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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 15:18
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19/10/2012 14:57

87. A monna Giovanna pazza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti portare realmente ciò che lo nostro dolce Salvatore ti permette.

E a questo cognosciarà la verità eterna che tu l'ami, poiché altro segno non gli possiamo dare del nostro amore se non d'amare caritativamente ogni creatura che ha in sé ragione, e di portare con vera e reale pazienza infine alla morte, non scegliendo né tempo né luogo a modo nostro ma a modo di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. Troppo sarebbe grande ignoranza che noi, infermi, dimandassimo la medicina al nostro medico Cristo che ce la desse secondo lo nostro piacere, e non secondo la sua volontà che vede e conosce quello che ci bisogna. Unde io voglio che tu sappi, figlia mia, che ciò che Dio ci dà e permette in questa vita lo fa o per necessità della salute nostra, o per acrescimento di perfezione; e però doviamo umilemente e con pazienza portare, e con reverenzia ricevere, aprendo l'occhio dell’intelletto, e raguardare con quanta carità e fuoco d'amore egli ce le dà; e vedendo che egli ce le dà per amore e non per odio, per amore le ricevaremo.

E tanto c'è necessaria questa virtù de la pazienza che ce la conviene procacciare, a ciò che non perdiamo lo frutto delle nostre fatiche; e dovianci levare da la negligenzia, e con sollicitudine andare colà dove ella si trova. E dove si trova? In Cristo crocifisso, poiché tanta fu la pazienza sua che lo grido suo non fu udito per alcuna mormorazione. I giudei gridavano «crucifigge!» (Mt 27,23 Mc 15,13-14 Lc 23,21), ed egli gridava «Padre, perdona a costoro che mi crucifiggono, ché non sanno che si fare» (Lc 23,34). O pazienza che ci desti vita, cioè che portando le nostre iniquità con pazienza le punisti in su lo legno de la croce sopra lo corpo tuo! Col sangue suo lavò la faccia dell'anima nostra; nel sangue sparto con fuoco d'amore e con vera pazienza ci recreò a grazia; lo sangue ricoperse la nostra nudità perché ci rivestì di grazia; nel caldo del sangue distrusse lo ghiaccio e riscaldò la tepidezza dell’uomo; nel sangue cadde le tenebre e donocci la luce; nel sangue si consumò l'amore proprio: cioè che l'anima, che raguarda sé essere amata, nel sangue ha materia di levarsi dal miserabile amore proprio di sé, e d'amare lo suo redentore che con tanto fuoco d'amore ha data la vita, e corso, come inamorato, alla oprobiosa morte della croce. Lo sangue c'è fatto beveraggio a chi lo vuole, e la carne cibo (Jn 6,55), perché in neuno modo si può saziare l'appetito dell’uomo, né tollarsi la fame e la sete, se no nel sangue. Ché, perché l'uomo possedesse tutto quanto lo mondo, non si può saziare, poiché le cose del mondo sono meno di lui; unde di cosa meno di sé saziare non si potrebbe, ma solo nel sangue si può saziare, poiché lo sangue è intriso e impastato con la deità eterna, natura infinita, maggiore che l'uomo.

E però l'uomo ine sazia lo desiderio suo, e col fuoco della divina carità: poiché per amore fu sparto.

Questo sangue fu dato a noi abbondantemente: l'ottavo dì doppo la sua natività fu spillata la botticella del corpo suo, che fu circunciso (Lc 2,21), ma era sì poco che anco non saziava la creatura; ma al tempo della croce si misse la canna nel costato suo, e Longino ne fu strumento, quando gli aperse lo cuore.

Votiata questa botte della vita del corpo suo - separandosi l'anima da esso corpo - lo sangue fu messo a mano, e bandito con la tromba della misericordia e col trombatore del fuoco dello Spirito santo, che chiunque vuole di questo sangue, vada per esso. Dove? A questa botte medesima, Cristo crocifisso; seguitando la dottrina e la via sua. Quale è la sua dottrina? Amare l'onore di Dio e la salute delle anime; e con pena, forza e violenzia della propria sensualità acquistare le virtù.

Che via ha a tenere chi vuole giognere al luogo e alla dottrina per avere lo sangue? E che vasello e lume gli conviene avere? Lo lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla che sta nell'occhio dell'intelletto; poiché se l'anima non avesse questo glorioso lume, smarrirebbe la via, sì come fanno gli uomini del mondo, che hanno acecato l'occhio dell'intelletto da la nuvola del proprio amore e tenarezza di sé, e però vanno per le tenebre come abaccinati. Costoro spregiano e schifano lo sangue, non tanto che vadino per esso. Convienci dunque avere lo lume, come detto è, e tenere per la via del vero cognoscimento di noi medesimi e del cognoscimento della bontà di Dio in noi, con odio del vizio e amore della virtù. Questa è una via ed è una casa dove l'anima conosce e impara la dottrina di Cristo crocifisso: in questa casa del cognoscimento di noi e di Dio troviamo lo sangue, dove noi troviamo lavata la faccia dell'anima nostra.

Che vasello ci conviene portare? Lo vasello del cuore; a ciò che come spogna, mettendo l'affetto del cuore nel sangue, tragga a sé lo sangue e l'ardore della carità con che fu sparto. Allora l'anima si inebria: poi che ha avuto lo lume, e andata per la via seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, gionta al luogo, ed empito lo vasello, gusta uno cibo di pazienza, uno odore di virtù, uno desiderio di sostenere, che non pare che si possa saziare di portare croce per Cristo crocifisso. E fa come l'ebbro, che quanto più beie, più vorrebbe bere; e così quest'anima quanto più porta, più vorrebbe portare. E il suo refriggerio le sono le pene; e le lacrime che ha tratte per la memoria del sangue le sono bevaraggio, e i sospiri le sono cibo (Ps 41,3 Ps 79,6).

Questa è la via e il modo di potere giognere a la grazia, e d'acquistare questa regina della pazienza, de la quale io ti dissi che io desideravo di vederti portare realmente ciò che la divina bontà ti permette, con vera e santa pazienza. Or su, carissime figlie, non stiamo più a dormire nel sonno de la negligenzia, ma entriamo nella bottega aperta del costato di Cristo crocifisso - dove noi troviamo lo sangue - con ansietato dolore e pianto dell'offesa di Dio. Non ci ha veramente luogo dove riposare lo capo (Mt 8,20 Lc 9,58), se non nel sangue e capo spinato di Cristo crocifisso. Ine dunque gittate saette d'ardente desiderio e d'umili e continue orazioni per onore di Dio e salute delle anime. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





88. Al vescovo di Firenze, cioè a quello da Ricasole.

Al nome di Gesù Cristo che per noi fu Crocifisso.

A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava di Dio e vostra, e di tutti i servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue, sparto con tanto ardentissimo amore per noi; bene che presunzione sia, voi mi perdonarete e ponretelo all'amore e al desiderio che io, misera miserabile, ho de la salute vostra e d'ogni creatura, e singularmente di voi, che sete padre di molte pecorelle.

E però vi prego dolcissimamente che vi destiate e leviate dal sonno de la negligenzia, imparando dal dolce maestro de la verità, che ha posta la vita come pastore vero per le pecorelle (Jn 10,11) che volontariamente udiranno la voce sua (Jn 10,3), cioè coloro che saranno osservatori dei comandamenti suoi. E se ci cadesse cogitazione nel cuore: «Io non posso seguire questa perfezione, ché mi sento debole e flagile e imperfetto; per la illusione del demonio e per la flagilità de la carne e per le lusenghe e inganni del mondo sono indebilito», e veramente, riverendo padre, è così, ché colui che segue questo diventa debole, e sì pavoroso e timoroso di timore servile, che, come fanciullo, teme dell'ombra sua; ma se è savio fugge a la madre, ine diventa sicuro e perde lo timore. Così questo cotale teme più l'ombra de la creatura, che è ombra sua, uomo come egli; in tanto abonda questo timore che non si cura, per non dispiacere a le creature e non perdare lo stato suo, che il suo Creatore sia offeso, o d'offendarli. Ma la inestimabile bontà ha posto rimedio contro ogni nostra debolezza con la sua ineffabile carità. Ella è quella dolcissima madre che ha per nutrice la profonda umilità; ella nutre tutti i figli de le virtù: nessuna può avere vita se non è conceputa e parturita da questa madre de la carità; e così dice quello inamorato di Pavolo, contando molte virtù, che nulla li vale senza la carità (1Co 13,1-3).

Perciò seguitate quelli veri pastori che seguitâro Cristo crocifisso - che furono uomini come voi -: e potente è ora come allotta, ché egli è incommutabile. Ma eglino tenevano le vestigie sue, ché, conoscendo la debolezza loro, fuggivano umili, abbattuta la superbia dell'onore e amore proprio di sé; fuggivano a la madre de la vera carità: ine perdevano ogni timore, non temevano di correggere i sudditi loro, poiché tenevano a mente la parola di Cristo: «Non temete colui che può uccidare lo corpo, ma me» (Mt 10,28 Lc 12,4-5). Non mi maraviglio, poiché l'occhio loro e il gusto non si pasceva di terra, ma dell'onore di Dio e de la salute de le creature. Volendo servire e amministrare le grazie spirituali e temporali, come di grazia avevano ricevuto, di grazia davano (Mt 10,8), non vendendo per pecunia né per simonia, ché facevano come buoni ortolani e lavoratori, posti nel giardino de la santa Chiesa. Non attendevano a giuochi né a grossi cavalli né a la molta ricchezza, né a spendare quello de la Chiesa nel disordenato vivere, e quello che die essare dei povari; ma stavano, come fortificati da questa madre, al vento e all'acque de le molte battaglie, a divellare i vizii e piantare le virtù. Perdevano sé e raguardavano lo frutto che portavano a Dio; erano privati de l'amore proprio, amavano Dio per Dio - perché è somma bontà e degno d'amore -, e sé per Dio - donando l'onore a Dio e la fatica al prossimo -, e il prossimo per Dio - non raguardando ad utilità che possa da lui ricevare, se non solo che possa avere e gustare Dio -.

Oimé oimé oimé, disaventurata l'anima mia, non fanno oggi così, ché, perché amano d'amore mercennaio, amano loro per loro e Dio per loro e il prossimo per loro; in tanto abonda questo perverso amore - lo quale più tosto si debbe chiamare odio mortale, perché ne nasce la morte (oimé, piangendo lo dico!) -, che non si curano de le immundizie, né di mercatare e vendare la grazia de lo Spirito santo.

Vegono i ladri che furano l'onore di Dio e dannolo a loro, oimé, e non lo impiccaranno per correggimento; vede lo lupo infernale portarne la pecora, e chiude gli occhi per non vederlo. E questa è la cagione che non vede e non corregge: o per amore proprio di sé, unde nasce lo disordenato timore; o perché si sente in quelli medesimi vizii, i quali gli legano la lingua e le mani, che nol lassano correggere né gastigare lo vizio.

Non vorrei, carissimo e reverendissimo e dolcissimo mio padre in Cristo Gesù, che questo divenisse a voi, ma pregovi che siate pastore vero a ponare la vita per loro (Jn 10,11). Però dissi che io pregavo e desideravo con grande desiderio che vi levaste dal sonno della negligenzia: chi dorme non vede e non sente; ed è bisogno di molto vedere e di molto sentire poiché avete a rendare ragione di loro, e sete in mezzo dei nemici: del corpo, del demonio e de le delizie del mondo. La necessità de la vostra salute v'invita a destarvi, e con lume seguire la vita i santi modi dei veri pastori: acostatevi a questa dolce madre de la carità, la quale vi torrà ogni timore e strettezza di cuore; daravi fortezza e larghezza e libertà di cuore, in Dio fortificato e conformato; e faràvi una cosa con lui, poiché Dio è carità (1Jn 4,8): chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui (1Jn 4,16).

Perciò, padre, poi che aviamo veduto che la carità fortifica, e tolleci la debolezza, i nemici sono molti che ci assediano, non è da indugiarci a intrare in questa fortezza, seguitando la via de la verità e degli altri pastori. Non aspettate lo dì di domane, ma pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che vi rechiate inanzi la brevità del tempo, ché non sapete se avrete lo dì di domane: ricordivi che voi dovete morire e non sapete quando.

Non dico più, padre, se non che perdoniate a me misera miserabile, che, perché sete padre dei povari, e perché mi pregaste e facestemivi promettare che la prima limosina che mi venisse a le mani io vi richiedessi, però io m'ardisco e richeggio voi, sì come padre dei povari, e per adempire la promessa che io vi feci: ho per le mani una grandissima limosina, cioè del monisterio di Santa Agnesa, del quale altra volta vi scrissi, e sono buone e santissima fameglia e in grande bisogno; ma tra gli altri è questo che, essendo lo monisterio di fuore, s'è ordenato che torni dentro per cagione de le brighe e guerre, ma vuole per lo comincio cinquanta fiorini d'oro per la parte del monisterio, e gli altri mette lo comune. Io vi scrivo la necessità loro: ora vi prego e vi strengo che isforziate lo potere quanto potete. Dio sia nell'anima vostra.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù Gesù.





89. A Bartalo Usimbardi e a Francesco sarto predetto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti dei beneficii ricevuti dal vostro Creatore, a ciò che in voi si notrichi la fonte de la pietà.

Questa gratitudine vi farà solliciti a essercitarvi a la virtù, poiché, come la ingratitudine fa l'anima pigra e negligente, così questa dolce gratitudine le dà fame del tempo, in tanto che non passa ora né punto che ella non lavori. Da questa gratitudine procede ogni vera virtù: chi ci dà carità? chi ci fa umili e pazienti? solo la gratitudine. E perché vede il grande debito che ha con Dio, s'ingegna di vivere virtuosamente, poiché conosce che Dio non ci richiede altro. E però, figli miei dolci, recatevi con grande sollicitudine a memoria i molti beneficii ricevuti da lui, affinché perfettamente acquistiate questa madre de le virtù.

Ebbi in questi dì le vostre lettere, cioè una da Bartalo, una da Francesco, e una da monna Agnesa, le quali viddi volentieri. Rispondovi, de la spesa del privilegio, che ogni cosa ha pagato lo sangue di Cristo crocifisso, e però neuno denaio ci bisogna, ma voglio che vi costi lacrime cordiali e orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra, e che voi preghiate ogni dì strettamente Dio per lui. E bene confesso che se noi dessimo lo nostro corpo ad ardere, non potremmo satisfare a tanta grazia quanta Dio ci ha fatta, ché in questa vita aviamo la certezza de la nostra salute, se noi avremo viva fede, e saremo grati e conoscenti: ma lo nostro dolce Dio non ci richiede più che noi possiamo fare. Siatemi virtuosi, e brigate di crescere per modo che io me n'avegga.

Mandovi per sere Giacomo Manni, portatore de questa lettera, lo privilegio con la bolla papale, in sul quale è monna Pavola del monasterio da santo Giorgio, e monna Andrea sua serva; e setevi su voi quattro, cioè Bartalo e monna Orsa, e Francesco e monna Agnesa. E però, quando l'avete ricevuto, fatene levare i vostri nomi per carta al vescovado come bisogna; e il privilegio darete a monna Pavola quando sarà tornata, che ora è qua.

Ho inteso come Giannozzo è preso; non so quanto vi starà. Piacemi quello che voi, Francesco, me ne scrivete, cioè di non abandonarlo mai; e così vi comando, per parte di Cristo crocifisso, che molto spesso lo visitiate, confortiate, e soveniate in ciò che v'è possibile: pensate che Dio non ci richiede altro se non che sopra lo prossimo nostro manifestiamo l'amore che aviamo a lui. Io vel racomando strettamente, e diteli per mia parte che sia buono cavaliere ora che Dio l'ha messo in campo; e il suo combattere sia la vera pazienza, chinando per umilità lo capo a la dolce voluntà di Dio. Molto lo confortate per mia parte e di tutta questa fameglia, i quali tutti gli hanno grande compassione. Quando Dio lo permettarà gli scriverò una lettera; diteli che faccia ciò che può per spacciarsi tosto, e non miri perché non abbi a pieno sua intenzione. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Benedite i fanciulli. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì 8 di maggio, in Roma.



90. A madonna Laudomia donna di Carlo delli Strozzi da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vera serva di Cristo Crocifisso: lo quale servire non è servire ma è regnare, e fa l'anima libera traendola della servitudine del peccato; tolleci la cecità e dacci perfetto lume; tolleci la morte e dacci la vita della grazia; dacci pace e quiete, privandoci d'ogni guerra; e vesteci e saziaci del vestimento della carità e del cibo dell'Agnello (lo quale Agnello fu cotto e arrostito in su lo legno della santissima croce, col fuoco dell'amore de l'onore del Padre e della salute nostra); e fa l'uomo sicuro, tollendoli ogni timore servile. Perciò bene è grande dolcezza e inestimabile dignità questo dolce servire a Dio: bene doviamo dunque con vera e perfetta sollicitudine servirli con tutto lo cuore e con tutto l'affetto.

Ma attendete che questo signore non vuole compagnia, né essere servito a mezzo, ma a tutto; poiché impossibile sarebbe di servire a Dio e al mondo. E così disse Cristo benedetto: «Neuno può servire a due signori; poiché servendo all'uno, egli è in contempto all'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13), perché non hanno conformità insieme. Lo mondo dà tutto lo contrario che quello che noi aviamo detto: poiché chi serve alla propria sensualità, delizie, stati e ricchezze, onori e diletti sensitivi, o figli, o marito, o alcuna creatura, d'amore sensuale - cioè d'amarli per propria sensualità fuore di Dio -, egli gli dà la morte, cecità e nudità, perché lo fa privare del vestimento della carità, e dàgli vergogna, perdendo la sua dignità. E ha venduto lo libero arbitrio suo al demonio, e legatolo alla servitudine del peccato, ponendo l'affetto e l'amore suo in cosa che è meno di sé, e però pecca offendendo Dio: poiché tutte le cose create sono fatte perché servano a noi, e noi per servire a Dio. Dandoci dunque a servire a loro fuor di Dio, offendendo divento servo e schiavo del peccato, che non è; e divento non nulla, perché sono privato di Dio, che è Colui che è (Ex 3,14). Convienci dunque al tutto renunziare al mondo, e servire a Dio.

Ma perché è tanto contrario lo mondo a Dio? Perché Cristo benedetto c'invita e c'insegna a servirlo con povertà volontaria; poiché se l'uomo possiede le ricchezze attualmente, non le debba possedere mentalmente, cioè col desiderio, ma debbasi spogliare l'affetto d'ogni cosa terrena. Lo mondo ama superbia, e Dio umilità; e tanto gli piacque questa virtù, che noi vediamo che Dio s'è umiliato a noi, e il Figlio suo con grande umilità e pazienza è corso infine all'oprobiosa morte della croce per noi. Egli c'invita e richiede la virtù della vera pazienza, con speranza e fede viva: paziente, dico, a portare ciò che Dio ci concede, e per l'amore suo perdonare a chi ci offende. Lo mondo vuole tutto lo contrario; poiché vuole vendicare e stare con l'odio e rancore verso lo prossimo suo. La speranza e la fede debba essere posta in Dio, che è cosa ferma e stabile, e non nelle creature; ma fidarsi ed essere fedele a Cristo Crocifisso e non alla propria sensualità (e allora averà fede viva quando parturirà i figli vivi delle virtù di sante e buone opere). Dio ama giustizia, e il mondo ingiustizia; facciamo dunque, facciamo una santa giustizia di noi medesimi: quando lo sentimento nostro sensitivo vuole ribellare al suo Creatore, levisi con affetto d'amore e col lume della conscienzia, e accusilo al signore, cioè al libero arbitrio; e leghilo col legame de l'odio; e col coltello del divino amore l'uccida.

Or così facciamo, carissima sorella, poiché, facendo così, saremo servi fedeli; ed essendo servi, saremo signori. Avete veduto in quanta eccellenza e utilità ne viene l'anima, di questo servire; e senza esso non possiamo avere lo fine per mezzo del quale noi fummo creati. E anco aviamo veduto quanto è pericoloso e a quanta viltà e miseria si conduce l'anima che serve al mondo e a le delizie e diletti suoi. Aviamo ancora veduto per che cagione non hanno conformità insieme: perché sono molto variati l'uno da l'altro. Cristo ama la virtù, e odia il peccato; e tanto l'amò e odiò che, per vestircene noi, si spogliò sé della vita, fabricando le iniquitadi nostre sopra al corpo suo, con molti fragelli e pene, vergogna e vituperio, e nell'ultimo la penosa morte della croce. Poi, dunque, che tanto gli dispiace lo peccato, dovianlo fuggire e odiarlo infine alla morte; poiché in altro modo non offende l'anima se non in amare quello che Dio odia, e in odiare quello che egli ama.

Or leviamo dunque lo santo desiderio, e con affetto d'amore serviamo a Dio, spogliando lo cuore d'ogni vanità e amore disordenato di figli, di marito, e di ricchezze; e possedetele e amatele come cose prestate a voi, poiché ogni cosa v'è dato in presta e per uso; e tanto vi bastano quanto piace a Dio che ve l'ha date. Cosa sconvenevole è di possedere la cosa che non è sua per sua; ma la divina grazia è nostra, e dovianla possedere per nostra. Bene è nostra la cosa che demonio né creatura ce la può togliere se noi non vogliamo; e bene è ignorante colui che esso medesimo si priva di così grande tesoro. Or non ce ne facciamo caro, poiché n'è sì grande divizia. E a ciò che meglio lo potiate avere e conservare, nascondetevi nelle piaghe di Cristo Crocifisso, e bagnatevi nel sangue prezioso suo. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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