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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 16:07

169. due Lettere:

1) A don Nicoloso di Francia monaco di Certosa nel monasterio di Belriguardo.

2) A frate Matheo Talomei da Siena dell'ordine dei Predicatori, in Roma.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore in questo campo della battaglia, sì che mai non volliate lo capo adietro per alcuna cosa che sia, ma, come cavaliere virile, state a ricevere i colpi senza timore servile, ché, essendo voi armato, i colpi non vi nociaranno.

I ci conviene armare con l'arme della fortezza, unita con l'ardentissima carità, poiché, per amore del sommo e eterno bene, ci doviamo disponere a portare volontariamente ogni pena e fatica. Questa è una arme di tanto diletto e fortezza che né dimonia, con diverse e molte tentazioni, né le creature, con molte ingiurie e beffe e scherni che facessero di noi, non ci possono togliere la fortezza né lo diletto che riceve l'anima ne la dolcezza della carità; anco, l'anima che è armata così dolcemente percuote loro, poiché il demonio - trovando l'arme della fortezza nell'anima, ne le battaglie che egli le dà - vede che con allegrezza le riceve, per odio santo che ha di sé medesima, e per desiderio che ha di conformarsi in croce con Cristo, e portare pene e fatiche per lo suo amore. E vede che con carità d'amore del suo Creatore le spregia, cioè che la volontà non consente ad alcuna sua illusione; e però di questa fortezza che lo demonio trova e vede in quella anima, n'ha pena, e vedesene rimanere sconfitto; e l'anima si rimane piena de la divina grazia, tutta affocata d'amore, e inanimata a la battaglia a combattere per Cristo Crocifisso. Sì che vedete, carissimo figlio, che voi percotarete loro.

E dicovi che percotarete lo mondo con tutte le sue delizie, e le creature che vi volessero perseguitare, in qualunque modo si fusse, con la carità della carità sostenendo con vera e santa pazienza. E con la pazienza e con la carità lo' gittarete carboni acesi, cioè un amore sopra i capi loro, che per forza d'amore si placarà l'ira e la persecuzione loro. Molto c'è dunque necessaria questa arme, poiché in altro modo non potremmo resistere.

La battaglia non possiamo noi fuggire, mentre che siamo nel corpo mortale, in qualunque stato la persona si sia; e ciascuno le porta in diversi modi, secondo che piace alla bontà di Dio di darle. Se la persona non è armata, riceve lo colpo della impazienzia, e riceve lo colpo del diletto di consentire volontariamente ai colpi de le molte battaglie che lo demonio gli dà; e così ne rimane morto, rimanendo ne la colpa del peccato mortale. Ma se egli è armato, neuno colpo gli può nuocere, come detto è.

E se voi mi diceste: «Io non la posso avere questa arme», o: «A che modo potrei fare d'averla?», io vi rispondo che non è alcuna creatura che avesse in sé ragione, che non la possi avere, se egli vuole, mediante la divina grazia. Poiché la colpa e la virtù si fa con la volontà; e tanto quanto la volontà dell’uomo consente al peccato o ad adoperare una virtù, tanto è peccato e virtù. Poiché, senza la volontà, né il peccato sarebbe peccato, né la virtù sarebbe virtù: cioè che l'anima non ricevarebbe colpa né da l'atto del peccato né da alcuna cogitazione, se la volontà non vi consente; né le buone cogitazioni né l'atto de la virtù darebbe vita di grazia, se la volontà non consente a ricevarle con affetto d'amore.

E la volontà dell’uomo è sì forte, che né demonio né creatura né alcuna cosa creata la può muovere, né fare consentire né a peccato né a virtù, più che si voglia. Questo ci mostrò Paulo, quando disse: «Né fame né sete né persecuzioni né fuoco né coltello, né cose presenti né future, né angeli né demonia mi partiranno da la carità di Dio, se io non vorrò». In queste parole lo glorioso di Paulo ci mostra quanta è la forza de la volontà che Dio ci ha data per sua misericordia, sì che neuno può dire: «Io non posso», né avere scusa di peccato. Possono bene venire i ladii e molti pensieri nel cuore - ai quali neuno può resistere che non venghino -, ma lo venire non è peccato; ma lo ricevarli con volontà, questo è peccato, e a questo si può resistere di non aconsentire.

Poi, dunque, che sì grande tesoro aviamo che neuno può essere vento se egli non vuole, non è da schifare i colpi, ma è da dilettarsi di stare sempre in battaglia, mentre che viviamo. Chi vedesse quanto è lo frutto della battaglia, non sarebbe neuno che con desiderio non l'aspettasse. Chi non ha battaglia, non ha vittoria; e chi non ha vittoria, sì è confuso. Sapete quanto bene ne viene per la battaglia? L'uomo ha materia, nel tempo delle grandi battaglie, di levarsi da la negligenzia, e d'essere più sollicito a essercitare lo tempo suo, e di non stare ozioso; e singularmente all'essercizio dell'orazione, ne la quale orazione umilemente ricorre a Dio, che vede che è sua fortezza, e dimandali l'aiutorio suo. E anco ha materia di conoscere la debolezza e fragilità della passione sensitiva sua; unde per questo concepe uno odio verso lo proprio amore, e con vera umilità dispregia sé medesimo, e fassi degno de le pene e indegno del frutto che segue doppo le pene.

E anco conosce la bontà di Dio in sé, sentendo che la buona volontà, la quale egli ha che non consente, l'ha da Dio; e però concepe amore nella bontà sua con uno santo ringraziamento, perché si sente conservato nella buona volontà. Nelle battaglie s'acquistano le grandi virtù, e ogni virtù riceve vita da la carità, e la carità è notricata da la umilità; e come già aviamo detto che nel tempo delle battaglie l'anima ha materia di conoscere più sé medesima e la bontà di Dio in sé, dico che in sé conosce sé essere fragile, unde egli s'umilia; e in sé conosce ne la buona volontà la bontà di Dio, unde viene ad amore e a carità.

Perciò bene è da godere nel tempo delle battaglie, e non venire mai a confusione, poiché alcune volte lo demonio, non potendoci ingannare coi lamo del diletto, ci vuole pigliare coi lamo della confusione - volendoci fare vedere che nel tempo delle battaglie siamo reprovati da Dio, e che l'orazione e gli altri essercizii spirituali non ci vagliono -, dicendo nella mente nostra: «Questo che tu fai, non ti vale: tu debbi fare la tua orazione e l'altre cose col cuore schietto e con mente quieta, e non con tanti disonesti e variati pensieri. Meglio t'è dunque di lassarle stare». E tutto questo fa lo demonio perché noi gittiamo a terra i santi essercizii e l'umile orazione, che è ell'arme con che noi ci difendiamo, o vogliamo dire uno legame che lega e fortifica la volontà, e cresce e notrica la fortezza con l'ardentissima carità, con che l'anima resiste ai colpi, come detto è. E però lo demonio s'ingegna, con questo lamo, che noi la gittiamo a terra; poiché potrebbe, perduto questo, a mano a mano avere di noi quello che egli vuole.

Perciò mai per nessuna battaglia doviamo venire a confusione, né lasciare alcuno essercizio; eziandio se avessimo peccato attualmente, a confusione di mente non si debba venire - poiché doviamo credere che subito che l'uomo si riconosce e ha dolore e pentimento de la colpa comessa, Dio lo riceve a misericordia -, ma con speranza e con fede viva credere in verità che Dio non vi porrà maggiore peso che voi potiate portare; poiché tanto ci molestano le demonia quanto Dio permette, e più no. E doviamo essere certi che Dio sa può e vuole deliberarci, quando egli vedrà che sia lo tempo che faccia per la salute nostra di tollarci le tentazioni e ogni altra fatica; poiché ciò che egli ci dà e permette, lo fa per nostra salute o per acrescimento di perfezione.

Or con questo lume de la fede e vera speranza passarete questo e ogni altro inganno del demonio; e con profonda umilità, inchinando lo capo a passare per la porta stretta, seguitando la dottrina di Cristo Crocifisso, acquistarete lo dono della fortezza e della carità, de la quale aviamo detto che è l'arme con che noi ci difendiamo. Con che s'acquista questa arme? col lume della santissima fede, come detto è. Sì che la fede con ferma speranza e con la carità - ché altrimenti, non sarebbe fede viva - ci darà lume in conoscere la nostra fortezza, Cristo dolce Gesù, e la debolezza dei nemici. E la speranza ci farà certi che egli è così, aspettando che ogni fatica sarà remunerata, e ogni colpa sarà punita. E la carità ci fortifica, facendoci forti contro ogni avversario.

Dunque a combattere, carissimo figlio, ponendoci lo sangue dinanzi de l'umile e immacolato Agnello, che ci farà essere forti e inanimare a la battaglia; in altro modo non tornaremmo a la città nostra di vita eterna con la vittoria. E però vi dissi che io desideravo di vedervi vero combattitore, mentre che siamo nel campo della battaglia, sì come cavaliere virile; e così vi prego che facciate, e sempre con la verga della veraobbedienza.

O carissimo figlio, parmi che lo Sposo eterno voglia che voi vi gloriate insieme col glorioso Paulo: egli si gloria nelle molte tribolazioni; fra l'altre, dello stimolo che egli ebbe poi che fu preso e battuto cotante volte da' Giuderi. E voi con lui insieme,vi gloriate, figlio carissimo, e abiatele in debita reverenzia, riputandovi indegno del frutto e degno della pena. Ora è il tempo nostro di sostenere per gloria e loda del nome suo: non dubitate, né voglio che veniate meno sotto la disciplina dolce di Dio. Confortatevi, ché tosto verrà l'aurora. Voi chiamerete, e vi sarà risposto in verità. Anegatevi anegatevi nel sangue dolce di Cristo Crocifisso, dove ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Gridate in cella, e la verità eterna udirà lo grido vostro, e io, ignorante e misera vostra madre, farò il simile: e così sarà subvenuto ai vostri bisogni. Non mancate in isperanza, ché a voi non mancherà la divina Providenzia.





170. A Pietro marchese predetto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, mi vi racomando nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero servo e cavaliere di Cristo, combattendo sempre virilmente contro i vizii e i peccati, non con negligenzia ma con vera e santa sollicitudine, sì che, venendo quello punto dolce de la morte, torniamo con la vittoria ne la città vera di Ierusalem, visione di pace, dove noi non trovaremo la carne che voglia ribellare a lo spirito.

Ma attendete, padre, che a volere la vita durabile, c'è bisogno di lasciare la carne, prima che venga la morte e che la carne abbandoni noi, cioè lasciare gli appetiti e i desiderii e i sentimenti carnali. Oimé, non ve ne fate invitare a lassargli, poichéd i non ci ha tempo, e non è nessuna cosa che faccia l'uomo bestiale quanto questo perverso vizio; e grande stoltizia è de la creatura, che si tolle tanta dignità per tanto trista cosa e diventa animale bruto. Perciò stirpiamo e combattiamo contro a questo vizio e contro ad ogni altro, con l'odore de la santa continenzia e onestà, con lo scudo de la santissima croce, e riparare ai colpi: sì che siate vero giudice e signore ne lo stato che Dio v'ha posto, e drittamente rendiate lo debito al povero e al ricco secondo che richiede la santa giustizia, la quale sempre sia condita con la misericordia. Non dico più qui.

Manifestovi uno caso che è avenuto al monasterio di Santo Michele Angelo da Vico; poiché uno giovane, lo cui nome vi dirà la lettera che la badessa del detto monasterio vi manda, lo quale già è buono tempo l'ha stimolate, e a tanto è venuto che egli vi si entra ogni ora che gli piace, avendo smurata una finestra del monasterio, minacciando quelle che non vogliono lo male, di mettere fuoco nel monasterio e ardervele dentro, secondo che esse hanno detto a me. Per la quale cosa vi prego e costringo che voi ci poniate quello remedio che vi pare, e più convenevole, sì che si ponga remedio a tanta abominazione. Non vorrei poiché egli perdesse la vita, ma d'ogni altra pena io sarei molto consolata. Non dico più sopra questa materia.

Lo Spirito santo v'allumini, di questo e d'ogni altra cosa. Laudato sia Gesù.







171. A Nicolò Soderini, essendo dei Priori di Firenze al tempo che si fece la lega.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi membro legato e unito nel legame della vera carità, sì e per sì-fatto modo che participiate di questo vero amore che, poi che sete fatto capo e posto in signoria, voi siate quello mezzo che aitiate a legare tutti i membri dei vostri cittadini, sì che non stieno a tanto pericolo e dannazione dell'anima e del corpo.

Sapete che il membro che è tagliato dal capo suo, egli non può avere in sé vita, perché non è legato con quello unde egli aveva la vita. Così vi dico ch'è l'anima che è partita da l'amore e da la carità di Dio: cioè di quelli i quali non seguitano lo loro Creatore, ma più tosto lo perseguitano con molte ingiurie e peccati mortali, i quali manifestamente si veggono per segni e modi che noi vediamo apparire e fare tutto dì; e voi mi potete intendere. Or chi siamo noi, miseri miserabili, iniqui e superbi, noi che facciamo contro lo capo nostro? Oimé oimé, la superbia e la grandezza nostra col vedere cieco ci mostra lo fiore dello stato e delle signorie, e non vediamo lo verme che è intrato sotto a questa pianta che ci dà lo fiore, che rode; e tosto verrebbe meno, se egli non s'argomenta. Conviensi dunque argomentare col lume della ragione della vera e dolce umilità, la quale virtù coloro che la possegono sempre sono essaltati, e così per lo contrario, come disse Cristo, sempre i superbi sono umiliati (Lc 14,11 Mt 23,12 Lc 18,14). Questi cotali non possono avere vita, poiché sono membri tagliati dal dolce legame della carità.

O che peggio possiamo avere che essere privati di Dio? Bene potremmo avere assai legame e, fatta lega, legati con molte città e creature: che, se non c'è lo legame e l'aiutorio di Dio, che ci vaglia nulla. Sapete che invano s'affatica colui che guarda la città, se Dio non la guarda (Ps 126,1). Che faremo dunque, disaventurati a noi, ciechi e ostinati nei difetti nostri, poi che Dio è colui che guarda e conserva la città e tutto l'universo, e io mi sono ribellato da lui, che è colui che è? E se io dicessi: «Io non fo contro lui»; dico che tu fai contro lui quando fai contro lo vicario suo, la cui vece tiene. Vedi che tu sei tanto indebilito, per questa ribellione fatta che quasi non ci ha forza veruna, perché siamo privati della nostra fortezza. Oimé, fratello e figlio carissimo, aprite l'occhio a raguardare tanto pericolo e tanta dannazione d'anima e di corpo; pregovi che non aspettiate la ruina e il divino iudizio, poiché il verme potrebbe tanto crescere che il fiore darebbe a terra. L'odore di questo fiore già è mortificato, perché siamo stati ribelli a Cristo: sapete che l'odore della grazia non può stare in colui che fa contro lo suo Creatore.

Ma lo remedio ci è, se il vorremo pigliare, e di questo vi prego quanto so e posso, in Cristo dolce Gesù, che il pigliate, voi e gli altri cittadini, e fatene ciò che potete da la parte vostra. Umiliatevi e pacificate i cuori e le menti vostre, poiché per la porta bassa non si può tenere col capo alto, poiché noi ce il romparemmo: egli ci conviene passare per la porta di Cristo Crocifisso, che s'aumiliò a noi stolti e con poco cognoscimento. E se voi v'aumiliarete, dimandarete con pace e mansuetudine la pace al nostro capo, Cristo in terra.

Vogliate dimostrare che siate figli, membri legati e non tagliati, e trovarete misericordia e benignità, essaltazione nell'anima e nel corpo. Sapete che la necessità ci debba strignare a farlo, se non ci strignesse l'amore. Non può stare lo fanciullo senza l'aiutorio del padre, poiché non ha in sé virtù né potenza veruna per sé - ciò che egli ha, ha da Dio -: conviengli dunque stare in amore del padre, ché, se egli sta in odio e in rancore, l'aiutorio suo gli verrà meno; venendoli meno l'aiutorio, conviene che venga meno egli. Percioè, e con sollicitudine, da andare e dimandare l'aiutorio del padre, cioè di Dio: conviencelo adimandare e avere dal vicario suo, poiché Dio gli ha data nelle mani sue la chiave del cielo, e a questo portinaio ti conviene fare capo, poiché quello che egli fa è fatto, e quello che egli non fa, non è fatto. Così disse Cristo a santo Pietro: «Cui tu legarai in terra, sarà legato in cielo, e cui tu sciogliarai in terra, sarà sciolto in cielo» (Mt 16,19).

Poi che egli è tanto forte questo vicario, e di tanta virtù e potenza che serra e apre la porta di vita eterna, noi membri putridi, figli ribelli al padre, saremo sì stolti che facciamo contro lui? Bene vediamo che senza lui non possiamo fare. Se tu sei contro la santa Chiesa, come potrai participare lo sangue del Figlio di Dio, ché la Chiesa non è altro che esso Cristo? Egli è colui che ci dona e ministra i sacramenti, i quali sacramenti ci danno vita per la vita che hanno ricevuta dal sangue di Cristo. Ché prima che il sangue ci fusse dato, né virtù né altro erano sufficienti a darci vita eterna. Come dunque siamo tanto arditi che noi spregiamo questo sangue? E se dicessi: «Non spregio lo sangue»; dico che non è vero, ché chi spregia questo dolce vicario spregia lo sangue: ché chi fa contro l'uno, fa contro all'altro, poiché essi sono legati insieme. Come mi dirai tu che, se tu offendi uno corpo, che tu non offendi lo sangue che è nel corpo? non sai tu che egli è uno corpo mistico, che tiene in sé lo sangue di Cristo? Intendi che adiviene come del figlio e del padre: che, assai offendesse lo padre lo figlio, che il figlio abbi mai ragione sopra di lui; e non può mai offendarlo, né debba offendare, che non sia in pericolo di morte e in stato di dannazione. Egli è sempre debitore a lui, per l'essere che egli gli ha dato: non pregò mai lo figlio lo padre che gli desse della substanzia della carne sua, e non di meno lo padre, mosso per amore che egli ha al figlio prima che egli abbi l'essere, sì gli il dà. O quanto maggiormente noi ignoranti, ingrati e irriconoscenti figli, possiamo patire d'offendere lo nostro vero padre, con-ciò-sia-cosa-che egli ci abbi amati senza essere amato, ché per amore ci creò (e anco ci recreò a grazia nel sangue suo, dando la vita con tanto fuoco d'amore che, ripensandolo, la creatura patirebbe inanzi fame e sete e ogni necessità, infine alla morte, prima che ribellasse o facesse contro lo vicario suo, per mezzo del quale c'è porto lo frutto del sangue di Cristo); e tutto ci ha dato per grazia e non per debito.

Or non più, fratelli miei: non più dormite in tanto poco lume e cognoscimento; traiamo lo verme della superbia e dell'amore proprio di noi medesimi; uccidianlo col coltello de l'odio e dell'amore, con amore di Dio e reverenzia della santa Chiesa, con odio e pentimento del peccato e difetto commesso contro Dio e contro lei. Allora avarete fatto uno innesto, piantati e innestati nell'albero de la vita: torràvi la morte e renderàvi la vita; privati sarete della debolezza - ché già abbiamo detto che siete fatti debili perché siamo privati di Dio, che è nostra fortezza, per la ingiuria che facciamo alla Sposa sua -: dunque, facendo questa unione con odio e pentimento della divisione avuta, sarete fatti facciorti nelle grazie spirituali - le quagli doviamo participare, volendo la vita della grazia - e nelle temporali, sì e per sì-fatto modo che neuno v'offendarà. Meglio v'è di stare in pace e in unione, eziandio non tanto col capo vostro ma con tutte le creature, poiché noi non siamo giudei né saracini, ma cristiani, bagnati e ricomprati nel sangue di Cristo.

Stolti a noi, che ci andiamo ravollendo per appetito di grandezza e, per timore di non perdare stato, pigliamo e facciamo l'offizio deli demoni (andando invitando l'altre creature a fare quello male medesimo che fate voi, sì come demonio): ché, quando egli erano angeli, quelli che caddero si legaro insieme e ribellaro a Dio e, volendo essere alti, diventaro bassi. Non voglio, e così vi prego, che voi non facciate lo simile: volendo fare contro la Sposa di Cristo, v'andiate legando insieme. Facendo così, quando credeste essere legati e inalzati, voi sareste più sciolti e abbassati che mai.

Non più così, fratelli carissimi; legatevi nel legame dell'ardentissima carità, dimandate di tornare a pace e a unione col capo vostro, affinché non siate membri tagliati. Voi avete uno padre tanto benigno che, volendo tornare all'amenda, non tanto che egli vi perdoni, ma egli v'invita a pace, non obstante la ingiuria che ha ricevuta da voi, bene che forse non vi pare avere fatta ingiuria ma ricevuta; se questo è, è per poco lume che è in voi, e questo è il grande pericolo, ed è la cagione che l'uomo non si corregge né torna all'amenda, perché non vede la colpa sua: non vedendola, non l'agrava per odio e pentimento; Perciò ci conviene vedere affinché cognosciamo i difetti nostri, sì che, conoscendoli, gli correggiamo.

Noi non doviamo amare i vizii che noi vedessimo nelle creature, ma doviamo amare e avere in reverenzia la creatura e l'autorità che Dio ha posta nei ministri suoi; dei peccati loro lassargli punire e gastigare a Dio, poiché egli è quello sommo giudice che drittamente dà i giudizii suoi, e a ognuno rende lo debito suo giustamente, secondo che ha meritato, e con drittura. Troppo sarebbe sconvenevole che volessimo giudicare, noi che siamo caduti in quello medesimo bando. Pregovi che non vi lassiate più guidare a tanta simplicità, ma con cuore virile e virtuoso vi legate col vostro capo, sì che, venendo lo punto della morte, dove la persona non si può scusare, noi possiamo participare e ricevare lo frutto del sangue di Cristo.

Pregovi voi, Nicolò, per quello amore ineffabile col quale Dio v'ha creato e ricomprato tanto dolcemente, che voi vi studiate, giusta al vostro potere - ché senza grande misterio non v'ha Dio posto costì -, di fare che la pace e l'unione tra voi e la santa Chiesa si faccia, affinché non siate pericolati voi e tutta la Toscana.

Non mi pare che la guerra sia sì dolce cosa che tanto la dovessimo seguire, potendola levare. Or ècci più dolce cosa che la pace? certo no. Questo fu quello dolce testamento e lezione che Cristo lassò ai discepoli suoi; così disse egli: «Voi non sarete cognosciuti che siate miei discepoli per fare miracoli, né per sapere le cose future, né per mostrare grande santità in atti di fuore, ma se avarete carità e pace e amore insieme» (Jn 13,35).

Voglio dunque che pigliate l'officio degli angeli, che sono mezzo ingegnandosi di pacificarci con Dio; fatene ciò che potete, e non mirate per veruna cosa, né per piacere né per dispiacere. Attendete solo a l'onore di Dio e a la salute vostra; eziandio se la vita ne dovesse andare, non vi ritragga mai di dire la verità per veruno timore che il demonio o le creature vi volessero mettare: ponetevi per scudo e per difesa lo timore di Dio, vedendo che l'occhio suo è sopra di noi e raguarda sempre la intenzione e volontà dell’uomo, come ella è dirizzata in lui. Facendo così, adempirete lo desiderio mio in voi, sì come io vi dissi che io desideravo che fuste membro unito e legato nel legame della carità, e non tanto in voi, ma cagione di legare tutti gli altri.

Fate lo' vedere, quanto potete, lo pericolo e malo stato che sono, ché io vi prometto che, se voi non v'argomentate in ricevare la pace e dimandarla benignamente, voi cadarete nella maggiore ruina che cadeste mai. Temo che non si potesse dire quella parola che disse Cristo quando andava all'obrobiosa morte della croce per noi, miseri miserabili, irriconoscenti di tanto beneficio, quando si volse dicendo: «Figlie di Gerusalem, non piangete sopra me, ma sopra voi i figli vostri» (Lc 23,28). E lo dì di domenica d'olivo, quando scendeva del monte, disse «Gerusalem Gerusalem, tu godi che egli è oggi lo dì tuo, ma tempo verrà che tu piagnarai» (Lc 19,41-44). Or non vogliate, per l'amore di Dio, aspettare questo tempo, ma ponete in voi la vera letizia, cioè de la pace e dell'unione. A questo modo sarete veri figli, participarete e avarete la eredità del Padre eterno.

Non dico più, ché tanto è lo duolo e la pena che io ne porto per lo danno delle anime e dei corpi vostri, che, affinché questo non fusse, io sosterrei con grande desiderio di dare mille volte la vita, se tanto potesse; sì che avesseatemi per scusata s'io abondo di parole, ché tosto lo mandarei ad effetto se io potesse. Prego la divina providenzia che a voi, figlio, e a tutti gli altri, dia lume e cognoscimento e timore e amore santo di Dio, che vi tolga ogni tenebre e amore proprio e timore servile, che è quella cagione unde procede e viene ogni male.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Mando a voi lo portatore di questa lettera, predicatore unguanno costà, dell'ordine dei frati Minori, vero e buono servo di Dio, lo quale v'aitarà a consigliare e dirizzare nella via della verità, e in tutte quelle cose che avete a fare per voi medesimo in particulare e per tutta la città in comune. Pregovi che pigliate e v'atteniate ai consigli suoi, e non sia veruna cosa sì secreta né occulta nella mente vostra che voi non gli il participiate e manifestiate a lui. Spero per la divina grazia che, per l'amore e affetto che egli ha alla salute vostra e d'ogni creatura, che ricevarà lume da Dio, sì che drittamente vi consigliarà: di costui fate ragione che sia un altro io.

Benedite e confortate monna Gostanza e tutta la famiglia.



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