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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 19:14

[SM=g27998] Inseriamo le ultime cinquanta Lettere

331 A don Piero da Milano, monaco di Certosa.

332 A Pietro di Giovanni e Stefano di Corrado in Siena, essendo ella a Roma.

333 A frate Raimondo da Capua de l'ordine dei Predicatori, padre dell'anima sua.

334 A misser Buonaventura da Padova cardinale de l'ordine dei frati eremitani, in Firenze.

335 A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo Martino di Napoli.

336 Alla priora e monache del monasterio di santa Agnesa di Montepulciano

338 A missere Andreasso dei Cavalcabuoi, allora Senatore di Siena.

339 AI signori Priori del Popolo e Comune di Perogia.

340 A madonna Agnesa da Toscanella, serva di Dio di grandissima penitenzia.

341 A missere Angelo, nuovamente eletto vescovo Castellano.

342 A don Roberto da Napoli, prete secolare.

343 A Reginaldo da Capua.

344 A frate Raimondo da Capua, singolare padre dell'anima sua, de l'ordine dei Predicatori, in Genova.

345 A la contessa Giovanna di Meleto e di Terra Nuova, in Napoli.

346 Al santo padre papa Urbano VI, presentandoli cinque mele aranci confette coperte d'oro.

347 Al conte Alberigo da Barbiano capitano generale della Compagna di san Giorgio, e agli altri caporali, a dì 6 di maggio 1379

348 Alla Reina Giovanna di Napoli, a dì 6 di magio.

349 AI signori Bandaresi e quattro Buoni uomini mantenitori della republica di Roma, a dì 6 di maggio 1378 (in abstractione facta).

350 Al Re di Francia.

351 A papa Urbano VI a dì 30 di magio 1379, in Roma, tornato a Santo Piero.

352 A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli

353 A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

354 A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

355 A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

356 A tre donne vedove spirituali di Napoli.

357 Al re d'Ungaria.

358 A maestro Andrea di Vanni depintore, essendo Capitaneo di popolo di Siena.

359 A Leonardo Freschiubaldi da Firenze.

360 A Peronella, figlia di Masello Pepe da Napoli.

361 A una donna napolitana grande con la reina, al tempo che essa reina era rebella a papa Urbano VI.

362 A la reina che fu di Napoli.

363 A maestro Andrea di Vanni dipentore.

364 Al papa Urbano VI predetto.

365 A Stefano di Corrado Maconi.

366 A maestro Andrea di Vanni dipentore.

367 Ai magnifici Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena

368 A Stefano Maconi sopradetto.

369 Al detto Stefano Maconi essendo essa a Roma (e questa fu l'ultima a lui).

370 Al papa Urbano VI.

371 Certi misterii nuovi che Dio adoperò nell'anima de la santa sua sposa Caterina la domenica de la Sessagesima, sì come di sopra si fa menzione, i quali essa significò al detto maestro Raimondo.

372 Al missere Carlo della Pace dovendo venire in adiuto della santa Chiesa, lo quale poi fu re di Puglia overo di Napoli.

373 A maestro Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori ne la quale epistola essa predice la morte sua a dì 15 di febraio 1380 e poi morì a dì 29 d'aprile 1380.

374 A messer Bartolomeo della Pace.

*375 DESTINATARIO IGNOTO

*376 DESTINATARIO IGNOTO Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

*377 AI signori Priori dell'arte e il Confaloniere della giustizia della città di Firenze.

*378 A Piero Canigiani da Fiorenze

*379 Alla priora e monache di santa Agnesa da Montepulciano.

*380 DESTINATARI IGNOTI.

*381 A messer Giacomo di Viva, a la costarela dei barbieri.

*382 A monna Tora e a monna Giovanna, sua figlia e donna di Giovanni Trenta da Lucca.

*383 A Gianetta e Antonia e Caterina e a quella da Vercelli, le quali sono tornate a Cristo

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331. A don Piero da Milano, monaco di Certosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e amatore del sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue, ripensandolo sparto con tanto fuoco d'amore, ricevarete vita di grazia; e lavaràvi la faccia de l'anima vostra: poiché egli c'è dato per lavare le macchie dei nostri difetti.

Ma non ci darebbe però questo sangue vita, né lavrebbe la faccia dell'anima, se l'anima colla memoria del sangue, ripensando lo fuoco della divina carità, non essercitasse la vita sua in virtù: non per difetto del sangue, ma di noi che non riceviamo lo frutto del sangue - cioè non esercitando l'affetto della carità che trova nel sangue; la quale carità, ricevendola noi, ci dà frutto di grazia -. Perciò non è da dormire, mentre che aviamo lo tempo, nel letto della negligenzia, ma con sollecitudine empire lo vasello della memoria del ricordo del sangue - e aprire l'ochio dello intelletto nella sapienza e dottrina del Verbo -, e del fuoco dell'amore con che ci ha dato lo sangue. In questo fuoco la volontà nostra corrirà ad amare quello che l'intelletto vidde e cognobbe. Inebriarenci di questo prezioso sangue; e per amore del sangue desideraremo, con affetto d'amore di virtù, di dare lo sangue e la vita per amore della vita. Riputarenci indegni di giognere a tanta dignità quanta è di ricevare la rosa vermiglia.

Tutte le 'niquità nostre con questo desiderio, in virtù del sangue, saranno spente e tolte da noi: scritti saremo nel libro della vita, e privati saremo della compagnia deli demoni. Veruna angoscia né battaglia del demonio, né quelle degli uomini, ci potranno nuociare, né togliere la nostra allegrezza: questo sangue ci farà portare ogni pena e fatica, con vera e santa pazienza; anco ci gloriaremo, col dolce di Pavolo, nelle tribolazioni. Vorrenci conformare con le pene e obrobrii di Cristo crocifisso: vestirenci d'obrobrii, di scherni e villanie, per onore di Dio e salute delle anime. Oh quanta è beata quella anima che così dolcemente passa questo mare tempestoso, e l'angosce del mondo, con vigilia e con umile e continova orazione, accesa nel fuoco per santo desiderio, inebriata e annegata nel sangue. Con questo sangue nell'ultimo della vita nostra riceveremo lo frutto d'ogni nostra fatica.

Questo sangue tolle ogni pena e dà ogni diletto; priva l'uomo di sé - e trovasi in Dio. Egli lo fa abandonare la propria sensualità perché, coll'amore che trovò nel sangue, ha cacciato l'amore proprio di sé medesimo. Siede sopra la sedia della conscienzia sua, e tiensi ragione: non lassa passare i movimenti, che venissero nel cuore, d'impazienzia, per scandoli e mormorazioni del prossimo suo, o di qualunque altro difetto si fusse; ma con pazienza, senza sdegno o giudicio alcuno, porta realmente. In ogni cosa giudica la dolce volontà di Dio; è pronto nell'ubidienzia, sempre in osservarla obedendo a l'Ordine e al prelato suo, perché nel sangue gustò l'obbedienzia del Verbo. Non ha pena, perché s'ha tolta la volontà e messa nelle mani del suo prelato, per Dio, giudicando la volontà sua ne la volontà di Dio. Questi non sente fatica, perché ha morta in sé la propria e perversa volontà, che sempre dà fatica, la quale uccise nel sangue; egli gusta la caparra di vita eterna: sempre ha pace e quiete ne l'anima sua, perché s'ha tolta quella cosa che gli dava guerra.

Perciò, poiché tanto bene ne segue, è continovamente da empirsi la memoria del santo ricordo di questo sangue, come detto è, sparto con tanto fuoco d'amore. E non doviamo passare punto di tempo che l'ochio dell'intelletto nostro non si ponga per oggetto lo sangue di Cristo crocifisso, dove trova la verità del sommo e eterno Padre, manifestata a noi col mezzo del sangue. Perciò levianci, e consumiamo i dì nostri realmente rilucendo in noi le margarite delle virtù, le quali drittamente sono margarite per le quali i veri servi di Dio vendono ciò ch'egli hanno (Mt 13,45-46), cioè la propria volontà, che è libera loro, per comprarle. Di questo v'invito e vi prego carissimamente che facciate.

Oh quanto sarà beata quella anima che, in questa vita, mentre che vive non perdarà lo tempo suo, ma con sollecitudine, comprata questa margarita, lavorarà nella vigna sua, trattone le spine dell'amore proprio e d'ogni altro difetto, e piantandovi le virtù - le quali chiamammo margarite -, e inaffiaralla col sangue di Cristo. Bene gusta vita eterna, vedendo per grazia e non per debito avere ricevuta la vita del sangue - acordata con la dolce volontà di Dio la volontà sua: la quale volontà essendo morta in noi e viva in lui, nell'ultimo della vita nostra riceveremo l'eterna visione di Dio -. In cui virtù? Non in nostra, ma solo in virtù del sangue; e non in altro modo. Considerando me che altra via non c'è, dissi ch'io desideravo di vedervi gustatore e amatore del sangue; e così voglio che noi facciamo. Non dico più qui.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Ho ricevuta una lettera vostra, la quale vidi con allegrezza sentendo del santo e buono desiderio, che voi avete della bontà di Dio, di ponare la vita per gloria e loda del nome suo. Rispondovi a la prima parte, di ricevare i peccati vostri: liberamente prometto in quella dolce carità di Dio, che ci dié lo sangue del suo Figlio, ch'io gli ricevo sopra di me, pregando la divina bontà che le colpe vostre punisca sopra lo corpo mio. Così per questo modo si trovaranno consumati i peccati miei e vostri nella fornace de la divina carità. Anco lo pregarò che per la infinita sua misericordia ci faccia grazia che noi diamo la vita per lui; e voi in questo mezzo vi notricate di sangue: forniscasi la navicella dell'anima de le reali virtù.

Anco vi rispondo e prometto che, se lo tempo ci viene, lo quale è desiderato da voi e dagli altri servi di Dio, e che mi sia possibile di chiedare licenzia dal Vicario di Cristo, io lo farò volontieri, affinché vegga compito in voi lo santo desiderio. Pregatelo pure che non s'indugi più: io, per me, muoio e non posso morire, di vedere offendere tanto lo nostro Creatore nel corpo mistico della santa Chiesa, e contaminare la fede nostra da quegli che sono posti per alluminarla: di tutto sono cagione i difetti miei. Nascondianci nel costato di Cristo crocifisso, e ine bussiamo a la sua misericordia. Gesù dolce, Gesù amore.




332. A Pietro di Giovanni e Stefano di Corrado in Siena, essendo ella a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi cavalieri virili, sì e per sì-fatto modo che siate vencitori dei principali tre vostri nemici.

O figli dolcissimi, questi tre nemici sono lo demonio, lo mondo, e la carne: i due primi, agevole cosa è a noi a vinciarli, poiché al demonio fu tolta la potenza che aveva sopra di noi, col mezzo del sangue del Figlio di Dio, in tanto che non può sopra di noi, se non quanto noi vogliamo, quanto a colpa; può ben darci le molte molestie con varie e diverse cogitazioni, ma costringiar non ci può a una minima colpa, perché nel detto sangue dell'umile e immacolato Agnello siamo fortificati, e usciti della servitudine sua.

Lo mondo, che ci può fare? Non nulla. Può ben percuotare la corteccia di fuore del corpo nostro, coi le molte persequizioni, strazii, scherni, infamie e villanie; ma che sente il servo di Dio di tutte queste cose nel midollo dell'anima? Non nulla. Lo mondo s'afatica in dargli le molte tribulazioni, e egli si gode, perché ha posto l'affetto suo in Dio, unde viene ogni gauldio. Egli ha eletto di portare per Cristo crocifisso, unde tanto ha bene, quanto si vede sostenere senza colpa, perché allora più si conforma con lui, sì che bene è vero che questi due nemici sonno agevoli a venciare.

Ma lo terzo, de la carne nostra, cioè de la propria sensualità, è una legge perversa che sempre combatte contro lo spirito, e mai non passa quasi punto di tempo ch'ella non voglia per qualche modo ricalcitrare alla volontà di Dio. Ella è quella parte in noi che ci fa alapidare i messi di Dio: cioè che tutte le buone 'spirazioni, che la divina clemenza manda nel cuore nostro, ci fa porre doppo le spalle, in tanto che nessuna ce ne lassa mettare in asequizione, mentre che le crediamo. E per lo contrario tutte le inique cogitazioni che il demonio ci dà - le quali li sonno permesse da Dio che ce le dia, per acrescimento di perfezione e di grazia in noi, e non perché ci lassiamo vinciare - questa perversa passione sensitiva tutte ce le fa mettare in opera. Ella è, brevemente, quella cosa che ci priva di Dio, e in questa vita ci tiene in continova amaritudine. Bene dobiamo dunque armarci contro questo nemico.

Voglio dunque che ciascuno di voi faccia di sé due parti, cioè la sensualità e la ragione, e che esse sieno nemici mortali. La ragione s'armi, pigliando il coltello dell'odio e de l'amore; e non vole essere presa questa guerra lentamente, ma con efficacia, e al tutto ingegnarsi d'ucidarla: perché bene si debba ucidare quella cosa che ci priva della vita della grazia, facendoci ricalcitrare a Dio. E usa alcune volte questa maladetta legge uno grande inganno per farci cadere magior botto: ch'ella s'adormentarà, e parrà che sia morta in noi, non trovandoci alcuna impugnazione, ma con aceso fervore tutti i nostri atti e pensieri saranno drizzati in Dio, con una dolcezza, che ci parrà gustare vita eterna. Ma se noi alentiamo la guerra e poniamo giù lo coltello e non ci essercitiamo con solecitudine, ella si desta più forte che mai, e facci cadere alcune volte miserabilmente.

Perciò voglio, figli miei, che pigliate questa guerra con intenzione di non fare mai pace, ma continovamente crescerla, dandole sempre quello che le dispiace; e mai non concederle cosa che le piaccia. Lo cane della coscienza abbai a destare questa ragione; e non passi uno minimo pensiero nel cuore, che la ragione non lo essamini; e neuno movimento reo passi, che non sia punito con rimproverio.

Questa miserabile sensualità sia la serva, e la ragione sia la donna, come debbano essere; ma se fuste negligenti o tiepidi mai non vinciareste questo nemico, né gl'altri due, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi cavalieri virili, affinché ne foste vincitori. Orsù, figli, pigliate questo coltello, e non esca mai de la mano del libero albitrio fino alla morte: poiché fino allora bastarà il vostro nemico, lo quale ci è stato lassato da Dio per nostra utilità, affinché le virtù sieno acquistate con sudore, mediante la grazia sua. Non dico più qui.

Rispondo a la lettera che tu, Petro, mi mandasti. Io m'avedrò bene se tu hai desiderio d'uscire di casa, e venire qua: che, se n'arai voglia, con ogni solecitudine brigarai di spaciarti di tutte le faccende che ti restano a fare, a ciò che, sciolto, in tutto possi seguire Cristo crocifisso. Ma tu negligente, e non hai preso quello coltello che di sopra è detto, unde lo desiderio santo che Dio t'ha dato nol metti in aseguizione. So bene che tu non credi ch'io ti voglia abandonare: che così ti venga la morte a te e gl'altri, come ogni dì di nuovo vi parturisco nel cospetto di Dio per continova orazione, e più in cui si vede lo bisogno. Or briga di rinovarti, e il simile dico a te, Stefano: che con solecitudine vi studiate di levarvi dal mondo, e corrire a Dio, che v'aspetta coi le braccia aperte. Venitene tosto.

La santa Chiesa e papa Urbano VI per la dolce bontà di Dio ha a questi dì avuto le più rilevate novelle che avesse già buon tempo. Mandovi con questa una lettera che va al baceliere, nella quale potrete vedere come Dio comincia a versare le grazie sopra la dolce Sposa sua; e così, spero per la sua misericordia che seguitarà, montiplicando di dì in dì i doni suoi. So che la verità sua non può mentire, e egli ha promesso di riformarla con molto sostenere dei servi suoi, e col mezzo de l'umili e continove orazioni fatte con lacrime e sudori. Unde io v'invito di nuovo a bussare a la porta della misericordia sua con perseveranza: ché io vi prometto che, se persevereremo in bussare ci sarà aperto, e così dite a cotesti altri figli, e benediteli per nostra parte. La nonna e Lisa e tutta l'altra povarella famiglia vi confortano in Cristo.

Rimanete etc.

Quando tu, Stefano, ne vieni etc. Gesù dolce, Gesù amore.

Data Rome, die primo ianuari 1379.




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