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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 15:36

123. AI signori Defensori da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori temporali in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomini virili e non timorosi governatori de la città propria e de la città prestata, considerando me che il timore servile impedisce e avilisce lo cuore - e non lassa vivere né adoperare come uomo ragionevole, ma come animale senza veruna ragione -, poiché lo timore servile esce e procede da l'amore proprio di sé.

E quanto egli è pericoloso l'amore proprio di sé, noi lo veggiamo in signori e in sudditi, in religiosi e in secolari, e in ogni maniera di gente, poiché non attendono ad altro che a loro medesimi. Unde se egli è suddito secolare, mai non obedisce né osserva quello che gli è imposto per lo suo signore; e se egli è signore, mai non fa giustizia ragionevolmente, ma con appetito sensitivo commette molte ingiustizie: chi per propria utilità e chi per piacere agli uomini - giudicando secondo la volontà altrui e non secondo la verità -, o veramente che egli teme di dispiacere, lo quale dispiacere gli torrebbe la signoria: unde d'ogni cosa piglia timore e suspetto con molta cecità, poiché il piglia colà dove non debba e nol piglia colà dove debba.

O amore proprio e timore servile, tu aciechi l'occhio dell'intelletto e non gli lassi conoscere la verità; tu tolli la vita de la grazia, la signoria de la città propria e quella de la città prestata; tu fai incomportabile l'uomo a se medesimo, perché sempre desidera quello che non può avere, e quello che possiede, possiede con pena, poiché ha timore di non perdarlo: unde non avendo e temendo, sempre ha pena perché la volontà sua non è adempita, unde drittamente in questa vita gustall’inferno.

O cecità d'amore proprio e timore disordinato, tu giogni a tanta cecità che non tanto che tu condanni la comune gente e gli iniqui uomini - i quali giustamente si potrebbero condennare, e temere de le falsitadi loro -, ma tu lassi lo timore de lo iniquo e condanni lo giusto, recandosi a di petto i poverelli servi di Dio, i quali cercano l'onore di Dio e la salute delle anime e la pace e la quiete de le cittadi; non restando mai i dolci desiderii, e la continua orazione, lacrime e sudori, d'offrire dinanzi a la divina bontà. Come dunque ti può patire, amore proprio e timore servile, di temere e giudicare coloro che si dispongono a la morte per la tua salute, e per conservare e crescere in pace e in quiete lo stato tuo? Ma veramente, carissimi fratelli, questo è quello perverso timore e amore che uccise Cristo, poiché temendo Pilato di non perdere la signoria acecò e non cognobbe la verità, e per questo uccise Cristo. E non di meno gli venne in capo quello di che temeva, poiché poi, al tempo che piacque a Dio - non che gli piacesse lo defetto suo -, egli perdette l'anima e il corpo e la signoria. Unde a me pare che tutto lo mondo sia pieno di questi Pilati, i quali per lo timore cieco non si curano di perseguitare i servi di Dio gittando-lo' pietre di parole d'infamia e di persecuzioni. E tanta è la cecità loro che non mirano né come né a cui; ma, come la bestia, si lassano guidare a la propria sensualità, ponendo quelli colori e quella legge a loro, che si pone agli uomini che non attendono ad altro che al mondo.

Unde veramente io vi dico così: che ogni volta che questo giudicio toccasse a noi - cioè di condennare e calunniare le opere atti e costumi e conversazioni dei servi di Dio -, oimé, oimé, noi abiamo bisogno di temere lo divino giudicio che non venga sopra di noi, poiché Dio reputa fatto a sé quello che è fatto ai suoi servi: non sarebbe dunque altro se non chiamare l'ira di Dio sopra di noi. Noi abbiamo bisogno, carissimi fratelli e signori, d'acostarci a Dio col santo timore suo, e ai servi suoi non levando-lo' le carni con le molte mormorazioni e disordinati suspetti; ma lassargli stare e andare come perregrini, secondo che lo Spirito santo gli guida, cercando e adoperando l'onore di Dio e la salute delle anime - traendole de le mani de le demonia - e il bene e la pace e la quiete vostra.

Non sia veruno tanto ignorante che si voglia ponere a regolare lo Spirito santo nei servi suoi. Unde a me pare che Cristo fusse più paziente ne la ingiuria sua che in quella del suo apostolo santo Tommaso, poiché la sua non volse vendicare, ma benignamente rispose a colui che gli dié la gotata, dicendo: «Se io ho male detto, raporta che io ho detto male; ma se io ho detto bene, perché mi batti? » (Jn 18,23). A Tommaso non fece così, anco, essendo percosso ne la faccia stando a mensa, prima che se ne levasse ne fece la vendetta facendolo strangolare a uno animale, e poi gli staccò la mano che l'aveva percosso, e portolla in su la mensa dinanzi a santo Tommaso. Unde tutte l'altre cose ci saranno più tosto sostenute che queste, ché se sono tanti i nostri peccati che noi ci cadiamo, l'ultima cosa sarebbe per la quale potremmo aspettare grandissima ruina.

Tutta questa cecità procede da l'amore proprio e timore servile, e però vi dissi che io desideravo di vedervi uomini virili e non timorosi; ma bene desidera l'anima mia di vedervi fondati nel santo e vero timore di Dio, lo quale timore nutre un amore divino nell'anima. Egli è quello timore santo che si pone Dio dinanzi all'occhio suo; e inanzi sceglie la morte che offendere Dio o il prossimo suo, o, che volesse fare una ingiustizia o una giustizia, che non la rivolga e vegga bene da ogni lato prima che la faccia. Di questo santo timore avete bisogno, e così possedarete la città propria e la città prestata; e non sarà demonio né creatura che ve la possa togliere.

La città propria è la città dell'anima nostra, la quale si possiede col santo timore fondato ne la carità fraterna, pace e unità con Dio e col prossimo suo, con vere e reali virtù. Ma non la possiede colui che vive in odio e in rancore e in discordia, pieno d'amore proprio; e la vita sua mena lascivamente con tanta immondizia che da lui al porco non ha nulla. Costui non signoreggia la sua città, ma esso è signoreggiato da' vizi e da' peccati; e ha tanto avilito sé medesimo che si lassa signoreggiare a quella cosa che non è, e perde la dignità sua de la grazia. E spregia lo sangue di Cristo, lo quale fu quello prezzo pagato per noi che ci fa manifesto la divina misericordia e la somma eterna verità, amore ineffabile, lo quale amore ci creò e ricomprò di sangue e non d'argento (1P 18-19), e manifestocci la grandezza dell'anima nostra e la gentilezza sua. Unde bene è cieco colui che non vede tanto fuoco d'amore, e tanta sua miseria a la quale si conduce giacendo ne le tenebre del peccato mortale; e non possedendo sé, come detto è, male possederà la cosa prestata, se in prima non governa e signoreggia sé medesimo.

Signoria prestata sono le signorie de le cittadi o altre signorie temporali le quali sono prestate a voi e agli altri uomini del mondo, le quali sono prestate a tempo, secondo che piace a la divina bontà, o secondo i modi e i costumi dei paesi: unde o per morte o per vita elle trapassano, sì che, per qualunque modo egli è, veramente elle sono prestate. Colui che signoreggia sé la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato, come cosa prestata e non come cosa sua; guardarà la prestanza de la signoria che gli è data con timore e reverenzia di colui che glil dié. Da solo Dio l'avete avuta, sì che quando la cosa prestata c'è richiesta dal Signore, ella si possa rendere senza pericolo di morte eternale. Or con uno vero e santo timore voglio che voi possediate; e dicovi che altro remedio non hanno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente - poiché per altro non vengono meno se non per gli peccati e defetti nostri -; e però levate via la colpa e sarà tolto via lo timore, e averete cuore vigoroso e non timoroso, e non averete paura dell'ombra vostra. Non dico più.

Perdonate a la mia presunzione: l'amore che io ho a voi e a tutti gli altri cittadini, e il dolore che io ho dei modi e costumi vostri - poco ordinati secondo Dio -, me ne scusi dinanzi a lui e a voi. HO voglia di piangere sopra la cecità nostra, poiché privati pare che siamo del lume: Dio per la sua infinita bontà e misericordia vi tolla ogni tenebre d'ignoranza, e allumini l'occhio dell'intelletto vostro a conoscere e discernere la verità; e così non potrete errare. Altro non dico qui, bene che molto averei da dire.

Rispondovi, carissimi fratelli e signori, a la lettera che ho ricevuta da Tommaso di Guelfuccio per vostra parte. Ringraziovi de la carità che io veggio che avete ai vostri cittadini, cercando la pace e la quiete loro, e verso di me miserabile, non degna che voi desideriate la venuta mia, né che voi richiediate me che io sia mezzo a questa pace, perché sono insufficiente a questo e a ogni altra minima cosa. Non di meno la sufficienzia lassarò adoperare a Dio, e io chinarò lo capo - secondo che lo Spirito santo mi concederà - all’obbedienza vostra, d'andare e stare come sarà di vostro piacere, ponendo sempre la volontà di Dio inanzi a quella degli uomini (Ac 5,29), poiché sono certa che voi non vorreste - avendo punto di cognoscimento - che io trapassasse la volontà di Dio per fare quella degli uomini. Unde io non vedo che testé a questi dì io possa venire, per alcuna cosa necessario che io ho a fare per lo monasterio di santa Agnesa; e per essere coi nipoti di missere Spinello per la pace dei figli di Lorenzo, la quale sapete che, già è buono tempo, voi la cominciaste a trattare e non si trasse mai a fine. Unde io non vorrei che per mia negligenzia e per lo subito partire ella rimanesse, poiché temerei d'esserne ripresa da Dio; ma spacciarommi lo più tosto che io potrò, secondo che Dio mi darà la grazia.

E voi e gli altri abbiate pazienza; e non vi lassate empire la mente e il cuore di molti pensieri e cogitazioni, le quali tutte procedono dal demonio, che il fa per impedire l'onore di Dio e la salute delle anime, e la pace e quiete vostra. Increscemi dell'affanno e de la fatica che i miei cittadini hanno nel pensare e menare la lingua verso di me, ché non pare che eglino abbiano a fare altro che tagliarmi le legna in capo, a me e a la compagnia che io ho con con me. Di me hanno ragione, poiché sono defettuosa; ma non di loro. Ma noi col sostenere vinciaremo, poiché la pazienza non è mai vinta, ma sempre vence e rimane donna. Increscemi che i colpi caggiono in capo di colui che gli gitta, poiché spesse volte gli rimane la colpa e la pena. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





124. Al soprascritto misser Matteio rettore della Casa della Misericordia di Siena.

A nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Lo quale sangue inebria l'anima sì e per sì-fatto modo che al tutto perde sé medesimo: di sé non vuole che rimanga veruna particella, fuore del sangue, cioè né tempo né luogo, né consolazione né tribolazione, né ingiurie né scherni né infamie né villanie, né veruna altra cosa, da qualunque lato ella viene; né per sé né per altrui non le vuole scegliere a suo modo, né con veruno suo parere, ma al tutto si sottopone alla volontà di Dio, la quale trova nel sangue di Cristo. Perché il sangue manifesta la dolce sua voluntà, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette è dato a noi per questo fine; per amore è dato, affinché siamo santificati in lui. Così s'adempie la sua verità.

La sua verità è questa: che ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché noi partecipassimo della sua beatitudine e la sua inestimabile carità, la quale perfettamente si gusta e riceve nella visione di Dio. Or questo ha cognosciuto l'anima, e veduto con l'occhio dell'intelletto la voluntà del Padre eterno nel sangue del Figlio; e questa è la ragione che l'anima annegata nel sangue - alluminata della dolce voluntà di Dio la quale ha trovata nel sangue - non ha mai pena, e non va a suo modo, né sé né altrui vuole mandare secondo i suoi pareri. E però non ha pena di chi non vi va, perché gli ha al tutto perduti. Ma a che attende di fare? Quel medesimo che trova nel sangue. Che trova nel sangue? L'onore del Padre eterno e la salute delle anime, perché questo Verbo non attese mai ad altro: posesi in sulla mensa della croce a mangiare lo cibo delle anime, non schifando pene.

Perciò noi, membri, gittiamo a terra noi: nutrichianci del sangue dello dissanguato e consumato Agnello.

Faccendolo aviamo la vita, e gustiamo la caparra di vita eterna: aviamo lume e perdiamo le tenebre, nel lume perdiamo ogni scandalo e mormorazione, ché non giudichiamo né con colore di male né con colore di bene. Ma come noi siamo annegati, e perduti noi nel sangue, così anneghiamo e perdiamo altrui, tenendo di fermo che lo Spirito santo gli guidi.

è il contrario di coloro che s'hanno serbato alcuna cosa, e non sono al tutto perduti: spesse volte stanno in grandi pene, faccendosi giudici dei costumi e dei modi dei servi di Dio. Vengono a scandalo e a mormorazione, e fanno mormorare, spesse volte, participando con altrui le pene e pareri loro; i quali pareri si debbono smaltire nel sangue, o con la propria persona di cui lo' pare, senza mettere mezzo di diverse creature. Se fusse illuminato e annegato nel sangue lo farebbe, ma perché non v'è anco in quella grande perfezione della voluntà annegata che si richiede nel servo di Dio - poniamo che sia al tutto perduta nel mondo -, rimangli dei pareri spirituali; e però nol fa, trovasi ignorante, e per l'ignoranza viene in molti difetti e inconvenienti.

Perciò corriamo, carissimo e dolcissimo figlio; gittianci tutti nel glorioso e prezioso sangue di Cristo, e non ne rimanga punto di fuore di noi. E con debita reverenzia e pazienza portare ogni fatica, ingiurie e mormorazioni e ogni altra cosa; i servi di Dio con amore e reverenzia consigliando, e non mormorando né affermando veruno nostro parere in loro. E per questo modo saremo materia e istrumento di togliere le mormorazioni, e non di darle. Or così facciamo, e non si facci altro che nel sangue. Non vedo che altrui si possa fare; e però dissi ch'io desideravo di vedervi inebriato del sangue di Cristo crocifisso, perché pare che sia necessario e di necessità.

Così voglio che noi facciamo; e spezialmente vi prego e costringo che ne preghiate la prima Verità per me, che n'ho bisogno, che mi v'anneghi e mi v'affoghi per sì-fatto modo ch'io riceva lume perfetto a conoscere e vedere le pecorelle mie, le perdute e l'acquistate, sì che io me le ponga in sulla spalla (Lc 15,5), e ritorni all'ovile con esse. Grande ignoranza della pecorella a non conoscere lo pastore suo alla voce! (Jn 10,4) Tanto tempo avete udita la voce del pastore che quasi ne dovareste essere maestri; ed i pare che facciate lo contrario, andando dietro alle voci vostre, belando e non sapendo quello che voi vi diciate. Andate dietro al giudizio i consigli umani; pare che tutti abbiate perduti lo lume della fede, come se il pastore che v'ha data la voce (Jn 10,3), e vuole dare la vita per la salute vostra (Jn 10,11), vi chiamasse con altra voce, cioè con quella dell’uomo e non con la divina e dolce volontà di Dio; della quale non si può scordare l'anima, per veruno detto di creature né per ignoranza delle pecorelle, che non la compia in sé e in altrui. Così fece lo dolcissimo Gesù, che non lassò per lo scandalo e mormorazione dei Giudei, né per ingratitudine nostra, che non compiesse l'onore del Padre e la salute nostra; così debba fare cui Dio ha posto che seguiti questo Agnello: non vòllare lo capo adietro (Lc 9,62) per veruna cosa che sia.

E se le 'nferme pecorelle, che debbono essere sane, mormorano come inferme, non debba però lo pastore lasciare coloro che stanno a fine di morte, vedendo di poter lo' dare la vita; coloro che son tutti ciechi, per coloro che hanno male negli occhi.

Non dovete fare così, ma imparare da' discepoli santi, che chi andava e chi rimaneva, secondo che vedevano più l'onore di Dio. Doviamo credere che chi rimaneva e chi andava suscitavano infinite mormorazione; e chi andava non lassava però d'adoperare l'onore di Dio, e chi rimaneva non si scordava però dalla pazienza e dal lume della fede, e non perdeva la memoria del ritenere e ricordare della voce del suo pastore. Anco si fortificavano con allegrezza, perché quanto è maggiore lo scandolo, tanto è più perfetta l'opera che si fa.

Perciò siate pecorelle vere, e non temete dell'ombre vostre; né crediate che io lassi le novanta e nove (Mt 18,12 Lc 15,4) per l'una. Io vi dico cotanto, che delle novanta e nove (...) - per ognuna delle novanta e nove io n'ho novanta e nove, le quali ora non si veggono se non dalla divina bontà che il sa, carità incarnata, lo quale per occulto frutto fa portare la fatica dell'andare, la gravezza della infirmità, lo peso degli scandali e mormorazioni: di tutto sia gloria e loda al nome di Dio. Sì che l'andare e lo stare non s'è fatto se non secondo la sua volontà, e non secondo quella degli uomini.

La gravezza del corpo che io ho avuta e ho, e principalmente la volontà di Dio, mi possiede tenuta ch'io non sono tornata. Lo più tosto che si potrà e lo Spirito santo cel permette, tornaremo. Godete dello stare e de l'andare; e tutte le vostre cogitazioni si riposino qui su, tenendo che ogni cosa fa e farà la divina Providenzia; se non che io sono colei che guasto ciò che Egli fa e aduopera, per la moltitudine delle iniquità mie: e così fa danno a voi e a tutto quanto lo mondo. Pregovi quanto io so e posso che preghiate Dio che mi dia lume perfetto, sì che io vadi morta per la via della verità. Altro non vi dico. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. E a tutti ci raccomandate, e singularmente al baccelliere, e a frate Antonio etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







125. A monna Nera priora de le mantellate di santo Domenico, quando essa Caterina era a la Rocca d'Agnolino.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare come fa lo buono pastore, lo quale pone la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11).

Così dovete fare voi, carissima madre, cioè attendere all'onore di Dio e a la salute de le pecorelle che egli v'ha messe ne le mani; e non con negligenzia, poiché ne sareste ripresa da Dio, ma con buona sollicitudine, perdendo ogni amore proprio e parere de le creature. Sapete, carissima madre, che colui che ama sé sensualmente, se egli è prelato mai non corregge, poiché sempre teme; e se egli corregge, corregge secondo lo parere de le creature, e spesse volte non secondo verità, o tale volta secondo lo suo parere proprio, perché non ci piaceranno molte volte i costumi loro. Non si die fare così, poiché molte sono le vie e i modi che Dio tiene coi servi suoi (basta a noi che noi gli vediamo che vogliono seguire Cristo crocifisso), unde sarebbe più tosto ingiustizia che giustizia, poiché non si debbono correggere secondo i nostri pareri, ma secondo i defetti che noi troviamo; e dolcemente levare l'affetto nostro a l'onore di Dio, e aprire l'occhio dell'intelletto sopra i sudditi, e ad ognuno dare secondo che ha bisogno. Unde altro modo si die tenere con le meno perfette e altro con le più perfette; e sapere conscendere ai bisogni loro - sempre tenendo fermo il correggere i defetti, quando voi gli vedete -, e non lasciare, per veruna cosa che sia, che non si correggano. Spero ne la infinita e inestimabile carità di Dio che voi lo farete.

Aprite l'occhio dell'intelletto, e raguardate l'affetto dell'Agnello immacolato confitto e chiavellato in croce, e trovarete che questo vero maestro ha posta la vita per le pecorelle sue, e con quanto amore e carità ha conversato, portando e sopportando noi miserabili, sempre attendendo a l'onore del Padre e a la salute nostra. E nol ritrasse d'adoperare la nostra salute né ingratitudine nostra, né la mormorazione degli uomini, né la malizia de le demonia: questo inamorato Agnello non lassa però, anco compie l'onore del Padre e la salute nostra perfettamente. Così spero, per la sua bontà, che farete voi dolcissima madre, e non lassarete per la ingratitudine di noi miserabili figlie e di tutto lo nostro collegio, né per mormorazioni o detto de le creature, né per la malizia del demonio che si pone in su le lingue loro a dire quello che non debbono, per impedire l'onore di Dio e la salute delle anime. Adoperate dunque ciò che si può, e trapassate tutte queste cose senza veruno timore. L’intelletto e l'affetto vostro non si parta mai da la verità, poiché altro non desiderate di volere, se non che Dio sia onorato, e le figlie vostre siano specchio di virtù.

Allora Dio adempirà lo desiderio vostro, e sarete consolata e di loro e di voi medesima, poiché quando altri adopera una virtù, sempre n'ha gaudio e consolazione. Or così dunque fate, per l'amore di Gesù Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





126. A monna Alessa e a monna Cecca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costanti e perseveranti ne le virtù per sì-fatto modo che mai non volliate lo capo indietro a mirare l'arato (Lc 9,62), lo quale mirare s'intende in due modi.

L'uno è quando la persona è escita del fracidume del mondo, e poi vòlle lo capo col diletto de la propria volontà, ponendo l'occhio dell'intelletto sopra di loro. Costui non va innanzi; anco torna adietro verso lo bomico, mangiando quello che prima aveva bomicato. E però disse Cristo che neuno si debba vòllere indietro a mirare l'arato; cioè non vollersi a le prime delizie, né a raguardare alcuna opera fatta per sé medesimo; ma riconoscerla da la divina bontà. Sì che deve andare inanzi con la perseveranza de le virtù, e debba non vollersi indietro, ma dentro nel cognoscimento di sé medesimo, dove trova la larghezza de la bontà di Dio. Lo quale cognoscimento spoglia l'anima del proprio amore, e vestela d'odio santo e d'un amore divino, cercando solo Cristo Crocifisso e non le creature, né le cose create, né sé medesimo sensitivamente, ma solo Cristo Crocifisso, amando e desiderando gli obrobii suoi. Se questo è essercitato - e dibarbicata la radice dell'amore proprio - va inanzi, e non vòlle lo capo indietro. Ma se al tutto non fusse dibarbicata spiritualmente e temporalmente, cadarebbe nel secondo vòllere del capo.

E sai quando si vòlle questa seconda volta? Non a le delizie del mondo, ma quando l'anima avesse cominciato a mettere mano ad arare la grande perfezione, la quale perfezione principalmente sta in tutto annegare e uccidere la volontà sua; e più ne le cose spirituali che ne le temporali (poiché le temporali già l'ha gittate da sé, ma abbisi cura da le spirituali). In questa perfezione ama in verità lo Creatore suo, e le creature per lui, più e meno secondo la misura con che essi amano. Dico che, se la radice non è al tutto divelta dell'amore proprio di sé, che vollarà la seconda volta lo capo indietro e offendarà la sua perfezione: ch'egli l'offende amando la creatura senza modo e non con modo (lo quale amore senza modo e senza misura si debba dare solamente a Dio, ma la creatura amarla con modo e con la misura del suo Creatore); o egli si vòlle ad allentare l'amore verso la creatura, la quale esso ama di singolare amore. Lo quale allentare, non essendovi la cagione de la colpa verso la cosa amata, non può essere che non allenti quello di Dio; ma movendosi per mormorazioni e scandali, o per dilongamento de la presenza di cui egli ama, o per mancamento di propria consolazione, non è senza difetto. Questi cotali vollono lo capo indietro allentando la carità del prossimo suo: non è questa la via, ma la perseveranza. E però dissi che io desideravo di vedervi costanti e perseveranti ne le virtù, considerando me che eravate andate tra' lupi de le molte mormorazioni; e perché pare che non sia veruno che sia sì forte che non v'indebilisca.

Io ho veduto quelli del quale io pensavo che egli avesse fatti sì-fatti ripari contro a ogni vento che neuno lo potesse nuocere infine a la morte: non credevo che punto voltasse la faccia, e non tanto la faccia, ma la miratura dell'occhio. Veramente questo è segno che la radice non è divelta, poiché, se ella fusse divelta, faremmo quello che debbono fare i veri servi di Dio, i quali né per spine né per triboli né per mormorazione né per consigli de le creature né per minacce né per timore dei parenti si vollono mai indietro; ma in verità seguitaremmo Cristo Crocifisso in carcere ed in morte, e seguitaremmo le vestigie sue, non senza lo giogo de la santa e veraobbedienza dell'ordine. Di questo non dico, poiché se egli volesse, io non vorrei; ma di fuori da questo, me ne doglio non per me, ma per l'offesa che è fatta a la perfezione dell'anima; però ché verso me fanno bene, perché mi dà egli e gli altri materia di conoscere la mia ignoranza e ingratitudine di non avere cognosciuto, né conosca, lo tempo mio e le grazie ricevute dal mio Creatore: sì che a me fanno aumentare la virtù.

Ma non ho voluto tacere, perché la madre è obligata di dicere ai figli quello che l'è bisogno. Parturito è stato egli, e gli altri, con molte lacrime e sudori; e parturirò infine a la morte, secondo che Dio mi darà la grazia in questo tempo dolce de la solitudine data a me e a questa povera famegliola da la prima dolce Verità. E pare che di nuovo voglia che io fornisca la navicella dell'anima mia, ricevendo solo la satisfazione dal mio Creatore, con l'essercizio di cercare e conoscere la dolce verità, con continue mugghia e orazioni nel cospetto di Dio per salute di tutto quanto lo mondo. Dio ci dia grazia, a voi e a me e a ogni persona, di farlo con grande sollicitudine.

Racomandateci a Teopento che preghi Dio per noi, ora che egli ha lo tempo de la cella, poiché siamo pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, e posti a gustare lo latte e le spine di Cristo Crocifisso; e diteli che legga questa lettera. Chi ha orecchie, sì oda; e chi ha occhi, sì vegga; e chi ha piei, sì vada, non vollendo lo capo indietro, anco vada inanzi, seguitando Cristo Crocifisso, e con le mani aduoperi sante e vere e buone opere, fondate in Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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