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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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Sesso: Femminile
19/10/2012 16:44

226. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei frati Predicatori

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce

A voi dilettissimo e carissimo padre e figlio in Cristo Gesù, dato da quella dolce madre Maria: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e a Papo nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figli veri e banditori della parola incarnata del Figlio di Dio, non pur con voce ma con opera, imparando dal maestro de la verità, lo quale operò la virtù e poi la predicò.

A questo modo farete frutto e sarete quello condotto per cui mezzo Dio porgerà la grazia nel cuore degli uditori. Sappiate, figli miei, che la buona vita e fame de l'onore di Dio e della salute delle anime non potremmo avere né imparare, se noi non andassimo alla scuola del Verbo, Agnello esvenato e derelitto in croce, poiché ine si trova la dottrina vera. Così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6), e neuno può andare al Padre se non per lui.

Aprasi l'occhio del cognoscimento vostro a vedere, e sturate l'orecchie e udite che dottrina vi dà. Vedete voi medesimi, poiché in lui trovate voi, e in voi trovate lui: cioè che in lui trovate voi per grazia e non per debito - creandovi all'imagine e similitudine sua -, e in voi trovate la smisurata bontà di Dio, avendo presa la similitudine nostra per l'unione che ha fatta la natura divina con la natura umana. Scoppino e fendansi i cuori nostri a raguardare tanto fuoco e fiamma d'amore che Dio è innestato nell’uomo, e l'uomo in Dio. O amore inestimabile, se l'uomo l'avesse avuto in pregione sì bastarebbe. A questa dolce scuola v'invito, figli miei, poiché questo affetto e amore vi menarà e farà la via.

Dico che apriate l'orecchie a udire la sua dottrina, che è questa: povertà volontaria; pazienza contro l'ingiurie; rendare bene a coloro che ci fanno male; essere piccolo, umile, calpestato e derelitto nel mondo; scherni, strazii, ingiurie, villanie, detrazioni, mormorazioni, tribulazioni e persecuzioni dal mondo, dal demonio visibile e invisibile e da la propria carne puzzolente, la quale, come ribalda, sempre vuole ribellare al suo Creatore e combattere contro lo spirito. Questa è la sua dottrina: portare con pazienza e resistere con l'arme de l'odio e dell'amore. O dolce e soave dottrina! Ella è quello tesoro lo quale egli elesse per sé e lassò ai discepoli suoi. Questo lassò per maggiore ricchezza che lasciare potesse, ché, se avesse veduto la divina bontà che le delizie i diletti i piaceri, e amore proprio di sé e vanità e leggerezza di cuore, fussero state buone, egli l'averebbe elette per sé. Ma perché la sapienza del Verbo incarnato vidde e cognobbe che questa era l'ottima parte, subito l'ama e per amore se ne veste; e così fanno i servi e figli suoi, seguitando le vestigie del padre loro.

Perciò non voglio che caggia ignoranza in voi, né che vi ritraiate da questa dolce e dilettevole via e soave scuola; ma come figli veri vi stregnete questo vestimento indosso, e sì e per sì-fatto modo vi sia incarnato che mai non si parta da voi, se non quando si partirà la vita. Allora abandonaremo lo vestimento de la pena e rimarremo vestiti del vestimento del diletto e mangiaremo alla mensa dell'Agnello lo frutto che segue doppo le fatiche. Così fece lo dolce banditore di Paulo, che si vestì di Cristo Crocifisso e spogliato fu del diletto de la divina essenzia. Vestesi di Cristo uomo, cioè de le pene e obrobrii di Cristo Crocifisso e in altro non si vuole dilettare, anco dice: «Io fuggo di gloriarmi se non ne la croce di Cristo Crocifisso» (Ga 6,14).

E tanto gli piacque che, come disse una volta a una serva sua: «Dolce figlia mia, tanto me gli ho stretto col legame dell'affetto e dell'amore, che mai da me non si partì, né punto allentò, se non quando mi fu tolta la vita». Bene pareva lo dolce di Paulo che egli avesse studiata questa dottrina: seppela perfettissimamente, in tanto che diventa mangiatore e gustatore delle anime, avendo fatto come fa la spugna che trae a sé l'acqua. Così egli, passando per la via degli obrobrii, trova inestimabile carità e bontà di Dio, con la quale ama sommamente la creatura; vede che la sua volontà è questa, di volere la nostra santificazione e l'onore del Padre eterno e la salute nostra - e dessi alla morte per adempire in noi questa santificazione -.

Paulo piglia questa volontà e intendela e, intesa, si dà subito a dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo.

Bandisce virilmente la verità e non tarda per negligenzia, ma è sollicito ed è fatto vasello di carità, pieno di fuoco a portare e predicare la parola di Dio.

Or così desidera l'anima mia con grandissimo e ardente desiderio, che io ho desiderato di fare Pasqua con voi, cioè di vedere compito e consumato lo desiderio mio. Or quanto sarà beata l'anima mia quando io vedrò voi, sopra tutti gli altri, essere posto fermato e stabilito nell'obiettivo vostro Cristo Crocifisso, e pascervi e nutrervi del cibo dell'anima! Poiché l'anima, che non vede sé per sé, ma vede sé per Dio e Dio per Dio, in quanto è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato da noi, raguardando in lui nell'ardente e consumato amore, trova la immagine de la creatura in lui; sé medesimo trova in Dio immagine sua, cioè che quello amore che vede che Dio ha in lui, quello medesimo amore distende in ogni creatura. E però subito si sente costretto ad amare lo prossimo come sé medesimo, perché vede che sommamente Dio l'ama, raguardandosi sé nella fonte del mare de la divina essenzia. Allora lo desiderio si dispone ad amare sé in Dio e Dio in sé, sì come colui che raguarda nella fonte, che vi vede la imagine sua; vedendosi sì s'ama e si diletta, e se egli è savio, prima si movarà ad amare la fonte che sé, poiché se egli non si fusse veduto, non s'averebbe amato né preso diletto, né corretto lo difetto della faccia sua, lo quale vedeva in essa fonte.

Or così pensate, figli miei dolcissimi, che in altro modo non potremmo vedere la nostra dignità i nostri difetti, i quali ci tolgono la bellezza dell'anima nostra, se noi non andassimo a specchiarci nel mare pacifico della divina essenzia, dove per essa ci rapresenta noi: poiché inde siamo usciti, creandoci la sapienza di Dio all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26). Ine troviamo l'unione del Verbo, innestato nella nostra umanità; troviamo e vediamo e gustiamo la fornace del fuoco de la carità sua, lo quale fu quello mezzo che dié noi a noi e poi unì lo Verbo in noi e noi nel Verbo, prendendo la nostra natura umana. Egli fu quello legame forte che il tenne confitto e chiavellato in croce. Tutto questo vedremo per lo vedere noi nella bontà di Dio, e in altro modo non potremmo mai gustarlo nella vita durabile, né vederlo a faccia a faccia, se prima nol gustassimo per affetto e amore e desiderio in questa vita, nel modo che detto è. E questo affetto non possiamo mostrare in lui per utilità che noi gli possiamo fare, ché egli non ha bisogno di nostro bene, ma possiamo e doviamo dimostrarlo nei fratelli nostri, cercando la gloria e loda del nome di Dio in loro.

Perciò non più negligenzia né dormire nell'ignoranza, ma con acceso e ardito cuore distendete i dolci e amorosi desiderii ad andare a dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo, non partendovi mai da l'obiettivo vostro Cristo Crocifisso. Sapete che egli è quello muro dove vi conviene riposare a raguardare voi nella fonte. Corrite corrite, agiugnete e serratevi nelle piaghe di Cristo. Godete godete ed essultate, ché il tempo s'avvicina che la primavera ci porgerà i fiori odoriferi. E non mirate perché vedeste venire lo contrario: allora siate più certificato che mai. Oimè oimè, disaventurata l'anima mia, che io non mi vorrei mai ristare fino che io mi vedesse che, per onore di Dio, mi giognesse uno coltello che mi trapassasse la gola, sì che il sangue mio rimanesse sparto nel corpo mistico de la santa Chiesa. Oimè oimè, che io muoio e non posso morire! Non dico più: perdonate, padre, alla mia ignoranza, e scoppi e dissolvasi lo cuore vostro a tanto caldo d'amore. Non vi scrivo delle opere di Dio, che egli ha adoperate e adopera, ché non ci ha lingua né penna sufficiente.

Voi mi mandaste dicendo, padre, che io godesse ed essultasse, e mandastemi novelle da ciò, de le quali ho avuta singulare letizia. Bene che la prima e dolce Verità, lo dì poi che fui partita da voi, volendo fare a me lo sposo eterno come fa lo padre alla figlia o lo sposo alla sposa sua, che non può sostenere alcuna amaritudine, ma trova nuovi modi per darle letizia, così pensate, padre, che fece lo Verbo, somma eterna e alta deità, che mi donò tanta letizia che eziandio le membra del corpo si sentivano dissolvare e disfare come la cera nel fuoco. L'anima mia faceva tre abitazioni. Una con i demoni, per cognoscimento di me e per le molte battaglie e molestie e minacce le quali mi facevano, che non restavano punto di bussare alla porta della mia conscienzia, e io allora mi levai con uno odio e con esso me n'andai nell’inferno, desiderando da voi la santa confessione. Ma la divina bontà mi dié più che io non dimandavo ché, dimandando voi, mi dié sé medesimo, ed egli mi fece l'assoluzione e la remissione dei peccati miei e vostri, ripetendo le lezioni per altro tempo dette, obumbrandomi d'uno grande fuoco d'amore, con una sicurezza sì grande e purezza di mente, che la lingua non è sufficiente a poterlo dire.

E per compire in me la consolazione, diemmi l'abitazione di Cristo in terra, andando come si va per la strada. Così pareva che una strada fusse da la somma altezza, Trinità eterna, dove si riceveva tanto lume e cognoscimento ne la bontà di Dio, che non si può dire, manifestando le cose future: andando e conversando tra veri gustatori e con la famegliuola di Cristo in terra, vedevo venire novelle nuove di grande essultazione e pace, udendo la voce della prima Verità, che diceva: «Figlia mia, io non sono spregiatore dei santi e veri desiderii, anco ne sono adempitore; confortati e sia buono strumento e virile ad anunziare la verità, che sempre sarò con voi». Parevami sentire essaltazione del nostro arcivescovo; poi, quando io udii l'effetto secondo che mi scriveste, agionsemi letizia sopra letizia.

Oimè, figlio mio dolce, fovi manifesto l'ostinato e indurato cuore mio, affinché ne domandiate vendetta e giustizia per me, che non scoppia né fende lo cuore a tanto caldo d'amore. Oimé, che per amirabile modo queste tre abitazioni l'una non impediva l'altra, ma l'una condiva l'altra, sì come lo sale e l'oglio condisce e fa perfetta la cucina. Così la conversazione deli demoni, per umiltà e odio, e la fame e conversazione della santa Chiesa, per amore e desiderio, mi faceva stare e gustare nella vita durabile coi veri gustatori. Non voglio dire più: pensate che io scoppio e non posso scoppiare.

Dicovi novelle del mio padre frate Thomaso, che per la grazia di Dio, con la virtù ha vinto lo demonio. Egli è fatto tutto uno altro uomo che non soleva essere, in grande affetto e amore si riposa lo cuore suo. Pregovi che gli scriviate alcune volte manifestando voi medesimo. Fate festa,ch'i miei figli smarriti sono tornati alla greggia, esciti sono de le tenebre! Nullo è che mi dica nulla più che io mi voglia fare. Io Caterina indegna vostra figlia adimando la vostra benedizione. Racomandovi tutti i miei figli e figlie, che voi n'abbiate buona cura, sì che lo lupo infernale non me ne tolga neuno. Credo che Neri verrà costà, perché mi pare che sia bene di mandarlo a corte. Informatelo di quello che fa bisogno d'adoperare per la pace di questi membri putridi che sono ribelli alla santa Chiesa, poiché non si vede più dolce remedio a pacificare l'anima e il corpo che questo. Di questo e dell'altre cose che bisognano, farete sollicitamente, attendendo sempre a l'onore di Dio e non a veruna altra cosa. Non di meno, perché io vi dica così, fate ciò che Dio vi fa fare, e ciò che vi pare che sia lo meglio, o di mandarlo o no.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù Gesù dolce Gesù Gesù.



227. A frate Guglielmo da Lecceto, essendo essa Caterina in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile e immacolato Agnello, lo quale sangue ci ha tolta la morte e data la vita, tolse le tenebre e diecci la luce: poiché nel sangue di Cristo Crocifisso cognosciamo la luce della somma ed eterna verità di Dio, lo quale ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per amore e per grazia, e non per debito.

La verità fu questa: che egli ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché godessimo e gustassimo lo sommo ed eterno bene. Ma doppo la colpa di Adam questa verità era offuscata, unde quello amore ineffabile che constrinse Dio a trare noi di sé, cioè creandoci ad immagine e similitudine sua, questo medesimo amore lo mosse - non che si muova, ché egli è lo Dio nostro immobile, ma l'amore suo verso di noi - a darci lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, ponendoli l'obedienzia che sopra lui punisse le colpe nostre, e nel sangue suo si lavasse la faccia dell'anima, la quale con tanto amore aveva creata tanto nobile; e nel sangue suo volse che ci manifestasse la sua verità. Bene lo vediamo manifestamente: ché se in verità non ci avesse creati per darci vita eterna perché godessimo lo suo infinito bene, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore, né dato sé medesimo, tutto sé Dio e tutto uomo. Perciò bene è la verità che lo sangue di Cristo ci manifesta e fa chiari da questa verità della dolce volontà sua.

E se io considero bene, nessuna virtù ha in sé vita se non è fatta ed essercitata nell'anima con questo lume della verità. O verità antica e nuova, l'anima che ti possede è privata della povertà delle tenebre, e ha la ricchezza della luce. Non dico luce per visioni mentali, né per altre consolazioni, ma luce di verità: cioè che, cognosciuta la verità nel sangue, l'anima s'innebria, gustando Dio per affetto di carità col lume della santissima fede. Con la quale fede debbono essere condite tutte le nostre opere, dilettandoci di mangiare lo cibo delle anime per onore di Dio in su la mensa della santissima croce - non in su la mensa del diletto né di consolazione spirituale né temporale, ma in su la croce -, stirpando e rompendo ogni nostra volontà, portando strazii scherni obbrobrii e villanie per Cristo Crocifisso, e per meglio conformarsi con la dolce volontà sua.

Allora gode l'anima, quando si vede fatta una cosa con lui per affetto d'amore, e vedesi vestita del vestimento suo; e tanto gli diletta lo sostenere pene per gloria e loda del nome suo, che se possibile le fusse d'avere Dio e gustare lo cibo delle anime senza pena, più tosto la vuole con pena, per amore del suo Creatore. Unde l'ha questo desiderio? dalla verità. Con che la vidde e cognobbe? col lume della fede. In su che si pose questo occhio per vederla? nel sangue di Cristo Crocifisso. In che vasello lo trovò? nell'anima sua, quando cognobbe sé. Questa è la via a conoscere la verità, e nessuna altra ce ne vedo; e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile dolce e immacolato Agnello. In questo sangue godiamo, e speriamo che, per amore del sangue, Dio farà misericordia al mondo e alla dolce Sposa sua: dissolvarà le tenebre della mente degli uomini.

E già mi pare che un poco dell'aurora a venire cominci, cioè che il nostro Salvatore ha illuminato questo popolo da questarsi levato dalla perversa cecità dell'offesa di Dio che facevano, facendo celebrare per forza.

Or per la divina grazia tengono lo 'nterdetto, e cominciansi a dirizzare verso l'obedienzia del padre loro.

Onde io vi prego, per l'amore di Cristo Crocifisso, che voi e frate Antonio, e il Maestro, e fra' Felice, e gli altri, facciate speziale orazione, strignendo la divina bontà che per amore del sangue mandi lo sole della sua misericordia, affinché tosto si faccia la pace, che veramente sarà uno dolce e soave sole. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



228. A Neri di Landoccio, essendo lui in Pisa, quando lei lo mandò al santo padre.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A te dilettissimo e carissimo figlio in Cristo Gesù: io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti unito e transformato nel fuoco dell'ardentissima carità, sì che tu sia uno vasello di carità a portare lo nome e la parola di Dio, coi misterii grandi suoi, nella presenza del nostro dolce Cristo in terra, e facci frutto con accendere lo desiderio suo.

E però io voglio, figlio mio, che apra l'occhio del cognoscimento nell'obiettivo di Cristo Crocifisso, perché egli è quella fonte dove s'inebria l'anima traendone dolci e amorosi desiderii, i quagli voglio che tu distenda sopra lo corpo della santa Chiesa per onore di Dio e salute d'ogni creatura. Facendo così egli diverrà delle opere e parole tue come della saetta che si trae del fuoco bene rovente, che gittandola ella arde dovunque si gitta, perché non può fare che non dia di quello che ella ha in sé. Così ti pensa, figlio, che se l'anima tua entrarà nella fornace del fuoco della divina carità per forza di caldo d'amore, sì converrà che tu gitti e porga quello che tu hai tratto del fuoco.

Che hai tratto dell'obiettivo di Dio? Odio e pentimento di te e amore delle virtù, fame de la salute delle anime e de l'onore del Padre eterno, poiché in questo obiettivo di questo dolce Verbo non si trova altro; così vedi tu che per fame egli muore. Ed è sì grande la fame che il fa sudare non d'acqua, ma, per forza d'amore, gocciole di sangue. Come potrebbe essere tanto duro e ostinato quello cuore che non si risentisse e scoppiasse per questo caldo, e calore del fuoco? Raguardandolo, non potrebbe essere se non come della stoppa che si mette nel fuoco, che non può essere che non arda, poiché condizione del fuoco è d'ardare e convertire in sé ciò che a lui s'accosta. Così l'anima che raguarda l'affetto del suo Creatore subito è attratta ad amarlo e convertire l'affetto suo in lui. Ine si consuma ogni umido d'amore proprio di sé medesimo, e piglia la similitudine del fuoco dello Spirito santo, e questo è il segno che egli l'ha ricevuto: che subito diventa amatore di quello che Dio ama e odiatore di quello che egli odia.

E però desidera l'anima mia di vedere in te questa vera unione d'essere unito e transformato nel fuoco della sua carità. Fa' che giusta al tuo potere te ne ingegni, figlio mio carissimo, sì che tu adempia la volontà di Dio e di me trista miserabile madre.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Di' a Nanni e a Papo che gridino per sì-fatto modo che io m'avegga delle voci loro. Di' a Gherardo figlio che risponda alla voce della madre che il chiama, e spaccisi tosto ché io l'aspetto. Vanni, missere Francesco, mona Nella e Caterina stregnemeli tutti e benedice ponendovi in mezzo la santissima croce, e così mi fa al babbo. Gesù dolce Gesù. Dice Francesco che è fuore dell'obligo e dice Francesco gattivo e pigro che tu lo racomandi a frate Raimondo mille volte in Cristo Gesù, e digli che preghi Dio per lui. Gesù Gesù.

Sai che quando ebbi la indulgenzia di colpa e di pena dal santo padre, m'impose che io dovesse dire ogni venardì trenta e tre paternostri e trenta e tre avemarie e poi settanta e due avemarie. Ora mi contentarei se ti pare di dimandarli che m'imponesse che io digiunasse ogni venardì in pane e acqua, e questo non dimenticare se ti pare da chiedarlo. Gesù Gesù.





229. A papa Gregorio XI.


Al nome di Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna vostra figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e senza veruno timore servile, imparando dal dolce e buono Gesù, di cui voi vicario sete: ché tanto fu l'amore suo inestimabile verso di noi che corse a la obbrobriosa morte de la croce, non curando strazii, obbrobrii, villanie e vituperio, ma tutti gli passava e punto non gli temea, tanto era l'affamato desiderio che egli aveva de l'onore del Padre e de la salute nostra, poiché al tutto l'amore gli aveva fatto perdere sé in quanto uomo.

Or così voglio che facciate voi, padre: perdete voi medesimo a ogni amore proprio; non amate voi per voi, né la creatura per voi, ma voi e il prossimo amate per Dio, e Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato, e in quanto egli è sommo ed eterno bene. Ponetevi per obiettivo questo Agnello dissanguato, poiché il sangue di questo Agnello vi farà inanimare ad ogni battaglia. Nel sangue perdarete ogni timore, diventarete e sarete pastore buono, che porrete la vita per le pecorelle vostre.

Or su, padre, non state più; accendetevi di grandissimo desiderio, aspettando l'aiutorio e providenzia divina: poiché mi pare che la divina bontà venga disponendo i grandi lupi e facciali tornare agnelli. E però io ora di subito vengo costà per metterveli in grembo umiliati; voi, come padre, sono certa che gli ricevarete, nonostante la ingiuria e la persecuzione che v'hanno fatta, imparando da la dolce e prima Verità, che dice che il buono pastore, poi che egli ha trovata la pecorella smarrita, egli se la pone in sulla spalla e rimettela nell'ovile. Così farete voi, padre, poiché la vostra pecorella smarrita, poi che ella è ritrovata, la porrete in su la spalla dell'amore e mettaretela nell'ovile de la santa Chiesa.

Poi di subito vuole e vi comanda lo nostro dolce Salvatore che voi rizziate lo gonfalone de la santissima croce sopra gl'infedeli, e tutta la guerra si levi e vadane sopra di loro. La gente che avete soldata per venire di qua, sostentate e fate sì che non venga, poiché sarebbe più tosto guastare che aconciare.

Padre mio dolce, voi mi dimandate de lo avvenimento vostro: e io vi rispondo e dico, da parte di Cristo Crocifisso, che voi vegniate lo più tosto che voi potete. Se potete venire, venite prima che settembre, e se non potete prima, non indugiate più che fino a settembre. E non mirate a veruna contradizione che voi aveste, ma, come uomo virile e senza veruno timore, venite. E guardate che, per quanto voi avete cara la vita, voi non veniate con sforzo di gente, ma con la croce in mano come agnello mansueto: facendo così, adempirete la volontà di Dio, ma venendo per altro modo la trapassareste e non l'adempireste. Godete, padre, ed essultate. Venite venite!. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Perdonatemi, padre. Umilemente v'adimando la vostra dolce benedizione.





230. Agli Otto della guerra, eletti per lo Comune di Firenze, perché era andata a loro richiesta a Vignone, al papa Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi padri e fratelli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri figli, umili e obedienti al padre nostro, sì e per sì-fatto modo che voi non voliate mai lo capo adietro, ma con vero dolore e amaritudine de l'offesa fatta al padre.

Poiché, se colui che offende non si rileva con dolore dell'offesa fatta, non è degno di ricevere misericordia. E io v'invito a vera umiliazione di cuore, non volendo lo capo adietro, ma andando inanzi seguitando lo proponimento santo che cominciaste, crescendolo ogni dì perfettamente, se volete essere ricevuti nelle braccia del padre. Come figli morti dimandarete la vita, e io spero per la bontà di Dio che voi l'arete, pure che voi vi vogliate bene umiliare, e conosciare i difetti vostri.

Ma io mi lagno fortemente di voi, s'egli è vero quello che di qua si dice, cioè che voi abiate posta la presta ai cherici. Se questo è vero, egli è grandissimo male per due modi. L'uno, perché n'offendete Dio, poiché nol potete fare con buona coscienza. Ma i pare a me che perdiate la coscienza e ogni cosa buona; e non pare che s'atenda ad altro che ai beni sensitivi e transitori, che passano come il vento; e non vediamo che siamo mortali e dobiamo morire, e non sapiamo quando. E però è grande stoltizia di tolarsi la vita della grazia, ed esso medesimo darsi la morte. Non voglio che facciate più così, ché a questo modo volareste lo capo adietro; e voi sapete che colui che comincia non è degno di gloria, ma la perseveranza insino alla fine. Così vi dico che voi non verresti in effetto della pace, se non con la perseveranza della umilità, non faccendo più ingiuria né scandolo ai amministri e sacerdoti della santa Chiesa.

E questa è l'altra cosa ch'io vi dicevo che v'era nociva e male, oltra il male che si riceve per l'offesa di Dio, come detto è. Dico che questo è guastamento della vostra pace, poiché, sapendolo lo santo padre, conciparebe maggiore indegnazione verso di voi. E questo è quello che ha detto alcuno cardinale, che cercano e vogliono la pace volontieri. Sentendo ora questo, dicono che non pare che questo sia vero, ch'eglino si voglino pacificare, poiché, se fusse vero, si guardarebono d'ogni minimo atto che fusse contr'a la volontà del santo padre e ai costumi della santa Chiesa. Credo che queste simili parole possa dire lo dolce Cristo in terra, e ha ragione e cagione di dirlo, se egli lo dice.

Dicovi, carissimi padri, e pregovi che non vogliate impedire la grazia dello Spirito santo, la quale, non meritandola voi, per la sua clemenza è disposto a darvela. E a me fareste vergogna e vituperio, ché non potrebe uscire altro che vergogna e confusione, dicendo una cosa, e voi ne faceste un'altra. Priegovi che non sia più così, anco v'ingegniate in detto e in fatto di dimostrare che voi volete pace e non guerra.

Ho parlato col santo padre: udìmi, per la bontà di Dio e sua, graziosamente, mostrando d'avere affettuoso amore della pace; facendo come fa lo buono padre, che non riguarda tanto a l'offesa del figlio, ch'egli ha fatta a lui, ma riguarda s'egli è umiliato, per poterli fare piena misericordia. Quanto egli ebbe singulare letizia, la lingua mia nol potrebe narrare. Avendo ragionato con lui buono spazio di tempo, nella conclusione delle parole disse che, essendo quello ch'io li ponevo inanzi di voi, egli era aconcio di ricevarvi come figli, e di farne quello che ne paresse a me. Altro non dico qui.

Altra risposta assolutamente non parbe al santo padre che si dovesse dare, fino a tanto ch'i vostri ambasciadori giognessero. Maravigliomi che anco non sonno giunti. Come saranno giunti, io sarò con loro, e poi sarò col santo padre: e com'io trovarò la disposizione, così vi scrivarò. Ma voi, con le vostre preste novelle, m'andate guastando ciò che si semina. Non fate più così, per l'amore di Cristo crocifisso e per la vostra utilità. Non dico più etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

Data in Vignone, a dì xxviij di giugno Mccclxxvj.

LA LETTURA PROSEGUE QUI: LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

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[Modificato da Caterina63 19/10/2012 17:01]
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