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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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Sesso: Femminile
19/10/2012 15:55

151. A madonna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel suo sangue prezioso, con disiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza, ché in altro modo non potremo piacere a Dio, ma gusteremo in questa vita la caparra dell’inferno.

O vera, o dolce pazienza, la quale sei quella virtù che non sei mai vinta, ma sempre vinci tu! Tu sola sei quella che mostri se l'anima ama lo suo Creatore o no, tu ci dai speranza della gloria. Tu solvi l'odio e il rancore del cuore, tu togli il dispiacere del prossimo. Tu privi l'anima della pena, e i gravi pesi delle tribulazioni sì fai leggieri; l'amaritudini per te diventano dolci. E in te pazienza, virtù reale, acquistata colla memoria del sangue di Cristo crocifisso, troviamo la vita.

O carissima madre, fra l'altre virtù questa c'è più necessaria, perché non possiamo questo mare passare sanza le molte tribulazioni, da qualunche lato noi ci volgiamo. Questo mare coll'onde sue, e'l demonio ci percuote colle molte tentazioni; e più, ché quello che non può fare per sé medesimo, egli il fa per mezzo delle creature, ponendosi in su le lingue e nei cuori degli servi suoi, e ponsi dinanzi all'occhio dell’intelletto, faccendogli vedere quello che non è. E così concepe nel cuore diverse cogitazioni e dispiaceri verso del prossimo suo, e spesse volte di quegli che esso più ama. Poi che esso l'ha dentro concepute, ed egli si pone in sulla lingua, e fagli partorire colla parola, e colla parola giugne all'effetto, per questo modo divide l'amante dalla cosa amata. Veggiamo le impazienzie, e i rancori e gli odii privarci dell'unità dell'amore.

Non è da credegli, anzi è da salire sopra alla sedia della coscienza sua e tenersi ragione, e pararsi dinanzi a questa onda pericolosa dello odio e pentimento di noi, con aprire l'occhio dell’intelletto, e conoscere Dio e la sua bontà e la sua eterna volontà, che non cerca e non vuole se non la nostra santificazione, ché permette che il demonio ci faccia tribulare e perseguitare dagli uomini solo perché in noi si pruovi la virtù dell'amore e della vera pazienza etc., e l'amore imperfetto venga a perfezione: la virtù dell'amore si pruova e si fortifica col mezzo del prossimo nostro.

Insegnaci amare Dio per Dio - in quanto è somma ed eterna bontà e è degno d'essere amato - e sé per Dio, e il prossimo per Dio, non per propia utilità, non per diletto, non per piacere che truovi in lui, ma in quanto criatura amata e creata dalla somma bontà. Servi al prossimo e servilo di quello che a Dio non possiamo servire: perché a Dio non possiamo fare utilità, dobbialla fare al prossimo nostro. Ad questo modo si pruova la perfezione dell'amore: quando egli è così perfetto, non lascia d'amare e di servire, né per ingiuria né per dispiacere che gli sia fatto, né perch'egli non truovi diletto né piacere in lui, perché solo attende a piacere a Dio; sì che per questo fine concede Dio tutte le tribulazioni che noi abbiamo. Il demonio il fa per lo contrario, e fallo per rivocarci dall'affetto della carità. Ma noi come prudenti faremo contro alla intenzione del demonio e seguiteremo la dolce volontà d'Dio. Lo mondo ha a perseguitare con tutto il suo potere con molti fragelli, colla poca fermezza e stabilità e colla povertà sua, ché è tanto povero che non può saziare l'affetto nostro, poiché tutte le cose del mondo sono meno di noi e sono fatte in nostro servigio, e noi siamo fatti solo per Dio. Perciò solo Dio serviamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), poiché è quello bene che pacifica e sazia il cuore.

Poi ch'è tanto necessaria e utile questa pazienza, conviencela acquistare. In che modo l'avremo? col lume, aprendo l'occhio dell’intelletto e conoscere sé non essere, l'essere suo retribuire alla inestimabile carità d'Dio: così conosce la sua bontà per l'essere e ogni grazia che è fondata sopra l'essere. Poi che ha veduto sé essere amato da Dio, vede che per amore ci ha dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, e il Figlio ci ha data la vita. Poi ch'egli ci ha data la vita con tanto fuoco d'amore, dobbiamo tenere di fermo che ogni fatica, da qualunche lato elle vengono, o prospere o avverse, sono date per amore e non per odio ma solo per nostro bene, perché abbiamo il fine per mezzo del quale siamo creati.

Anche dobbiamo vedere quanta è grande la fatica: troviamo ch'ella è piccola - tanto è grande quanto è il tempo, e il tempo quanto una punta d'ago -: né per larghezza né per lunghezza non è nulla. Sicché le nostre fatiche sono piccole e finite: la fatica che è passata non abbiamo, perché è fuggito lo tempo; quella ch'ella ha d'avere, noll'abbiamo perché non siamo sicuri d'avere lo tempo. Poi che avesseamo veduta la brievità sua, dobbiamo vedere quanto è utile; domandatene quello dolce innamorato di Pagolo appostolo, che dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria la quale Dio ha apparecchiata a coloro che il temono, e che portono con buona pazienza la disciprina santa che l'è conceduta dalla divina bontà» (Rm 8,18). Questo gusta la caparra di vita eterna in questa vita colla pazienza sua.

E se la fragilità nostra colla impazienzia volesse levare il capo contro al suo Creatore, e a non volere portare, consideri in sé medesimo, e vega dove induce la impazienzia: cominciandosi la caparra dello inferno in questa vita, giugne nell'ultimo nella eterna dannazione. Non vidi mai che per impazienzia si levassi nessuna fatica: anzi cresce, perciò che tanto è fatica quanto la volontà s'affatica. Togli addunche via la volontà propia sensitiva e vesti te della dolce volontà d'Dio, e è levata via la fatica. E questi sono i modi di venire a vera e perfetta pazienza. Priegovi per l'amore del dolce Gesù Cristo crocifisso, che non vi dilunghiate da questi dolci e suavi modi, affinché acquistiate la virtù della pazienza, perché so ch'è ella a voi di grande necessità, e a ciascuna persona. Conoscendo il bisogno, dissi che io disiderava di vedervi fondata in vera e santa pacienzia.

Pregovi, carissima madre, che per rifriggerio delle vostre fatiche e infermità temporali voi vi pognate per obbietto quello dissanguato e consumato Agnello, sicché il fuoco della sua carità riscaldi il cuore e l'anima vostra all'amore della pazienza e consumi ogni freddo e umidore d'amore propio sensitivo, passione e tenerezza di voi medesima, e vegnate a perfetto conoscimento della bontà d'Dio che v'ha conceduta la necessità e la infermità per vostro bene e vostra santificazione, perché il tempo passato nel quale offendemo tanto Dio con molta leggerezza e vanità di cuore si sconti e purghi in questo tempo finito.

Questo fa Dio per sua misericordia, che colla pena finita, ricevendola con grande amore e vera pazienza, ci perdona la pena infinita. Questo conoscimento santo troverrete nel cruciato amore dell'Agnello immacolato, lo sangue suo vi sarà uno unguento che darà refreggerio e consolazione alla anima nelle vostre infermità. E dicovi che tanto è la dolcezza che l'anima vi trova che non tanto ch'ella schifi le fatiche ma le parebbe male agevole quando ne fusse privata. Addunque poi che è di tanto diletto e di tanta necessità alla salute nostra, non aspettiamo il tempo perché non siamo sicuri d'averlo; ma con vera e santa sollecitudine leviamo lo desiderio nostro dalla propia sensualità e pognallo nel dolce Gesù benedetto crocifisso Cristo che è via e regola nostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità d'Dio dolce. Gesù dolce, Gesù amore.







152. A Giovanni Trenta e a monna sua donna da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Fratello e figlio carissimo, Giovanni, in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, vi benedico e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio. Con desiderio ho desiderato, caro figlio mio, di vedervi, voi e la famiglia vostra, spezialmente la sposa tua, in tanta unione e legame in virtù, sì e per sì-fatto modo che né dimonia né creatura nol possa rompare né separare da voi.

O figlia e figlio mio carissimo, non vi paia malagevole e duro a fare una cosa piccola per Cristo crocifisso. O quanto sarebbe grande ignoranza e miseria e fredezza di cuore, di vedere la somma eterna grandezza Cristo disceso a tanta bassezza quanta è la nostra umanità e non umiliarsi! Or non vedete voi Cristo povarello umiliato in uno presepio in mezzo degli animali, rifiutate ogni pompa e gloria umana? Unde dice santo Bernardo, commendando la profonda umiltà e povertà di Cristo, e a confondare la superbia nostra: «Vergognati, uomo superbo che cerchi onori e delizie e pompe del mondo. Tu credevi forse che il re tuo, agnello mansueto, avesse le grandi abitazioni e la gente onorevole». Non volse così la prima e dolce verità, anco elesse, per nostro essemplo e regola nostra, elesse ne la natività sua, la povertà tanto 'strema che non ebbe pannicello due invòllare, intanto che, essendo tempo di freddo, l'animale aciava sopra lo corpo del fanciullo; nell'ultimo de la vita sua ebbe tanta necessità, ed lo letto de la croce tanto 'stremo, che si lamenta che gli ucelli hanno lo nido e la volpe tana, e'l figlio de la Vergine non ha dove egli riposi lo capo suo (Lc 9,58).

O miseri miserabili a noi, terrannosi i cuori nostri, dolce fratello e sorella, che non si muovino e passino e rompino ogni illusione di demonia e detto di creatura? Virilmente vi date e con perfetta pace e unione a seguire le vestigie del nostro dolce salvatore, lo quale dirà a voi quella dolce parola: «Venite, figli miei, che per lo mio dolcissimo amore avete lassati gli appetiti disordenati de la terra: io vi rempirò e donaròvi i beni del cielo, darovi per uno cento e vita eterna possedarete.» Quando vi dà per uno cento la prima Verità? Quando egli infonde e dona la sua ardentissima carità nell'anima: questo è quello dolce cento, che senza esso non potremmo avere vita eterna, e con esso non ci può essare tolta la vita durabile.

Perciò io vi prego dolcemente che voi cresciate e non menoviate nel santo proponimento e buono desiderio lo quale Dio v'ha donato. Così desidera l'anima mia che facciate. Non dico più.

Dio vi doni la sua dolce eterna benedizione. Io, inutile serva, a tutti mi racomando; e io Giovanna pazza e tutte l'altre preghiamo che noi tutte moriamo infocate d'amore.





153. A monna Baccemea e monna Orsola, e altre donne da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnate e anegate nel sangue de lo dissanguato Agnello, considerando me che nel sangue aviamo la vita.

Però io voglio, dilettissime figlie, che apriate l'occhio dell'intelletto a raguardare nel vasello del cognoscimento di voi, nel quale cognoscimento trovate voi essere uno vasello dove si riceve questo glorioso e prezioso sangue, perché nel sangue è unita la natura divina intrisa col fuoco della carità. E però l'anima che raguarda nel vasello del cognoscimento di sé, trovando questo sangue, lo quale Dio ha dato per lo mezzo del Figlio suo, e perché lo sangue fu sparto solo per lo peccato, però vi trova lo cognoscimento di sé; vedendosi defettuosa, nel sangue chiama la divina giustizia: ché per fare giustizia del peccato commesso, sparse lo sangue suo. E conosce allora l'anima che l'eterna volontà di Dio non cerca né vuole altro che la sua santificazione; poiché, se egli avesse voluto altro che il nostro bene, non avrebbe data la vita. Perciò specchiatevi nel sangue, che il trovate nel vasello di voi medesime.

Aprite, aprite l'occhio dell'intelletto ne la potenza del Padre eterno, lo quale trovate in questo sangue per l'unione de la natura divina nella natura umana. Trovarete la sapienza del Figlio - nella quale sapienza cognosciarete la somma ed eterna sua bontà e la miseria vostra -, trovando la clemenza dello Spirito santo, lo quale fu quello legame che unì Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio, e tenne confitto e chiavellato questo Verbo in su' legno de la santissima croce; e così s'empirà e distenderà la volontà vostra ad amare.

Sì e per sì-fatto modo vi legarete con Cristo crocifisso, che né demonio né creatura ve ne potranno mai separare; ma ogni contrario che a voi venisse vi fortificarà in amore e in unione con Dio e col prossimo vostro, poiché nei contrarii si pruova la virtù, e tanto quanto la virtù è più provata nell'anima, tanto è più perfetta questa unione fatta col suo Creatore. Sì che parendovi forse alcune volte che le tribolazioni siano cagione di separarvi da l'unione di Dio e da la virtù, ed i non è così; anco sono acrescimento di virtù e d'unione, ché l'anima savia, del sangue di Cristo crocifisso vestita, quanto più si vede perseguitare e scalcheggiare dal mondo, tanto più leva l'affetto dal mondo. E se elle sono battaglie che procedano dal demonio, elle ci fanno umiliare e levare dal sonno de la negligenzia, e fannoci venire a perfetta sollicitudine. Torràvi, se sarete savie e prudenti, ogni ignoranza, e conceparassi uno lume e uno cognoscimento; sì e per sì-fatto modo ricevarete grazia che non tanto che renda lume in voi, ma rendarallo di fuore nell'altre creature per essemplo e specchio di virtù, e così adempirete la parola del nostro Salvatore, che noi doviamo essere lucerna ardente, che renda lume e non tenebre.

Orsù, dilettissime figlie, fate che io non vi senta più dormire, né tenebrose per amore proprio, ma con un amore ineffabile, nel quale amore cerchiate voi per Dio, e'l prossimo per Dio, e Dio per Dio, in quanto è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato e non offeso da noi. Altro non dico. Amatevi amatevi, dilettissime e carissime figlie, insieme; legatevi nel legame de la vera e ardentissima carità.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





154. A frate Francesco Tedaldi da Firenze monaco di Certosa, nell'isola di Gorgona.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitare nella casa del cognoscimento di voi: nel quale cognoscimento acquistarete ogni virtù, e senza questo vivereste in ogni male e senza veruna ragione.

Ma potreste dire a me: «In che modo ci posso intrare? E come mi ci posso conservare dentro?» Rispondovi. Voi sapete che senza lo lume in nessuno luogo potremmo andare se non in tenebre, dalla quale tenebre saremmo offesi; e in questa tenebre non potreste conoscere la vostra necessità di quello che vi bisogna tra via.

Noi siamo tutti viandanti e peregrini (He 11,13 1P 2,11), posti nella strada della dottrina di Cristo crocifisso: chi va coi comandamenti nella carità comune, e chi va per li consigli, per la carità perfetta, non scordandosi però da' comandamenti. Per questa via neuno può andare senza lo lume, poiché non avendo lume non potrebbe vedere il luogo dove gli conviene riposare, nel quale luogo può discernere chi l'offende e chi lo aiuta. Questo luogo è la casa del cognoscimento santo di sé, la quale casa l'anima vede col lume della santissima fede che sta nella strada della dottrina di Cristo crocifisso, cioè che colui che il vuole seguire subito entra in sé medesimo.

In questa casa trova il principale nemico suo che il vuole offendere, cioè la propia sensualità, ricoperta col manto de l'amore propio, lo quale nemico ha due principali compagni, con molti altri vassalli d'intorno.

L'uno è il mondo con le vanità e delizie sue, lo quale s'è fatto amico dell'appetito sensitivo che disordinatamente desidera; l'altro è il demonio con suoi inganni e con false e diverse cogitazioni e molestie, alle quali la volontà sensitiva è inchinevole: che volontariamente si diletta in esse cogitazioni, per qualunque modo il demonio glile ponesse innanzi. Questi principali nemici hanno molti servitori che tutti stanno per offendere l'anima, se per lo lume non è discreta a ponarci rimedio.

E però la ragione traie fuora il lume della santissima fede, e intra in casa; e signoreggia la propia sensualità, perché ha veduto che ella non cerca né vuole altro che la morte sua e però s'è accompagnata coi falsi suoi nemici. Questo ha cognosciuto col lume, e però con impeto si leva; e traie fuora il coltello dell'odio da questa sensualità, e dell'amore delle vere e reali virtù: e con esso l'uccide. Morto questo, tutti gli altri rimangono sconfitti: ché neuno il può offendere se egli non vuole. Con questo lume vede chi è quelli che l'ha sovenuto e campato da la morte, o levato dalla morte e ridottolo a vita: vede che è il fuoco della divina carità, poiché Dio per amore dié la virtù e potenza a l'anima che con la forza della ragione salisse in su la sedia della conscienzia, e con la sapienza del Verbo, che egli le fece participare, desse la sentenzia che la sensualità fusse morta. La volontà che l'ha participa la clemenza dello Spirito santo e la dolce volontà di Dio: col coltello sopradetto e con la mano del libero arbitrio l'ucida.

Vedendo che Dio è il suo remedio e sovvenitore e aiutatore cresce l'anima, in questa casa del cognoscimento di sé, in uno lume della verità e in uno fuoco inestimabile, ineffabile e incomprensibile che arde e consuma ciò che fusse nella casa contro la ragione, consumando nella fornace della carità di Dio e del prossimo l'acqua de l'amore propio spirituale e temporale, in tanto che veruna cosa cerca l'affetto de l'anima, se non Cristo crocifisso. Volendolo seguire per la via delle pene, a modo di Dio e non a modo suo, libero libero si lassa guidare a la dolce volontà di Dio: allora i nemici nol possono offendere. è lo' bene data licenzia dal giusto Signore che percuotano a la porta: e questo permette egli perché più sia sollecita la guardia a non dormire nel letto della negligenzia, ma prudentemente vegghi; e anco per provare se questa casa è forte o no, affinché, non trovandosi forte, abbi materia di fortificarsi, e col lume vedere chi la fa forte e perseverante; e quando l’ha veduto, con grande sollicitudine la stringa a sé.

Quale è quella cosa che ci fa forti e perseveranti? è l'orazione umile e continua, fatta nella casa del cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé; facendola fuore di questa casa l'anima n'averebbe poco frutto. Questa orazione ha per suo fondamento l'umilità - la quale umilità s'acquista in questa casa sopradetta -, e è vestita del fuoco della divina carità, la quale se trova nel cognoscimento che aviamo di Dio, quando col lume l'anima raguarda sé essere amata inestimabilemente da lui. Il quale amore pruova, e ènne certificata, nella prima creazione, vedendosi creata per amore a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26); e nella seconda si vede ricreato a grazia nel sangue dello immacolato Agnello. Queste sono due principali grazie che richiudono in sé ogni altra grazia spirituale e temporale, particulare e generale: e così con questo lume si veste di fuoco.

A mano a mano segue la lagrima, perché l'occhio, quando sente il dolore del cuore, gli vuole satisfare; e geme sì come il legno verde quando è messo nel fuoco, che per lo grande calore gitta l'acqua. Così l'anima che sente il fuoco della divina carità: lo desiderio e l'affetto suo stanno nel fuoco, e l'occhio piagne mostrando di fuore quella particella che gli è possibile di quello che è dentro. Questa procede da diversi sentimenti dentro, secondo che l'è porto dall'affetto dell'anima, sì come voi sapete che si contiene nel Trattato delle lacrime; e però in questo non mi stendo più.

Ritorno breve breve a l'orazione: breve ve ne dico, perché distesamente l'avete. In tre modi possiamo intendere orare: l'uno è orazione continua - a la quale ogni creatura che ha in sé ragione è obligata -: questo è il santo e vero desiderio fondato nella carità di Dio e del prossimo, facendo per onore di Dio tutte le sue opere in sé e nel prossimo suo. Questo desiderio sempre òra; cioè òra l'affetto della carità dinanzi al suo Creatore continuamente, in ogni luogo e in ogni tempo che l'uomo è, e in ciò che egli fa.

Che frutto riceve di questo? Riceve una tranquillità serena, dentro ne l'anima, d'una volontà accordata e sottoposta alla ragione che in nessuna cosa si scandaliza. Non gli è duro a portare il giogo della vera obbedienzia, quando gli sono posti i pesi e gli essercizii manuali, o a servire il fratello suo, secondo e casi e tempi che occorrono: per questo già non viene a tedio né in afflizione di mente, e non si lassa ingannare al desiderio de l'anima che appetisce la cella, la consolazione e pace sua. Né quando egli vuole orare attualmente, ed egli gli conviene fare altro: dico che non si lassa ingannare a questo desiderio, pigliandone pena tediosa e affligitiva, ma trae fuore l'odore dellaobbedienza con vera umilità, e il fuoco della carità del prossimo suo. A questa orazione c'invita il glorioso apostolo Paulo, quando dice che noi doviamo orare senza intermessione: e chi non ha questa, nessuna ne può avere che gli dia vita; e chi volesse lasciare questo per avere la pace sua, perde la pace.

è un'altra orazione, cioè orazione vocale, quando vocalmente l'uomo dice il divino officio o altre orazioni che voglia dire. Questa è ordinata per giognere alla mentale; e questo è il frutto che ne riceve, se ella è fondata in su la prima e con essercizio vi perseveri, sforzando sempre la mente sua a pensare porgere e ricevere in sé più l'affetto della carità di Dio che il suono delle parole. E con prudenzia vada, che quando si sente essere visitato nella mente sua ponga termine alle parole; eccetto l'officio divino lo quale egli fusse obligato di dire.



E così giogne alla terza, cioè alla mentale, levando la mente e il desiderio suo sopra di sé a una considerazione dell'affetto della carità di Dio e di sé medesimo, dove conosce la dottrina della verità, gustando lo latte della divina dolcezza, lo quale latte esce delle mamelle della carità per lo mezzo di Cristo crociato e passionato: cioè che non si diletta di stare altro che in croce con lui. Da questo giogne e riceve il frutto de l'unitivo stato, dove l'anima viene a tanta unione che ella non vede più sé per sé, ma sé per Dio, e il prossimo per Dio, e Dio per la sua infinita bontà, lo quale vede che è degno d'essere amato e servito da noi: e però l'ama senza modo, ma come spasimata corre morta ad ogni volontà perversa.

Dilettasi di stare nel talamo e cubiculo dello Sposo suo, dove Dio manifesta sé medesimo a lei, e dove vede le diverse mansioni che sono nella casa del re eterno; e però gode e ha in reverenzia ogni modo differente che vedesse nelle sue creature, iudicando in ogni cosa la volontà di Dio, e non la volontà degli uomini.

Così è liberata dal falso iudicio, che non iudica né si scandelizza ne le opere di Dio, né in quelle del prossimo suo. Lo diletto e vita eterna che gusta questa anima, Dio vel facci provare per la sua infinita misericordia: con lingua né con inchiostro non il voglio né posso narrare. Sì che avete che ci fa perseverare fermi nella casa del cognoscimento di noi; e chi vi ci conduce, e dove la troviamo: detto è che il lume ci guida; trovianla nella dottrina di Cristo crocifisso, come detto è; e l'orazione vi ci serra e conserva dentro; e così è la verità.

Perciò voglio, carissimo e dolcissimo figlio, che, affinché potiate compire il voto della santa obbedienzia - alla quale novellamente sete intrato -, sempre stiate nella casa del cognoscimento di voi, perché in altro modo nol potreste osservare: e però dissi ch'io desideravo di vedervi in questa casa del cognoscimento.

Questa casa, poi ch' i nemici ne sono cacciati, e morto il principale nemico della volontà sensitiva, ella si riempie e s'adorna de l'adornamento delle virtù: a questo voglio che studiate, poiché non bastarebbe se la casa fusse vòta e non si rimpisse. Io voglio che sempre stiate in questo cognoscimento di voi, e in voi conoscere il fuoco e la bontà della carità di Dio.

Questa è quella cella la quale io voglio che per l'isola e in ogni luogo la portiate con voi in ciò che avete a fare, e non l'abandonate mai nel coro, nel refettorio, nella congregazione, negli essercizii; e in ciò che avete a fare vi strignete in essa. E voglio che ne l'orazione attuale sempre si dirizzi lo intelletto vostro a la considerazione dell'affetto nella carità di Dio, più che nel dono che vi paresse ricevere da lui, affinché l'amore sia puro e non mercennaio. E voglio che la cella attuale sia visitata da voi quanto vi permette l'obbedienzia; e più tosto vi dilettate di stare in cella con guerra, che fuore della cella in pace: poiché il demonio usa questa arte coi solitarii, per far lo' venire a tedio la cella, di dar lo' più tenebre, battaglie e molestie dentro che di fuore, affinché ella lo' venga in terrore, quasi come la cella fusse cagione delle loro cogitazioni.

Sì che per questo non voglio che voltiate lo capo adietro, ma siate costante e perseverante; non stando mai ozioso, ma esercitando lo tempo con l'orazione, con la lezione santa, o con essercizio manuale, stando sempre con la memoria piena di Dio, affinché l'anima non sia presa dall'ozio. E voglio che in ogni cosa giudichiate la volontà di Dio, come di sopra è detto, affinché pentimento né mormorazione non cadesse in voi verso i vostri fratelli. Anco voglio che l'obbedienzia pronta in tutto riluca in voi, non in parte né a mezzo, ma compitamente che in nessuna cosa ricalcitriate alla volontà de l'Ordine e del prelato vostro: facendovi specchio dell'osservanzia e dei costumi de l'Ordine, studiandovi d'osservarle fino a la morte, dispregiando e tenendo a vile voi medesimo, uccidendo la propia volontà e mortificando il corpo con quella mortificazione che ha posta l'Ordine. Anco voglio che caritativamente vi sforziate di portare i costumi e le parole le quali alcune volte, o per illusione di demonio o per la propria fragilità, o che sia pur così, paiono incomportabili.

In tutto si vuole risistere, in questo e in ogni altra cosa; e così osservarete la parola di Cristo, che dice che il reame del cielo è di coloro che fanno forza a loro medesimi con violenzia. La memoria voglio che s'empia e stia piena del sangue di Cristo crocifisso, dei beneficii di Dio, e del ricordo della morte, affinché cresciate in amore, in timore santo, e in fame del tempo; raguardandoli con l'occhio dell’intelletto, col lume della santissima fede, affinché la volontà corra prontamente senza veruno legame di disordinato amore che aveste a veruna cosa fuore di Dio.

Anco voglio che quando lo demonio invisibile o visibile o la fragile carne dessero battaglie o rebellione allo spirito, di qualunque cosa si sia o fosse, voi lo manifestiate aprendo il cuore vostro al priore, se egli v'è; e se non v'è, a un altro al quale ve sentite più disposta la mente di manifestarlo, e che vediate che sia più atto a darvi remedio. Anco voglio che guardiate che il movimento de l'ira non si porga alla lingua, gittando parole rimproccevoli che avesseno a dare scandolo o turbazione; ma la reprensione e l'odio si rivoltino verso voi medesimo. Queste sono quelle cose le quali Dio e la perfezione che avete eletta vi richiegono: e io indegna e miserabile vostra madre, cagione di male e non cagione di veruno bene, desidero di vederle ne l'anima vostra.

Pregovi dunque e stringo per parte di Cristo crocifisso, dolce e buono Gesù, che vi studiate d'oservarle fino a la morte, affinché siate la gloria mia, e voi riceviate la corona della beatitudine per la longa perseveranza, la quale è sola quella che è coronata. Altro non vi dico. Fate sì che io non abbi a piagnere e che io non mi richiami a Dio di voi. Raccomandateci al priore e a tutti cotesti figli. La famiglia tutta vi si raccomanda e io strettamente vi raccomando Barduccio.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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