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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 17:16

255. A papa Gregorio XI, essendo essa in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina in Cristo dolce Gesù, vi si racomanda nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile, senza neuno timore o amore carnale proprio, di voi medesimo o di nessuna creatura congionta a voi per carne, considerando e vedendo io nel cospetto di Dio che nessuna cosa v'impedisce il santo e buono desiderio vostro - e materia d'impedire l'onore di Dio e l'essaltazione e riformazione della santa Chiesa -, quanto questo. Però desidera l'anima mia con inestimabile amore che Dio per la sua infinita misericordia vi tolga ogni passione e tiepidezza di cuore, e riformivi uno altro uomo, cioè di riformazione d'ardente e ardentissimo desiderio: ché in altro modo non potreste adempire la volontà di Dio e il desiderio dei servi suoi. Oimé oimé, babbo mio dolcissimo, perdonate alla mia presunzione, di quello ch'io v'ho detto, e a dire costretta sono dalla prima dolce Verità di dirlo.

La volontà sua, padre, è questa e così vi dimanda: egli vi dimanda che facciate giustizia dell'abondanzia delle molte iniquità che si comettono per coloro che si notricano e pasciono nel giardino della santa Chiesa, dicendo che l'animale non si debba notricare del cibo degli uomini. Poi che esso v'ha dato l'aultorità, e voi l'avete presa, dovete usare la virtù e potenza vostra; e non volendola usare, meglio sarebbe a rifiutare, e più onore di Dio e salute dell'anima vostra sarebbe.

L'altra si è che la volontà sua si è questa, e così vi domanda: egli vuole che voi vi pacifichiate con tutta la Toscana, con cui avete briga, traendo di tutti quanti i vostri iniqui figli, che hanno ribellato a voi, quello che se ne può trare, tirando quanto si può senza guerra, ma con punizione, sicondo che deve fare il padre al figlio quando ha offeso.

Anco dimanda la dolce bontà di Dio a voi che piena alturità diate a coloro che vi domandano di fare lo santo passagio; ché quella cosa che pare impossibile a voi, è possibile alla dolce bontà sua, che ha ordinato e vuole che sia così. Guardate, quanto avete caro la vita, che non ci comettiate negligenzia: né tenete a beffe le opere dello Spirito santo, che sonno dimandate a voi, che il potete fare se voi volete. Iustizia potete fare, pace potete avere, traendone fuore le perverse pompe e delizie del mondo, conservando solo l'onore di Dio e il debito della santa Chiesa; l'aultorità di darla a coloro che ve la dimandano, anco l'avete.

Perciò, poi che non sete povaro, ma ricco, che portate in mano le chiavi del cielo, - a cui voi aprite è aperto, e a cui voi serrate è serrato (Mt 16,19) -, non facendolo voi ricevareste grande riprensione da Dio.

Io, se fussi in voi, temarei che il divino giudicio non venisse sopra di me.

E però vi prego dolcissimamente, da parte di Cristo crocifisso, che voi siate obediente alla volontà di Dio; ché so che non volete né disiderate altro che di fare la sua volontà, affinché non venga sopra di voi quella dura riprensione: «Maladetto sia tu, che il tempo e la forza che ti fu comessa, tu non l’hai adoparata!» Credo, padre, per la bontà di Dio, e anco pigliando speranza della vostra santità, che voi farete sì che questo non verrà sopra di voi. Non dico più.

Perdonatemi perdonatemi: ché il grande amore ch'io ho alla vostra salute, e il grande dolore quand'io veggio lo contrario, me il fa dire. Volontieri l'arei detto alla vostra propria persona per iscaricare a pieno la mia coscienza. Quando piacerà alla vostra Santità ch'io venga, verrò volontieri. Fate sì ch'io non mi richiami a Cristo crocifisso di voi, ché ad altro non mi posso richiamare, che non c'è maggiore in terra.

Rimanete etc.

Umilemente vi domando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





256. A messer frier Niccolò priore dei Frieri de la provincia di Toscana, essendo esso ito a Vinegia per dare ordine al passagio sopra gl'infedeli lo quale doveano incominciare.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile, spogliato dell'amore proprio di voi medesimo e vestito dell'amore divino, perché il cavaliere che è posto per combattere in sul campo della bataglia debba essere armato dell'arme dell'amore, che è la più forte arme che sia. E non bastarebbe che l'uomo fusse armato solamente di corazze e panciere, poiché spesse volte diverrebbe che, se non avesse l'arme dell'amore e disiderio d'apetire onore, e volere la cosa per la quale egli combatte, subito che vedesse i nemici temarebbe e vollarebbe lo capo adietro.

Così vi dico che l'anima che comincia a intrare nel campo della bataglia per combattere coi vizii, col mondo, col demonio, e con la propria sensualità, se non s'arma dell'amore della virtù, e non si reca lo coltello in mano de l'odio, e della vera e santa conscienzia fondata in amore divino, già mai non combatte, ma viensi meno; e, come negligente persona che è armata della propria sensualità, si pone a giacere dormendo nei vizii e nei peccati. Questa è quella arme gloriosa che scampa l'uomo dalla morte eterna; ella gli dà lume, e tollegli le tenebre: e da stato bestiale viene a stato d'uomo. Ché colui che vive nei vizii e nei peccati e nella molta immondizia, egli prende i costumi e la forma delle bestie: ché, come la bestia non ha in sé ragione, anco va secondo l'apetiti suoi, così l'uomo che è fatto bestiale ha perduto lo lume della ragione, e lassasi guidare ai movimenti carnali e gli altri disordinati apetiti che gli vengono; e tutto lo suo diletto non è in altro che in disonestà, in bene mangiare e bere, in dilicatezze, delizie e stati e onori del mondo, i quali tutti passano come lo vento. Costui non è cavaliere vero e non è da ricevere i colpi, perché s'ha messa l'arme della morte, e posta in sé la condizione dell'animale.

Questo non voglio che tocchi a voi, ma voglio che virilmente e realmente siate uomo; e non tanto che uomo, ma crescendo in virtù - avendo combattuto già coi vizii, come detto è - veniate a stato angelico, voi e la vostra compagnia, sì come Dio v'ha chiamati, ché voi sapete che lo stato umano è lo stato del matrimonio: a stato angelico sete voi e la vostra religione, sì come gli altri religiosi, i quali ha posti nello stato della continenzia. Non sarebbe cosa convenevole, anco sarebbe spiacevole a Dio e abominevole al mondo che voi, che sete chiamati e andate alla maggiore perfezione - ché non tanto che in stato umano o in stato angelico, ma voi sete posti nello stato dei gloriosi martiri posti a dare la vita per Cristo crocifisso -, che voi fuste poi nello stato delle bestie: molto sarebbe spiacevole a mescolare grande tesauro col brutto e miserabile loto.

Orsù virilmente, senza veruno timore servile, alle due battaglie che Dio v'ha posto! La prima è battaglia generale, data a ogni creatura che ha in sé ragione: ché, come siamo in tempo da discernere lo vizio dalla virtù, così siamo atorniati da' nemici nostri, cioè dal mondo, dal demonio e dalla propria carne e perversa sensualità, che sempre combatte contro lo spirito; ma con l'amore della virtù e odio del vizio gli sconfigiarete. L'altra battaglia è in particulare data a voi per grazia, della quale ognuno non n'è fatto degno: alla quale battaglia vi conviene andare armato non solamente d'armadura corporale, ma dell'arme spirituale; ché se non aveste l'arme dell'amore de l'onore di Dio, e desiderio d'acquistare la città delle anime tapinelle infedeli, che non participano lo sangue dell'Agnello, poco frutto acquistareste coll'armi materiali.

E però io voglio, carissimo padre e figlio, che voi con tutta la vostra compagnia vi poniate per obiettivo Cristo crocifisso - cioè lo sangue prezioso dolcissimo suo, lo quale fu sparto con tanto fuoco d'amore per tollerci la morte e darci la vita -, affinché pienamente in grande perfezione venga in effetto quello per che voi andate, e riceviate lo grandissimo frutto, cioè frutto di grazia e di vita: ché dalla grazia giogniamo alla vita durabile. Imparate da questo consumato e dissanguato Agnello che in su la mensa della croce non raguardando la sua fatica né la sua amaritudine, ma con diletto del cibo de l'onore del Padre e salute nostra, si pose e mangiarlo in su la mensa dell'obrobriosa croce. E, sì come inamorato de l'onore del Padre eterno e della salute de l'umana generazione, egli sta fermo e costante, e non si muove per fatiche, né strazii, né ingiurie, né scherni, né villanie; non per nostra ingratitudine, ché si vedeva dare la vita per uomini ingrati e irriconoscenti di tanto beneficio.

Lo re nostro fa come vero cavaliere che persevera nella bataglia fino che sono sconfitti i nimici. E, preso questo cibo, con la carne sua fragellata sconfisse lo nemico della carne nostra; con la vera umilità - umiliandosi Dio a l'uomo - con la pena e obrobrio sconfisse la superbia, le delizie e stati del mondo; con la sapienza sua vinse la malizia del demonio: sì che con la mano disarmata, confitta e chiavellata in croce, ha vinto lo principe del mondo (Jn 12,31 Jn 16,11), pigliando per cavallo lo legno della santissima croce.

Venne armato questo nostro cavaliere con le corazze della carne di Maria, la quale carne ricevette in sé i colpi per riparare alle nostre iniquità; l'elmo in testa: la penosa corona delle spine (Mt 27,29 Mc 15,17 Jn 19,2), affondata infine al cerebro; la spada allato: la piaga del costato (Jn 19,34) che ci mostra lo secreto del cuore, la quale è un coltello, a chi ha punto di lume, che deve trapassare lo cuore e le 'nteriora nostre per affetto d'amore; la canna in mano per derisione (Mt 27,29); i guanti in mano, e gli speroni in piè, sonno le piaghe vermiglie delle mani e dei piei di questo dolce e amoroso Verbo. E chi l'àe armato? l'amore. Chi l'ha tenuto fermo, confitto e chiavellato in croce? Non i chiodi né la croce né la pietra, né la terra tenne ritta la croce, ché non erano sufficienti a tenere Dio e Uomo; ma lo legame dell'amore dell'onore del Padre e salute nostra. L'amore nostro fu quella pietra che il levò e tenne ritto.

Quale sarà colui di sì vile cuore che raguardando questo capitano e cavaliere, rimasto insiememente morto e vincitore, che non si levi la debolezza dal cuore e non diventi virile contro ogni aversario? Veruno sarà; e però vi dissi io che vi poneste per obiettivo Cristo crocifisso. Tegnete la sopravesta nel sangue di Cristo crocifisso, e con esso sconfigiarete i primi nemici - cioè nella prima battaglia detta -; perché già gli ha sconfitti per noi, e àcci fatti liberi, traendoci della perversa servitudine del demonio. E se ci volesse assalire, subito ricorriamo all'arme del Figlio di Dio. Morti i vizii nell'anima, e voi mangiarete lo cibo, e sarete fatto gustatore e mangiatore de l'onore di Dio e salute del prossimo vostro; e con questa fame seguitarete l'Agnello, per potere avere questa dolce preda, la quale per affetto d'amore vi dovete immaginare d'avere. Né per pena, né per morte, né per veruno caso che possa avenire, voi lo lassarete, né vollerete lo capo adietro. O quanto è gloriosa questa battaglia! ché, essendo vinto, vince, e già mai non rimane perditore. Guarda già che non fusse sì vile che vollesse le spalle; ma se persevera, sempre vince.

Egli fa come fece lo Figlio di Dio, che giocando in sulla croce alle braccia con la morte, la vita vinse la morte, e la morte la vita: dando la vita del corpo suo, distrusse la morte del peccato; con la morte vinse la morte, e la morte vinse la vita, perché il peccato fu cagione della morte del Figlio di Dio. Ode dolce giuoco e torniello ch'egli ha fatto! Voi che sete eletti a questo medesimo, in su la croce del desiderio de l'onore di Dio e ricompramento delle anime infedeli, dovete giocare, colla morte della infedelità, con la vita del lume della fede. Se rimanete morti, questa è l'ottima parte (Lc 10,42): ché la morte sarà vincitore della morte, sì come vediamo che il sangue dei martiri dava la vita agl'infedeli, e ai malvagi tiranni. E se vinco senza sangue, anco vinco: cioè, che se Dio non permettesse che rimanesse la vita, non è però di meno la vittoria; sì che bene è gloriosa. Ma non sarebbe gloriosa per li matti e semplici che andassero solamente per fummo e per propria utilità sensitiva: costoro poco farebbero, e per piccola derrata darebbero grande prezzo; darebbero lo prezzo della vita loro per lo miserabile fummo del mondo. Costoro ricevono lo merito loro nella vita finita; costoro sonno armati del vestimento della morte dell'amore proprio di sé medesimi, e non sono uomini da fatti ma sono uomini da vento; e così si vollaranno come foglia senza veruna fermezza o stabilità, perché egli non hanno l'obiettivo di Cristo crocifisso, né presa l'arme della vita. Lo desiderio mio è che siate cavaliere vero, voi e gli altri vostri compagni, e però dissi io ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile, posto in questo glorioso campo. Spero, per la infinita e inestimabile bontà di Dio, che voi adimpirete la volontà sua - che vi richiede così -, e il desiderio mio. Altro non dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e nascondetevi nelle piaghe dolcissime sue; e per scudo tollete la santissima croce.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.







257. A Conte di monna Agnola e ai compagni in Firenze.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri cavalieri, sì e per sì-fatto modo che poniate la vita per Cristo crocifisso.

Voi sete posti nel campo de la bataglia di questa tenebrosa vita, che continovamente siamo a le mani coi nostri nemici. Lo mondo ci perseguita coi le ricchezze, stati, onori, mostrandoci che siano fermi, e sì vengono meno e passano come il vento. Lo demonio ci asalisce coi le molte tentazioni, facendoci fare ingiuria e spesse volte tòllare il nostro, solo per ritrarci dalla carità del prossimo nostro; ché, avendo noi perduto l'amore, abiamo perduta la vita. La carne ci molesta con molta flagelità e movimenti, per tollarci la purezza: ch'essendo privati della purezza, esso-fatto siamo privati di Dio, però ch'egli è somma ed eterna purezza. I nemici nostri non dormono mai, ma sempre stanno atenti a perseguitarci; e questo permette Dio per darci sempre materia per la quale noi meritiamo, e per levarci dal sonno della negligenzia.

Sapete che, quando l'uomo si sente asalire da' nemici, egli è solicito a pigliare il rimedio per difendarsi da loro, perch'egli vede bene che, se dormisse, starebbe a pericolo di morte; e però Dio ce le fa sentire perché noi ci destiamo, pigliando l'arme dell'odio e dell'amore. E l'odio serra la porta ai vizii, cioè la porta del consentimento, perché fa risistenzia a loro con ogni pentimento che può; e uopre la porta a le virtù, distendendo le braccia dell'amore a ricevarle dentro nell'anima sua, con grandissimo affetto e disiderio. Sì che vedete ch'egl'è buono e ottimo ch'i nemici nostri si levino contro di noi.

Non dobiamo temere, né possiamo temere se noi voliamo, ma confortarci dicendo: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potremo» (Ph 4,13). E di che deba l'anima temere, se si confida nel suo Creatore? Noi vediamo che di questo campo il nostro capitano n'è Cristo Gesù: egli ha sconfitti i nemici nostri col sangue suo. Le dilizie e richezze del mondo ha sconfitte coi la viltà e povertà volontaria, sostenendo fame sete e perseguizioni. Lo demonio ha sconfitto, e la sua malizia, con la sua sapienza, pigliandolo coi l'esca e amo della nostra umanità, per l'unione della natura divina con la natura umana. La carne nostra è sconfitta per la carne fragellata, macerata, satollata d'obrobii in sul legno della santissima croce; ne l'ultimo, levata sopra tutti i cori degli angeli nella resurezione del Figlio di Dio. Non è neuno corpo né mente tanto corrotto che, riguardando la nostra umanità unita colla natura divina in tanta eccelenzia, che non si purifichi e che non si desse inanzi a la morte che lordare la mente sua.

Poi che noi abiamo trovato lo rimedio, e il nostro capitano Cristo gli ha sconfitti per noi e fatti debili - e legati per sì-fatto modo che non ci possono vinciare se noi non vogliamo -, non è da temere ma virilmente combattare, segnandoci col segno della santissima croce, ponendoci per oggetto lo sangue dello immacolato Agnello, pigliando lo coltello de l'odio e dell'amore, e con esso percuotare i nostri nemici.

Questa è la bataglia comune, che ogni uomo che nasce e giogne a età perfetta si conviene che stia in su questa battaglia. Parmi che la inestimabile bontà di Dio v'abi eletti, come cavalieri, a combattare realmente contro i vizii e i peccati, per acquistare la ricchezza e il tesoro delle virtù.

Ora mi pare che egli v'inviti a crescere e mandare in effetto la vostra perfezione, ponendovi inanzi la fame della salute de l'infedeli. I pare che voglia che voi siate i primi feridori sopra di loro, poiché ora si fa lo principio del santo passagio. Lo santo padre manda i frieri, e chi gli vorrà seguire, sopra di loro. Ora vi prego che voi vi stregniate insieme con don Giovanni, e che voi li ragionate quello che questi giovani vi ragionaranno e informaranno a bocca, e Leonardo insieme con loro. Faretene quello che lo Spirito santo ve ne farà fare, con consiglio di don Giovanni, quant' io credo che il nostro Salvatore ora facci questo principio per mandare poi in efetto lo generale.

Senza neuno timore, figli miei dolci, metetevi la panziera, cioè di sangue, intriso lo sangue nostro col sangue dell'Agnello. O che dolce e graziosa panziera sarà quella, da risistere contro ogni colpo! Col coltello de l'odio e dell'amore percotarete e sconfigiarete i vostri nemici; con la panziera del sangue sosterrete. O dolcissimi figli, vedete quanto diletto dà questa armadura, che sostenendo vince, e essendo percossa percuote, poiché v'ha dentro saette che gitano invisibilemente; essendo invisibili, apaiono visibili, perché le percosse loro ingenerano fiori e frutti: fiori di gloria e lode del nome di Dio, che coi l'odore suo spegne il puzzo della infedelità. Dopo il fiore segue lo frutto, ricevendo lo merito delle fatiche nostre qui, vivendo e crescendo nella grazia e, nell'ultimo, nella eterna visione di Dio.

Non siate negligenti, ma soleciti; per piciola fatica non fugite lo frutto, ché in altro modo non potreste essere cavalieri virili. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi cavalieri virili, posti nel campo de la bataglia. E però vi prego, affinché adempiate la volontà di Dio e il desiderio mio, che voi v'aneghiate, atufiate e innebriate nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si fortifica lo cuore. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.





258. A missere Ristoro di Piero Canigiani, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi constante e perseverante nella virtù, poiché colui che comincia non è quelli che è coronato, ma solo colui che persevera. Poiché la perseveranza è quella regina che è coronata, e sta in mezzo della fortezza e della vera pazienza, ma ella sola riceve corona di gloria; sì che io voglio, dolcissimo fratello, che voi siate constante e perseverante nella virtù, a ciò che riceviate il frutto d'ogni vostra fatica.

Spero nella grande bontà di Dio che vi fortificarà per modo che né demonio né creatura vi farà voltare lo capo adietro al primo bomico. Parmi, secondo che mi scrivete, che avesseate fatto buono principio, del quale molto mi rallegro per la salute vostra, vedendo lo vostro santo desiderio. E prima, dite di perdonare a ogni uomo che v'avesse offeso, o che v'avesse voluto offendere: questa è quella cosa che v'è di grande necessità a volere avere Dio per grazia nell'anima vostra, e riposarvi eziandio pur secondo lo mondo; poiché colui che sta ne l'odio è privato di Dio, e sta in stato di dannazione, e in questa vita gusta la caparra dell'inferno: poiché sempre si rode in sé medesimo, e appetisce vendetta, e sta sempre con timore. E credendo uccidere il nemico suo, ha prima morto sé medesimo, poiché col coltello de l'odio ha uccisa l'anima sua; unde questi cotali, credendo uccidere il nemico, uccidono loro medesimi.

Ma colui che in verità perdona per amore di Cristo Crocifisso, questi ha pace e quiete, e non riceve turbazione, poiché l'ira che conturba è uscita dell'anima sua; e Dio, che è remuneratore d'ogni bene, gli rende la grazia sua, e - ne l'ultimo - vita eterna. Quanto diletto riceve allora quella anima, e allegrezza e riposo nella conscienzia? la lingua non potrebbe narrare quanta ella è. Ed eziandio secondo lo mondo è grandissimo onore a colui che, per amore della virtù e per magnanimità, non appetisce né vuole fare vendetta del nemico suo; sì che io v'invito e vi confermo a perseveranza in questo santo proponimento.

Di dimandare e procacciare il vostro con debita ragione, questo potete fare con buona conscienzia - chi lo vuole fare, poiché non è tenuto l'uomo di lasciare il suo più che si voglia; ma chi volesse lasciare, farebbe bene maggiore perfezione -. Del non andare a vescovado né a palagio, questo è buono, e ottimo che voi vi stiate pacificamente in casa, poiché, se la persona s'impaccia, noi siamo debili, e spesse volte ci troviamo impacciata l'anima nostra, commettendo delle cose ingiuste e fuore dell'ordine della ragione: chi per mostrare di sapere più che uno altro, e chi per appetito di pecunia, sì che egli è bene di dilungarsi dal luogo.

Ma una cosa ci agiungo: che quando cotali povarelli o povarelle, che hanno chiaramente la ragione e non hanno chi gli sovenga né mostri la ragione loro perché non hanno denari, sarebbe molto grande onore di Dio affaticarvi per loro con affetto di carità: come santo Ivo, che fu al tempo suo avocato dei povari. Pensate che l'atto della pietà, e il amministrare ai povarelli di quella virtù che Dio ha data a voi, molto è piacevole a Dio, e salute dell'anima. Unde dice santo Gregorio che egli è impossibile che uomo pietoso perisca di mala morte, cioè di morte eterna; sì ché questo mi piace molto, e pregovi che voi lo facciate.

E in tutte le vostre opere vi ponete Dio dinanzi agli occhi, dicendo a voi medesimo - quando lo disordenato appetito volesse levare lo capo contro al proponimento fatto -: «Pensa, anima mia, che l'occhio di Dio è sopra di te, e vede l'occulto del cuore tuo; e tu sei mortale che debbi morire e non sai quando, e converratti rendere ragione dinanzi al sommo giudice di quello che tu farai - lo quale giudice ogni colpa punisce e ogni bene remunera -». E a questo modo le porrete il freno, e non scorrirà partendosi dalla voluntà di Dio. Satisfare all'anima vostra, questo dovete fare il più tosto che voi potete, e sgravare la conscienzia di ciò che vi sentiste gravato: e satisfarle o di gravezza che ella avesse di rendere sustanzia temporale, o d'altri dispiaceri che avesse fatti altrui; e fare chiedere perdonanza pienamente a ognuno, a ciò che permaniate sempre nella carità della carità del prossimo vostro.

Di vendere le robbe che avete di superchio, e i pomposi vestimenti (i quali, carissimo fratello, sono molto nocivi e sono uno strumento di fare invanire il cuore e notricare la superbia, parendoli essere da più e maggiore degli altri, gloriandosi di quello che non si die gloriare, - unde grande vergogna è a noi falsi cristiani di vedere lo nostro capo tormentato, e noi stare in tante delizie; unde dice santo Bernardo che non si conviene che sotto il capo spinato stieno i membri dilicati -), di ciò fate molto bene che voi ci poniate remedio. Ma vestitevi a necessità, onestamente, non di disordenato pregio, e piaciaretene molto a Dio; e giusta al vostro potere fate questo medesimo della donna e dei vostri figli, sì che voi siate a loro regola e dottrina, sì come debba essere il padre, che con ragione e atto di virtù die allevare i suoi figli.

Agiongoci una cosa: che nello stato del matrimonio voi stiate con timore di Dio e riverenzia come a sacramento, e non con disordenato desiderio; e i dì che sono comandati dalla santa Chiesa abbiate in debita reverenzia, sì come uomo ragionevole, e non come animale bruto. Allora di voi e di lei, sì come arboli buoni, produciarete buoni frutti.

Di refiutare gli offizii, farete molto bene, poiché rade volte è che non vi si offenda; e a tedio vi debbono venire pur d'udirgli ricordare. E però lassate questi morti sepellire ai morti loro (Mt 8,22 Lc 9,60); e voi v'ingegnate - con libertà di cuore - di piacere a Dio, amandolo sopra ogni cosa con desiderio di virtù, e il prossimo come voi medesimo, fuggendo il mondo e le delizie sue; e renunziare ai peccati e alla propria sensualità, reducendovi sempre alla memoria i beneficii di Dio: e spezialmente il beneficio del sangue, il quale per noi fu sparto con tanto fuoco d'amore.

Èvi anco necessario, a volere conservare la grazia e crescere l'anima vostra in virtù, d'usare spesso la santa confessione, a vostro diletto, per lavare la faccia dell'anima nel sangue di Cristo (poiché pur la lordiamo tutto dì, almeno il mese una volta: se più, più - ma meno non mi pare che si dovesse fare -). E dilettatevi d'udire la parola di Dio; e quando sarà il tempo suo che noi siamo pacificati col padre nostro, fate che le pasque solenni, o almeno una volta l'anno, voi vi comunichiate, dilettandovi dell'ofizio divino; e ogni mattina udire la messa: e non potendo ogni dì, almeno di quelli che sono comandati da la santa Chiesa - ai quali siamo obligati - ve ne dovete ingegnare quantunque si può.

L'orazione non si conviene che ella sia di lunga da voi, anco, nell'ore debite e ordinate, quando si può, vogliate reducervi un poco a conoscere voi medesimo e l'offese fatte a Dio, e la larghezza de la sua bontà - la quale tanto dolcemente ha adoperato e aduopera in voi -, aprendo l'occhio dell'intelletto col lume della santissima fede a raguardare come Dio v'ama ineffabilemente; lo quale amore cel manifestò col mezzo del sangue dell'unigenito suo Figlio. E pregovi che, se voi nol dite, che voi lo diciate ogni dì l'offizio della Vergine, a ciò che ella sia lo vostro refrigerio, e avocata dinanzi a Dio per voi.

D'ordinare la vita vostra, di questo vi prego che il facciate. E il sabato digiunare a reverenzia di Maria; e i dì che sono comandati dalla santa Chiesa, non lassarli mai se non per necessità. E fuggite di stare in disordenati conviti; ma ordinatamente vivere come uomo che non vuole fare del ventre suo dio, ma prendere lo cibo a necessità, e non con miserabile diletto, poiché impossibile sarebbe che colui che non è corretto nel mangiare si conservasse nella innocenzia sua. Ma sono certa che la infinita bontà di Dio, di questo e dell'altre cose, vi farà a voi medesimo prendere quella regola che sarà di necessità alla salute vostra. E io ne pregarò, e ne farò pregare, che vi dia perfetta perseveranza infine alla morte, e v'allumini di quello che avete a fare per la salute vostra. Altro ora non vi dico. Confortatevi in Cristo Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



259. A Tommaso da Alviano.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo fedele al vostro Creatore; la quale servitudine fa l'uomo regnare etternalmente, ma non darebbe vita a chi non fusse fedele, cioè col lume della santissima fede, lo quale s'acquista con l'occhio dell'intelletto quando l'anima raguarda nella inestimabile carità di Dio: cioè con quanto amore egli ci ha donato l'essere.

E nel Verbo dell'unigenito suo Figlio troviamo, anco, amore inestimabile; perché nel sangue suo troviamo che ci ha recreati a grazia, la quale l'uomo aveva perduta per la colpa sua. Sì che per amore Dio ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e per amore ci donò lo suo Figlio, che ci restituisse recreandoci a grazia nel sangue suo. Volse Dio col mezzo del Figlio mostrare a noi la sua verità, e la dolce volontà sua, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. La sua verità era questa: che in verità aveva creato l'uomo perché participasse e godesse nell'eterna sua visione, dove l'anima riceve la beatitudine sua; unde per lo peccato commesso da Adam non s'adempiva questa verità nell’uomo.

Volendo dunque Dio adempire questa verità, esso medesimo si costrigne con la sua carità, e donaci quella cosa che egli ha più cara, cioè lo Figlio unigenito; e pongli questaobbedienza, che egli restituisca l'uomo: e da la morte torni alla vita. Vuole che lo figlio de l'umana generazione rinasca, come detto è, nel sangue; e neuno può avere lo frutto del sangue senza lo lume della fede. E però disse Cristo a Nicodemo «Neuno può intrare a vita eterna che non rinasca un'altra volta» (Jn 3,5): volse Cristo manifestare che lo Padre eterno gli aveva dato a concepire per affetto d'amore lo figlio de l'umana generazione, e a parturirlo con veraobbedienza e odio e pentimento dell'offesa del Padre in su lo legno de la santissima croce.

E parbe che facesse questo dolce Verbo come l'aquila, che raguarda nella ruota del sole, e sempre di sopra e in alto vede lo cibo che ella vuole pigliare: vedendolo nella terra, viene e piglialo, e poi in alto lo mangia. Così lo dolce Gesù, aquila nostra, raguarda nel sole della volontà eterna del Padre, e ine vede l'offesa e la ribellione che la creatura gli ha fatto, sì che nella terra della creatura, la quale ha trovata nell'altezza del Padre, ha veduto lo cibo che deve prendere. Lo suo cibo è questo, che di questa miserabile terra, che ha offeso e ribellato a Dio con la miserabile disobbedienza, piglia con l'obedienzia sua a volere compire nell’uomo la verità del Padre, e rendere a lui la grazia; e trarlo della servitudine del demonio - la quale servitudine dà morte eterna -; e reduciarlo a servire solo lo suo Creatore.

Poi che egli ha veduto e preso lo cibo, lo quale lo Padre gli ha dato mangiare, vede che abasso in terra non si può mangiare - a volere trare lo miserabile uomo alla prima obbedienzia sua -; e però si leva con la preda all'altezza della santissima croce, e ine lo mangia con spasimato e ineffabile desiderio; e sopra sé punisce le nostre iniquità, col corpo sostenendo e con la volontà satisfacendo, per pentimento e odio del peccato; e con la virtù della natura divina, che era in lui, porse lo sacrificio del sangue suo al Padre: e così è acetto questo sacrificio a lui. Sì che vedete ch'è in alto con pena e obrobio, scherni, ingiurie, strazii e villania: afflitto di sete e saziato d'obrobii, in tanto che per sete della salute nostra muore, e così l'ha mangiato questo dolce e innamorato Agnello. E però disse egli: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me» (Jn 12,32), poiché, per lo rinascere che l'uomo ha fatto nel sangue di Cristo Crocifisso, è tratto ad amarlo, se egli segue la ragione e non se la tolga con l'amore de la propria sensualità.

Tratto lo cuore ad amare lo suo benefattore, è tratto tutto: lo cuore l'anima e l'affetto, con tutte le sue opere spirituali e temporali; le facoltà dell'anima, che è cosa spirituale, sono tratte da questo amore: la memoria è attratta da la potenza del Padre eterno, ed è costretta a ritenere i beneficii che ha ricevuti da lui, e avere memoria per affetto d'amore, e esserne grato e conoscente. L’intelletto si leva nella sapienza di questo Agnello immacolato a raguardare in lui lo fuoco della sua carità, dove egli vede giusti tutti i giudicii di Dio, poiché ciò che Dio permette egli lo fa per amore e non per odio - di qualunque cosa si sia, o prosperità o aversità -: e però tiene e riceve ogni cosa per amore. Poiché, se altro avesse voluto, la sapienza di Dio, cioè lo suo Figlio, non ci avrebbe data la vita. E però l'anima, alluminata in questo vero lume, non si duole d'alcuna fatica che sostenga, anco, se la sensualità si volesse dolere, col lume della ragione la fa stare queta. E non tanto che si doglia, ma egli l'ha in reverenzia; ed è contento di sostenere, per punire le colpe sue e per potersi conformare con le pene di Cristo Crocifisso.

E se egli ha la prosperità del mondo, lo stato e la signoria, egli la tiene non con disordenato amore, ma con ordenato, zelante de la vera e santa giustizia, senza alcuno timore servile, perché ha levato l'occhio dell'intelletto nella sapienza del Figlio di Dio, dove vede abondare tanta giustizia che - per non lasciare impunita la colpa - l'ha punita sopra di sé ne la sua umanità, la quale egli prese di noi.

Levasi allora l'affetto, e corre all'amore che l'occhio dell'intelletto ha veduto in Dio, e così acquista e gusta la grazia e la clemenza dello Spirito santo. Empito l'affetto d'amore e di desiderio di Dio, egli si distende ad amare caritativamente lo prossimo suo, con una carità fraterna e non con amore proprio, poiché, se fusse ne l'amore proprio, non terrebbe ragione né giustizia né a sé né al prossimo suo; ma perché la grazia dello Spirito santo l'ha privato dell'amore proprio di sé, per lo levare che fece dell'affetto suo in lui, è fatto giusto, e servo fedele al suo Creatore. E così ciò che egli ama sì leva in alto, perché ogni cosa ama per Dio; e così, in ogni stato che egli è, o in signoria o grandezza o stato o ricchezza del mondo, o a lo stato della continenzia o ne lo stato del matrimonio, e con figli e senza figli, in ogni modo è piacevole a Dio, poiché egli ama con l'affetto che è legato in lui. E così ci mostra la prima dolce Verità che non è acettatore delli stati né dei tempi né dei luoghi, ma dei santi e veri desiderii.

Dissi che l'uomo era tratto spiritualmente e temporalmente, e così è la verità, ché poi che l'uomo ha ordenate le tre facoltà dell'anima spirituali, e àlle levate in alto per affetto d'amore, e riunite l'ha nel nome di Dio - cioè acordata la memoria a ritenere i doni e le grazie di Dio, come detto è; e l’intelletto a intendere la volontà nella sapienza del Figlio di Dio; e la volontà ad amare nella clemenza dolce de lo Spirito santo -, Dio si riposa allora per grazia nell'anima sua. Questo doviamo intendere che lo nostro Salvatore dicesse, quando disse: «Se saranno due o tre o più congregati nel nome mio, io sarò nel mezzo di loro» (Mt 18,20). Unde possiamo intendere che egli lo dicesse così de la congregazione detta di sopra de le tre facoltà dell'anima, come pur de la congregazione dei servi di Dio corporale. Ma attendete che egli ci mette lo due, lo tre, e il più: del tre aviamo detto; dei due possiamo intendere per l'amore e santo timore di Dio, perché l'amore ha a congregare. Ché se l'uomo non amasse, non disporrebbe la memoria a ricevere e a ritenere, né l’intelletto si sarebbe mosso a vedere e a intendere, né la volontà avrebbe notricato in sé l'amore divino.

Poi che è raunato lo tesoro, lo timore santo lo guarda, e non lassa passare dentro nella città dell'anima i nemici del peccato mortale, e anco per quella legge santa di Dio, la quale fu data a Moisè, fondata in timore - poniamo che lo primo movimento fu amore: poiché per amore Dio la dié, perché l'uomo avesse freno nel suo male adoperare -. Venne poi lo dolce e amoroso Verbo con la legge dell'amore, non a dissolvere la legge data, ma per compirla (Mt 5,17), poiché il timore non ci dava vita, acordando poi la legge dell'amore con quella del timore; la quale fu di tanta perfezione, che la cosa imperfetta fece perfetta.

Conviensi dunque tenere l'una e l'altra, poiché elle sono unite in tanta perfezione che, chi non vuole essere separato da Dio, non può avere l'una che non abbi l'altra, perché sono legate insieme - quanto ai diece comandamenti sempre parlando - e insieme danno vita di grazia, che chi le volesse separare, impossibile sarebbe che potesse avere Dio per grazia nel mezzo dell'anima sua. E però dice «se saranno due», e non dice «se sarà uno»: perché uno non può essere congregato, poiché uno non può fare altro che uno, e così non può giognere a tre senza due. Ma conviensi che prima l'anima n'abbi due, e a mano a mano che n'ha due, cioè l'amore e il santo timore di Dio, ed egli si trova le tre facoltà dell'anima, che non è altro che una anima; nel quale «uno», adornata con la perfezione della carità, è tanto perfetta che tiene e due e tre, e il più. E perché dice: «O due o tre, o più, congregati nel nome mio»? Queste sono le sante e buone opere de la creatura che ha in sé ragione, poiché ogni opera che egli facesse - poniamo che avessero colore d'essere del mondo, sì come è di tenere il grande stato e signoria, e fusse con la donna o coi figli suoi, che pare una cosa mondana, o in qualunque altra cosa che fosse - tutte sono dirizzate in Dio, quando l'anima ha fatto lo suo principio di regolare e congregare tutte le virtù sue nel nome di Dio.

Allora vede e conosce bene la sua verità: che Dio non gli ha dato in questa vita alcuna cosa che, se egli vuole, che gli sia impedimento a la sua salute, anco gli sono strumento di farlo essercitare in virtù, e di darli maggiore cognoscimento de la miseria sua e de la divina bontà. E però non si lagna né si può lagnare né del Creatore né della creatura, altro che di sé medesimo, che ribella con la puzza del peccato mortale al suo Creatore. Di Dio non si può lagnare, ché l'ha fatto forte che né demonio né creatura gli può togliere Dio; anco, spesse volte, la ingiuria che gli è fatta da gli uomini del mondo - se egli non vuole seguire la propria sensualità con ira - gli fa avere Dio più perfettamente, perché il pruova nella virtù della pazienza, e vede se egli ama lo suo Creatore in verità o no; e empiesi più lo vasello dell'anima sua di grazia: sì che non si può lagnare. Né anco se per mezzo della creatura ricevesse movimenti di immondizia, e fusse inchinato per conversazione, o atti, o modi a non essere onesto, dico che anco di questo non si può lagnare, poiché assai possono venire i movimenti per propria fragilità o per inducimento d'altra creatura, come detto è; non che il possa costrignere, se egli vorrà fare resistenza con la ragione, e sentire l'odore della purezza. Che se si sente percuotere da questo o da alcuno altro vizio, tragga fuore l'amore e il santo timore di Dio; e con l'occhio dell'intelletto raguardi nella memoria sua, dove ha conservati i beneficii di Dio, e con l'affetto l'ami, e rendali grazia e loda. E con questa gratitudine santa spegnarà lo fuoco dell'ira e della immondizia e della ingiustizia, e d'ogni altro difetto, e singularmente de la ingiustizia.

Poiché l'uomo che ha a tenere stato e signoria, se non la tiene con virtù egli cade in molti inconvenienti, perché essofatto che non la tenesse con l'occhio dirizzato in Dio la terrebbe col proprio disordenato amore; lo quale amore atosca l'anima, e tollele lo lume che non intende né conosce altro che cose transitorie e sensitive - giudicando la volontà di Dio e la sua e quella delli uomini sempre in male, e non in alcuno bene -, tollendogli la vita della grazia: e dagli la morte. E nessuna sua opera si dirizza ad altro che a morte di colpa: la giustizia la fa secondo lo piacere delli uomini, e non secondo ragione, per timore servile che egli ha di non perdere lo stato suo. Oh quanto è pericoloso questo perverso amore! ella è la legge del demonio, la quale fu data di primo principio dal demonio ad Eva, e Adam la seguitò e compilla: che fu una legge diabolica d'amore e di timore.

Ma la prima dolce Verità ci ha liberati, e data a terra questa perversa legge, in quanto non è costretto l'uomo a tenerla per alcuna cosa che sia. Può bene per lo libero arbitrio, che egli ha, pigliarla per sé medesimo, se vuole; ma non che per forza gli sia dato più che la sua volontà voglia pigliare. Bene si debba dunque vergognare la creatura che ha in sé ragione, ad avere sì-fatto ricompratore - che gli ha dato la fortezza, e trattolo della servitudine de la puzza del peccato -, a non seguitarlo con perfetto amore, con tutto lo cuore, e con tutto l'affetto, e col lume de la fede viva; la quale trova e gusta con l'occhio dell'intelletto, e con affetto parturisce opere vive, e non morte; e però è fede viva, ché fede senza opera, morta è (Jc 2,17-26). Per altro modo non potremmo essere servi di Cristo Crocifisso; lo quale servire fa l'uomo regnare sì nella vita durabile e sì perché lo fa signore di sé medesimo; poiché, signoreggiando sé, è fatto signore di tutto lo mondo, ché nessuna cosa cura né teme, se non Dio, cui egli serve e ama. Molti posseggono le città e le castella; e non possedendo loro per affetto di virtù, non si trovano nulla, ma trovansi vòti insiememente e del mondo e di Dio, o per vita o per morte.

Considerando dunque me che senza lo mezzo del lume della fede non potevate giognere a questa perfezione, dissi che io desideravo di vedervi servo fedele al vostro Creatore, e così vi prego, carissimo fratello, che facciate: che voi lo serviate virilmente. è vero che a lui non potete fare utilità né servire, perché non ha bisogno di nostro servigio; ma egli ci ha posto lo mezzo che reputa fatto a sé quello che facciamo a lui (Mt 25,40), cioè di servire lo prossimo nostro per gloria e loda del nome suo: e singularmente fra gli altri servizii che possiamo mostrare che gli piaccia bene, si è di servire la dolce Sposa sua, al cui servizio pare che v'abbi chiamato. Servitele dunque liberamente, poiché, di qualunque servizio o spirituale o temporale la servirete, tutto gli è piacevole, pur che sia fatto con dritta e buona intenzione. Facendo così, Dio è grato e conoscente, e rendaràvi lo frutto della vostra fatica in questa vita per grazia; e nella vita durabile ricevarete l'eterna visione di Dio, e vedarete con chiaro e perfetto lume, e senza alcuna tenebre, l'amore e verità del Padre eterno: poiché qua giuso lo vediamo imperfettamente, ma là suso senza alcuna imperfezione. Altro non dico. Prego la bontà sua, che vi dia perfetto lume a servirlo perfettamente.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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