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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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Sesso: Femminile
19/10/2012 16:42

219. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori, e a maestro Giovanni Terzo e frate Felice dell'ordine dei frati Eremiti di santo Augustino, e a tutti gli altri loro compagni, quando erano a Vignone.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimi figli miei in Cristo Gesù, io, misera madre, con desiderio spasimato ho desiderato di vedere i cuori e gli affetti vostri chiavellati in croce, uniti e legati con quello legame che legò e inestò Dio nell’uomo e l'uomo in Dio. Così desidera l'anima mia di vedere i cuori e gli affetti vostri inestati nel Verbo incarnato dolce Gesù, sì e per sì-fatto modo che né demonia né creature vi possano mai partire. Bene che io non dubbito che, se voi sarete legati e infiammati del dolce Gesù, se fussero tutti i demoni dell’inferno con tutte le malizie loro, non vi potranno partire da sì dolce unione.

Perciò io voglio - poi che è di tanta fortezza ed è di tanta necessità -, che voi non restiate mai di crescere legna al fuoco del santo desiderio - cioè legna del cognoscimento di voi medesimi: queste sono quelle legna che nutreno lo fuoco de la divina carità, la quale carità s'acquista nel cognoscimento e ne la inestimabile carità di Dio -: allora s'unisce l'anima col prossimo suo; e, quanto più dà de la materia al fuoco, cioè legna di cognoscimento di sé, tanto cresce lo caldo dell'amore di Cristo e del prossimo suo.

Perciò state nascosi nel cognoscimento di voi, e non state fuore di voi, affinché Malatasca non vi pigli con le molte illusioni e cogitazioni l'uno contro all'altro: questo farebbe per tollervi l'unione de la divina carità. E però io voglio e vi comando che l'uno sia subietto all'altro, e l'uno portatore dei defetti dell'altro, imparando da la prima dolce Verità che volse essere lo più minimo, e umilemente portò tutte le nostre iniquitadi e defetti. Così voglio che facciate voi, figli miei carissimi. Amatevi amatevi amatevi insieme.

Godete ed essultate, ché il tempo de la state ne viene, poiché lo primo dì d'aprile, la notte, più singularmente Dio aperse i segreti suoi, manifestando le mirabili cose sue - sì e per sì-fatto modo che l'anima mia non pareva che fusse nel corpo, e riceveva tanto diletto e plenitudine che la lingua non è sufficiente a dirlo -; spianando e dichiarando a parte a parte sopra lo misterio de la persecuzione che ora ha la santa Chiesa, e de la renovazione ed essaltazione sua, la quale die avere nel tempo avenire, dicendo che lo tempo presente è permesso per renderle lo stato suo; allegando la prima Verità due parole che si contengono nel santo evangelio, cioè: «Egli è bisogno che lo scandalo venga nel mondo», e poi subgiunse: «ma guai a colui per cui viene lo scandalo» (Mt 18,7 Lc 17,1). Quasi dicesse: «Questo tempo di questa persecuzione vi permetto per divellere le spine de la sposa mia, che è tutta imprunata, ma non permetto le male cogitazioni degli uomini. Sai tu come io fo? io fo come io feci quando io ero nel mondo, che feci la disciplina de le funi (Jn 2,15), e cacciai coloro che vendevano e compravano, non volendo che de la casa di Dio si facesse spelunca di ladroni (Mt 21,12-13 Mc 11,15-17 Lc 19,45-46 Jn 2,15-16). Così ti dico che io fo ora, poiché Io ho fatto una disciplina de le creature, e con essa disciplina caccio i mercatanti immondi cupidi e avari, infiati per superbia, vendendo e comprando le grazie e i doni de lo Spirito santo».

Sì che con la disciplina de le persecuzioni de le creature gli cacciava fuore, cioè che per forza di tribulazione e persecuzione lo' tolleva lo disordenato e disonesto vivere.

E crescendo in me lo fuoco del santo desiderio, mirando, vedevo nel costato di Cristo Crocifisso intrare lo popolo cristiano e lo infedele; e io passavo, per desiderio e affetto d'amore, per lo mezzo di loro, e intravo con loro in Cristo dolce Gesù acompagnata col padre mio santo Domenico e Iohanni singulare, con tutti quanti i figli miei. Allora mi dava la croce in collo e l'ulivo in mano, quasi come volesse, e così diceva, che io la portasse all'uno popolo e all'altro; e diceva a me: «Di' a loro: "Io v'annunzio gaudio magno"». Allora l'anima mia più s'empiva; abnegata era coi veri gustatori ne la divina essenzia, per unione e affetto d'amore. Ed era tanto lo diletto che aveva l'anima mia che la fatica passata, del vedere l'offesa di Dio, non vedeva, anco dicevo: O felice e aventurata colpa! Allora lo dolce Gesù sorrideva e diceva: «Or è aventurato lo peccato che non è nulla? Sai tu quello che santo Gregorio dicea, quando disse: «felice e aventurata colpa»? quale parte è quella che tu tieni che sia aventurata e felice, e che dice santo Gregorio?». Io rispondevo come esso mi faceva rispondere e dicevo: «Io veggio bene, Signore mio dolce, e bene so, che il peccato non è degno di ventura e non è aventurato né felice in sé, ma lo frutto che esce del peccato. Questo mi pare che volesse dire Gregorio: che, per lo peccato d'Adam, Dio ci dié il Verbo dell'unigenito suo Figlio e il Verbo dié il sangue; dando la vita ci rendé la vita con grande fuoco d'amore. Sì che il peccato è aventurato, non per lo peccato, ma per lo frutto e dono che abiamo d'esso peccato». Or così è, sì che dell'ofesa che fanno gl'iniqui cristiani perseguitando la Sposa di Cristo, nasce la essaltazione, lume e odore di virtù in essa sposa. Ed era questo sì dolce che non pareva che fusse nessuna comparazione da l'offesa alla smisurata bontà e benignità di Dio che in essa sposa mostrava.

Allora io godevo ed essultavo, e tanto ero vestita di certezza del tempo futuro che me il pareva possedere e gustare: dicevo allora con Simeone: «Nunc dimictis servum tuum Domine secundum verbum tuum in pace» (Lc 2,29). Facevansi tanti misterii che la lingua non è sufficiente a dirlo, né cuore a pensarlo, né occhio a vederlo (1Co 2,9). Or quale lingua sarebbe sufficiente a narrare le mirabili cose di Dio? non la mia di me misera miserabile; e però io voglio tenere silenzio e darmi solo a cercare l'onore di Dio, e la salute delle anime, e la renovazione ed essaltazione de la santa Chiesa, e per la grazia e fortezza de lo Spirito santo perseverare fino a la morte.

E con questo desiderio io chiamavo e chiamarò con grande amore e compassione lo nostro Cristo in terra, e voi, padre, con tutti i cari figli; e dimandavo e avevo la vostra petizione. Godete godete ed essultate.

O dolce Dio amore, adempie tosto i desiderii dei servi tuoi! Non voglio dire più, e non ho detto nulla.

Stentando muoio per desiderio; abbiatemi compassione. Pregate la divina bontà e Cristo in terra che tosto si spacci.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Annegatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e per nessuna cosa venite meno, ma più conforto pigliate.

Godete godete ne le dolci fatiche. Amatevi amatevi amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore.





220. A suora Magdalena figlia di monna Alessa, delle monache di Santa Bonda presso a Siena.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vestita del vestimento reale, cioè del vestimento dell'ardentissima carità, che è quello vestimento che ricuopre la nudità, e nasconde la vergogna, e scalda, e consuma lo freddo.

Dico che ricuopre la nudità, cioè che l'anima creata all'imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), avendo l'essere, senza la divina grazia non avrebbe lo fine per mezzo del quale fu creata. Convienci principalmente avere lo vestimento della grazia, lo quale riceviamo nel santo battesimo mediante lo sangue di Cristo. Con questo vestimento i fanciulli che muoiono in puerizia hanno vita eterna; ma noi spose, che aviamo spazio di tempo, se non c'è posto uno vestimento d'amore verso lo sposo eterno, conoscendo la sua inestimabile carità, potremmo dire che questa grazia, che noi aviamo ricevuta nel battesimo, fusse nuda. E però è necessario che noi leviamo l'affetto e il desiderio nostro con vero cognoscimento di noi, e aprire l'occhio dell'intelletto, e in noi conoscere la bontà di Dio, e l'amore ineffabile che egli ci ha. Poiché l’intelletto che conosce e vede, non può fare l'affetto che non ami, e la memoria che non ritenga lo suo benefattore.

E così con l'amore traie a sé l'amore: e trovasi vestita e ricuperta la sua nudità.

Dico che nasconde la vergogna, e questo in due modi: l'uno è che per pentimento ha gittato da sé la vergogna del peccato; come? che da la vergogna, che in quella anima era venuta per l'offesa fatta al suo Creatore, è restituita per lo vestimento dell'amore delle virtù, ed è venuta a onore di Dio e ha frutto in sé. Perché d'ogni nostra opera e desiderio Dio ne vuole lo fiore de l'onore e a noi lassa lo frutto. Sì che vedi che nasconde la vergogna del peccato. Dico che un'altra vergogna le tolle: cioè che di quello che la sensualità con amore proprio e parere del mondo si vergogna, la volontà, morta in sé e in tutte le cose transitorie, non vede vergogna. Anco si diletta delle vergogne, strazii, scherni, villanie e rimproverio: e tanto ha bene, quanto si vede conculcare dal mondo. Ella è contenta, per onore di Dio, che lo mondo la perseguiti con le molte ingiurie, lo demonio con le molte tentazioni e molestie, la carne con volere ribellare allo spirito. Di tutte gode per odio e vendetta di sé, per conformarsi con Cristo Crocifisso, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E non si vergogna d'essere schernita e beffata da tutti e tre questi nemici, cioè lo mondo, la carne, e il demonio, perché la volontà sensitiva è morta - vestita del vestimento della somma ed eterna volontà di Dio -, anco l'ha in debita reverenzia, e ricevele con amore, perché vede che Dio l'ha permesse per amore, e non per odio: con quello affetto che noi vediamo che elle sono date, con quello le riceviamo. Dolce è a desiderare vergogna, ché con essa si caccia la vergogna.

O quanto è beata l'anima, che ha acquistato così dolce lume! Ché insiememente è odiare i movimenti nostri e gli altrui, e amare le pene che per essi movimenti sosteniamo. Movimento nostro è la propria sensualità, movimenti altrui sono le persecuzioni del mondo. Reputati, carissima figlia, degna de la pena, e indegna del frutto che segue doppo la pena. Queste saranno le fregiature che tu porrai nel vestimento reale. Tu sai bene che lo sposo eterno fece lo simile, ché sopra lo vestimento suo pose le molte pene, fragelli, strazii, scherni e villanie, e nell'ultimo l'obrobiosa morte de la croce.

Dico che scalda, e consuma la freddezza: scaldasi del fuoco dell'ardentissima carità, lo quale dimostra per desiderio spasimato de l'onore di Dio nella salute del prossimo, portando e sopportando i difetti suoi.

Gode coi servi di Dio che godono, e piange con gli iniqui che sono nel tempo del pianto, per compassione e amaritudine che porta dell'offesa che fanno a Dio; e dassi volentieri a ogni pena e tormento per reduciarli allo stato di coloro che godono e che vivono inamorati de le dolci e reali virtù.

Dico che consuma lo freddo, cioè la freddezza dell'amore proprio di sé medesima, lo quale amore proprio acieca l'anima e non le lassa conoscere né sé né Dio, e tollele la vita della grazia, e genera impazienzia; la radice della superbia mette fuore i rami suoi. Offende Dio e offende lo prossimo con disordenato affetto, ed è incomportabile a sé medesimo, sempre ribella a l'obedienzia sua: e tutto questo fa l'amore proprio di sé.

E però voglio, dolcissima e carissima figlia, che tu perda ogni amore proprio della propria sensualità, perché non sta bene alla sposa di Cristo d'amare altro che lo Sposo suo, e col lume della ragione abraccicare le virtù. Altrimenti, non potresti navigare in questo mare tempestoso di questa tenebrosa vita, senza la navicella de la santaobbedienza, ne la quale tu sei entrata. Senza essa, figlia carissima, non giognaresti al porto della vita durabile, dove tu t'unisci con lo sposo eterno. Pensati, che se tu con l'amore proprio la percotessi nello scoglio della disobbedienza, ella si romparebbe; e per questo modo affogaresti e perdaresti lo tesoro, cioè lo frutto del santo proponimento che tu facesti quando promettestiobbedienza, facendo professione.

Perciò levati da questo amore, a ciò che non perisca; e virilmente come vera sposa rizza nella tua navicella l'arbolo dello immacolato e umile Agnello, sposo tuo, cioè la santissima croce, e con la vela della suaobbedienza. Ché vedi bene che con questa vela dell’obbedienza del Padre suo, avendola spiegata, corse con veloce vento d'amore, e d'odio del peccato e di questo amore sensitivo, infine all'obrobiosa morte della santissima croce. Or così fa' tu, conobbedienza pronta, con umilità vera, e con amore di Dio e del prossimo portandoti, e amando caritativamente le tue sorella, e senza scandalo di mente o mormorazione di lingua. Porta e soporta ciò che tu udisse o vedesse nel prossimo tuo; e le reprensioni che ti fussero fatte ricevele con reverenzia, pensando che per amore ti dicono, ed eziandio se ti facessero, e non per odio.

Per questo modo ti levarai lo sdegno e ogni pena, e averai l'affetto delle virtù, e l'odio e il pentimento del vizio e del proprio e disordinato amore; avendo imparato dal dolce e buono Gesù, lo quale t'è regola, via e dottrina. La regola e dottrina ce la insegna con l'obedienzia sua, non schifando pene; ma con obrobrio, scherni e villanie, ingiurie e infamie, e con molte mormorazioni la compì in su lo legno della santissima croce. Ètti via ché, come egli per via di croce andò, così tu e ogni creatura che ha in sé ragione lo debba seguire, sostenendo ogni pena, tormento e molestia per lo suo amore, spiegando la vela in su questo arbolo, Cristo Crocifisso: la vela dell'amore e l'affetto del desiderio con la continua orazione.

La quale orazione porta e reca: porta i nostri desiderii pieni d'odio di noi, e amore delle virtù provate nella carità del prossimo. Dico che reca lo desiderio e la volontà di Dio, e avendolo arrecato, sel mette indosso con le mani delle sante e buone opere. Allora ti trovarai spogliata del tuo proprio amore, e vestita del vestimento nuziale. In altro modo, non saresti vera sposa né faresti resistenza alle molte mormorazioni - che io so che odi di noi - che t'hanno dato pena. Non voglio che avesse più pene; perché questa è la via unde debbono andare i veri servi di Dio. E considerando me che chi fa questo che detto è, è privato d'ogni pena e rimane in pace e in quiete, però ti dissi che io desiderava di vederti vestita del vestimento reale, cioè dell'abisso de la carità del re eterno, a ciò che tu sia privata della pena de l'obedienzia e di quella delle mormorazioni, e stia in pace e in quiete, gustando Dio per grazia, sì che nell'ultimo riceva l'eterna visione di Dio, dove sono finite tutte le pene, e dove si riceve lo frutto delle virtù, che segue doppo le fatiche.

Dio ti doni a te e all'altre la sua dolce ed eterna benedizione. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





221. A sorella Bartolomea de la Seta, monaca di santo Stefano in Pisa.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sposa vera consecrata allo Sposo eterno.

Condizione è de la sposa di fare una volontà con lo sposo suo, e non può volere più che egli voglia, e non pare che possa pensare altro che di lui. Or così pensa tu, figlia mia, che sei sposa di Cristo crocifisso: non debbi pensare altro che di lui, cioè di consentire ai pensieri. Ch'i pensieri non venissero, questo non dico io, ché nol potresti fare né tu né creatura, poiché il demonio non dorme mai: e questo permette Dio per fare venire la sua sposa a perfetta sollicitudine e per farla essercitare in virtù. Questa è la cagione perché Dio permette alcune volte che la mente rimane sterile e tenebrosa, attorniata di molte perverse cogitazioni, che non pare che possa pensare di Dio, né ricordare apena il nome suo.

Guarda che quando tu sentissi questo in te medesima, che tu non venga a tedio né a confusione disordinata; né non lasciare l'essercizio né l'atto dell'orazione, perché il demonio ti dicesse: «Che ti giuova questa orazione, che non la fai con affetto né con desiderio? meglio ti sarebbe a non farla». Non la lasciare però, né per questo non venire a confusione, ma risponde virilmente: «Più tosto voglio essercitarmi per Cristo crocifisso sentendo pena, tenebra e battaglia, che non essercitarmi sentendo riposo». E pensa che questa è la perfetta condizione della sposa di Cristo: che se possibile fusse di campare l’inferno, e avere diletto in questa vita, e con questo avere vita eterna, ella non la vuole per questo affetto, tanto si diletta di conformarsi con Cristo crocifisso; e più tosto la vuole per via di croce e di pena che senza pena.

Or che maggior diletto può avere la sposa, che conformarsi con lo sposo, ed essere vestita di simile vestimento? Perché Cristo crocifisso ne la vita sua non elesse altro che croce e pena, e di questo vestimento si vestì, e però la sposa sua si reputa beatitudine quando si vede vestita di questo vestimento, perché vede che lo sposo l'ha amata smisuratamente, e però ella l'ama: ricevelo con tanto amore e con tanto desiderio, che non è lingua sufficiente che il potesse narrare. E però la somma ed eterna Bontà, per farla giognare a perfettissimo amore e vera umilità, permette le molte battaglie e la mente asciutta, a ciò che la creatura riconosca sé medesima e vegga sé non essare: poiché se ella fusse alcuna cosa, levarebbesi la pena quando volesse; ma perché ella non è, non può.

Conoscendo sé, s'umilia nel suo non essere, conosce la bontà di Dio, che l'ha dato l'essere, e ogni grazia che è fondata sopra l'essere. Ma tu mi dirai: «Quando io ho tante pene e tante battaglie e tenebre, io non posso vedere altro che confusione; e non pare che io possa pigliare speranza nessuna, e tutta mi veggio misera». Rispondoti, figlia mia, che se tu cercarai, trovarai Dio ne la buona volontà: poniamo che tu senta molte battaglie, tu non ti senti privata la volontà, che ella non voglia Dio. Anco, è questa la cagione perché si duole e ha pena, perché teme d'offendare Dio. Debba godere ed essultare, e non venire a confusione per battaglie, vedendo che Dio gli conserva la buona volontà, e dàgli pentimento del peccato mortale.

Questo mi ricordo che udii dire a una serva di Dio, che le fu detto da la prima e dolce Verità: essendo stata in grandissima pena e tentazioni, e fra l'altre sentì grandissima confusione, in tanto che il demonio diceva: «Che farai, che tutto lo tempo de la vita tua starai in queste pene, e poi avarai l’inferno?». Ella rispose con uno cuore virile, senza veruno timore, e con uno odio santo di sé: «Non ischifo pena, ché io ho elette le pene per mio refrigerio. E se nell'ultimo mi desse l’inferno, non lassarò che io non serva al mio Creatore, ché io sono colei che sono degna di stare nell’inferno, poiché io offesi la prima e dolce Verità; e se egli mi desse l’inferno, non mi fa ingiuria nessuna, ché io sono sua». Allora lo nostro dolce salvatore, in quella dolce e vera umilità, levò le tenebre e le molestie de i demoni, sì come fa quando cade la nuvola, che rimane il sole: di subito gionse la presenza del nostro salvatore. E infundevasi in uno fiume di lacrime con uno caldo dolce d'amore e diceva: «O dolce e buono Gesù, or dove eri tu quando l'anima mia era in tanta afflizione?». Rispondeva lo dolce Gesù, Agnello immacolato: «Io ero presso a te, poiché io sono immobile, che non mi parto mai da la creatura, se già la creatura non si parte da me per lo peccato mortale». E questa stava in uno dolce ragionamento con lui, e diceva: «Se tu eri con me, come non ti sentivo? come si può tenere che, stando al fuoco, io non senta lo caldo? E io non sentiva altro che ghiaccio tristizia e amaritudine: parevami essere piena di peccati mortali».

Ed egli rispondeva dolcemente, e diceva: «Vuogli che io ti mostri, figlia mia, come tu per queste battaglie non cadevi in peccato mortale, e come io ero presso di te? Dimmi: quale è quella cosa che fa lo peccato mortale? è solamente la volontà, ché il peccato e la virtù sta nel consentimento de la volontà: altrimenti, non è peccato né virtù, se non è volontariamente fatto. Questa volontà non c'era, ché, se ella ci fusse stata, avaresti preso diletto e piacimento ne le cogitazioni del demonio: ma perché la volontà non c'era, doleviti, e sostenevi pena per paura di non offendare. Perciò vedi che ne la volontà sta lo peccato e la virtù. Ora ti dico che tu non debbi venire per queste battaglie a disordinata confusione, ma voglio che di queste tenebre tragga la luce del cognoscimento di te, e che tu acquisti la virtù de l'umilità e ne la buona volontà godi ed essulti, conoscendo che io abito allora in te nascosamente. E la volontà t'è segno che io vi sono; ché, se tu avessi mala volontà, non sarei in te per grazia. Ma sai tu come io abito in te allora? in quello modo che io stetti in su lo legno de la croce; e quello modo tengo con voi, che tenne il Padre mio con con me. Pensati, figlia, che in sul legno della croce io ero beato ed ero doloroso: beato ero per l'unione de la natura divina ne la natura umana, e nondimeno la carne sostenne pena: ritrasse Dio eterno a sé la potenza, lassandomi sostenere pena, e non ritrasse l'unione che non fusse sempre unito con con me.

Così ti pensa che per questo modo io abito nell'anima: che ritraggo a me spesse volte lo sentimento, e non ritraggo la grazia, poiché la grazia non si perde se non per lo peccato mortale, come detto è. Ma sai tu perché io fo questo? follo solo per farla venire a vera perfezione. Tu sai che l'anima non può essere perfetta, se non con queste due ali dell'umilità e della carità: l'umilità per lo cognoscimento di sé medesimo - nel quale ella viene nel tempo delle tenebre -; la carità s'acquista vedendo che Dio per amore gli ha conservata la buona e santa volontà. Dicoti che l'anima savia, vedendo che di questo esce tanta virtù, e per altro non permetto al demonio che vi dia le tentazioni, terrà più caro quel tempo che veruno altro.

Ora ti ho detto lo modo, e pensa che questo tempo è di grande necessità per la salute vostra, ché, se l'anima alcune volte non fusse sollicitata da le molte tentazioni, ella cadrebbe in grandissima negligenzia e perdarebbe l'essercizio del continuo desiderio e orazione, poiché nel tempo de la battaglia sta più attenta per paura dei nemici, fornisce la rocca dell'anima sua, ricorre a me che sono la sua fortezza. Ma la intenzione del demonio non è così: io lo permetto a lui che vi tenti per farvi venire a virtù, ed egli vi tenta per farvi venire a disperazione.

Pensa che il demonio tentarà uno che s'è posto a servire a Dio, non perché egli creda che egli caggia attualmente in quel peccato, poiché già vede che egli elegiarebe inanzi la morte, che attualmente offendesse: ma che fa? ingegnasi di farlo venire a confusione, dicendo: «Per questi pensieri e movimenti che ti vengono, veruno bene ti giuova». Vedi quanta è la malizia del demonio, che ne la prima battaglia non ti può vinciare; ne la seconda col colore de la virtù spesse volte ti vince. Ma io non voglio che seguiti mai la maliziosa sua volontà, ma voglio che pigli la volontà mia, come io detto ti ho. E questa è la regola che io ti do, e voglio che insegni ad altrui, quando bisogna».

Or così ti dico, carissima figlia mia, che io voglio che facci tu; siami specchio di virtù, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso e fa' - ché io non voglio che tu lo cerchi né voglia altro che crocifisso - sì come sposa vera ricomprata del sangue di Cristo crocifisso.

Bene vedi tu che tu sei sposa, ché egli t'ha sposata, te e ogni creatura, non con anello d'argento, ma con l'anello de la carne sua. Vedi quello dolce pargolo, che in otto dì, ne la circuncisione, quando è circunciso, si leva tanta carne quanta è una 'stremità d'anello. O abisso, o altezza, inestimabile carità, quanto ami questa tua sposa de l'umana generazione! O vita per cui ogni cosa vive! Tu l’hai tratta de le mani del demonio che la possedeva come per sua, e tu gli l’hai tratta de le mani, pigliando lo demonio coi l'amo de la umanità, e sposila con la carne tua. E il sangue hai dato per arra; nell'ultimo, svenando lo corpo tuo, hai dato lo pagamento.

Or t'inebria, figlia mia, e non cadere in negligenzia, ma con vera sollicitudine ti leva: con questo sangue spezza la durezza del tuo cuore per sì-fatto modo che mai non si serri per veruna ignoranza né negligenzia più, né per detto di veruna creatura. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio, riposandovi sempre in sul legno della santissima croce.

Gesù dolce, Gesù amore.





222. Al soprascritto Stefano negligente.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti uscire delle tenebre e dirizzarti verso la luce senza pigliare più indugio di tempo, poiché il tempo ci viene meno, e non ce ne avediamo per la cecità nostra.

Ma egli è pure da levarsi la nuvola d'inanzi, e ponarsi per obiettivo la verità. La verità è questa, che Dio non vuole né cerca da noi altro che la nostra santificazione: per questo ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e però volse lo dolce e amoroso Verbo dare la vita con tanto fuoco d'amore; e così ci manifesta la sua verità. L'anima che, col lume, la raguarda, non sta a dormire; anco si desta dal sonno, cercando con grande sollecitudine il modo e la via e il luogo e il tempo per li quali la possa compire. Egli non si fida di potere aspettare lo dì di domane, perché vede che non è sicuro d'averlo. Così voglio che facci tu: caccia da te ogni tenebre, affinché non ti sia impedito questo lume.

Sai che Dio t'ha mostrato, poi che tu uscisti delle tenebre, che egli t'abbia eletto a conosciare questa verità.

Troppo saresti degno di grande riprensione se tu gli facessi resistenza: allora gli faresti resistenza, quando per negligenzia ti ponessi a sciogliare e non a tagliare. E perché egli vuole che tu tagli, però t'ha conceduto di grazia che tu abbi spacciati i fatti tuoi, del quale spaccio ho avuta grandissima allegrezza. Or sollicitamente, figlio mio, come quegli che debbono avere fame del tempo, spaccia quello che t'è rimaso a fare affinché compi la volontà di Dio in te. Non ti dico più.

Di' a Petro che non sia negligente a disobrigare sé medesimo, affinché egli corra sciolto, e non legato, per la dottrina di Cristo crocifisso. Al fatto di misseri etc.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.





223. A missere Giacomo cardinale degli Orsini.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma e stabile, posto a notricare nel giardino della santa Chiesa: per gli molti venti contrarii che vengono, se non fusse di pietra ben fondata verrebbe meno; conviene che il fondamento sia cavato ben giù, ché se fusse poco, anco sarebbe debole.

O padre in Cristo Gesù, voi sete colonna posta per umilità, la quale umilità s'acquista nel vero cognoscimento di sé medesimo; e però cadell’uomo in superbia, perché non conosce sé: che se conoscesse sé medesimo non essere, mai non cadarebbe in superbia. Ma l'essere ch'egli ha, ha ricevuto solo da Dio, ché noi non pregammo mai Dio che ci creasse; mosso dunque dal fuoco della sua divina carità, per l'amore che egli ebbe alla sua creatura, guardandola dentro da sé innamorossi della bellezza sua e della fattura delle mani sue. A mano a mano che l'anima ha raguardato in sé, viene che trova la bontà di Dio: cresce l'anima in tanto fuoco d'amore che altro non può amare né desiderare se non solo Dio, in cui egli ha trovata tanta smisurata bontà, poiché vede in sé essere quella pietra che tenne ritto lo gonfalone della santissima croce, ché né pietra l'averebbe tenuto, né chiovo confitto, se non fusse la forza dell'amore che Dio ebbe all'uomo.

Questo mi ricordo che fu detto una volta a una serva sua, dicendo ella per smisurato desiderio che aveva: «O Signor mio, se io fossi stata della pietra e terra dove fu fitta la croce tua, quanto mi sarebbe di grazia! Che io averei ricevuto del sangue tuo, che versava giù per la croce». Rispondeva la dolce prima Verità, e diceva: «Figlia mia carissima, tu e l'altre creature che hanno in sé ragione fuste quella pietra che mi teneste, cioè l'amore che io ebbi a voi, ché verun'altra cosa era sufficiente a tenermi Dio e Uomo».

Perciò vergogninsi i cuori miseri miserabili superbi, dati solo alle grossizie e miserie di questa tenebrosa vita, alle grandezze e stati e delizie del mondo. Questo cotale fa lo fondamento tanto in su, con amore proprio di sé medesimo, perché non vuole durare fatiga, né tenere per la via delli obrobrii, de la viltà e povertà volontaria, la qual via tenne lo dolce e buon Gesù. Dico, carissimo fratello, che questo cotale non dura, ma ogni piccolo vento lo dà a terra, poiché il fondamento suo - cioè l'amore e l'affetto - è posto in cosa vana leggiera e transitoria, che passa e va via come lo vento.

Ben vedete che in sé nessuna cosa ha fermezza, se non solo Dio. Se ella è vita, ella viene meno: da vita andiamo alla morte, da sanità ad infermità, da onore a vituperio, da ricchezza a povertà: ogni cosa passa e corre via. O come è semplice colui che pone l'affetto in loro! Tutto vel pone, perch'egli ama sé medesimo d'amore sensitivo: ama quello che si conforma con quella parte sensitiva piccola. Non ama sé di ragione d'amore fondato in virtù, ché se s'amasse ragionevolmente, che ciò che ama amasse con ragione e con virtù, - e non per diletto sensitivo d'amore proprio, diletto e piacimento del mondo, piacere più a sé e alle creature che a Dio -, se venissero meno non perdarebbe nulla, né pena ne sosterrebbe, perché non vi sarebbe l'amore. Ché, solo, la pena cade in coloro che amano fuore di Dio; ma chi ha ordinato in lui, che sé e ogni cosa ama colla ragione del cognoscimento vero fondato nel suo Creatore, non cade pena in lui.

Vede bene che veruna cosa Dio gli dà o tolle spiritualmente o temporalmente: egli nol fa altro che per nostro bene e per nostra santificazione.

Allora con questo lume e cognoscimento ch'egli ha acquistato di sé e della bontà di Dio e della sua inestimabile carità, egli s'umilia, cavando con odio e pentimento di sé; nasce in lui una pazienza nelle pene, ingiurie, scherni e villanie che egli sostenesse: poiché egli è contento di sostenere pene, considerato che egli è stato ribelle al suo Creatore. Poi che egli è fatto lo fondamento, ed egli diventa pietra ferma e stabile, posto e confermato in su la pietra Cristo Gesù, seguitando le vestigie sue; e in altro non si può dilettare né amare né volere, se non quello che Dio ama; odia quello che egli odia. Allora riceve tanto diletto fortezza e consolazione, che nessuna cosa che sia, né demonio né creatura, lo può indebilire né dare amaritudine nessuna, perché colà ov'è Dio è ogni bene. Non si ritragga più lo cuore nostro da tanta carità: non più negligenzia né ignoranza.

Seguitatemi l'Agnello dissanguato, aperto in sul legno della santissima croce; altrimenti, carissimo padre, voi, colonna posto ad aiutare e sovvenire in ciò che potete la dolce sposa di questo Agnello, non rendareste a lui lo debito, ché questo Agnello solo v'ha posto non per vostra bontà, ma per sua, perché rendiate l'onore a lui e la fatiga al prossimo vostro. Siate, siate gustatore e mangiatore de l'anime, ché questo fu lo cibo suo. Ben vedete che - poi che noi perdemmo la grazia per lo peccato del nostro primo padre - non s'adempiva in noi la volontà del Padre eterno, che non ci avea creati per altro fine se non perché gustassimo e godessimo la bellezza sua, vita durabile senza morte. Non s'adempiva questa volontà: mosso dal fuoco dell'amore col quale ci avea creati, vuole mostrare che non ci ha fatti per altro fine; trova lo modo d'adempire questa volontà: dacci per amore lo Verbo dell'unigenito suo Figlio; sopra di lui punisce la nostra infirmità e iniquità.

O fuoco dolce d'amore, tu gitti uno colpo che insiememente tu punisci lo peccato sopra di te, sostenendo morte e passione, satollandoti d'obrobrii e di vergogna e vituperio, per rendarci l'onore lo quale perdemmo per lo peccato commesso; e con questo hai placato l'ira del Padre tuo. Facendo in te giustizia per me, sodisfacesti la 'ngiuria fatta al Padre eterno tuo: così hai fatta la pace della gran guerra.

Ben dice il vero quel dolce innamorato di Pavolo, che Cristo è nostra pace e mediatore: ché è stato mezzo a fare pace fra Dio e l'uomo. Or questo è il modo dolce e suave che Dio ha tenuto per darci il fine per mezzo del quale ci creò: mostrato l'ha per effetto e per opera, non obstante a quello che egli ha fatto, ma continovamente fa, mostrandoci grandissimi segni d'amore. E tutto questo trovarà l'anima se raguardarà in sé medesima, ché ogni cosa è fatta per lei. Arrendasi, arrendasi la città de l'anima nostra almeno per fuoco, se non s'arende per altro.

Oimé, oimé, non dormite più, voi e gli altri campioni della santa Chiesa; non attendete pure a queste cose transitorie, ma attendete a la salute de l'anime. Ché vedete che il demonio non si stanca mai di devorare le pecorelle ricomperate di sì dolce prezzo: e tutto è per la mala cura dei pastori, che sono fatti devoratori de l'anime. Attendeteci, per l'amore di Dio! Adoperate ciò che potete, col nostro dolce Cristo in terra, che procuri di fare buoni pastori e rettori. Doimé, Dio amore! Non fate più scoppiare e morire noi e gli altri servi di Dio; ma siate sollecito a fare ciò che potete, di mostrare che voi abbiate fame de l'onore di Dio e della salute de l'anime. E non tanto sopra lo popolo cristiano, ma anco sopra il popolo infedele: pregando Cristo in terra che tosto rizzi lo gonfalone della santissima croce sopra di loro. E non temete per veruna guerra o scandolo che venisse, ma fate virilmente; ché quello sarà lo modo di venire a pace.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che della guerra che avete con questi membri putridi, che sono ribelli al capo loro, voi preghiate lo padre santo che si rivoglia riconciliare e fare pace con essi; ché, potendo avere la pace con quegli modi debiti che si richiegono al bene della santa Chiesa, è meglio che a fare con guerra: poniamo che ingiuria abbia ricevuta da loro, nondimeno doviamo discernare quello che è maggiore bene. Di questo vi prego quanto so e posso, sì che poi possiamo andare virilmente a dare la vita per Cristo. Non dico più. Siate colonna ferma, fermato e stabilito in su la pietra ferma Cristo.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Perdonate alla mia presunzione, che presummo di scrivare a voi: scusimi l'amore che io ho della dolce sposa di Gesù Cristo, e salute vostra. Gesù dolce, Gesù amore.





224. Alla soprascritta monna Niera donna di Gherardo Gambacorti, in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva fedele e figlia del Padre eterno.

Sapete che l'amore è quella cosa che ci fa fedeli: sempre in quella cosa che altri ama, egli ha fede. (Così vediamo che i veri servi di Dio, per l'amore che essi hanno al loro Creatore, perdono ogni fede e speranza di loro medesimi, che non sperano in loro virtù né in loro sapere, ché eglino cognoscono e veggono loro non essere: l'essere loro retribuiscono a Dio, d'averlo per grazia e non per debito). Subito che ama con fede, ha speranza viva, non in sé ma in Colui che è (Ex 3,14).

Questi cotali hanno fede viva e non morta, con dolci e sante opere. Quali sonno le opere che mostrano fede viva fondata in vero amore? La pazienza contro la ingiuria o pena, per qualunque modo Dio le concede a noi; la divina carità contro l'amore sensitivo proprio di sé medesimo; l'umilità contro l'gonfia superbia che l'uomo acquista per lo stato e delizie, onori e diletti del mondo. Questa umilità dispregiarà il mondo con tutte le sue pompe; ma veruno è che la possa avere, se egli non conosce sé, defettuoso, non essere, e vega Dio umiliato a sé. Come l'anima raguarda la somma altezza discesa in tanta bassezza quanta è la nostra umanità, vergognasi allora l'umana superbia vedendo Dio tanto umiliato. Or questi sonno i frutti che parturisce la fede viva, posta solo nel suo Creatore. Costoro godono e gustano Dio in verità; non sentono pena per veruna pena o tormento che sostengono, poiché credono fermamente che Dio non cerca, né vuole, né permette veruna cosa altro che per nostra santificazione. E tutto questo procede da l'amore: ché se l'amore non fusse, non avrebbero fede.

Così vedete che per lo contrario coloro che hanno al mondo posto l'affetto e la solicitudine loro, tutta la fede e la speranza si riposa in loro e nel mondo; e però stanno in continua pena e amaritudine, perché pongono l'amore in cosa che non è ferma né stabile, e così se ne trovano ingannati. Che stabilità hanno o padre o madre o onori o ricchezze o signoria? Non veruna, ché ogni cosa passa come il vento. Oggi vivo, e domane morto; testé sano, e testé infermo; testé ricco, testé povaro; ora sta in delizie coi figli suoi, testé viene meno. E però sostiene pena, ponendoci l'amore e il disordinato desiderio: perché non bastano, e non può tenere quello che ama.

E però voglio, figlia mia dolcissima, che non abbiate affetto né fede né speranza in voi, né in cosa corruttibile; ma tutta voglio che vi dilettiate di servire Cristo dolce Gesù, dove si riposa ogni diletto e consolazione. Ine s'inebria l'anima del sangue de l'Agnello immacolato; ardesi e risolvesi nel fuoco de l'ardentissima carità; riceve tanta fortezza che né demonio né creatura gli può togliere questo vero bene.

Perciò nascondetevi ne le piaghe di Cristo crocifisso; dilettatevi in Cristo crocifisso; amate e temete Cristo crocifisso; ponete l'affetto, la fede e la speranza vostra in Cristo crocifisso.

Con questo dolce e vero Agnello passerete questa tenebrosa vita, e giognarete a la vita durabile, dove si pascono i veri e dolci gustatori. Non voglio dire più.

Di quello che mi mandaste dicendo, d'allogare il vostro garzone, vi rispondo che voi attendiate non a l'avere né ai grandi parentadi, ma solo a la virtù e a la buona condizione de la fanciulla. Quando trovate questo, fatelo sicuramente. E ciò che fate, fatelo con timore di Dio, ponendolo sempre per obiettivo dinanzi agli occhi de l'anima vostra. Benedite e confortate monna Gy. in Cristo dolce Gesù. E dite a Gherardo ch'io mi richiamarò a Cristo crocifisso di lui, perché egli non ha fatto quello che deve fare ogni fedele cristiano. Dite che non aspetti l'ultimo dì de la vita sua, poiché non sa né quando né come.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





225. A frate Lazzarino da Pisa dei frati Minori.

Al nome di Cristo Crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e fratello e figlio in Cristo Gesù, io Caterina scrivo risovenendomi di quella dolce parola che disse Cristo: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi in prima ched io muoia»(Lc 22,15).

Di questo santo desiderio, secondo che mi dà la divina grazia - ché io per me non sono, ma solo Dio è quello che è -, secondo che Dio ha vulnerata l'anima mia, ardisco di dire quello che disse Cristo: con desiderio io desidero che noi facciamo la Pasqua in prima che noi moriamo. Questa sarà la nostra dolce e santa Pasqua, cioè quello che dice David nel psalterio: «Gustate et videte» (Ps 33,9). Non pare che possiamo vedere Dio se in prima non facciamo questa santa Pasqua di gustare lui: di gustarlo per amore de la sua inestimabile carità de la carità, conoscendo e gustando che la bontà di Dio non vuole altro che il nostro bene, come dice quello inamorato di Pavolo: «Dio è nostra santificazione e giustizia e ogni nostro riposo» () e «la volontà di Dio non vuole altro che la nostra santificazione» (1Th 4,3).

O inestimabile carità e carità, tu dimostrasti questo ardente desiderio e corristi come ebbro e cieco all'obrobio de la croce. Come lo cieco non vede, e l'ebbro quando è bene avinazzato, così egli quasi come morto perdette sé medesimo, sì come cieco ed ebro de la nostra salute; e nol ritrasse la nostra ignoranza né la nostra ingratitudine, né l'amore proprio che noi aviamo a noi. O dolcissimo amore Gesù, tu t'hai lassato acecare all'amore che non ti lassa vedere le nostre iniquità - n'hai perduto lo sentimento, Signore dolce! - Parmi che l'abbi volute vedere e punire sopra al corpo dolcissimo suo, dandosi al tormento de la croce, stando in su la croce come innamorato, a mostrare che non n'ama per sua utilità ma per nostra santificazione. Drittamente egli sta come nostra regola, come nostra via e come libro scritto che ogni persona grossa e cieca lo può leggiare, e il primo capoverso del libro si è odio e amore: amore dell'onore del Padre e odio del peccato. Perciò, dilettissimo e carissimo fratello, e padre per reverenzia del sagramento, seguiamo questo dolce libro che così dolcemente ci mostra la via.

Se avenisse che questi tre nostri nemici si parassero ne la via, cioè lo mondo, la carne e il demonio, e noi pigliamo l'arme dell'odio, sì come fece lo padre vostro santo Francesco: perché lo mondo non gli gonfiasse lo stomaco egli elesse la santa e vera e 'strema povertà, e così voglio che facciamo noi. E se il demonio de la carne volesse ribellare allo spirito, gionga lo pentimento, affriga e maciari lo corpo nostro, sì come fece esso vostro padre, che sempre con sollecitudine e non con negligenzia corse per questa santa via. Se il demonio giognesse coi le molte illusioni e variate fantasie e timore servile, e volesseci occupare la mente e l'anima nostra, non temiamo, ché esse sono diventate impotenti per la virtù de la croce. Amore dolcissimo!, poi che non possono più se non tanto quanto Dio lo' dà, e Dio non vuole altro che lo nostro bene, Perciò non lo' darà più che noi possiamo portare.

Confortatevi confortatevi e non schifate pena, conservando sempre la santa volontà che ella non si riposi in altro se non in quello che Cristo amò e in quello che egli odiò. Così armata la nostra volontà d'odio e d'amore, ricevarà tanta fortezza che, come dice santo Pavolo, né il mondo né il demonio né la carne non ci potrà ritrare di questa via. Portiamo portiamo, fratello carissimo: quanto più pena portaremo qua giù con Cristo crocifisso, più ricevaremo di gloria, e veruna pena sarà tanto remunerata quanto la fatica del cuore e la pena mentale: perché sono le maggiori pene che sieno, sono degne di maggiore frutto. In questo modo ci conviene gustare Dio, affinché il possiamo vedere.

Altro non vi dico se non che siamo uniti e transformati in quella dolce volontà di Dio. Corriamo corriamo, dolcissimo fratello, legati tutti col vincolo de la carità con Cristo crocifisso in sul legno de la croce. Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando e pregovi che preghiate Dio per me sì che io vada in verità. Gesù Gesù Gesù.

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