spento l'amore proprio col fuoco della divina carità, poiché per amore sei obediente. De la cella t'hai fatto cielo, perché tu non esci della cella del cognoscimento di te; e in su la mensa della croce con l'obediente Agnello mangi l'onore di Dio e la salute delle anime. In te,obbedienza, non cade giudicio verso alcuna creatura, e singularmente nel prelato tuo; perché tu sei fatta giudice della dolce voluntà di Dio, giudicando che Dio non vuole altro che la tua santificazione, e ciò che dà e permette, dà per questo fine. Pigli la compassione del prossimo, ma non giudicio né mormorazione. Tu non vuoli investigare la voluntà di chi ti comanda, ma semplicemente, con simplicità di cuore condita con prudenzia, obedisci in quelle cose dove non ha colpa di peccato; e di nessuna cosa ti stolli mai. Bene è dunque che nell'amaritudine gusti la dolcezza, e nel tempo della morte la vita della grazia.

O carissimi figli, e chi sarà colui che non s'inamori di così dolci e suavi frutti quanti riceve l'anima nella virtù dell’obbedienza? Sapete chi ricevarà? Quelli che con l'occhio dell'intelletto e con la pupilla della santissima fede si specula nella verità, conoscendo in essa verità sé e la bontà di Dio in sé, nella quale bontà trova la eccellenza di questa dolce e reale virtù.

Chi è colui che non la vede? Chi non ha lo lume, e però non la conosce; non conoscendola, non l'ama; e non amandola non n'è vestito, ma è spogliato de l'obedienzia e vestito della disobbedienza. La quale disobbedienza dà frutto di morte, ed è uno vento traverso che fende la navicella, percotendola nelli scogli detti; unde l'anima affoga nel mare con molta amaritudine, per la privazione della grazia, trovandosi nella colpa del peccato mortale. Egli è fatto incomportabile a sé medesimo, privato della carità fraterna; egli trapassa lo voto promesso, e non l'osserva. Non osserva l'obedienzia né la continenzia, poiché impossibile sarebbe al disobbediente essere continente; e se fusse attualmente non sarebbe mentalmente. E non osserva lo voto della povertà voluntaria, poiché quelli che è nel proprio amore appetisce i diletti del mondo, e viengli a tedio l'orazione e la cella, dilettandosi della conversazione.

Oh quanta miseria n'esce! ed è fatto perditore del tempo; e volta lo capo indietro a mirare l'arato, e non persevera; ed è fatto debole, ché ogni picciola cosa lo dà a terra; e privasi d'ogni virtù; e sempre, come superbo, vuole investigare la voluntà altrui, e massimamente quella del suo prelato. La lingua, figli carissimi, non sarebbe sufficiente per potere narrare lo male che esce della disobbedienza: egli è impaziente che non può sostenere una parola; ed è atorniato di molti lacciuoli, e neuno ne passa, ma gusta in questa vita la caparra dell’inferno. Che dunque diremo? Diremo che ogni male esce della disobbedienza; perché è privato della carità e della virtù della umilità, che sono due ale che ci fanno volare a vita eterna; ed è privato della pazienza, che è lo midollo della carità, per la quale carità l'anima viene aobbedienza. Unde, considerando me che per altra via non possiamo fuggire tanti mali e venire a tanto bene quanto ci dà la virtù dell’obbedienza, dissi che io desideravo di vedervi fondati in vera e santa pazienza; poichéobbedienza non si può avere senza la pazienza, e la pazienza procede da la carità: poiché per amore è fatto paziente e obediente, unto di vera e perfetta umilità.

Or su, figli miei, poiché sete entrati nella navicella della santa religione corrite col vento prospero della veraobbedienza infine a la morte, a ciò che senza pericolo giugniate al termine vostro. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Racomandateci strettamente al priore, e a tutti cotesti figli; e voi siate specchio d'obedienzia. Gesù dolce, Gesù amore.





85. A Piero di Tommaso dei Bardi da Firenze.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza, poiché in altro modo non potreste essere piacevole al vostro Creatore, né participare la vita della grazia, poiché fede viva non è mai senza opera.

Che se fede fusse senza opera sarebbe morta (Jc 2,26), e parturirebbe i figli suoi delle virtù morti e non vivi, poiché colui che è senza lo lume della fede è privato della virtù della carità, e senza la carità neuno bene che facci, o atto di virtù, gli vale a vita eterna; bene che neuno bene si debba lasciare che non si facci, poiché ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. Poniamo che quello bene che è fatto in colpa di peccato mortale - che è privato allora del lume della santissima fede -, non gli vale quanto a vita eterna; ma valgli a molte altre cose, ricevendo grazia da Dio. Cioè che, non volendo la divina bontà che quello bene che aduopera l'uomo passi inremunerato, egli lo remunera alcune volte prestandoci lo tempo, nel quale tempo aviamo spazio di poterci correggere; o egli ci mette nei cuori dei servi suoi, costrignendoli a desiderio della salute nostra, unde per quello desiderio e orazione che fanno per noi usciamo delle tenebre del peccato mortale, e riducerenci allo stato della grazia; o egli lo remunera in cose temporali, se egli non si dispone per lo suo difetto a ricevere le spirituali. Sì che vedete che ogni bene è remunerato: e però non si debba lasciare lo bene, ma bene doviamo ingegnarci di farlo in grazia, a ciò che sia fatto col lume della fede; nel quale lume della fede si parturiscono i figli delle virtù vivi, cioè che danno nell'anima vita di grazia.

O glorioso lume, lo quale privi l'anima delle tenebre, e spoglila della speranza di sé e del mondo e dei figli e d'ogni creatura, e la rivesti della vera speranza la quale ha posta in Cristo crocifisso! E però non teme mai che gli manchi alcuna cosa, poiché col lume della fede ha cognosciuta la divina bontà in sé; unde conosce che Dio è potente a poterlo sovvenire, ed è sapientissimo che sa, ed è clementissimo che vuole sovvenire la sua creatura che ha in sé ragione. Chi spera in lui, non gli manca mai; ma a misura tanto ci provede quanto noi speriamo nella sua larghezza: unde tanto saremo proveduti quanto noi speraremo. E però, se l'uomo conosce sé con lume di fede, egli non si confida in sé né nel suo sperare, poiché conosce sé non essere manifestamente; che se alcuna cosa fusse da sé, egli potrebbe possedere - di quelle cose che egli ama - a suo modo: la quale cosa non è. Anco, quando vuole essere ricco, spesse volte gli conviene essere povero; vorrebbe la sanità e la lunga vita ed i gli conviene essere infermo, e viengli meno lo tempo. E però è stolto e maladetto colui che si confida nell’uomo, vedendo che egli alcuna cosa non è da sé, e vedendo che lo mondo e l'uomo nol serve se non per propria utilità. Chi dunque si vorrà confidare in loro sempre ne rimarrà ingannato, poiché a nessuna cosa gli tiene fede; che volendo aricchire, egli impovarisce l'anima sua, e sé e i figli della sustanzia temporale. Egli diventa disordenato e incomportabile a sé medesimo, desiderando quello che non debba desiderare; e l'animo che è disordenato a volere quello che non ha, ha sempre pena, poiché è privato del sommo bene, lo quale pacifica quieta e sazia l'anima.

O fratello e figlio carissimo, aprite l'occhio dell'intelletto col lume della santissima fede, a ciò che cognosciate la poca fermezza e stabilità del mondo, e la grande bontà di Dio, fermo e stabile che non si muove mai, lo quale sazia e notrica l'anima nell'affettuosa carità, e vestela di speranza - sperando nel suo dolce Creatore -. E sa bene che la divina bontà vede di quello che egli ha bisogno; e però offera lo desiderio e il bisogno suo a lui, servendolo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto suo (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27).

E la fatica del corpo dà a la fameglia, sovenendoli e aiutandoli di quello che può con buona e santa conscienzia; fa quello che può e l'avanzo lassa fare alla divina bontà, in cui egli ha posta la speranza sua, perché cognobbe col lume della fede la sua bontà e providenzia. In altro modo non vedo che potesse campare del loto del mondo senza lo lume della fede, unde trasse la speranza e l'affettuosa carità, gustando in questa vita la caparra di vita eterna, perché la volontà sua è vestita de la dolce volontà di Dio. E però vi dissi che io desideravo di vedervi illuminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza.

E così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che facciate voi e la donna vostra, a ciò che non stiate in stato di dannazione; e quello che non fusse fatto per lo tempo passato, io voglio che si facci per lo presente. E non aspettate lo tempo a cercare la salute vostra, poiché il tempo non aspetta voi; e però non dovete aspettare lui, facendo come lo corbo che dice cra cra. Così i perditori del tempo sempre dicono: domane farò; e così si trovano giunti alla morte, e non se n'aveggono. E allora vuole lo tempo, e nol può avere, quando ha speso lo tempo suo miserabilemente, con avarizia e cupidità e guadagni illiciti e con molta immondizia della mente e del corpo suo, contaminando lo sacramento del matrimonio; fassi Dio dei figli suoi, e, come cieco, pone la speranza dove non la die ponere. E così va di cecità in cecità, in tanto che, se non si corregge e non punisce la colpa con la contrizione del cuore e confessione e satisfazione, giusta al suo potere - la sua possibilità, e non la impossibilità, ché non la richiede Dio -, giogne all'eterna dannazione.

Voglio dunque che vi destiate dal sonno prima che venga la morte; e quello desiderio e lume che Dio v'ha dato non sia tolto da voi, ma con perseveranza l'essercitate col tesoro delle virtù e col lume della fede, e con la perfettissima speranza. E non pensate che la divina providenzia vi venga meno; ma sempre vi soverrà, sperando voi in lui in ogni vostro bisogno. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





86. All'abbadessa del monasterio di santa Maria delli Scalzi in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera carità, a ciò che siate vera notrice e governatrice delle vostre pecorelle.

Bene è vero che non potremmo notricare altrui se prima non notricassimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può notricare se non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza. A noi, carissima madre, conviene fare come fa il fanciullo, lo quale, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte; e così doviamo fare noi, se vogliamo notricare l'anima nostra: dovianci ataccare al petto di Cristo crocifisso, in cui è la madre della carità, e col mezzo della carne sua trarremo il latte che notrica l'anima nostra e i figli de le virtù: cioè per mezzo della umanità di Cristo, poiché nella umanità cadde e sostenne la pena, ma non nella deità.

E noi non possiamo notricarci, di questo latte che traiamo dalla madre della carità, senza pena; e differenti sono le pene, e spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal demonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a notricare a questo dolce e glorioso petto, unde ha tratto l'amore, vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo. E ne l'amore ha trovato l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre combatte contro allo spirito (Rm 7,23). Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sì sono i cruciati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo; poiché la carità fa questo, che ella s'inferma con quelli che sono infermi ed è sana con quelli che sono sani, ella piange con coloro che piangono e gode con coloro che godono (Rm 12,15); cioè, che piange con quelli che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con quelli che godono nello stato della grazia.

Allora ha presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affriggitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguire le vestigie di Cristo crocifisso; e allora gusta lo latte della divina dolcezza. E con che l'ha preso? con la bocca del santo desiderio; in tanto che, se possibile le fusse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - poiché le virtù hanno vita dal latte dell'afocata carità -, non vorrebbe. Ma più tosto sceglie di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; poiché non le pare che sotto il capo spinato debbino stare i membri delicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non scegliendo portare a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così non porta, ma il capo suo Cristo crocifisso n'è fatto portatore. Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità! la quale non cerca le cose sue, cioè che non cerca sé per sé ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuore di lui nulla vuole possedere.

E in ogni stato che ella è, ella spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è seculare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nella ricchezza volendo possedere in particulare; poiché ella vede che farebbe contro lo voto della povertà voluntaria, la quale promisse d'osservare nella sua professione.

E non si diletta né vuole la conversazione di coloro che le volessero impedire il voto della castità, anco gli fugge come serpenti velenosi; e mettesi in bando delle grate e del parlatòro e sbandisce la dimestichezza dei devoti; e ribandiscesi alla patria della cella, sì come vera e ligittima sposa, e ine acquista al petto di Cristo crocifisso la vigilia e l'umile e continua orazione. E non solamente l'occhio del corpo, ma l'occhio dell'anima vegghia in conoscere sé medesima, la fragilità e la miseria sua passata, e la dolce bontà di Dio in sé, vedendo sé essere amata ineffabilemente dal suo Creatore; unde allora le segue a mano a mano la virtù de l'umilità, e il santo e ardente desiderio, lo quale è quella continua orazione della quale Paulo ci ammaestra, dicendo che sempre doviamo orare senza intermissione (1Th 5,17). E al desiderio santo seguitano le sante e buone opere; e quelli è che non cessa d'orare, che non cessa di bene adoperare.

In cella fa mansione con lo sposo eterno, abracciando le vergogne e le pene per qualunque modo Dio glil concede; spregiando le delizie lo stato e l'onore del mondo; annegando la propria e miserabile voluntà; ponendosi dinanzi l'obedienzia di Cristo crocifisso, lo quale per l'obedienzia del Padre e per la salute nostra corse alla obbrobriosa morte della croce: sì che con l'obedienzia sua è fatta obediente. E così osserva il terzo voto dell’obbedienza, e mai non ricalcitra all’obbedienza sua, né vuole investigare la voluntà di colui che comanda, ma semplicemente osserva l'obedienzia. Or così fa lo vero obediente, ma il disobbediente sempre vuole sapere le cagioni e il perché gli è comandato; unde questa cotale non è mai osservatrice dell'Ordine, ma trapassatrice. Ma quella che è obediente, sel pone dinanzi come specchio; e inanzi sceglie la morte, che volerlo trapassare, sì che è perfetta suddita.

Quando ella ha a governare, ella è perfetta nello stato del reggimento, se ella ha notricata prima l'anima sua in virtù al petto di Cristo crocifisso. Allora, se ella è stata buona suddita, essendo poi posta a reggere è buona notrice delle sue figlie; e reluce in lei la margarita della giustizia, e gitta odore d'onestà, dando essemplo a loro di santa e onesta vita. E perché carità non è senza giustizia - anco è giusta l'anima che la possede giustamente -, rende a ciascuno il debito suo: a sé rende odio e pentimento di sé; a Dio rende per affetto d'amore gloria e loda al nome suo; e al prossimo rende la benevolenza, amandolo e servendolo in ciò che può. AI sudditi suoi rende a ciascuno secondo il suo stato: al perfetto gli aita ad aumentare la virtù; allo imperfetto e a quelli che commette difetto la correzione e punizione, poco e assai secondo la gravezza della colpa, e secondo che il vede atto a portare. Ma non lassa mai passare il difetto impunito; e con carità, e non per animo, gli vuole punire più tosto in questa vita che poi lo' sia punita nell'altra.

Ma pensate che se ella non avesse notricata l'anima sua, come detto è, non portarebbe la margarita de la giustizia, ma con molta ingiustizia menarebbe la vita sua; e, come ladra, furarebbe quello che è di Dio e darebbelo a sé, e così quello del prossimo; e non l'amarebbe se non per propria utilità. E le figlie sue non governarebbe se non a piacimento di sé o delle creature; e per non dispiacer-lo', farebbe vista di non vedere i difetti loro. O se correggesse con la parola, pigliarebbe poco lungo, poiché nol farebbe con ardire e sicurezza di cuore; poiché - perché la vita sua non è ordinata - germina paura e timore servile, e però non ha luogo il suo correggere.

Non ci vedo dunque altro modo se non di ponarci al petto di Cristo crocifisso - e per questo mezzo, nel modo detto, gustiamo lo latte della divina carità -, e qui fare il suo fondamento. Unde, considerando me che neuno altro remedio né via c'è, dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta carità; e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che v'ingegniate d'essere, a ciò che le pecorelle vostre sieno governate da voi con essemplo di buona e santa vita; e a ciò che le pecorelle che sono fuore dell'ovile della virtù ritornino all'ovile loro. Ritraetele da le conversazioni, e inanimatele alla cella, e fatele sollicite al coro, e al refettorio in comune e non in particulare. E se voi nol farete giusta al vostro potere, vi saranno richieste da Dio; e sopra alla ragione dei pesi vostri avarete a rendere la loro. Perciò, carissima madre, non dormite più, ma destatevi dal sonno della negligenzia. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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