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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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Sesso: Femminile
19/10/2012 15:30

110. A madonna Stricca donna di Cione di Sandro dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva fedele del vostro Creatore, fondata in vera e santa pazienza. E pensate che in altro modo non potreste piacere a Dio.

Noi siamo pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, e senza alcuna stanzia di tempo corriamo verso lo termine de la morte, onde ci conviene avere lo lume della santissima fede, a ciò che, senza impedimento di tenebre, possiamo giognere al termine nostro. Ma vuole essere fede viva, cioè con sante e buone opere, poiché dicono i santi che la fede senza l'opera è morta (Jc 2,26).

Poi che noi aviamo creduto che Dio è Dio, e che egli ci ha creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e che egli ci ha dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, nato del ventre dolce di Maria, e morto in su lo legno della santissima croce per tollarci la morte e darci la vita de la grazia (la quale perdemmo per la disobbedienza di Adam; e con l'obedienzia del Verbo tutti contraiamo la grazia, sì come in prima contraemmo tutti la morte per lo primo peccato), subito allora che l'anima ha acquistato così dolcemente lo lume della fede, vedendo tanto amore ineffabile quanto Dio le porta (e per darci anco speranza della nostra resurrezione, la quale avaremo nell'ultimo dì del giudicio, egli ha manifestata la resurrezione sua), l'anima s'innamora a tanto lume e a tanta dolcezza d'amore quanto vede che Dio gli ha.

E comincia a vedere con questo medesimo occhio, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione (1Th 4,3); e ciò che egli ci dà e permette in questa vita, dà per questo fine; e tribulazioni e consolazioni, ingiurie, scherni e villania, persecuzioni dal mondo e tentazioni dal demonio, fame e sete, infermità e povertà, prosperità e delizie, e ogni cosa, permette per nostro bene. La ricchezza ci permette perché ne siamo dispensatori ai povari; le delizie e stati del mondo, non perché noi leviamo lo capo per superbia, anco molto maggiormente ci doviamo umiliare, con uno santo ringraziamento della divina bontà; la tribolazione - da qualunque lato ella viene - e povertà, ce la dona perché noi veniamo a vera e perfetta pazienza, e perché cognosciamo la poca fermezza e stabilità del mondo, a ciò che noi ne leviamo l'affetto e il desiderio nostro e sia posto solamente in Dio, con le vere e reali virtù.

E così ricevaremo lo frutto delle nostre fatiche; poiché ogni fatica che noi sosteniamo per lo suo amore è remunerata, e serbatoci lo frutto nella vita durabile, dove ha vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio, e fame senza pena (così dice santo Agostino: dilonga è lo fastidio dalla sazietà, e dilonga è la pena da la fame): nell'altra vita ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita.

Perciò l'anima che ha questa viva fede, parturisce le vere e sante opere, ed è veramente paziente a sostenere ogni pena e fatica per Dio e per remessione dei peccati suoi; anco ha in reverenzia ogni pena, considerando chi è colui che le dà, e perché le dà, e a cui le dà. Chi è colui che le dà? è Dio, somma ed eterna bontà; non per odio, ma per singulare amore. Così disse egli ai discepoli suoi: «Io vi mando a essere perseguitati e martirizzati nel mondo, non per odio, ma per singulare amore. E di quello amore che lo Padre mio ha amato me, di quello io amo voi (Jn 15,9), poiché - perché egli m'amasse di singulare amore - egli mi mandò a sostenere la pena oprobiosa della santissima croce». Dico: perché le dà? Per amore, come detto è, e per nostra santificazione, a ciò che siamo santificati in lui. Noi chi siamo, a cui sono date queste fatiche? Siamo coloro che non siamo; ma per la colpa nostra siamo degni di cento migliaia d'onferni, se tanti ne potessimo ricevere. Poiché, perché noi offendiamo lo bene infinito, dovarebbe seguire una pena infinita; e Dio per misericordia ci punisce nel tempo finito, dandoci pena finita, poiché tanto bastano le tribulazioni in questa vita, quanto lo tempo, e più no; e però ogni grande fatica è piccola per la brevità del tempo.

Lo tempo nostro, dicono i santi, è quanto una punta d'aco; la vita dell’uomo è non nulla, tanto è poca.

Perciò ogni grande fatica è piccola: la fatica che è passata, noi non l'aviamo; e quella che deve venire, noi non siamo sicuri d'averla, perché non siamo sicuri d'avere lo tempo. Solo dunque questo punto del presente c'è, e più no. Or su, figlia dolcissima, levatevi dal sonno; e non dormiamo più, ma seguitate con fede viva le vestigie di Cristo Crocifisso, con vera e santa pazienza. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





111. A madonna Biancina, donna che fu di Giovanni d'Agnolino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato il cuore e l'affetto vostro del mondo e di voi medesima, poiché in altro modo non vi potreste vestire di Cristo crocifisso; poiché il mondo e Dio non hanno conformità insieme.

L'affetto disordinato del mondo ama la superbia, e Dio l'umilità; egli cerca onore stato e grandezza, e Cristo benedetto le dispregiò, abracciando vergogne scherni e villanie, fame e sete, freddo e caldo, fino alla obbrobriosa morte della croce: e con essa morte rendé onore al Padre e noi fummo restituiti a grazia.

Egli cerca di piacere alle creature, non curando di dispiacere al Creatore; e Cristo non cercò mai se non di compire l'obedienzia del Padre eterno per la nostra salute. Egli abracciò e vestissi della povertà voluntaria; e il mondo cerca le grandi ricchezze. Bene è dunque differente l'uno dall'altro; e però di necessità è che se il cuore è vestito del mondo, sia spogliato di Dio, e se egli è spogliato del mondo, sia pieno di Dio. Così disse il nostro Salvatore: «Nessuno può servire a due signori, ché se serve a l'uno, è in contempto a l'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13). Dobiamo dunque con grande sollicitudine levare il cuore e l'affetto da questo tiranno del mondo, e ponerlo tutto libero e schietto sanza veruno mezzo in Dio: non doppio, né amare fittivamente, poiché egli è il dolce Dio nostro, che tiene l'occhio suo sopra di noi, e vede l'occulto secreto del cuore.

Troppo è grande simplicità e mattezza la nostra, che noi vediamo che Dio ci vede ed è giusto giudice, che ogni colpa punisce e ogni bene remunera; e noi stiamo come accecati sanza veruno timore, aspettando quel tempo che noi non abiamo, né siamo sicuri d'avere. E sempre ci andiamo attaccando: se Dio ci taglia uno ramo, e noi ne pigliamo un altro. E più ci curiamo di queste cose transitorie che passano come il vento e delle creature, di non perderle, che noi non ci curiamo di perdere Dio. Tutto questo adiviene per lo disordinato amore che noi ci abiamo posto, tenendole e possedendole fuori della voluntà di Dio. In questa vita ne gustiamo la caparra de l'inferno; perché Dio ha permesso che chi disordinatamente ama, sia incomportabile a sé medesimo. Sempre ha guerra nell'anima e nel corpo. Pena porta per quello che ha, per timore che egli ha di non perderlo; e per conservarlo, che non gli venga meno, s'affatiga il dì e la notte.

Pena porta di quello che non ha, perché appetisce d'avere, e non avendo ha pena. E così l'anima mai non si quieta in queste cose del mondo, perché sono tutte meno di sé. Elle sono fatte per noi, e non noi per loro; ma noi siamo fatti per Dio, affinché gustiamo il suo sommo ed eterno bene.

Solo Perciò Dio la può saziare; in lui si pacifica, e in lui si riposa, poiché ella non può desiderare né volere veruna cosa, che ella non la truovi in Dio. Trovandola non le manca che in lui non truovi la sapienza e la bontà a sapergliele e volergliele dare. E noi il proviamo: che non tanto che egli ci dia adimandando, ma egli ci dié prima che noi fossimo, ché, non pregandolne mai, ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreocci a grazia nel sangue del suo Figlio. Sì che l'anima si pacifica in lui, e non in altro: perché egli è colui che è somma ricchezza, somma sapienza, somma bontà e somma bellezza. Egli è un bene inestimabile, che nessuno è che possa stimare la bontà, grandezza e diletto suo; ma esso medesimo si comprende e si stima. Sì che egli sa, può e vuole saziare e adempire i santi desiderii di chi si vuole spogliare del mondo, e vestirsi di lui.

Perciò non voglio che dormiamo più, carissima madre, ma destianci dal sonno, ché il tempo nostro s'approssima verso la morte continuamente. Le cose transitorie e temporali, e le creature, voglio che teniate per uso, amandole e tenendole come cose prestate a voi, e non come cosa vostra. Questo farete traendone l'affetto, e altrimenti no. Traresene conviene, se voliamo participare il frutto del sangue di Cristo crocifisso. Considerando io che altra via non ci è, dissi che io desiderava di vedere il cuore e l'affetto vostro spogliato del mondo: a questo mi pare che Dio v'inviti continuamente etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





112. A la contessa Bandecca, figlia che fu di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva e sposa di Cristo Crocifisso, considerando me che il servire a Dio non è essere servo, ma regnare: non è fatta come la perversa servitudine del mondo, la quale servitudine fa invilire la creatura e falla serva e schiava del peccato e del demonio, lo quale peccato, che è non nulla, fa venire l'uomo a non nulla.

Sappi, carissima e dolce figlia, che l'anima che serve a le creature e a le ricchezze fuore di Dio - cioè che disordinatamente appetisce e desidera le ricchezze stati e delizie del mondo e vanità, con piacere di sé medesimo, che tutte sono vane e senza veruna fermezza o stabilità, sì come la foglia che si vòlle al vento -, cade ne la morte e avilisce sé medesima, poiché si sottomette a quelle cose che sono minori di sé: ché tutte quante le cose create sono fatte in servigio de la creatura, e la creatura che ha in sé ragione è fatta per servire al suo Creatore. E però noi c'inganniamo, ché quanto più l'uomo appetisce queste cose transitorie, tanto più perde quella dolce signoria che s'acquista per servire al suo Creatore, e sottomettesi a quella cosa che non è - ché amando disordinatamente fuore di Dio, offende Dio -: sì che bene è verità che per la servitudine del mondo veniamo a non nulla.

Oh come è matto e stolto colui che si dà a servire colui che non tiene signoria se non di quella cosa che non è, cioè del peccato! Lo demonio non signoreggia se non coloro che sono operatori de le iniquitadi; e in che modo gli signoreggia? Per tormento, dando-lo' suplicio ne la eterna dannazione. E il mondo - ciò sono i disordinati affetti che noi poniamo al mondo, ché le cose del mondo in sé sono buone, ma la mala volontà di chi l'usa le fa gattive, tenendole e desiderandole senza timore di Dio, le quali cose sono i famigli che ci legano in tormento col demonio: dico che questa servitudine dà la morte; tolle lo lume de la ragione, e dà tenebre; priva della ricchezza de la grazia, e dà la povertà del vizio.

Non voglio, figlia mia, poiché tanto è pericoloso, che tu ti dia a la perversa servitudine del mondo, ma voglio che tu sia vera serva di Cristo crocifisso, lo quale t'ha ricomprata del prezioso sangue suo. Egli è il dolce Dio nostro, che ci creò a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26), egli ci ha donato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio per tollerci la morte e darci la vita; col sangue suo ci tolse la servitudine del peccato, e àcci fatti liberi traendoci de la signoria del demonio che ci possedeva come suoi. Lo sangue ci ha fatti facciorti, e àcci messi in possessione di vita eterna, poiché i chiodi ci sono fatti chiave che ha disserrata la porta che stava chiusa per lo peccato che era commesso. Questo dolce Verbo, salendo a cavallo in su lo legno de la santissima croce, come vero cavaliere ha sconfitti i nemici e messi noi in possessione de la vita durabile, per sì-fatto modo che né demonio né creatura ce la può togliere se noi non vogliamo. Perciò bene è dolce questa servitudine, e senza questa servitudine non possiamo participare la divina grazia, e però dissi che io desideravo di vederti serva e sposa di Cristo crocifisso.

Subito che tu sei fatta serva - poiché lo servire a Dio è regnare - a mano a mano diventi sposa; voglio dunque che tu sia sposa fedele che tu non ti parta da lo Sposo tuo, amando né desiderando veruna cosa fuore di Dio. Ama questo dolce e glorioso Sposo che t'ha data la vita, e non muore mai; gli altri sposi muoiono, e passano come lo vento, e spesse volte sono cagione de la morte nostra. E tu hai provato che fermezza egli ha, ché in picciolo tempo due calci t'ha dato lo mondo: questo ha permesso la divina bontà perché tu fugga dal mondo, e refugga a lui sì come a padre e sposo tuo. Fugge lo veleno del mondo, che ti si mostra uno fiore; mostrasi uno fanciullo, ed egli è uno vecchio; mostra la longa vita, e ella è breve; pare che egli abbi alcuna fermezza, e egli è volubile, sì come la foglia che si vòlle al vento. Tu hai bene veduto che fermezza non ebbe in te; e così ti pensa che ti farà lo simile se tu te ne fidi più, ché così è mortale l'ultimo come lo primo.

Levati su da ogni tenerezza e amore proprio di te, e entra ne le piaghe di Cristo crocifisso, dove è perfetta e vera sicurezza. Egli è quello luogo dolce dove la sposa empie la lampana del cuore suo - ché drittamente lo cuore è una lampana -: lo quale debba essere sì come la lampana, che è stretta da piei e larga da capo; cioè che il desiderio e affetto suo sia ristretto al mondo, e largo di sopra: cioè dilargare lo cuore e l'affetto suo in Cristo crocifisso, amandolo e temendolo con vera e santa sollicitudine. Allora empirai questa lampana al costato di Cristo crocifisso, trovando lo fuoco de la divina carità lo quale t'è manifesto per le piaghe di Cristo; e il costato ti mostra lo secreto del cuore, che quello che egli ha dato e fatto a noi, ha fatto per proprio amore. Ine si trova la vera e profonda umilità, che è l'olio che nutre lo fuoco e il lume nel cuore de la sposa di Cristo.

Che maggiore larghezza d'amore puoi trovare, che vedere che egli abbi posta la vita per te? E che maggiore bassezza si può vedere o si trovò mai, che vedere Dio umiliato all'uomo, e Dio e Uomo corso alla obbrobriosa morte de la croce? Questa umilità confonde ogni superbia delizie e grandezze del mondo; questa è quella virtù piccola che è baglia e nutrice de la carità. Allora è ricevuta la sposa da lo Sposo suo, e messa ne la camera dove si trova la mensa lo cibo e il servidore. La camera è la divina essenzia, dove si notricano i veri gustatori: ine si gusta lo Padre eterno, che è mensa; e il Figlio è il cibo; e lo Spirito santo ci serve; e così gusta e si sazia l'anima, in verità, dell'eterna visione di Dio.

Or non dormire più, destati dal sonno de le delizie del mondo, e segue lo tuo diletto Cristo; e non aspettare lo tempo, ché tu non sei sicura d'averlo, poiché ti viene meno. Ché tale ora crediamo noi vivere, che ne viene la morte e tolleci lo tempo; e però chi fusse savio non perderebbe lo tempo che egli ha per quello che non ha.

Risponde a Dio che ti chiama, col cuore fermo e stabile; e non credere né a madre né a sorella né a fratello né a corpo di creatura che ti volesse impedire, ché tu sai che in questo non doviamo essere obedienti a loro. E così dice lo nostro Salvatore: «Chi non renunzia al padre e a la madre, a sorella e a fratelli (Mt 10,37 Lc 14,26), e a sé medesimo (Lc 14,26 Mt 16,24 Mc 8,34 Lc 9,23), non è degno di me».

Conviensi dunque renunziare a tutto lo mondo e a sé medesimo, e seguire lo gonfalone de la santissima croce. Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

A te dico, figlia mia, che se tu vorrai essere sposa vera del tuo Creatore, che tu esca de la casa del padre tuo; e disponti di venire, quando lo luogo sarà fatto che già è cominciato e fassi di forza - cioè lo monasterio di Santa Maria degli Angeli a Belcaro -: se tu lo farai, giognerai in terra di promissione. Altro non dico. Dio ti riempia de la sua dolcissima grazia.







113. Alla contessa Bandecca figlia di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti facciondata in vera e perfetta carità; la quale carità è uno vestimento nuziale che ricuopre ogni nostra nudità, e nasconde le vergogne nostre - cioè lo peccato lo quale germina vergogna lo spegne e consuma nel suo calore -; e senza questo vestimento non possiamo intrare alla vita durabile, a la quale noi siamo invitati (Mt 22,2 Mt 22,11-12).

Che è carità? è un amore ineffabile che l'anima ha tratto dal suo Creatore, amandolo con tutto lo cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27). Dissi che l'aveva tratto dal suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? con l'amore, poiché l'amore non s'acquista se non con l'amore e da l'amore. Ma tu mi dirai, carissima figlia: «Che modo mi conviene tenere a trovare e acquistare questo amore?» Rispondoti, per questo modo: ogni amore s'acquista col lume, poiché la cosa che non si vede non si conosce; unde non conoscendosi non s'ama. Convienti dunque avere lo lume, a ciò che tu vegga e conosca quello che tu debbi amare. E perché lo lume c'era necessario, providde Dio alla nostra necessità, dandoci lo lume dell'intelletto, che è la più nobile parte dell'anima, con la pupilla, dentrovi, della santissima fede. E dicoti che, poniamo che la persona offenda lo suo Creatore, non passa però né vive senza amore, né senza lo lume; poiché l'anima, che è fatta d'amore e creata per amore ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), non può vivere senza amore, né amarebbe senza lo lume, unde, se vuole amare, sì conviene che vegga.

Ma sai che vedere è, e che amore, quello delli uomini del mondo? è uno vedere tenebroso e oscuro, e per la oscura notte non discerne la verità; ed è un amore mortale, poiché dà morte nell'anima, tollendole la vita della grazia. Perché è oscuro? Perché s'è posto nella oscurità delle cose transitorie del mondo, avendosele poste dinanzi a sé fuore di Dio, cioè che non le raguarda nella sua bontà, ma solo le raguarda per diletto sensitivo; lo quale diletto e amore sensitivo mosse l’intelletto a vedere e conoscere cose sensitive. Unde questo affetto che si notrica del lume dell'intelletto - poniamo che l'affetto prima lo movesse, come detto è - le dà morte, commettendo la colpa, e tollele la vita della grazia; poiché nessuna cosa si può amare né vedere fuore di Dio, che non ci dia morte; e però quello che s'ama, si die amare in lui e per lui: cioè riconoscere sé e ogni cosa dalla sua bontà. Sì che vedi che questi ama e vede; poiché senza amare e senza vedere non può vivere.

Ma è differente l'amore delli uomini del mondo, lo quale dà morte, da l'amore del servo di Dio, che dà vita: poiché l'amore che s' acquista dal sommo e eterno amore dà vita di grazia. Poi dunque che ha lo lume che ha l'occhio dell'intelletto, debbalo aprire col lume della santissima fede, e ponarsi per obiettivo l'amore inestimabile lo quale Dio ci ha. Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare che non ami quello che l’intelletto vidde e cognobbe in verità.

O carissima figlia, e non vedi tu che noi siamo uno albero d'amore, perché siamo fatti per amore? Ed è sì bene fatto questo albero, che non è alcuno che lo possa impedire che non cresca, né togliergli lo frutto suo, se egli non vuole; e àgli dato Dio a questo albero uno lavoratore che l'abbi a lavorare, secondo che gli piace; e questo lavoratore è lo libero arbitrio. E se questo lavoratore l'anima non l'avesse - la quale ti ho posta per uno albero - non sarebbe libera; e non essendo libera, avrebbe scusa del peccato: la quale non può avere, poiché neuno è, né il mondo né il demonio né la fragile carne, che costrignere la possa a colpa alcuna, se ella non vuole. Poiché questo arbolo ha in sé la ragione, se il libero arbitrio la vuole usare; e ha l'occhio dell’intelletto che vede e conosce la verità, se la nebbia dell'amore proprio non glili offusca. E con questo lume vede dove debba essere piantato l'albero, poiché, se nol vedesse e non avesse questa dolce potenza dell'intelletto, lo lavoratore avrebbe scusa, e potrebbe dire: «Io ero libero; ma io non vedevo in che io potesse piantare l'albero mio, o in alto o in basso». Ma questo non può dire, poiché ha l’intelletto che vede, e la ragione, la quale è uno legame di ragionevole amore, con che può legarlo e innestarlo nell'albero della vita, Cristo dolce Gesù. Debba dunque piantare l'albero suo poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto lo luogo, e in che terra egli debba stare a volere producere frutto di vita.

Carissima figlia, se il lavoratore del libero arbitrio allora lo pianta dove debba essere piantato, cioè nella terra della vera umilità - poiché nol die ponere in sul monte della superbia, ma nella valle de l'umilità -, allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente producerà quello sommo fiore della gloria e loda del nome di Dio; e tutte le sue opere e virtù, le quali sono dolci fiori e frutti, ricevaranno odore da questo. Questo è quello fiore, carissima figlia, che fa fiorire le virtù nostre, lo quale fiore Dio vuole per sé, e il frutto vuole che sia nostro.

Di questo albero egli vuole solamente questi fiori della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e loda al nome suo; e il frutto dà a noi, poiché egli non ha bisogno di nostri frutti - perché a lui non manca alcuna cosa, poiché egli è colui che è (Ex 3,14) -, ma noi, che siamo coloro che non siamo, n'aviamo bisogno. Noi non siamo per noi, ma per lui, poiché egli ci ha dato l'essere, e ogni grazia che aviamo sopra l'essere; sì che a lui utilità non possiamo fare. E perché la somma e eterna bontà vede che l'uomo non vive dei fiori, ma solo del frutto - poiché del fiore morremmo, e del frutto viviamo -, però tolle il fiore per sé, e il frutto dà a noi. E se la ignorante creatura si volesse notricare di fiori, cioè che la gloria e la loda, che die essere di Dio, la desse a sé, sì gli priva della vita della grazia, e dàgli la morte eterna, se egli muore che non si corregga: cioè che tolla lo frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a Dio. E poi che l'albero nostro è piantato così dolcemente, egli cresce per sì-fatto modo che la cima dell'albero, cioè l'affetto dell'anima, non si vede da creatura dove sia unito, se non l'occhio suo dell'intelletto, lo quale l'ha guidato, congiunto e unito con lo infinito Dio per affetto d'amore.

O figlia carissima, io ti voglio dire in che campo sta questa terra, a ciò che tu non errassi: la terra è la vera umilità, come detto è; lo luogo dove ella è, è il giardino chiuso (Ct 4,12) del cognoscimento di sé.

Dico che è chiuso poiché l'anima che sta nella cella del cognoscimento di sé medesima, ella è chiusa e non aperta, cioè che non si dilata nelle delizie del mondo, e non cerca le ricchezze, ma povertà voluntaria; e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende in piacere alle creature, ma solo al Creatore. E quando lo demonio le desse laide e diverse cogitazioni con molte fatiche di mente e con disordenati timori, allora ella non s'apre, ponendoseli a investigare, né a volere sapere perché vengono, né a stare a contendere con loro; e non spande lo cuore suo per confusione né per tedio di mente, né abandona gli essercizii suoi. Anco si serra e si chiude con la compagnia della speranza e col lume della santissima fede, e con l'odio e pentimento della propria sensualità, reputandosi indegna della pace e quiete della mente; e per vera umilità si reputa degna della guerra e indegna del frutto, cioè che si reputa degna della pena che le pare ricevere nel tempo delle grandi battaglie. E ponsi sempre per obiettivo Cristo Crocifisso, dilettandosi di stare in croce con lui; e col pensiero caccia il pensiero. Or questo è il dolce luogo dove sta la terra della vera umilità.

Poi che la cima, cioè l'affetto dell'anima che va dietro all'intelletto, come detto è, ha cognosciuto l'obiettivo di Cristo Crocifisso, l'abisso e il fuoco della sua carità, lo quale cognobbe in questo Verbo (poiché per questo mezzo c'è manifestato l'amore che Dio ci ha; e questo Verbo cognobbe nel cognoscimento di sé, quando cognobbe sé creatura ragionevole creata ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e recreata nel sangue dell'unigenito suo Figlio), allora l'affetto sta unito nell'affetto di Cristo Crocifisso; e con l'amore trae a sé l'amore, cioè con l'amore ordinato, che leva sopra il sentimento sensitivo, trae a sé l'amore ardente di Cristo Crocifisso. Poiché il cuore nostro, quando è inamorato d'un amore divino, fa come la spugna, che trae a sé l'acqua, bene che se la spugna non fusse messa nell'acqua non la trarrebbe a sé, non ostante che la spugna sia disposta dalla parte sua. E così ti dico che se la disposizione del cuore nostro, lo quale è disposto e atto ad amore, se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio non il leva e congiugne nel fuoco della divina carità, non s'empie mai della grazia; ma se s'unisce, sempre s'empie. E però ti dissi che da l'amore e con l'amore si trae l'amore.

Poi che il vasello del cuore è pieno, e egli inacqua l'albero con l'acqua della divina carità del prossimo, la quale è una rugiada e una pioggia che inacqua la pianta de l'albero e la terra della vera umilità, e ingrassa essa terra e il giardino del cognoscimento di sé, poiché allora è condito col condimento del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Tu sai bene che se l'albero non è inaffiato dalla rugiada e da la pioggia, e riscaldato dal caldo del sole, non producerebbe né maturerebbe il frutto, unde non sarebbe perfetto, ma imperfetto. Così l'anima, la quale è uno albero come detto è, perché fusse piantato - e non inaffiato con la pioggia de la carità del prossimo e con la rugiada del cognoscimento di sé, e scaldato col caldo del sole della divina carità - non farebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe maturo. Poi che l'albero è cresciuto, e egli distende i rami suoi, porgendo del frutto al prossimo suo, cioè frutto di santissime umili e continue orazioni, dandoli essemplo di buona e santa vita. E anco gli distende sovenendolo, quando può, della sustanzia temporale, con largo e liberale cuore, schietto e non fincto - cioè che mostri una cosa in atto, e non sia in fatto -, ma coraggiosamente e con affettuosa carità lo serve di qualunque servizio egli può e che vede che egli abbi bisogno, giusta al suo potere.

La carità non cerca le cose sue (1Co 12,5) e non cerca sé per sé, ma sé per Dio, per rendere i fiori della gloria e della loda al nome suo; e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato da noi per la bontà sua; e non ama né cerca né serve lo prossimo suo per sé, ma solo per Dio, per renderli quello debito lo quale a Dio non può rendere, cioè di fare utilità a Dio. Poiché già ti dissi che a Dio utilità non possiamo fare, e però lo fa Dio fare al prossimo suo, lo quale è uno mezzo che c'è posto da Dio per provare la virtù, e per mostrare l'amore che aviamo al dolce e eterno Dio. Questa carità gusta vita eterna, consuma e ha consumate tutte le nostre iniquità, e dacci lume perfetto con pazienza vera; e facci forti e perseveranti in tanto che mai non volliamo lo capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma perseveriamo infine alla morte, dilettandoci di stare in sul campo della battaglia per Cristo Crocifisso, ponendoci lo sangue suo dinanzi a ciò che ci facci inanimare alla battaglia come veri cavalieri.

Perciò, poi che c'è tanto utile e necessaria e sì dilettevole questa carità, che senza essa stiamo in continua amaritudine, e riceviamo la morte, e sono scuperte le nostre vergogne, e nell'ultimo dì del giudicio siamo svergognati da tutto l'universo mondo, e dprima della natura angelica e a tutti i cittadini della vita durabile - dove ha vita senza morte, e luce senza tenebre, dove è la perfetta e la comune carità, participando e gustando lo bene l'uno dell'altro per affetto d'amore -, è da abracciarla questa dolce regina e vestimento nuziale della carità, e con ansietato e dolce desiderio disponarsi alla morte per potere acquistare questa regina; e poi che l'aviamo, volere sostenere ogni pena - da qualunque lato elle vengano - infine alla morte, per poterla conservare e crescere nel giardino dell'anima nostra. Altro modo né altra via non ci vedo, e però ti dissi che io desideravo di vederti facciondata in vera e perfetta carità.

Pregoti per l'amore di Cristo Crocifisso che ti studi, quanto tu puoi, di fare questo fondamento; e non ti bisognarà poi temere di timore servile, né avere paura dei venti contrarii delle molestie del demonio e delle creature, le quali tutti sono venti contrarii che vogliono impedire la nostra salute. Ma perché l'albero posto nella valle non potrà essere offeso da' venti, sia umile e mansueta di cuore. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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