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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 16:30

203. Ad alquanti novizii di Monte Oliveto nel convento di Perogia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti verso il vostro Creatore degl'infiniti beneficii ricevuti da lui, affinché per ingratitudine non si disecchi in voi la fonte della pietà, ma nutrichisi con gratitudine.

Ma attendete che gratitudine solamente di parole non è quella che risponde, ma le buone e sante opere. In che la mostrarete? In osservare i dolci comandamenti di Dio, e oltre ai comandamenti osservarete i consigli mentalmente e attualmente. Voi avete eletta questa vita perfetta dei consigli, e però ve gli conviene osservare fino a la morte, altrimenti offendereste Dio; ma l'anima grata sempre gli osserva. Sapete che nella vostra professione prometteste d'osservareobbedienza continenzia e povertà volontaria; e se voi non gli osservaste diseccareste in voi la fonte della pietà.

Grande vergogna è al religioso a desiderare quello che già ha spregiato: ché non tanto che egli non debba desiderare o possedere substanzia temporale, ma della memoria si dei trare eziandio il ricordo del mondo, de le ricchezze e diletti suoi, e impirla del povero umile e immacolato Agnello; e con una carità fraterna vivere caritativamente. Così vuole la carità fare utilità al prossimo suo: che quando l'anima raguarda e vede non potere fare utilità a Dio, perché non ha bisogno di noi, e volendoli mostrare che in verità conosce le grazie che ha ricevute e riceve da lui, il mostra verso la creatura che ha in sé ragione; e in tutte quante le cose s'ingegna di mostrare nel prossimo la gratitudine a Dio.

Unde tutte le virtù sonno essercitate per gratitudine: cioè per amore che l'anima ha al suo Creatore è fatta grata, perché col lume ha ricognosciute le grazie che ha ricevute e riceve da lui in sé. Chi la fa paziente a portare le ingiurie, strazii, rimproverii e villanie dagli uomini, e le molestie e battaglie dali demoni? La gratitudine. Chi lo fa annegare la propria volontà, e soggiogarla a la santa obbedienzia, e conservare l'obbedienzia sua fino alla morte? Essa gratitudine. Chi gli fa osservare il terzo voto della continenzia? La gratitudine: ché, per osservarla, mortifica il corpo suo con la vigilia, digiuno e con l'umile fedele e continua orazione. E con l'obbedienzia ucide la propria volontà, affinché, mortificato il corpo e morta la volontà, la potesse osservare, e in essa osservanzia mostrare la gratitudine. Sì che le virtù sono uno segno dimostrativo, che dimostrano che l'anima non è sconoscente d'essere creata ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e della ricreazione che ha ricevuta nel sangue de l'umile, dolce, crociato e amoroso Agnello, ricreandola a grazia, la quale avevamo, per la colpa, perduta. E così di tutte l'altre grazie che ha ricevute, spirituali e temporali, in comune e in particulare: ma tutte con gratitudine le riconosce dal suo Creatore.

Allora cresce un fuoco nell'anima d'uno santissimo desiderio, che sempre si notrica di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, con pena, sostenendo fino a la morte. Se fusse ingrata, non tanto ch'ella si dilettasse di sostenere per onore di Dio e salute de l'anime, ma, se la paglia se gli vollesse trai piedi, sarebbe incomportabile a sé medesimo; l'onore vorrebbe dare a sé, notricandosi del cibo della morte - cioè dell'amore proprio di sé medesimo -, lo quale germina la ingratitudine privando l'anima della grazia.

Unde, considerando me quanto è pericoloso questo cibo che ci dà morte, dissi ch'io desideravo di vedervi grati e conoscenti di tante grazie quante avete ricevute dal vostro Creatore, e massimamente della smisurata grazia che v'ha fatta: d'avervi tratti fuore delle miserie del mondo, e messi nel giardino della santa religione, posti ad essere angeli terrestri in questa vita.

Questa è una grazia alla quale Dio vi richiede che gli mostriate segno di gratitudine con la vera e santaobbedienza, ché tanto dimostra lo religioso di conoscere lo stato suo quanto egli è obediente; e così per lo contrario il disobbediente dimostra la sua ingratitudine. Bene se n'avede il vero obediente, che tutta la sua sollicitudine pone in osservare l'Ordine suo, l'observanzie e costumi e ogni cerimonia, e di compire la volontà del suo prelato con allegrezza, non volendo giudicare né investigare la sua intenzione, né dire: «Perché pone egli maggiore peso a me che a colui?»; ma semplicemente obedisce con pace, quiete e tranquillità di mente. E già non è questo grande fatto; poiché egli ha tolta da sé la propria volontà che gli faceva guerra.

Non fa così il disobbediente, che dinanzi a sé non pone altro che la propria volontà, e tutti quegli modi i quali possa pigliare per compirla in quello che desidera; egli diventa non osservatore de l'Ordine ma trapassatore: fassi giudice della volontà del suo prelato. Questi gusta la caparra de l’inferno, e sempre sta in amaritudine, ed è atto a cadere in ogni male; non è constante né perseverante, ma vòlle il capo adietro a mirare l'arato. Egli cerca la congregazione e fugge la solitudine; cerca la pace della volontà sua che gli dà morte, e fugge quella che gli dà vita, cioè la pace della conscienzia, e l'abitazione della cella, e il diletto del coro. Poiché il coro gli pare che sia drittamente uno serpente venenoso, o cibo che gli abbi a dare morte: con tanto tedio vi sta e con tanta pena, perché la superbia e disobbedienzia e ingratitudine sua gli hanno ripieno lo stomaco, e guasto il gusto dell'anima.

Ma l'obbediente del coro si fa giardino; dell'officio, dolci e soavi frutti; e della cella si fa uno cielo; della solitudine si diletta per meglio accostarsi al suo Creatore, e non mettere mezzo tra lui e sé; e del cuore suo fa tempio di Dio. Col lume della santissima fede raguarda dove meglio truovi questa virtù, e con che mezzo meglio la possa imparare quando l'ha trovata. Cercando, la trova nell'umile, dissanguato e consumato per amore, dolce Agnello, lo quale per obbedienzia del Padre e salute nostra corse all'obrobriosa morte della santissima croce, con tanta pazienza che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione.

Vergogninsi e confondansi nella superbia loro tutti i disobbedienti, a raguardare l'obbedienzia del Figlio di Dio.

Quando l’ha trovata, con che l'acquista? Col mezzo dell'orazione, la quale è una madre che concipe e parturisce le virtù ne l'anima. Poiché quanto più ci accostiamo a Dio, più participiamo della sua bontà e più sentiamo l'odore delle virtù, perché solo egli è il maestro delle virtù, e da lui le riceviamo, e l'orazione è quella che ci unisce col sommo bene. Perciò con questo mezzo acquistiamo la virtù della vera obbedienzia: ella ci fa forti e perseveranti nella santa religione, che per veruna cosa non rivoltiamo il capo adietro. Ella ci dà lume a conoscere noi medesimi, e l'affetto della carità di Dio, e gl'inganni deli demoni.

Ella ci fa umili tanto che per umilità l'anima si fa serva dei servi; fa aprire tutto sé medesimo nelle mani del suo maggiore: e se per lo tempo passato o per lo presente il demonio avesse obumbrata la conscienzia sua per battaglie, o eziandio fusse attualmente caduto in colpa di peccato mortale, umilemente manifesta la sua infirmità, sì come a medico, tante volte quante egli vi cadesse, e per vergogna non se ne ritrae, né debba ritrare; ma con pazienza riceve la medicina e correzione che il medico suo spirituale gli desse, credendo con fede viva che Dio gli darà tanto lume quanto è bisogno alla sua salute. Così debba fare a ciò che tagli la via al demonio, che non vorrebbe altro se non ponere una vergogna negli occhi nostri a ciò che tenessimo dentro ne l'anima nostra i difetti e le cogitazioni, e non gli manifestassimo. Questa madre de l'orazione ci leva questa vergogna, come detto è. Ella è di tanta dolcezza che la lingua nostra nol potrebbe narrare, Perciò doviamo con sollicitudine essercitarci in essa e riposarci al petto suo, e mai non lassarla.

E perché alcune volte lo demonio, stando noi in orazione o dicendo l'officio, obumbrasse la mente nostra d'una tenebre con diverse e laide cogitazioni, non doviamo però mai lasciare la nostra orazione ma perseverare in essa, e col pensiero santo cacciare il pensiero cattivo, e conservare la buona e santa volontà che non consenta a quelle cogitazioni. Facendo così, non cadrà mai in confusione ma pigliarà speranza in Dio, e con pazienza portarà quelle fatiche della mente. Umiliandosi, dirà: «Signore, io cognosco che io non sono degno della pace e quiete della mente come gli altri servi tuoi, pure che tu mi conservi la buona e santa volontà sì che mai io non offenda te».

Allora Dio, che raguarda alla perseveranza e umilità dei servi suoi, dona in quella anima il dono della fortezza: infunde in essa uno lume di verità e uno accrescimento di desiderio di virtù, con una allegrezza cordiale che tutto pare che vi si dissolva con uno ardore di carità verso Dio e verso lo prossimo suo. Tante sono le grazie e doni che si ricevono da Dio col mezzo de l'orazione che la lingua nostra non è sufficiente a narrarle: ma vuole essere umile, fedele e continua, cioè col continuo santo desiderio. Con questo santo desiderio fare tutte le nostre opere manuali e spirituali: facendolo, sarà uno continuo orare - perché òra nel conspetto di Dio lo santo e vero desiderio -; faràvi dilettare nelle fatiche e abracciare la viltà, dilettarvi nella mortificazione che vi fusse fatta fare per lo vostro maggiore.

Non mi distendo più sopra questa materia, ché troppo avaremmo che dire, ma pregovi che v'inebriate del sangue di Cristo crocifisso, dove trovarete l'ardore dell’obbedienza. Tiratelo a voi coi l'amo de l'orazione, affinché mostriate d'essere grati e conoscenti a Dio, sì come egli vi richiede per la grazia che avete ricevuta. Non facendolo, vi tornarebbe a morte quel che egli v'ha dato in vita. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







204. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, quando predicava ad Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi tanto annegato e affogato in Cristo Gesù, sì che al tutto perdiate voi medesimo.

E questo non vego che potiate avere, se l'occhio dello intendimento del vero desiderio non si leva sopra di voi a raguardare ell'occhio ineffabile de la divina carità, col quale Dio raguardò e raguarda la sua creatura prima che ci creasse. Poi che raguardò in sé medesimo, inamorossene smisuratamente, sì che per amore ci creò; e volendo che noi godessimo e participassimo quello bene che aveva in sé medesimo, per lo peccato d'Adamo non s'adempiva lo desiderio suo. Constretto Dio dal fuoco de la divina carità, mandò lo dolce Verbo incarnato del Figlio suo a ricomprare ell'uomo e trarlo di servitudine; e il Figlio corre e dassi all'obrobio de la croce, e a conversare coi peccatori e publicani (Mt 9,11 Mc 2,16) e scomunicati, e con ogni maniera di gente, poiché a la carità non si può ponare legge né misura: non vede sé, né cerca le cose sue proprie (1Co 13,5). Perché lo primo uomo cadde dell'altezza de la grazia per l'amore proprio di sé medesimo, così fu necessario che Dio usasse uno modo contrario a questo, e però mandò questo Agnello immacolato, con una larga ineffabile carità, non cercando sé, ma solo l'onore del Padre e la salute nostra.

O dolce e amoroso cavaliere, tu non raguardi né a tua morte né a tua vita né a tuo vitoperio, anco giuochi in su la croce a le braccia coi la morte del peccato, e la morte vince la vita del corpo tuo, e la tua morte distrusse la morte nostra. L'amore n'è cagione che voi vedete: poiché l'occhio tuo non si riposava in altro che nell'onore del Padre tuo e in adempire lo desiderio suo in noi, cioè che noi godessimo Dio, per mezzo del quale fine egli ci creò.

O carissimo e dolcissimo mio figlio, io voglio che vi conformiate in questo Verbo che è nostra regola, e nei santi che l'hanno seguitato: così diventarete una cosa con lui e participarete la sua larghezza e non la 'stremità. Dicovi, come detto è, che se l'anima non si leva e v'apre ell'occhio, e pongasi per oggetto la smisurata bontà e amore di Dio lo quale dimostra a la sua creatura, mai non verrebbe a tanta larghezza e perfezione, ma sarebbe tanto stretto che non vi capirebbe né sé né il prossimo. E però vi dissi e voglio che stiate anegato e affogato in lui, raguardando sempre ell'occhio dolce de la sua carità: allora perfettamente amarete quello ched egli ama, e odiarete quello ched egli odia. Levate levate lo cuore vile e la disordenata e stretta conscienzia; non date luogo al perverso demonio che vuole impedire tanto bene: non vorrebbe essare cacciato de la città sua; ma io voglio che con cuore virile e sollecitudine perfetta vediate che altra legge è quella de lo Spirito santo che quella degli uomini.

Acordatevi con quello dolce inamorato di Pavolo: siate uno vasello di carità a portare e a bandire lo nome di Gesù. Ben mi pare che Pavolo si specchiasse in questo occhio e ine perdesse sé; e riceve tanta larghezza ched i desidera e vuole essare scomunicato e partito da Dio per li fratelli suoi (Rm 9,3). Era inamorato Pavolo di quello che Dio s'innamorò; vede che la carità non offende né riceve confusione.

Mosè guardò all'onore di Dio, e però voleva essere cacciato del libro de la vita prima che il popolo avesse morte. Per la quale cosa io vi constrengo e voglio in Cristo Gesù che stiate fermo a stirpare i vizii e a piantare le virtù, seguitando la prima verità come detto è, i santi ch'hanno seguitato le vestigie sue, non ponendo né regola né misura al desiderio che vuole essare senza misura.

Fate ragione da essere tra uno popolo infedele e scomunicato, pieno d'iniquità: convienvi per forza d'amore participare con loro, ch'io vi fo sapere che a questo modo participarete con la carità e non con loro, cioè l'amore ch'avete alla salute loro. Ché se lo vostro conversare fusse con amore proprio o diletto che ne traeste - o spirituale o temporale - che fusse fuore di questa fame, sarebbe da fuggire e temere la loro conversazione. Levate Perciò ogni amaritudine ristrettiva, e credete più altrui che a voi medesimo. E se il demonio volesse pure stimolare la conscienzia vostra, ditegli che faccia ragione con con me di questo e d'ogni cosa: la madre ha a rendare ragione del figlio. E così voglio che siate sollecito, ché veruno caso o ponto sarà sì forte che la carità non rompa, e voi fortificarà.

Benedicetemi lo mio figlio frate Simone, e dite che corra col bastone del santo desiderio, cioè de la santa croce. Mandatemi a dire come vi riposate, e come si vede l'onore di Dio. Dice Alessa grassotta che voi preghiate Dio per lei, e molto vi si racomanda che preghiate Dio per lei, e per me Cecca perditrice di tempo. Pregate Dio per Lisa.

Rimanete ne la santa pace e carità di Dio.







205. A Stefano sopradetto poverello d'ogni virtù.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con tanto lume e conoscimento che tu vega che tu hai bisogno di tagliare, e non di sciogliere, poiché chi non taglia sempre sta legato; e chi non fugge, sempre rimane preso.

Non fare più resistenza allo Spirito santo che ti chiama, ché duro ti sarà a ricalcitrare a lui; e non ti lasciare legare alla tiepidezza del cuore, né all'amore compassionevole feminile, spesse volte colorato col colore della virtù. Ma sia uomo virile che virilmente esca al campo della battaglia, ponendoti dinanzi all'occhio dell'intelletto lo sangue sparto con tanto fuoco d'amore, affinché, tutto libero, sia inanimato alla battaglia. Risponde, risponde, figlio negligente; apre la porta del cuore tuo: ché grande villania è che Dio sta alla porta dell'anima tua, e non gli sia aperto. Non gli essere mercennaio, ma fedele.

Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, dove tu trovarai lo coltello dell'odio e dell'amore, che taglierà ogni legame - il quale fusse fuore della volontà di Dio - e impedimento di perfezione; e trovarai lo lume con che tu hai bisogno di vedere che t'è necessario il tagliare. Altro non ti dico.

Permane etc. Conforta etc. Gesù dolce, Gesù amore.







206. Al santo padre papa Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e carissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio io ho desiderato (Lc 22,15) di vedere in voi la plenitudine della divina grazia sì e per sì-fatto modo che voi siate strumento e cagione, mediante la divina grazia, di pacificare tutto l'universo mondo.

E però vi prego, babbo mio dolce, che voi, con solecitudine e affamato desiderio della pace e onore di Dio e salute delle anime, voi usiate lo strumento della potenza e virtù vostra. E se voi mi diceste, padre: «Lo mondo è tanto travagliato: in che modo verrò a pace?», dicovi, da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenza vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi, governatore d'esso giardino, ne traiate i fiori puzzolenti, pieni d'immondizia e di cupidità, infiati di superbia: cioè i mali pastori e rettori, che atoscano e imputridiscono questo giardino.

Oimé, governatore nostro, usate la vostra potenza: divellete questi fiori, gittateli di fuori, che non abino a governare; vogliate ch'egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantateci in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che sieno veri servi di Gesù Cristo, che non atendano ad altro che all'onore di Dio e salute delle anime, e sieno padri dei povari. Oimé, che grande confusione è questa di vedere coloro che debano essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa ai povari: ed eglino si vegono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che s'eglino fussero mille volte nel secolo! Anco, molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita.

Ma i pare che la somma ed eterna bontà facci fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e dilizie sieno tolti alla Sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo primo stato povarello, umile, mansueto, com'era in quello tempo santo quando non attendevano a altro che a l'onore di Dio e alla salute delle anime, avendo cura delle cose spirituali e non delle temporali; ché, poi ch'ella ha guardato più alle temporali che alle spirituali, le cose sonno andate di male in peggio. Però vedete che Dio per giusto giudicio gli ha permesso molte perseguizioni e tribulazioni.

Ma confortatevi, padre, e non temete per nessuna cosa che fusse avenuta o avenisse, ché Dio lo fa per rendarle lo stato perfetto suo; perché in questo giardino ci si paschino agnelli, e non lupi divoratori dell'onore che deba essere di Dio, lo quale furano e danno a loro medesimi. Confortatevi in Cristo dolce Gesù, ch'io spero che l'aiutorio suo, la plenitudine della divina grazia, lo sovenimento e l'aiutorio divino sarà apresso di voi. Tenendo lo modo detto di sopra, da guerra verrete a grandissima pace, da perseguizione a grandissima unione, non con potenza umana ma con la virtù santa, e sconfigiarete i dimonii visibili delle inique creature e gli invisibili dimonii, che mai non dormono sopra di noi.

Ma pensate, babbo dolce, che malagevolmente potreste far questo, se voi non adempiste l'altre due cose che avanzano a compire le tre: e questo si è dell'avenimento vostro, e del dirizzare lo gonfalone della santissima croce. E non vi manchi lo santo desiderio per neuno scandolo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anco, più s'acenda lo fuoco del santo desiderio a tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra. Non credete al demonio, che s'avede del suo danno, e però s'ingegna di scandalezzarvi e di farvi tòllare le cose vostre, perché perdiate l'amore e la carità, e impedire lo venire vostro.

Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto, come agnello mansueto: rispondete allo Spirito santo, che vi chiama. Io vi dico: venite venite venite e non aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi.

Allora farete come lo dissanguato Agnello, la cui vece voi tenete, che con la mano disarmata uccise i nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando solo l'arme della virtù dell'amore, mirando solo d'avere cura delle cose spirituali, e rendare la grazia all'uomo che l'aveva perduta per lo peccato. Oimé, dolce babbo mio, con questa dolce mano vi prego e vi dico che veniate a sconfigiare i nostri nemici: da parte di Cristo crocifisso ve il dico. Non vogliate credare ai consiglieri del demonio che volessero impedire lo santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile, e non timoroso.

Rispondete a Dio che vi chiama che veniate a tenere e possedere lo luogo del glorioso pastore santo Piero, di cui vicario sete rimaso, e ine drizzate lo gonfalone della santa croce: ché, come per la croce fumo liberati - così disse Pavoloccio -, così levando questo gonfalone, lo quale mi pare refrigerio dei cristiani, saremo liberati: noi della guerra e divisione e molte iniquità, e il popolo infedele della sua infedelità. E con questi modi voi verrete, e arete la riformazione dei buoni pastori della santa Chiesa; riponaretele lo colore, ch'ella ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue l'è stato succhiato per l'iniqui divoratori che tutta è impalidita. Ma confortatevi e venite, padre, e non fate più aspettare i servi di Dio, che s'afrigono per desiderio. E io, misera miserabile, non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio. Non vi dilongate però dalla pace, per questo caso, che è avenuto, di Bologna, ma venite: ch'io vi dico ch'i lupi feroci vi mettarano lo capo in grembo come agnelli mansueti, e domandaranovi misericordia. Padre, non dico più.

Pregovi che udiate e ascoltiate quello che vi dirà frate Raimondo padre, e gli altri figli che sonno con lui, che vengono da parte di Cristo crocifisso e da mia; ché sonno veri servi di Dio e figli della santa Chiesa. Perdonate, padre, alla mia ignoranza, e scusimi dprima della vostra benignità l'amore e il dolore che me il fa dire. Datemi la vostra benedizione.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù, dolce Gesù.







207. Ai Signori di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, risovenendomi de la parola che disse lo nostro Salvatore ai discepoli suoi, quando disse: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi, prima che io muoia» (Lc 22,15).

Longo tempo aveva pasquato lo nostro Salvatore con loro, dunque di che Pasqua dice? diceva dell'ultima Pasqua, la quale fece comunicando sé medesimo a loro. Bene mostra che facci come inamorato de la salute nostra; non dice: «Io desidero», ma dice: «Con desiderio io ho desiderato»; quasi dica: «Io ho longo tempo desiderato di compire la vostra redenzione e di darmivi in cibo, e dare a me la morte per rendervi la vita».

Questa era la Pasqua desiderata da lui, e però ha letizia e gode e fa festa in sé, perché si vede adempire lo suo desiderio, lo quale tanto aveva desiderato, e, in segno che ne sente letizia, dice «Pasqua». E lassa a loro la pace (Jn 14,27) e l'unione (Jn 17,11), e che si debbino amare insieme: questo lassa per testamento e per segno, che a questo segno sono cognosciuti i figli e veri discepoli di Cristo (Jn 13,34-35).

Questo vero padre ce il dà per testamento: noi figli non doviamo renunziare al testamento del padre, ché chi renunzia non debba avere la eredità.

Però io desidero con grandissimo desiderio di vedervi figli veri e non ribelli al padre vostro, non renunziatori al testamento de la pace, ma adempitori da questa pace, legati e uniti nel legame e amore dell'ardentissima carità. Stando in questa carità, egli vi darà sé medesimo in cibo, e ricevarete lo frutto del sangue del Figlio di Dio, per lo cui mezzo riceviamo la eredità di vita eterna; poiché, inanzi che il sangue fusse sparto, vita eterna era serrata, e neuno poteva andare al fine suo, il quale fine era Dio, e però era creato l'uomo. Ma perché l'uomo non era stato al giogo dell'ubbidienzia, ma inubbidiente e ribelle al comandamento suo, però venne la morte nell'uomo.

Mosso Dio dal fuoco de la sua divina carità, donocci il Verbo dell'unigenito suo Figlio, lo quale per l'ubidienzia del Padre suo ci dié lo sangue con tanto caldo d'amore, in tanto che ogni cuore superbo e ignorante si doverebbe vergognare, non riconoscendo tanto smisurato beneficio. Lo sangue c'è fatto bagno a lavare le nostre infermitadi, e li chiodi ci sono fatti chiave che hanno diserrata la porta del cielo. Dunque, figli e fratelli miei, non voglio che siate ingrati né irriconoscenti a tanto inestimabile amore quanto Dio vi mostra: voi sapete bene che la ingratitudine fa seccare la fonte de la pietà. Questa è la Pasqua che desidera l'anima mia di fare con voi: che voi siate figli pacifici, e non siate ribelli al capo vostro, ma sudditi e obedienti infine a la morte.

Voi sapete bene che Cristo lassò il vicario suo, e questo lassò per remedio delle anime nostre; in altro non possiamo avere la salute se non nel corpo mistico de la santa Chiesa - il cui capo è Cristo, e noi siamo le membra -; e chi sarà disubediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non participarà lo sangue del Figlio di Dio, poiché Dio ha posto che per le sue mani ci sia comunicato e dato questo sangue e tutte le sacramenta de la santa Chiesa, le quali ricevono vita da esso sangue; e non possiamo andare per altra via né intrare per altra porta, poiché disse la prima verità: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6). Chi tiene per questa via, va per la verità e non per la menzogna. è una via d'odio del peccato d'amore proprio di sé medesimo, lo quale amore è cagione d'ogni male. Questa via ci dà amore delle virtù, le quali danno vita all'anima che essa riceve una unione e carità col prossimo suo, che inanzi sceglie la morte che voglia offendare lo prossimo. E bene vede che, se egli offende la creatura, egli offende lo Creatore; Perciò bene è via di verità. Parmi anco che sia porta, unde ci conviene entrare poi che aviamo fatta la via. Così disse egli: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). Perciò vedete, figli miei dolcissimi, che colui che ribella, come membro putrido, a la santa Chiesa e padre nostro Cristo in terra, è caduto nel bando de la morte, poiché quello che facciamo a lui, facciamo a Cristo in cielo, per reverenzia o vitoperio che noi facessimo.

Vedete bene che per la disubbidienzia e persecuzione che avete fatta - credetemi, fratelli miei, che con dolore e pianto di cuore ve il dico -, voi sete caduti nella morte e in odio e in dispiacere di Dio, e peggio non potete avere che essare privati de la grazia sua: poco ci valrebbe la potenza umana, se non ci fusse la divina. Oimé, che invano s'affatica colui che guarda la città, se Dio non la guarda! (Ps 126,1) Se Dio ha fatta guerra con voi per la ingiuria che avete fatta al padre vostro, vicario suo, sete indebiliti, perdendo l'aiutorio suo; poniamo che molti sono quelli che non si credono per questo offendare Dio, ma pare a loro fare sacrifizio a lui: sì perseguitano la Chiesa i pastori suoi, e difendonsi dicendo: i sono gattivi e fanno ogni male.

E io vi dico che Dio vuole e ha comandato così che, eziandio s'i pastori e Cristo in terra fussero dimoni incarnati - non tanto che buono e benigno padre -, i ci conviene essare sudditi e ubbidienti a lui - non per loro in quanto loro, ma, per l'ubbidienzia di Dio - come vicario di Cristo, che vuole che facciamo così.

Sapete che il figlio non ha mai ragione contro del padre, sia gattivo e riceva ingiuria da lui quanta si vuole, ché è tanto smisurato lo beneficio dell'essare, che egli ha avuto del padre, che per nessuna cosa gli può rendare tanto debito. Or così pensate che egli è tanto l'essare e il beneficio de la grazia che traiamo del corpo mistico de la santa Chiesa, che nessuna reverenzia né opera che noi facessimo potrebbe essere sufficiente a rendare questo debito. Oimé oimé, figli miei, piangendo ve il dico, e ve ne prego e constringo da parte di Cristo Crocifisso, che vi riconciliate e facciate pace con lui, e non state più in guerra: non aspettate che l'ira di Dio venga sopra di voi, ché io vi dico che questa ingiuria egli la riputa fatta a sé, e così è. Vogliate ricoverare sotto l'ale dell'amore e timore di Dio, umiliandovi e volendo cercare la pace e unione del padre vostro.

Aprite aprite gli occhi del cognoscimento e non andate in tanta cecità, poiché noi non siamo giuderi né saracini, ma siamo cristiani batteggiati e ricomprati del sangue di Cristo. Non doviamo dunque andare contro al capo nostro per nessuna ingiuria ricevuta, né l'uno cristiano contro all'altro, ma doviamo fare questo contro li infedeli, che ci fanno ingiuria, poiché possegono quello che non è loro, anco è nostro.

Or non più dormire, per l'amore di Dio, in tanta ignoranza e ostinazione: levatevi su e corrite a le braccia del padre vostro, che vi ricevarà benignamente se il farete, e avarete pace e riposo spiritualmente e temporalmente, voi e tutta la Toscana; tutta la guerra che è di qua, andarà sopra l'infedeli, rizzandosi il gonfalone de la santissima croce.

E se non faceste di recarvi a buona pace, avarete il peggiore tempo, voi e tutta la Toscana, che avessero mai i nostri antichi. Non pensate che Dio dorme sopra l'ingiurie che sono fatte a la Sposa sua, ma vegghia, e non ci paia perché vediamo andare la prosperità inanzi, poiché sotto la prosperità è nascosa la disciplina de la potente mano di Dio. Poi che Dio è disposto a porgiarci la misericordia sua, non state, fratelli miei, più indurati, ma umiliatevi ora, mentre che avete lo tempo, poiché l'anima che s'umilia sarà sempre essaltata - così disse Cristo -, e chi s'essaltarà sarà umiliato (Mt 23,12 Lc 14,11 Lc 18,14) con la disciplina e flagelli e battiture di Dio.

Andate con pace e unione: questa è la Pasqua che io ho desiderio di fare con voi, considerando che in altra corte non possiamo fare questa Pasqua se non nel corpo de la santa Chiesa, ché ine è il bagno del sangue del Figlio di Dio, dove si lavano i fracidumi dei peccati nostri; ine si trova il cibo dove l'anima si sazia e si notrica; e trovianvi il vestimento nuziale, il quale ci conviene avere, se vogliamo intrare a le nozze di vita eterna (Mt 22,11), a le quali siamo invitati dall'Agnello dissanguato e derelitto in croce per noi. Questo è lo vestimento de la pace, che pacifica lo cuore e ricuopre la vergogna de la nostra nudità, cioè di molte miserie e difetti e divisioni le quali noi abbiamo l'uno con l'altro, le quali sono cagione e strumento di tollerci lo vestimento de la grazia.

Poi che la benignità dolce di Dio ci rende lo vestimento, non siate negligenti ad andare per esso con sollicitudine virile al capo vostro, affinché la morte non vi truovi nudi, poiché noi doviamo morire e non sappiamo quando. Non aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi. Grande simplicità sarebbe d'aspettare e fidarmi di quello che io non ho, né sono securo d'avere. Non dico più.

Perdonate a la mia presunzione, e incolpatene l'amore che io ho a la salute vostra e dell'anima e del corpo, e il dolore che io ho del danno che ricevete, spiritualmente e temporalmente: pensate che più tosto ve il direi a bocca che per lettara. Se per me si può adoperare alcuna cosa che sia onore di Dio e unione di voi e de la santa Chiesa, sono apparecchiata a dare la vita, se bisogna.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù.

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