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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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Sesso: Femminile
19/10/2012 16:19

194. A monna Tora figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti spogliato lo cuore e l'affetto tuo del mondo e di te medesima, poiché in altro modo non ti potresti vestire di Cristo Crocifisso, perché il mondo nessuna conformità ha con Dio.

L'affetto disordenato del mondo ama la superbia, e Dio l'umilità; egli cerca onori stato e grandezza, e Cristo benedetto le dispregiò, abraciando le vergogne scherni e villanie, fame sete freddo e caldo, infine all'obbrobiosa morte de la croce; e con essa morte rendé onore al Padre, e noi fummo restituiti a grazia.

Questo affetto disordenato cerca di piacere a le creature, non curando di dispiacere al Creatore; e egli non cercò mai se non di compire l'obedienzia del Padre eterno per la nostra salute. Egli abracciò e vestissi de la povertà voluntaria; e il mondo cerca le grandi ricchezze.

Bene è dunque differente l'uno da l'altro, e però di necessità è che se lo cuore è spogliato del mondo, sia pieno di Dio; e se egli è spogliato di Dio, sia vestito e pieno del mondo. Così disse lo nostro salvatore: «Neuno può servire a due signori; ché, se serve all'uno, è in contempto all'altro». Doviamo dunque con grande sollicitudine levare lo cuore e l'affetto da questo tiranno del mondo, e ponerlo tutto libero e schietto in Dio, e senza veruno mezzo; non doppio, né amare fittivamente: poiché egli è il dolce Dio nostro che tiene l'occhio suo sopra di noi, e vede l'occulto secreto del cuore nostro. Troppo è grande simplicità e mattezza la nostra, che, vedendo noi che Dio ci vede, e è giusto giudice che ogni colpa punisce e ogni bene remunera, e noi stiamo come acecati e senza veruno timore, aspettando quello tempo che noi non aviamo né siamo sicuri d'avere. Sempre ci andiamo attaccando, e se Dio ci taglia uno ramo e noi ne pigliamo un altro; e più ci curiamo di perdere queste cose transitorie, e de le creature, che noi non ci curiamo di perdere Dio.

Tutto questo ci adiviene per lo disordenato amore che noi ci aviamo posto, tenendole e possedendole fuore de la volontà di Dio; unde in questa vita ne gustiamo la caparra dell'inferno, poiché Dio ha permesso giustamente che chi disordenatamente ama sia incomportabile a sé medesimo. E sempre ha guerra nell'anima e nel corpo: pena porta di quello che possiede - per timore che egli ha di non perdarlo -; e per conservarlo, che non gli venga meno, s'affatica lo dì e la notte; pena porta anco di quello che non ha, perché l'appetisce d'avere.

E così mai l'anima non si quieta in queste cose del mondo, perciò che sono tutte meno di sé: elle sono fatte per noi, e non noi per loro; e noi siamo fatti per Dio, affinché gustiamo lo suo sommo e eterno bene.

Solo Perciò Dio la può saziare; in lui si pacifica e in lui si riposa, poiché ella non può volere né desiderare veruna cosa che ella non truovi in Dio. Egli sa, può e vuole dare a noi più che noi non sappiamo desiderare per la nostra salute, e noi lo proviamo: poiché, non tanto che egli ci dia adimandando, ma egli ci dié prima che noi fussimo, ché, non pregandonelo mai, ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e recreocci a grazia nel sangue del suo Figlio.

Sì che l'anima si pacifica in lui, e non in altro - poiché egli è colui che è somma ricchezza, somma sapienza, somma bontà e somma bellezza, in tanto che nullo può estimare la sua bontà, grandezza e diletto, se non esso medesimo -, sì che egli può sa e vuole saziare e compire i santi desiderii di chi si vuole spogliare del mondo, e vestire di lui. Perciò io voglio che a questo poniamo ogni nostro studio: di spogliare lo cuore e l'affetto nostro di tutte le cose terrene e de le creature, amando ognuno in Dio e per Dio; e fuore di lui nulla. A questo t'invito, dolcissima figlia: a ponere e fermare lo cuore e la mente tua in Cristo Crocifisso; lui cercare e di lui pensare, dilettandoti di stare sempre dinanzi a Dio con umile e continua orazione.

La quale orazione io ti do per principale tuo essercizio, che quanto t'è possibile vi spenda entro il tempo tuo; poiché ella è quella madre che ne la carità di Dio concepe le vere virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce; in essa orazione impara l'anima a spogliarsi di sé e vestirsi di Cristo. In essa gustarai l'odore de la continenzia; in essa acquistarai una fortezza che non curerai battaglie di demonia, non rebellione de la fragile carne, né detto di creatura che ti volesse rimuovere dal santo proposito; contro tutte starai forte constante e perseverante infine a la morte. In essa orazione t'inamorrai de le pene per conformarti con Cristo Crocifisso; in essa riceverai uno lume sopranaturale, col quale caminerai per la via de la verità.

Molte cose t'avrei a dire sopra questa madre dell'orazione; ma la brevità del tempo nol patisce. Studiati pur in essa, e sempre t'ingegna di conoscere te e i difetti tuoi, e la grande bontà di Dio in te, e l'affetto de la carità sua, e gl'infiniti beneficii suoi. Altro non ti dico. Racomandaci a missere Piero, e a tutta la famiglia. La nonna ti benedice molto. Lisa, Alessa e l'altre tutte ti confortano in Cristo.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.





195. A Stefano di Currado Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti facciorte e perseverante nella bataglia, affinché ricevi la corona della gloria (1P 5,4). E tu sai bene che solo ai perseveranti è data la corona e il frutto delle sue fatiche.

Ma tu mi dirai: «In che modo posso avere questa fortezza, con-ciò-sia-cosa-ch'io sia tanto debole e fragile che ogni piciola cosa mi fa dare a terra?» Io ti rispondo e confessoti che tu sei debole e fragile sicondo la sensualità, ma sicondo la ragione e la fortezza dello Spirito non è così, poiché nel sangue di Cristo siamo fortificati: solo, la debolezza sta nella sensualità. Possiamo dunque vedere per che modo s'acquista questa fortezza, poi che ogni debolezza è nella parte sensitiva.

Dico che per questo modo acquistaremo questa gloriosa virtù della fortezza e longa perseveranza: che, poi che la ragione è fortificata nel sangue di Cristo, ci dobiamo anegare in questo dolce e glorioso prezzo, vedendolo con l'occhio de lo intelletto e il lume della santissima fede nel vasello de l'anima nostra; conoscendo l'esser nostro da Dio e la ricreazione che Dio ci fece a grazia nel sangue de l'unigenito suo Figlio, dove ci fu tolta la debolezza. O figlio carissimo, riguarda e gode, ché tu sei fatto vasello che tiene lo sangue di Cristo, se tu lo vorrai gustare per affetto d'amore.

O sangue pietoso, ché per te si distilò la pietosa misericordia: tu sei quello glorioso sangue dove lo ignorante uomo può conosciare e vedere la verità del Padre eterno, con la quale verità e amore inefabile fumo creati ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26). (La sua verità fu questa: perché participassimo e godessimo di quello sommo bene suo, lo quale egli gusta in sé. Nel sangue ci hai manifestata questa verità, e per altro fine non creasti l'omo).

O sangue, tu disolvesti le tenebre, e desti la luce a l'uomo affinché conoscesse la verità e la santa volontà del Padre eterno. Tu hai impita l'anima di grazia, ond'ella ha tratto la vita ed è privata della morte eternale.

Tu ingrassi l'anima del cibo de l'onore di Dio e salute delle anime, tu la satolli d'obrobii - desiderandoli e portandoli per amore di Cristo crocifisso -. Tu ardi e consumi l'anima nel fuoco de la divina carità, cioè che consumi ciò che trovassi nell'anima fuori della volontà di Dio, ma tu non l'affligi né disecchi per colpa di peccato mortale. O sangue dolce, tu la spogli del propio amore sensitivo - lo quale amore indebilisce l'anima che se ne veste -, e ha'la vestita del fuoco della divina carità, perché non può gustare te, sangue, che tu non la vesta di fuoco - perché tu fusti sparto per fuoco d'amore - acostandoti ne l'anima. Perché amore non è senza fortezza, né fortezza senza perseveranza: e però la fortifichi e conforti in ogni aversità.

Perciò vedi, dolcissimo figlio, che questo è il modo a venire a perfetta fortezza: che tu ti unisca nel fuoco della divina carità, la quale trovara' nel sangue; e nel sangue affoga e uccide ogni propia volontà.

Allora, essendo acostato con somma fortezza, sarai forte e perseverante, uccidarai la debolezza della propia sensualità, e nella amaritudine gustarai la dolcezza, e nella guerra la pace. Confortati, figlio, e non venire meno sotto la disciplina che Dio t'ha posta, tanto che sia venuta l'ora tua. Pensa che sempre a cavare lo fondamento si dura magior fatica: fatto lo fondamento, agevolmente si fa lo 'difizio. Tu fai lo principio tuo; poi, compitolo di fare, agevolmente farai ogn'altra cosa. Non voglio che ti paia duro, ma la durezza si disolva coi la memoria del sangue. Porta porta, sia fatto portatore.

Ma tanto ti dico, che etc. Di questo ne fa però ciò che lo Spirito santo te ne fa fare. Ma a pena mi tengo ch'io non dica quella parola che disse Cristo, etc. Spero che al luogo e tempo suo si farà; e tu briga di fornire la navicella dell'anima tua, e d'impire lo vasello del cuore di sangue. Altro non dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.







196. Al nostro signore lo papa Gregorio XI


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre mio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna e miserabile vostra figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pastore buono, considerando me, babbo mio dolce, che lo lupo infernale ne porta le pecorelle vostre e non si trova chi le remedisca.

Ricorro dunque a voi, padre e pastore nostro, pregandovi da parte di Cristo Crocifisso che voi impariate da lui, lo quale con tanto fuoco d'amore si dié alla obbrobiosa morte della santissima croce per trare la pecorella smarrita de l'umana generazione delle mani delle demonia, poiché, per la rebellione che l'uomo fece a Dio, la possedeva per sua possessione. Viene dunque la infinita bontà di Dio e vede lo male, la dannazione e la ruina di questa pecorella, e vede che con ira e con guerra non ne la può trare. Unde, non obstante che sia ingiuriato da essa - poiché per la rebellione che l' uomo fece disobbediendo a Dio meritava pena infinita - la somma e eterna sapienza non vuole fare così, ma trova uno modo piacevole - lo più dolce e amoroso che trovare possa - poiché vede che in neuno modo si trae tanto lo cuore dell’uomo quanto per amore, poiché egli è fatto d'amore; e questa pare che sia la cagione che tanto ama, perché non è fatto altro che d'amore, secondo l'anima e secondo lo corpo: poiché per amore Dio lo creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e per amore lo padre e la madre gli dié della sua sustanzia, concependo e generando lo figlio. E però Dio, vedendo che egli è tanto atto ad amare, drittamente egli gitta ell'amo dell'amore, donandoci lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, prendendo la nostra umanità per fare una grande pace.

Ma la giustizia vuole che si faccia vendetta della ingiuria che è stata fatta a Dio. Viene la divina misericordia e ineffabile carità e, per satisfare alla giustizia e alla misericordia, condanna lo Figlio suo alla morte, avendolo vestito della nostra umanità, cioè della massa di Adam che offese: sì che per la morte sua è placata l'ira del Padre, avendo fatta giustizia sopra la persona del Figlio; e così ha satisfatto alla giustizia, e ha satisfatto alla misericordia, traendo delle mani delle demonia l'umana generazione. È giocato questo Verbo alle braccia in su lo legno della santissima croce - facendo uno torniello la morte con la vita e la vita con la morte -, sì che per la morte sua distrusse la morte nostra, e per darci la vita consumò la vita del corpo suo. Sì che con l'amore ci ha tratti e con la sua benignità ha vinta la nostra malizia, in tanto che ogni cuore doverebbe essere tratto, poiché maggiore amore non poteva mostrare, e così disse egli, che dare la vita per l'amico suo. E se egli commenda l'amore che dà la vita per l'amico, che dunque diremo dell'ardentissimo e consumato amore che dié la vita per lo nemico suo? poiché per lo peccato eravamo fatti nemici di Dio. O dolce e amoroso Verbo, con l'amore hai ritrovata la pecorella, e con la morte l’hai data la vita, e ha'la rimessa ne l'ovile, cioè rendendole la grazia la quale aveva perduta.

O santissimo babbo mio dolce, io non ci vedo altro modo né altro remedio a riavere le vostre pecorelle, le quali come ribelle si sono partite da l'ovile della santa Chiesa, non obedienti né subiecte a voi, padre.

Unde io vi prego, da parte di Cristo Crocifisso, e voglio che mi facciate questa misericordia, cioè che con la vostra benignità vinciate la loro malizia. Vostri siamo, padre, e io cognosco e so che a tutti in comune lo' pare avere male fatto. E poniamo che scusa non abbi nel male adoperare, non di meno - per le molte pene e cose ingiuste e inique che sostenevano per cagione dei mali pastori e governatori - lo' pareva non potere fare altro, poiché, sentendo lo puzzo della vita dei mali rettori - i quali sapete che sono dimoni incarnati -, vennero in tanto pessimo timore che fecero come Pilato, lo quale, per non perdere la signoria, uccise Cristo: e così fecero essi, che, per non perdere lo stato, v'hanno perseguitato.

Misericordia, dunque, padre, v'adimando per loro; e non raguardate all'ignoranza e superbia dei vostri figli, ma con l'esca dell' amore e della vostra benignità, dando quella dolce disciplina e benigna reprensione che piaciarà alla santità vostra, rendete pace a noi miseri figli, che aviamo offeso. Io vi dico, dolce Cristo in terra, da parte di Cristo in cielo, che facendo così, senza briga e tempesta, essi verranno tutti con dolore dell'offesa fatta e mettarannovi lo capo in grembo. Allora godarete e noi godaremo, perché con l'amore avarete rimessa la pecorella smarrita nell'ovile della santa Chiesa.

E allora, babbo mio dolce, adempirete lo vostro santo desiderio e la volontà di Dio, cioè di fare lo santo passaggio, al quale io vi invito, per parte sua, a tosto farlo e senza negligenzia; e essi si disporranno con grande affetto, e disposti sono a dare la vita per Cristo. Oimé, - Dio amore dolce! - rizzate, babbo, tosto lo gonfalone della santissima croce, e vedarete i lupi diventare agnelli. Pace pace pace! a ciò che non v'abbi la guerra a prolungare questo dolce tempo. Ma se volete fare vendetta e giustizia, pigliatela sopra di me, misera miserabile, e datemi a ogni pena e tormento che piace a voi, infine alla morte. Credo che per la puzza de le mie iniquità sieno venuti molti defetti e grandi inconvenienti e discordie. Dunque sopra me, misera vostra figlia, prendete ogni vendetta che volete.

Oimé, padre, io muoio di dolore e non posso morire. Venite venite, e non fate più resistenza a la volontà di Dio che vi chiama; e l'affamate pecorelle v'aspettano che veniate a tenere e possedere lo luogo del vostro antecessore e campione appostolo Pietro: voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio. Venite dunque, venite e non più indugiate, e confortatevi e non temete d'alcuna cosa che avenire potesse, poiché Dio sarà con voi. Dimandovi umilemente la vostra benedizione, e per me e per tutti i miei figli; e pregovi che perdoniate alla mia presunzione. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







197. A Matteo di Tommuccio da Orvieto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pietra ferma e non foglia che si volla a ogni vento.

Poiché l'anima che non è fondata sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù - cioè che l'affetto i l desiderio suo sia fondato solamente in Dio, e non nelle cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come lo vento -, viene meno, perché è privata della divina grazia. La quale grazia conserva l'anima - ricevene la vita -, e dàlle perfetto lume, privala delle tenebre, e fondala in vera e perfetta pazienza e in vero e santo timore di Dio, con perfetta umilità e carità fraterna col prossimo suo. E non si muove per impazienzia al vento delle tribulazioni; né con disordenato diletto si muove per lo vento de le consolazioni; né non enfia di superbia per lo vento de la ricchezza e del fumo de l'onore del mondo. E tutto questo gli adiviene, che non si muove, perché lo suo fondamento è Cristo Crocifisso.

Unde, perché soffino quelli tre venti perversi principali, dunde viene ogni altro vento, non gli cura. Ciò sono: - lo demonio: che della bocca sua esce un vento di molte e diverse cogitazioni e battaglie: quando battaglia di vanità - la quale fa lo cuore leggiero, e non maturo; e per essa vanità cresce l'appetire e desiderare gli stati del mondo -; e quando con colore di virtù. E questo è lo più malagevole vento a conoscere che sia: solo l'umile è quello che lo conosce, e non può essere ingannato da loro. Lo colore della virtù che lo demonio pone, è questa: che se egli trova l'anima ignorante e senza la virtù de l'umilità e vero cognoscimento di sé (poniamo che avesse cominciato a desiderare Dio e mostrare segno di virtù; perché è ancora imperfetto non ha tanto cognoscimento che gli basti di sé, unde si dà a vedere i fatti del prossimo suo temporalmente e spiritualmente, ne le cose temporali e spirituali), allora lo demonio soffia col vento del falso giudicio: giudicando lo prossimo suo, i servi di Dio e i servi del mondo, così, iniquamente: che non se n'avede.

Unde questo cotale vuole togliere la signoria del giudicio di mano a Dio, poiché solo egli gli ha a giudicare.

Perché non se n'avede? perché lo demonio l'ha amantellato, questo giudicio, col mantello della virtù, per che gli il pare fare per bene, ed è sì doppio questo parere che spesse volte ne li pare fare sacrifizio a Dio. Ma egli s'inganna per la superbia che è in lui, poiché, se egli fusse veramente umile e fondato in vero cognoscimento di sé, egli si vergognarebbe di vedersi cadere in sì-fatto giudicio, perché vederebbe che egli è volere ponere regola a Dio. Poiché allora vuole ponere regola a Dio, quando si scandalizza nei servi suoi, volendo mandare le creature a modo suo, e non secondo che Dio le chiama.

Colui che sarà fondato sopra la viva pietra Cristo, farà resistenza a questi movimenti e non consentirà, ma con vera umilità s'ingegnarà di godere e rendere gloria a Dio dei costumi e modi dei servi suoi, e d'avere compassione ai defettuosi, pregando la divina bontà che volla l'occhio della misericordia sopra di loro, traendoli del peccato e reducendoli alle virtù. E così trae della spina la rosa; e ha la mente sua schietta; e non va fantasticando, empiendosi la memoria di diverse fantasie di cose spirituali, che gli pare ricevere nella mente, e delle temporali, come fanno i matti e stolti e presuntuosi, che non hanno ancora veduto sé, e vogliono investigare i fatti altrui con spezie di bene; e lassansi percuotere a questo perverso vento che è tanto pericoloso. O maladetta bocca, come hai atoscato lo mondo con la puzza tua in quelli che sono nel secolo, e fuore del secolo, come detto è! E poi che ha giudicato col cuore, gitta la puzza della mormorazione, e rimane scandalizzata e vòta la mente in Dio e nel prossimo suo. Bene è dunque da fuggirlo con vera e santa sollicitudine.

- L'altro pericoloso e perverso vento si è lo mondo, lo quale col disordenato amore proprio di sé si diletta, e cerca i diletti e le consolazioni sue, ponendovi l'occhio dell'intelletto su, ricoprendo le tenebre e miseria e poca fermezza e stabilità del mondo con la bellezza, mostrandoli bello e piacevole. E così lo inganna, mostrando longa vita, ed ella è breve; parendoli che tutti i diletti e consolazioni e ricchezze del mondo sieno ferme e sue, ed elle sono mutabili, e songli date in presta, e per uso a sua necessità. Poiché necessario è che o elle sieno tolte a l'uomo, o l'uomo sia tolto a loro: allora sono tolte a noi, quando alcune volte le perdiamo, o che sieno imbolate da altrui, o per altri diversi accidenti che vengono, per li quali si consumano e vengono meno. Dico che allora siamo tolti a loro, quando la prima dolce Verità ci chiama, separando l'anima dal corpo: dove s'abandona lo corpo e il mondo con tutte le sue delizie; della quale separazione neuno è che né ricchezza né onore ne il possa campare che non l'abbi. L'anima debole e acecata, che non ha tratto la terra del mondo dell'occhio suo - anco se l'ha posto per obiettivo - si vòlle, come la foglia dell'arbolo, al vento del proprio amore disordenato di sé e del mondo.

Di questa maladetta bocca esce una invidia verso del prossimo suo, con una reputazione di sé, mormorando; e assai volte ne viene in odio e in rancore col prossimo; e de le cose altrui spesse volte fa sue, e per acquistarle usarà giuri e spergiuri e falso testimonio. E in tanto cresce, che desidera la morte del prossimo e quelli che egli debba amare come sé: ch'egli n'è fatto divoratore e della carne e della sustanzia sua. Egli è senza alcuna fermezza; e cosa che cominci di virtù, rade volte la traie a fine: costui è fondato sopra l'arena, che neuno edificio vi si può fare che tosto non caggia a terra. Costui è privato della vita della grazia, e ha perduto lo lume della ragione; va come animale, e non come creatura ragionevole.

Convienci dunque, ed è di necessità, d'essere fondati ne la pietra viva, nella quale coloro che v'hanno posto l'occhio dell'intelletto, e l'affetto per santo desiderio, non possono essere percossi; né si lassano percuotare da questo malvagio vento, anco fanno resistenza, e difendonsi col pentimento del mondo, vanità e diletti suoi; e abattono la superbia con la profonda umilità, desiderando povertà volontaria. E chi ha la ricchezza e lo stato, tienlo, ma nol possiede con disordenato amore fuore della volontà di Dio, ma con amore e santo timore lo tiene, e come dispensatore di Cristo, sovenendo ai povari, e notricando i servi di Dio, e avendoli in reverenzia; considerando che sempre offerano orazioni e affocati desiderii, sudori e lacrime dinanzi da Dio per salute d'ogni creatura. Questi cotali godono in ogni tempo e stato che sono, perché sono privati dell'amaritudine della disordenata volontà, fondata in proprio amore. Poi che tanto è dilettevole questo fondamento, non è da aspettare lo tempo ad acquistarlo, perché non siamo sicuri d'averlo.

- L'altro principale vento, dico che è la carne; lo quale gitta sì-fatta puzza e miserabile, che non tanto che ella puta dinanzi da Dio, ma ella pute ali demoni; e drittamente fa l'uomo bestiale, ché quella vergogna ha, che l'animale. Costui fa come lo porco che s'involle nel loto: così egli s'involle nel loto della disonestà, e in qualunque stato egli è, guasta sé medesimo. Se egli è legato allo stato del matrimonio, con disordenato desiderio contamina lo stato suo; e dove egli debba andare a quello sacramento con timore di Dio, ed egli vi va disordenato e con poca onestà. E i miserabili non raguardano in tanta eccellenza quanto è venuta la nostra umanità, per l'unione che Dio ha fatto nella miserabile carne nostra, poiché, se essi aprissero l'occhio dell'intelletto a raguardarla, eleggiarebbero inanzi la morte prima che darsi a tanta miseria.

E sai che puzza esce di questa bocca che atosca chiunque se l'avvicina? Lo cuore ne diventa sospeccioso, la lingua mormora e bastemmia, credendo che quello che è in lui sia negli altri. Sì come lo infermo che ha guasto lo stomaco (che non parendoli buono lo cibo, perché è corrotto, e non tanto che i comuni cibi, ma lo suo particulare che lo medico gli ha dato che pigli, vedendolo prendere al gusto sano gli pare malagevole e incredibile che non gli sappi di quello sapore che a lui), così gli stolti che si danno alla delettazione carnale hanno sì guasto l'appetito loro, che non tanto che della comunità - che comunemente si veggono in questo difetto - i ne piglino male, ma nei sani si scandalizzano; e nel particulare cibo, cioè nella donna sua, si scandalizza, lo quale Dio gli ha dato per conscendere alla sua fragile infermità. Unde questo cibo gli fa male, stando disordenatamente, come detto è; e pigliando sospeccione spesse volte e gelosia, giudicando la cosa buona gattiva; venendone in odio e in pentimento colà dove debba essere amore. Costui ha uno disordenato vedere, e questo gli adiviene perché l'occhio è infermo, ché, se fusse sano, non farebbe così. O quanti miserabili difetti e inconvenienti per questo miserabile vento ne vengono! E sempre si rode in sé medesimo.

E poi che ha gittato della bocca la puzza, ed egli giogne al giudicio della Sposa sua, ne li viene questo altro difetto: che se a lui gli viene desiderio, per 'spirazione divina, di levarsi da questo e conservare lo stato perfetto, per lo verme - che già è intrato in corpo - della sospeccione se gli spegne l'odore della virtù; e ritorna al suo primo fradiciume, e quello che in prima gli piaceva, gli viene a dispiacere. E non è costante né perseverante nella virtù, anco vòlle lo capo indietro a mirare l'arato, e non raguarda sé medesimo a conoscere lo suo difetto e la sua infermità. E tutto questo gli adiviene perché non fece lo fondamento suo sopra la viva pietra, e però è stato assalito e percosso da questo malvagio vento.

è necessario, dunque, che si levi dal miserabile fondamento della carogna, e fondisi nella viva pietra, Cristo. Allora, venendo lo vento non gli potrà nuocere; anco farà resistenza con la vera virtù della continenzia e purezza, disciplinando la volontà sua disordenata con la disciplina della ragione e del santo timore di Dio, dicendo a sé medesimo: «Vergognati, anima mia, di volere lordare la faccia tua, e di corrompere lo corpo per immondizia. Poiché tu sei fatta ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26); e tu carne sei venuta a tanta dignità per l'unione della natura divina fatta in te natura umana, che sei levata sopra tutti i cori degli angeli».

Allora sentirà l'odore della purezza, e il desiderio di remediare con lo strumento dell'orazione e vigilia, e con odio e pentimento d'esso vizio, usando gli altri strumenti di fuore corporali, cioè di molestare lo corpo con la penetenzia, quando egli vuole combattere contro lo spirito. E sopra a tutti gli altri remedii contro a questo vizio è l'orazione umile e la vigilia e il perfetto cognoscimento di sé. Non sia mai alcuno che stia a contastare con esso, aviluppandosi la mente delle forti cogitazioni e movimenti che sente venire; anco intenda a pigliare i remedii, e col pensiero del remedio cacciarà le forti immaginazioni: che sarà una acqua che spegnarà lo fuoco del disordenato movimento. Allora non tema, ma virilmente pigli lo gonfalone della santissima croce; e con essa s'appoggino, e navichino coi detti remedii coloro che sono fondati in questa viva pietra, con fermezza e perseveranza infine alla morte, poiché veggono bene che sola la perseveranza è quella che è coronata, e non lo cominciare.

Voglio dunque, carissimo fratello e figlio, che vi leviate da la imperseveranza e ricominciate a entrare dentro da voi, perché mi pare, secondo che si vede dprima della divina bontà, che già buono pezzo siate escito fuore di voi. Tutto questo è perché lo principio e il fondamento non fu fatto bene in verità, fondato sopra la viva pietra, poiché per altro non adiviene che i servi di Dio non sono perseveranti se non perché sono fondati imperfettamente; ed essendo debili e giungendo i fortissimi venti - cioè lo mondo lo demonio e la carne - e trovandoli senza fortezza e senza alcuno riparo d'essercizio di virtù, vengono meno.

Unde io, considerando che i remedii del vostro cadere è bisogno di pigliarli, e di fare più perfetto principio con più profonda umilità e dispregiamento di voi, dissi che io desideravo di vedervi pietra ferma, fondato sopra la pietra viva, Cristo dolce Gesù, e non sopra l'arena. Spero nella infinita bontà di Dio che se voi vorrete umiliarvi a conoscere voi, che voi adempirete la volontà sua e il desiderio mio; e voi acquistarete la vita della grazia, e sarete privato delle tenebre, e avarete perfetto lume. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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