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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 17:26

270. A papa Gregorio XI, a dì 16 d'aprile 1377

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio io ho longo tempo desiderato di vedervi portonaio virile senza veruno temore.

Portonaio sete del cellaio di Dio, cioè del sangue dell'unigenito suo Figlio, la cui vece rapresentate in terra; e per altre mani non si può avere lo sangue di Cristo se non per le vostre. Voi pascete e notricate i fedeli cristiani; voi sete quella madre che alle mammelle della divina carità ci notricate, perché non ci date sangue senza fuoco, né fuoco senza sangue, poiché il sangue fu sparto con fuoco d'amore.

O governatore nostro, dico che io ho lungo tempo desiderato di vedervi uomo virile senza veruno timore, imparando dal dolce e inamorato Verbo, che virilmente corre all'obrobriosa morte della santissima croce per compire la volontà del Padre e la salute nostra. Questo Verbo dolce ci reca a noi la pace, poiché fu nostro mediatore tra Dio e noi. Non lassa questo dolce e inamorato Verbo, per nostra ingratitudine né per ingiuria né per strazii né vitoperio, che egli non corra all'obrobriosa morte della croce, sì come inamorato della salute nostra: in altro modo non potavamo giugnare all'effetto della pace. O padre santissimo nostro, io vi prego per l'amore di Cristo Crocifisso che voi seguitiate le vestigie sue.

Oimé, pace pace per l'amore di Dio! Non raguardate alla miseria, all'ingratitudine e ignoranza nostra, né alla persecuzione dei vostri ribelli figli; oimé, venca la vostra benignità e pazienza la malizia e superbia loro: abbiate avesseate misericordia di tante anime e corpi che periscono. O pastore e portonaio del sangue dell'Agnello, non vi ritragga né pena né vergogna né vitoperio che vi paresse ricevare, né timore servile, né i perversi consiglieri del demonio, che non consigliano altro che in guerre e in miserie. Tutto questo, santissimo padre, non vi ritragga che voi non corriate all'obrobriosa morte della croce, seguitando Cristo come suo vicario: cioè sostenendo pene tormento e obrobrio e villanie portiate la croce del santo desiderio, desiderio dell'onore di Dio e de la salute dei figli vostri. Abbiate avesseate fame, e con l'occhio dell'intelletto vostro vi levate in su la croce del desiderio, e raguardate quanti sono i mali che seguitano per questa perversa guerra, e quanto è lo bene che segue della pace.

Oimé, babbo mio, disaventurata l'anima mia, ché le mie iniquità sono cagione d'ogni male; e pare che il demonio abbi presa la signoria del mondo, non per sé medesimo, ché egli non può nulla, ma in quanto noi gli l'aviamo dato. Da qualunque lato io mi vollo io vedo che ognuno vi porta le chiavi del libero arbitrio con la perversa volontà: i secolari, i religiosi, i cherici, con superbia corrire alle delizie e stati e ricchezze del mondo, con molta immondizia e miseria. Ma sopra tutte l'altre cose che io vedo che sia molto abominevole a Dio, si è dei fiori che sono piantati nel corpo mistico della santa Chiesa, che debbono essere fiori odoriferi - la vita loro specchio di virtù, gustatori e amatori de l'onore di Dio e della salute delle anime -, ed egli gittano puzza d'ogni miseria, amatori di loro medesimi, raunando i difetti loro con esso gli altri, e singolarmente la persecuzione che è fatta alla dolce Sposa di Cristo e alla Santità vostra.

Oimé, caduti siamo nel bando della morte e aviamo fatta guerra con Dio. O babbo mio, voi sete posto a noi per mediatore a fare questa pace; non vedo che ella si faccia se voi non portate la croce del santo desiderio, come detto è. Noi abbiamo guerra con Dio; ed i ribelli figli l'hanno con Dio e con la Santità vostra, e Dio vuole e vi richiede che tolliate, giusta al vostro potere, la signoria delle mani del demonio.

Mettete mano a levare la puzza dei amministri de la santa Chiesa; traetene i fiori puzzolenti e piantatevi i fiori odoriferi, uomini virtuosi che temino Dio. Poi vi prego che piaccia alla vostra Santità di conscendare a fare la pace, e ricevarla per qualunque modo ella si può avere, conservando sempre quello della Chiesa e la conscienzia vostra. Vuole Dio che voi attendiate all'anime e a le cose spirituali più che alle temporali; fate virilmente, ché Dio è per voi: egli adopererà. Senza veruno timore! Perché vediate le molte fatiche e tribolazioni, non temete; confortatevi con Cristo dolce Gesù, ché tra le spine nasce la rosa: tra le molte persecuzioni ne viene la reformazione della santa Chiesa, la luce che fa levare le tenebre dei cristiani, e la vita degl'infedeli, e la levazione de la santissima croce. Voi, come strumento e nostro mezzo, con sollicitudine, e non con negligenzia, e senza veruno timore, adoperate ciò che voi potete. A questo modo sarete vero ministratore; adempirete la volontà di Dio e il desiderio dei servi suoi, che muoiono di dolore, e non possono morire, vedendo tanta offesa del loro Creatore e tanto avilire lo sangue del Figlio di Dio.

Non posso più. Perdonate a me, padre santissimo, la mia presunzione; scusimi l'amore e il dolore dinanzi a voi. Non dico più. Date la vita per Cristo Crocifisso, divellete i vizii e piantate le virtù; confortatevi e non temete.

Rimanete nella santa carità di Dio.

Grande desiderio ho di ritrovarmi dprima della Santità vostra: molte cose v'ho a ragionare. Non sono venuta, per molte occupazioni buone e utili per la Chiesa, che ci sono avute a fare. Pace pace per l'amore di Cristo crocifisso, e non più guerra, ché altro rimedio non ci ha. Racomandovi Anibaldo vostro fedele servidore.

Scritta al vostro monasterio nuovo che mi concedeste, titolato Santa Maria degli Angeli. Dimandovi umilemente la vostra benedizione. I vostri figli negligenti, maestro Giovanni e frate Raimondo, si racomandano alla Santità vostra.



271. A monna Alessa soprascritta mantelata di santo Domenico, sua dilecta figlia.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti serva e sposa fedele al tuo Creatore, a ciò che mai non ti stolghi da la verità, ma per amore de la verità desideri di portare pena, sostenendo senza colpa infine a la morte: perciò che ne le pene e ne le fatiche - annegandovi dentro la propria volontà sensitiva - l'anima s'accosta più al suo Creatore, e fassi una volontà con lui.

Bisogno c'è Perciò di portare, e di perdere noi medesimi: così saremo atte a piangere e offrire umili e continue orazioni dinanzi da lui, per suo onore e per salute delle anime, poiché noi doviamo essere gustatrici e mangiatrici di questo dolce e glorioso cibo. Ma guarda, carissima figlia, che tu non t'ingannassi: ché inganno sarebbe quando tu volessi mangiare a la mensa del Padre eterno e schifassi di mangiarlo a la mensa del Figlio, in su la quale mensa cel conviene mangiare, poiché senza pena non si può avere; e nel Padre non cadde pena, ma solo nel Figlio. E perché senza pena non potavamo passare questo mare tempestoso, però questo dolce e amoroso Verbo in cui cadde la pena si fece via (Jn 14,6) e regola nostra, e batté la strada col sangue suo. Perciò non dormiamo noi, serve ricomprate del sangue di Cristo, se vogliamo essere spose fedeli, ma destianci dal sonno de la negligenzia, e corriamo per questa strada di Cristo crocifisso, con spasimato e ansiato desiderio.

Ora è il tempo da non dormire, perché vediamo lo mondo in maggiore necessità che fusse mai; e però io t'invito e ti comando che tu rinnovelli lo pianto e il desiderio tuo, con molte orazioni, per la salute di tutto quanto lo mondo, e per la reformazione de la santa Chiesa: che Dio per la sua bontà dia grazia al padre nostro che compia quello che egli ha cominciato, ché - secondo che m'è stato scritto da Roma - pare che egli cominci virilmente, perciò che pare che voglia attendere ad acquistare anime. E perché io so il santo desiderio suo, ho speranza, se i miei peccati non lo impediscono, che tosto s'avarà la pace. Altro non dico, se non che tu gridi con voce e fede viva nel conspetto di Dio.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



272. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatore e amatore de la verità, a ciò che siate vero figlio di Cristo Crocifisso - lo quale è essa verità - e fiore odorifero nell'Ordine santo e nel corpo mistico de la santa Chiesa; e così dovete essere. E non si debba lasciare né vòllere lo capo indietro per le spine de le molte persecuzioni, perocché troppo sarebbe matto colui che lassasse la rosa per timore de la spina. Lo mio desiderio è di vedervi virile e senza timore d'alcuna creatura. Sono certa, per la infinita bontà di Dio, che adempirà lo desiderio mio.

Confortatevi, carissimo padre, ne la dolce Sposa di Cristo, poiché quanto più abonda in tribulazioni e amaritudine, tanto più promette la divina Verità di farla abondare in dolcezza e consolazione. E questa sarà la dolcezza sua: la reformazione dei santi e buoni pastori, i quali sono fiori di gloria, cioè che rendono gloria e odore di virtù a Dio. Questa è la reformazione del fiore dei suoi ministri e pastori; non n'ha bisogno lo frutto di questa sposa d'essere reformato, poiché non diminuisce né si guasta mai per li difetti dei amministri. Sì che godete nell'amaritudine, poi che la Verità ci ha promesso di darci refrigerio.

Doppo l'amaritudine e consolazione che io ebbi ricevendo la lettera del dolce babbo e vostra, poiché amaritudine ebbi per lo danno de la Chiesa, e vostra amaritudine - la quale avevo sentita molto intrinsicamente lo dì di santo Francesco -; ed ebbi allegrezza perché mi traeste di molto pensiero, unde, lette le lettare e inteso tutto, pregai una serva di Dio che offerisse lacrime e sudori dinanzi da Dio per la sposa e per la infermità del babbo. Unde subito per divina grazia le crebbe uno desiderio e una allegrezza sopra a ogni modo. E aspettando che venisse la mattina per avere la messa - che era lo dì di Maria - e venuta l'ora de la messa, si pose nel luogo suo con vero cognoscimento di sé, vergognandosi dinanzi da Dio de la sua imperfezione. E levando sé sopra di sé con ansietato desiderio, e speculando con l'occhio dell'intelletto ne la verità eterna, dimandava ine quattro petizioni, tenendo sé e il padre suo dinanzi a la sposa de la verità. E prima la reformazione de la santa Chiesa.

Allora Dio, lassandosi costrignere a le lacrime, e legare a la fune del desiderio, diceva: «Figlia mia dolcissima, vedi come ha lordata la faccia sua con la immondizia e amore proprio ed gonfia superbia e avarizia di coloro che si pascono al petto suo. Ma tolle le lacrime e il sudore tuo, e tra'le de la fontana de la divina mia carità, e lavale la faccia, poiché io ti prometto che non le sarà renduto la bellezza sua col coltello, né con guerra né crudeltà, ma con la pace, e umili e continue orazioni, sudori e lacrime gittate con ansietato desiderio dei servi miei. E così adempirò lo desiderio tuo con molto sostenere; e in nessuna cosa vi mancarà la mia providenzia». E poniamo che in questo si contenesse la salute di tutto quanto lo mondo, nondimeno l'orazione si distendeva più in particulare, dimandando per tutto quanto lo mondo.

Allora Dio mostrava con quanto amore aveva creato l'uomo, e diceva: «Or vedi che ognuno mi percuote: vedi, figlia, con quanti diversi e molti peccati essi mi percuotono, e spezialmente col miserabile e abominevole amore proprio di loro medesimi unde procede ogni male, col quale hanno apuzzato tutto quanto lo mondo. Voi dunque, servi miei, paratevi dinanzi con le molte orazioni, e così miticarete l'ira del divino giudicio. E sappi che neuno può uscire de le mie mani, e però apre l'occhio dell’intelletto, e mira ne la mia mano». E, levando l'occhio, vedeva nel pugno suo rinchiuso tutto l'universo mondo. E poi diceva: «Io voglio che tu sappi che neuno me ne può essere tolto, poiché tutti ci stanno o per giustizia o per misericordia, sì che tutti sono miei. E perché sono esciti di me, amoli ineffabilemente, e farò lo' misericordia col mezzo dei servi miei».

Allora, crescendo lo fuoco del desiderio, stava quasi beata e dolorosa, e rendeva grazie a la divina bontà, quasi conoscendo che Dio l'avesse manifestato i difetti de le creature perché fusse costretta a levarsi con più sollicitudine e maggiore desiderio. E in tanto crebbe lo santo e amoroso fuoco che lo sudore dell'acqua, lo quale gittava, ella lo spregiava per grande desiderio che aveva di vedere uscire del corpo suo sudore di sangue (Lc 22,44), dicendo a sé medesima: «Anima mia, tutto lo tempo de la vita tua hai perduto, e però sono venuti tanti mali e danni nel mondo e ne la santa Chiesa, in comune e in particulare. Ora voglio che tu remedisca col sudore del sangue».

Allora l'anima, spronata dal santo desiderio, si levava molto maggiormente, e apriva l'occhio dell'intelletto, e speculavasi ne la divina carità, ove vedeva e gustava quanto siamo tenuti e doviamo cercare la gloria e la loda del nome di Dio ne la salute delle anime. E a questo vi chiamava e v'sceglieva la Verità eterna, rispondendo a la terza petizione, ciò era la fame de la vostra salute, dicendo: «Figlia, questo voglio che egli cerchi con ogni sollicitudine, ma questo non potrebbe né egli, né tu né alcuno altro, avere senza le molte persecuzioni, secondo che io ve le concedarò. Digli che come egli desidera di vedere lo mio onore ne la santa Chiesa, così concepi amore a volere sostenere con vera pazienza, e a questo m'avederò che egli e gli altri miei servi cercaranno lo mio onore in verità. E allora sarà lo carissimo figlio, e riposarassi sopra lo petto dell'unigenito mio Figlio, del quale ho fatto ponte perché tutti potiate giognere a gustare e ricevere lo frutto de le vostre fatiche. Sapete, figli, che la strada si ruppe per lo peccato e disobbedienza di Adam, per sì-fatto modo che neuno poteva giognere al termine suo; e così non s'adempiva la mia verità, che l'avevo creato ad immagine e similitudine mia (Gn 1,26) perché egli avesse vita eterna, e participasse e gustasse me che sono somma ed eterna bontà. Questa colpa germinò spine e tribuli di molte tribulazioni, con uno fiume che sempre percuote l'onde sue, e però io v'ho dato lo ponte del mio Figlio, a ciò che, passando lo fiume, non annegaste. Ma aprite l'occhio dell'intelletto, e vedete che tiene dal cielo a la terra, perocché bene di terra non si poteva fare di tanta grandezza che fusse sufficiente a passare lo fiume, e darvi vita; sì che esso unì l'altezza del cielo, cioè la natura divina, con la terra de la vostra umanità.

Convienvi dunque tenere per questo ponte, cercando la gloria del nome mio ne la salute delle anime, sostenendo con pena le molte fatiche, seguitando le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo. Voi sete miei lavoratori, che v'ho posto a lavorare ne la vigna de la santa Chiesa (Mt 20,1-7) perché io voglio fare misericordia al mondo. Ma guardate che voi non teniate di sotto, poiché ella non è la via della verità.

Sai tu chi sono coloro che passano di sotto a questo ponte? Sono gli iniqui peccatori, per li quali io vi prego che voi mi preghiate, e per cui io vi richeggio lacrime e sudori, poiché giacciono ne le tenebre del peccato mortale. Costoro vanno per lo fiume e giongono all'eterna dannazione, se già essi non tolgono lo giogo mio, e pongonlo sopra di loro (Mt 11,29). E alquanti sono che col timore de la pena si recano da la riva, ed escono del peccato mortale; sentono le spine de le molte tribulazioni e però sono esciti del fiume.

Ma se essi non commettono negligenzia e non dormono nell'amore proprio di loro medesimi, essi s'attaccano al ponte, e cominciano a salire, amando la virtù; ma se essi permangono ne l'amore proprio e in negligenzia, ogni cosa lo' fa male, e non sono perseveranti, ma uno vento contrario che gionga gli fa tornare al vomito» (2P 2,22 Pr 26,11).

Veduto che ebbe in quanti diversi modi l'anima s'annegava, ed egli diceva: «Mira quelli che vanno per lo ponte di Cristo Crocifisso». E molti ne vedeva, che corrivano senza alcuna pena, perché non avevano lo peso de la propria volontà: e questi erano i veri figli i quali, abandonati loro medesimi, andavano con ansietato desiderio cercando solo l'onore di Dio e la salute delle anime. E i piei dell'affetto loro tenevano e andavano per Cristo Crocifisso, che era esso ponte. Corriva l'acqua di sotto; e le spine erano conculcate da' loro piei, e però non lo' faceva male: cioè, che nell'affetto loro non curavano le spine de le molte persecuzioni, ma con pazienza vera portavano le prosperità del mondo, che sono quelle crudeli spine che danno morte all'anima che le possede con disordenato amore. Essi le spregiavano come se fussero state veleno; e a nessuna altra cosa atendevano se non di dilettarsi in croce con Cristo, perché lo loro obiettivo era egli. Altri v'erano, che andavano lentamente. E perché andavano lenti? perché s'avevano posto dinanzi all'occhio dell'intelletto non Cristo Crocifisso, ma le consolazioni che traevano da Cristo Crocifisso, le quali lo' dava amore imperfetto. E allentavano spesso nell'andare, sì come fece Pietro inanzi a la Passione, quando s'aveva posto dinanzi a sé solo lo diletto de la conversazione di Cristo; e però venne meno, essendoli tolto l'obiettivo de la consolazione. Ma quando si fortificò, poi che ebbe perduto sé, non volse conoscere altro né cercare, se non Cristo Crocifisso. Così questi cotali sono debili, e allentano l'andare del santo desiderio quando si veggono levare dinanzi da la mente loro l'obiettivo del diletto, e de le proprie consolazioni. Unde, giungendo poi le punture o di tentazioni dal demonio, o da le creature, o da loro medesimi d'una tenerezza spirituale che hanno, vedendosi privati di quella cosa che amavano, vengono meno e indebiliscono ne la via di Cristo Crocifisso, perché in Cristo Crocifisso hanno voluto seguire lo Padre, e gustare la dolcezza delle molte consolazioni. Perché nel Padre non può cadere pena, ma sì nel Figlio; e però dicevo che seguitavano lo Padre.

E vedevasi che non si poteva remedire la debolezza loro se non seguitassero lo Figlio; e così diceva la Verità eterna: «Io dico che neuno può venire a me se non per questo mezzo dell'unigenito mio Figlio, poiché egli è colui che v'ha fatta la via la quale dovete seguire. Egli è via e verità e vita (Jn 14,6), e quelli che vanno per questa via gustano e cognoscono la verità, e gustano l'amore ineffabile che io gli ho, ne le pene che egli ha sostenute per loro. Sai bene che se io non v'avesse amati, non v'avarei dato sì-fatto ricompratore, ma perché etternalmente io v'amai, però posi e diei all'obrobiosa morte della croce questo unigenito mio Figlio, lo quale, con l'obedienzia sua e con la morte, consumò la disobbedienza di Adam e la morte de l'umana generazione. E così cognoscono la mia verità, e conoscendo la verità seguitano la verità; e così ricevono la vita durabile, perché sono tenuti per la via di Cristo Crocifisso, e giunti e passati per la porta della verità, e trovansi nel mare pacifico coi veri gustatori. Sì che vedi, figlia mia, che essi non si possono fortificare in altro modo. Né egli si potrebbe unire con la sposa della mia Verità, né giognere a questa perfezione a la quale io gli ho eletto, se non per questa via. Ogni altra è con pena e imperfetta, se non questa; perché pena non dà se non la propria volontà, o spirituale o temporale che sia.

Chi non ha volontà è privato d'ogni pena affliggitiva di sé; solo la pena intollerabile della offesa mia gli rimane, ordenata con modo, perché è condita col condimento de la carità, la quale fa l'anima prudente, che per nessuna pena la fa scordare da la dolce volontà mia».

Altri v'erano che, poi che erano cominciati a salire - ciò erano coloro che cominciavano a conoscere la colpa loro, solo per timore de la pena che lo' seguitava doppo la colpa - e però s'erano levati dal peccato, cioè per timore de la pena, lo quale timore era imperfetto, ma molti ne vedeva corrire dal timore imperfetto al perfetto, e questi andavano con sollicitudine nel secondo stato e all'ultimo.

Ma molti ve n'aveva che con negligenzia si ponevano a sedere all'entrata del ponte con questo timore servile; e tanto avevano preso per spizziconi lo loro cominciare, e sì tiepidamente, che non agiognendo punto di fuoco di cognoscimento di loro medesimi e de la bontà di Dio in loro, si rimanevano nella loro tepidezza. Di questi cotali diceva la dolce Verità: «Vedi, figlia, che impossibile sarebbe che costoro, che non vanno innanzi esercitando la virtù, che non tornassero indietro. E questa è la cagione: perché l'anima non può vivere senza amore; e quello che ella ama, quello si studia di più conoscere e servire, e se non studia in conoscere sé - dove meglio conosce la larghezza e abondanzia della mia carità -, non conoscendo, non ama; non amando, non mi serve. Essofatto che è privata di me, perché non può stare senza amore, ritorna al miserabile proprio di sé medesimo. Costoro fanno come lo cane, che, poi che ha mangiato, bomica, e poi per la immondizia sua pone l'occhio sopra lo bomico e piglialo, e così immondamente si notrica; così costoro negligenti, posti in tanta tepidezza, hanno bomicato, per timore de la pena, i fracidumi dei peccati per la santa confessione, cominciando un poco a volere entrare per la via della verità. Unde, non andando innanzi, conviene che tornino adietro, vollendo l'occhio dell'intelletto al bomico di prima; sonsi levati del vedere la pena e tornati a vedere lo diletto sensitivo, per la quale cosa hanno perduto lo timore, e però si ripigliano lo bomico, notricandosi gli affetti e desiderii loro de le proprie immondizie, unde molto saranno più reprensibili e degni di punizione costoro che gli altri. Or così sono offeso iniquamente da le mie creature, e però voglio, figli carissimi, che non allentiate i desiderii vostri; ma crescano, notricandovi in su la mensa del santo desiderio. Levinsi i veri servi miei, e imparino da me, Verbo, a ponarsi le pecorelle smarrite in su la spalla (Lc 15,4-5), portandoli con pena e con molte vigilie e orazioni. E così passarete per me, che sono ponte, come detto è, e sarete sposi e figli della mia Verità; e io infondarò una sapienza, con uno lume di fede, lo quale vi darà perfetto cognoscimento de la verità; unde acquistarete ogni perfezione».

E poi che a la benignità e pietà di Dio piacque di manifestare sé medesimo e le cose segrete sue - a le quali cose, padre dolcissimo, la lingua ci viene meno, e l'intelletto pare che ci s'offuschi, tanto è assottigliato lo suo vedere - lo desiderio vive spasimato, in tanto che tutte le facoltà dell'anima gridano a una di volere lasciare la terra, poiché c'è tanta imperfezione, e dirizzarsi e giognere al fine suo a gustare coi veri cittadini la somma ed eterna Trinità, ove si vede rendere gloria e loda a Dio; ove rilucono le virtù, la fame e il desiderio dei veri ministri e perfetti religiosi, i quali stettero in questa vita come lucerna ardente posta in sul candelabro (Mt 5,15 Mc 4,21 Lc 8,16) de la santa Chiesa, a rendere lume a tutto quanto il mondo.

Oimé, babbo, quanta differenza era da loro a quelli che sono al dì d'oggi, dei quali si lamentava con zelo di grande giustizia, dicendo: «Costoro hanno preso la condizione de la mosca, che è tanto brutto animale, la quale, ponendosi in su la cosa dolce e odorifera, non si cura, poiché ella è partita, di ponersi in su le cose fastidiose e immonde. Così questi iniqui sono posti a gustare la dolcezza del sangue mio; e non si curano, poi che sono levati dalla mensa dell'altare, da consecrare e amministrare lo corpo e il sangue mio e gli altri sacramenti de la santa Chiesa (i quali sono odoriferi, pieni di dolcezza e di grande soavità, in tanto che dà vita all'anima, che lo gusta in verità, e senza esso non può vivere), essi non si curano di ponersi in tanta immondizia, quanto i pongono la mente e il corpo loro: che, non tanto che ella puta a me tanta iniquità, ma i demoni hanno a schifo questo peccato tanto miserabile».

Poi che la divina bontà, carissimo padre, sopra le tre petizioni ebbe risposto, come detto è, rispose a la quarta petizione che si dimandava, dimandando l'aiutorio e providenzia di Dio che provedesse in alcuno caso che era adivenuto d'alcuna creatura, lo quale per scritto non vi posso contiare, ma con la parola viva vel dirò - se già Dio non mi facesse tanto di grazia e di misericordia che l'anima mia si partisse da questo miserabile corpo prima che io vi vedesse, lo quale è una legge perversa che sempre combatte contro lo spirito. E voi sapete bene che io dico la verità, sì che grazia mi sarebbe a esserne privata -. Dicevo, e dico, che la Verità eterna degnò di rispondere alla quarta e all'ansietato desiderio che dimandava, dicendo: «Figlia, la mia providenzia non mancarà mai a chi la vorrà ricevere, ciò sono coloro che perfettamente sperano in me. Costoro sono quelli che mi chiamano in verità, non solamente con la parola, ma con affetto, e col lume della santissima fede. Non gustaranno me né la providenzia mia coloro che solamente col suono della parola mi chiamaranno «Signore, Signore!», ché io loro - se con altra virtù non mi dimandano - non cognosciarò (Mt 7,22-23 Lc 13,25), né saranno cognosciuti da me per misericordia, ma per giustizia. Sì che io ti dico che la mia providenzia nona manca lororà se essi spereranno in me. Ma io voglio che tu vegga con quanta pazienza i me li conviene portare, loro e l'altre mie creature, le quali io ho create all'imagine e similitudine mia (Gn 1,26), con tanta dolcezza d'amore». Unde aprendo l'occhio dell'intelletto, per obedire al comandamento suo, nell'abisso dalla sua carità, allora si vedeva come egli era somma ed eterna bontà, e come per solo amore egli aveva creati e ricomprati del sangue del Figlio suo tutte le creature che hanno in sé ragione; e con questo amore medesimo dava ciò che egli dava: tribulazione e consolazione, ogni cosa era dato per amore e per provedere a la salute dell'uomo, e non per alcuno altro fine.

E diceva: «Lo sangue sparto per voi vi manifesta che questo è la verità. Ma essi, come acecati per il proprio amore che hanno di loro, si scandalizzano con molta impazienzia, giudicando in male, e in loro danno e ruina e in odio, quello che io fo con amore e per loro bene, per privarli de le pene etternali, e per guadagno dar lo' vita eterna. Perché dunque si lagnano di me, e odiano quello che debbono avere in reverenzia, e vogliono giudicare gli occulti miei giudicii, i quali sono tutti dritti? Ma essi fanno come lo cieco che - col tatto de la mano, e alcune volte col sapore del gusto e alcune volte col suono de la voce - vorrà giudicare in bene e in male secondo lo suo infermo e piccolo sapere, e non si vorrà attenere a colui che ha lume, ma, come matto, vuole andare col sentimento della mano, che è ingannata nel suo toccare, perché non ha lume in discernere lo colore. E così lo gusto s'inganna, perché non vede l'animale immondo che si pone in sul cibo. L'orecchia è ingannata nel diletto del suono, perché non vede colui che canta, che con quello suono - non guardandosi da lui per lo diletto - gli può dare la morte. Così fanno costoro, i quali come acecati, e perduto lo lume della ragione, toccando con la mano del sentimento sensitivo i diletti del mondo, gli paiono buoni. (Ma perché egli non vede, non s'aguarda che egli è uno panno meschiato di molte spine con molta miseria di grandi affanni, in tanto che lo cuore che le possede, è incomportabile a sé medesimo). Così la bocca del desiderio, che disordenatamente l'ama, gli paiono dolci e soavi a prenderli; ed i v'è su l'animale immondo dei molti peccati mortali, che fanno immonda l'anima.

Se egli non va col lume della fede a purificarla nel sangue, n'ha morte eterna.

L'udire e l'amore proprio di sé, che gli fa uno dolce suono, perché l'anima corre dietro all'amore della propria sensualità (...) - ma perché non vede, è ingannata del suono, e trovasi menato nella fossa, legato col legame della colpa ne le mani dei nemici suoi, poiché, come acecati dal proprio amore, e con la fidanza che hanno posta nel loro proprio amore e sapere, non s'attengono a me, che sono via e guida loro, e sono vita e lume; e chi va per me, non può essere ingannato né andare per le tenebre. Non si fidano di me, che non voglio altro che la loro santificazione e lo' do e permetto ogni cosa per amore, e sempre si scandalizzano in me; e io con pazienza gli porto e gli sostengo, perché io gli amai senza essere amato da loro. Ed essi sempre mi perseguitano con molta impazienzia odio e mormorazioni, e con molta infedelità; e voglionsi ponere a investigare, secondo lo loro vedere cieco, gli occulti miei giudicii, i quali sono fatti tutti giustamente e per amore. E non cognoscono ancora loro medesimi; e però veggono falsamente, ché chi non conosce sé medesimo, non può conoscere me, né le giustizie mie, in verità. Vuogli ti mostri, figlia, quanto lo mondo è ingannato dei misterii miei? Or apre l'occhio dell'intelletto, e raguarda in me». E, mirando con ansietato desiderio, dimostrava la dannazione di colui per cui era adivenuto lo caso e di cui era pregato, dicendo: «Io voglio che tu sappi che per camparlo dell'eterna dannazione, ne la quale tu vedi ch'egli era, io gli permissi questo caso, a ciò che col sangue suo nel sangue mio avesse vita; perché non avevo dimenticato la reverenzia e amore che aveva alla mia dolcissima madre Maria, sì che per misericordia gli ho fatto quello che gl'ignoranti tengono in crudeltà. E tutto questo l'adiviene per l'amore proprio di loro, lo quale l'ha tolto lo lume: e però non cognoscono la verità. Ma se essi si volessero cavare la nuvola, la cognosciarebbero e amarebbero, e così avrebbero ogni cosa in reverenzia; e nel tempo de la ricolta ricevarebbero lo frutto. Ma in tutto, e in questo e in ogni altra cosa, figli miei, adempirò lo desiderio loro, con molto sostenere; e la mia providenzia sarà presso di loro, poco e assai, secondo la misura che essi si confideranno in me. E ciò che io provedarò più che la misura loro non tiene, lo farò per adempire lo desiderio dei servi miei che per loro mi pregano, perché io non sono dispregiatore di coloro che umilemente m'adimandano o per loro o per altrui: io t'invito a chiedere misericordia a me per loro e per tutto quanto lo mondo. Concepete, figli, e parturite lo figlio dell'umana generazione, con odio e pentimento del peccato, e con ardente e spasimato amore».

O carissimo e dolcissimo padre, allora, vedendo e udendo tanto da la prima dolce Verità, lo cuore per mezzo pareva che si partisse. Io muoio e non posso morire. Abbiate compassione alla miserabile figlia, che vive in tanto stento per tanta offesa di Dio, e non ha con cui sfogarsi; se non che lo Spirito santo mi possiede proveduto dentro da me con la clemenza sua, e di fuore mi possiede proveduto di spassarmi con lo scrivere.

Confortianci tutti in Cristo dolce Gesù e le pene ci sieno refrigerio, e acettiamo con grande sollicitudine lo dolce invitare, e senza negligenzia, padre dolce. Rallegratevi, poiché tanto dolcemente sete chiamato; e sostenete con grande allegrezza e pazienza, senza pena affliggitiva, se volete essere sposo della verità, e consolare in voi l'anima mia. In altro modo non potreste avere la grazia, e me terreste in grande amaritudine. E però vi dissi che io desideravo di vedervi seguitatore e amatore della verità.

Altro non dico. Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Benedite frate Matteo in Cristo dolce Gesù.

Questa lettera, e un'altra che io ve ne mandai, ho scritte di mia mano in su l'Isola della Rocca, con molti sospiri e abondanzia di lacrime, in tanto che l'occhio, vedendo, non vedeva; ma piena d'amirazione ero di me medesima, e de la bontà di Dio - considerando la sua misericordia verso le sue creature che hanno in loro ragione -, e de la sua providenzia, la quale abondava verso di me, che per refrigerio, essendo privata de la consolazione - la quale per mia ignoranza io non cognobbi - m'aveva dato e proveduto col darmi l'attitudine dello scrivere, a ciò che, discendendo da l'altezza, avessi un poco con che sfogare lo cuore perché non scoppiasse. Non volendomi trare ancora di questa tenebrosa vita, per amirabile modo me la formò nella mente mia, sì come fa lo maestro al fanciullo, che gli dà l'essemplo. Unde, subito che fuste partito da me, col glorioso evangelista e Tomaso d'Aquino così dormendo cominciai a imparare.

Perdonatemi del troppo scrivere, poiché le mani e la lingua s'accordano col cuore. Gesù dolce, Gesù amore.



273. Questa lettera mandò essa Caterina al padre dell'anima sua frate Raimondo, notificandoli una singulare grazia impetrata per uno giovane perugino, al quale in Siena fu tagliata la testa, ed ella la ricolse in mano.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e figlio mio caro in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi affogato e anegato nel sangue dolce del Figlio di Dio, lo quale sangue è intriso col fuoco dell'ardentissima carità sua.

Questo desidera l'anima mia, cioè di vedervi in esso sangue, voi e Nanni e Iacomo. Figlio, io non vedo altro remedio che veniamo a quelle virtù principali le quali sono necessarie a noi. Non potrebbe venire, dolcissimo padre, l'anima vostra, la quale mi s'è fatta cibo - e non passa ponto di tempo che io non prenda questo cibo alla mensa del dolce Agnello, dissanguato con tanto ardentissimo amore -: dico che, se non fuste anegati nel sangue, non perverreste alla virtù piccola de la vera umilità, la quale nasciarà dell'odio, e l'odio da l'amore. E così l'anima n'esce con perfettissima purezza, sì come lo ferro esce purificato de la fornace. Così voglio che vi serriate nel costato aperto del Figlio di Dio, lo quale è una bottega aperta, piena d'odore, in tanto che il peccato diventa odorifero. Ine la dolce sposa si riposa nel letto del fuoco e del sangue, ine vede ed è manifestato lo segreto del cuore del Figlio di Dio. O botte spillata, la quale dai bere e inebbrii ogni inamorato desiderio, e dai letizia e illumini ogni intendimento, e riempi ogni memoria che ine s'affatica, in tanto che altro non può ritenere, né altro intendere, né altro amare se non questo dolce e buono Gesù, sangue e fuoco, ineffabile amore! Poi che l'anima mia sarà beata di vedervi così anegati, io voglio che facciate come colui che attegne l'acqua con la secchia, la quale acqua è il santo desiderio: versate l'acqua sopra il capo dei fratelli vostri, i quali sono membri nostri, legati nel corpo de la dolce sposa. E guardate che per illusione di demonio, le quali so che v'hanno dato impaccio e daranno, o per detto di creatura, non tiriate adietro, ma sempre perseverate, ogni otta che vedeste la cosa più fredda, infine che vediamo spargere lo sangue con dolci e amorosi desiderii.

Su su, padre mio dolcissimo, e non dormiamo più, ché io odo novelle che io non voglio più né letto né testi. Ho cominciato già a ricevare uno capo nelle mani mie, lo quale mi fu di tanta dolcezza, che il cuore nol può pensare, né la lingua parlare, né l'occhio vedere, né orecchie udire. Andò lo desiderio di Dio, tra gli altri misterii fatti inanzi, i quali non dico ché troppo sarebbe longo.

Andai a visitare colui che vi sapete, e egli ricevette tanto conforto e consolazione che si confessò e disposesi molto bene. E fecemisi promettare per l'amore di Dio che, quando venisse lo tempo della giustizia, io fusse con lui, e così promisi e feci. Poi, la mattina inanzi la campana, andai a lui, e ricevette grande consolazione; menà'lo a udire la messa e ricevette la santa comunione, la quale mai più non aveva ricevuta. Era quella volontà acordata e sottoposta alla volontà di Dio; solo v'era rimaso uno timore di non essere forte in su quello punto: ma la smisurata e affocata bontà di Dio lo ingannò, creandoli tanto affetto e amore nel desiderio di Dio, che non sapeva stare senza lui, dicendo: «Sta' con me e non m'abbandonare, e così non starò altro che bene, e morrò contento!»; e teneva lo capo suo in sul petto mio.

Io sentivo uno giubilo, uno odore del sangue suo, e non era senza l'odore del mio, lo quale io aspetto di spandere per lo dolce Sposo Gesù. Crescendo lo desiderio nell'anima mia e sentendo lo timore suo, dissi: «Confortati, fratello mio dolce, ché tosto giognaremo alle nozze. Tu n'andarai bagnato nel sangue dolce del Figlio di Dio, col dolce nome di Gesù, lo quale non voglio che t'esca de la memoria; io t'aspettarò al luogo de la giustizia». Or pensate, padre e figlio, che il cuore suo perdette ogni timore, la faccia sua si transmutò di tristizia in letizia; godeva e essultava e diceva: «Unde mi viene tanta grazia che la dolcezza dell'anima mia m'aspettarà al luogo santo de la giustizia?» (è gionto a tanto lume che chiama lo luogo de la giustizia luogo santo!) E diceva: «Io andarò tutto gioioso e forte, e parrammi mille anni che io ne venga, pensando che voi m'aspettarete ine»; e diceva parole tanto dolci che è da scoppiare della bontà di Dio! Aspettà'lo al luogo de la giustizia e aspettai ine con continua orazione e presenza di Maria e di Caterina vergine e martire. Inanzi che giognesse egli, posimi giù, e distesi lo collo in sul ceppo; ma non mi venne fatto che io avessi l'affetto pieno di me ine su. Pregai e constrinsi Maria che io volevo questa grazia, che in su quello punto gli desse uno lume e pace di cuore, e poi lo vedesse tornare al fine suo. Empissi tanto l'anima mia che, essendo la moltitudine del popolo, non potevo vedere creatura, per la dolce promessa fatta a me. Poi egli gionse, come uno agnello mansueto, e, vedendomi, cominciò a ridere, e volse che io gli facesse lo segno de la croce; e, ricevuto lo segno, dissi: «Giuso alle nozze, fratello mio dolce, che testé sarai alla vita durabile!» Posesi giù con grande mansuetudine, e io gli distesi lo collo, e chinà'mi giù e ramentà'li lo sangue de l'Agnello: la bocca sua non diceva se non «Gesù» e «Caterina», e così dicendo ricevetti lo capo ne le mani mie, fermando l'occhio nella divina bontà, dicendo: «Io voglio!».

Allora si vedeva Dio e Uomo, come si vedesse la chiarità del sole, e stava aperto e riceveva sangue nel sangue suo: uno fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell'anima sua per grazia, riceveva nel fuoco della divina sua carità. Poi che ebbe ricevuto lo sangue e il desiderio suo, ed egli ricevette l'anima sua e la misse nella bottega aperta del costato suo, pieno di misericordia, manifestando la prima Verità che per sola grazia e misericordia egli lo riceveva, e non per veruna altra opera.

O quanto era dolce e inestimabile a vedere la bontà di Dio, con quanta dolcezza e amore aspettava quella anima partita dal corpo - volto l'occhio de la misericordia verso di lui - quando venne a entrare dentro nel costato, bagnato nel sangue suo, che valeva per lo sangue del Figlio di Dio - così ricevette da Dio per potenza: fu potente a poterlo fare -; e il Figlio, sapienza Verbo incarnato, gli donò e feceli participare lo crociato amore col quale egli ricevette la penosa e obrobiosa morte, per l'obedienzia che egli osservò del Padre in utilità de l'umana natura e generazione; le mani de lo Spirito santo lo serravano dentro. Ma egli faceva uno atto dolce, da trare mille cuori - non me ne maraviglio, poiché già gustava la divina dolcezza -: volsesi come fa la sposa quando è gionta all'uscio de lo sposo, che vòlle l'occhio e il capo adietro, inchinando chi l'ha acompagnata, e con l'atto dimostra segni di ringraziamento.

Riposto che fu, l'anima mia si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue che io non potei sostenere di levarmi lo sangue, che m'era venuto adosso, di lui. Oimé, misera miserabile, non voglio dire più: rimasi nella terra con grandissima invidia. Parmi che la prima pietra sia già posta, e però non vi maravigliate se io non v'impongo che il desiderio di vedervi altro che anegati nel sangue e nel fuoco che versa lo costato del Figlio di Dio.

Or non più negligenzia, figli miei dolcissimi, poi che il sangue cominciò a versare e a ricevare vita.

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