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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 19:29

351. A papa Urbano VI a dì 30 di magio 1379, in Roma, tornato a Santo Piero.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Padre santissimo, lo Spirito santo obumbri l'anima e il cuore e l'affetto vostro del fuoco della divina carità, e infonda uno lume sopra naturale nell’intelletto vostro per sì-fatto modo che nel lume vostro noi pecorelle vediamo lume, e che neuno inganno che il demonio vi volesse fare con le malizie sue possa essere occulto a la Santità vostra.

Desidero, padre santissimo, di vedere compire in voi tutte l'altre cose che la dolce volontà di Dio vi richiede, delle quali so che avete grandissimo desiderio. Spero che questo dolce fuoco dello Spirito santo adoperarà nel cuore e nell'anima vostra, sì come fece in quegli discepoli santi - che lo' dié fortezza e potenza contro i dimonii visibili e contro gl'invisibili: nella virtù sua atterravano i tiranni del mondo, e nel sostenere dilatavano la fede -: dié loro uno lume con una sapienza in conoscere la verità e la dottrina che essa Verità avea lasciata. Unde l'affetto, che va dietro a l'intelletto, gli vestì del fuoco della sua carità, intanto che perderono ogni timore servile e piacere umano, e solo attendevano a l'onore di Dio, e a trare l'anime delle mani deli demoni: e di quella verità che si trovavano illuminati, volevano porgere a ogni creatura. Ma doppo la molta vigilia, umile e continua orazione, e molta fatica mentale che essi ebbono questi dieci dì, furono ripieni di questa fortezza dello Spirito santo, sì che innanzi andò la fatica e l'essercizio santo.

O padre santissimo, pare che c'insegnino, e ogi confortino la Santità vostra; e pare che ci diano la dottrina in che modo possiamo ricevere lo Spirito santo. Per che modo? Che noi stiamo nella casa del cognoscimento di noi, nel quale cognoscimento l'anima sta sempre umile, che nella allegrezza non disordina, né nella tristizia viene a impazienzia: ma tutto è matura e paziente in questo cognoscimento, perché ha conceputo odio alla propria sensualità. In questa casa sta in vigilia e continua orazione, perché lo intelletto nostro debba veghiare in conoscere la verità della dolce volontà di Dio; e non dorme nel sonno de l'amore proprio. Allora riceve la continua orazione, cioè il santo e vero desiderio, col quale desiderio essercitiamo la virtù, che è uno continuo orare; unde non cessa d'orare chi non cessa di ben adoperare. Per questo modo riceviamo questa dolce fortezza; Perciò seguiamo questo dolce modo con vera e santa sollicitudine, giusta il nostro potere. Dico che essi confortano voi vero e sommo pontefice, mostrandovi la virtù divina con aiuto suo, ché non con forza umana conquistarono tutto lo mondo e tolsero le tenebre della infedelità, ma nella fortezza, sapienza e carità di Dio, la quale non è infermata per voi né per veruna creatura che si confidi in lui.

Perciò, bene è vero che in questa fortezza vi confortano in questa necessità della Sposa vostra; e non tanto per fede ci sete confortato, ma per opera: perché già quattro semane singularmente aviamo veduto che la virtù di Dio ha operate mirabili cose fatte per mezzo di vili creature, affinché vediamo manifestamente che egli è colui che adopera, e non la potenza umana. Perciò a lui ne rendiamo la gloria, e siamoli grati e conoscenti. Godo, padre santissimo, d'allegrezza cordiale ché gli occhi miei hanno veduto compire la volontà di Dio in voi, cioè in quello atto umile, non usato già grandissimi tempi, della santa processione. Oh quanto è stato piacevole a Dio, e spiacevole ali demoni, in tanto che si sforzarono di darvi scandalo dentro e di fuore, ma la natura angelica raffrenava la furia deli demoni.

Ora dissi ch'io desideravo di vedere compita in voi questa volontà dolce di Dio in ogni altra cosa; e però vi ramento che la verità vuole che diate pensiero e sollicitudine in dirizare e ordinare la Chiesa di Dio l'uno dì doppo l'altro, secondo che v'è possibile, nel tempo che voi avete. Ed egli sarà colui che adoperarà per voi: daravi fortezza a poterlo fare; e lume a conoscere quello che è necessario, con sapienza e prudenzia, a dirizzare la navicella sua; e la volontà a volerlo fare, la quale già v'ha data, ma cresciaralla per la sua infinita misericordia. In questa virtù sconfiggiarete i tiranni, levarete le tenebre de l'eresia, perché esso medesimo dichiara e dichiararà questa verità.

Godo che questa dolce madre Maria, e Pietro dolce, principe degli apostoli, v'ha rimesso nel luogo vostro.

Ora vuole la eterna verità che nel giardino vostro facciate uno giardino di servi di Dio; e ine ve gli nutrichiate della substanzia temporale, ed essi voi delle spirituali, che non abbiano a fare altro che gridare nel conspetto di Dio per lo buono stato della santa Chiesa, e per la Santità vostra. Questi saranno quelli soldati che vi daranno perfetta vittoria; e non tanto sopra i malvagi cristiani, i quali sonno membri tagliati dalla santaobbedienza, ma sopra gl'infedeli, dei quali ho grandissimo desiderio di vedere rizzato il gonfalone della croce santa sopra di loro, e già pare che ci vengano ad invitare. Quello sarà allora doppio diletto. Or cresciamo, e notrichianci nelle vere e reali virtù; entriamo nella casa del cognoscimento di noi, a ciò che nel modo detto riceviamo la plenitudine dello Spirito santo.

Confortatevi, padre mio santissimo, ché Dio vi darà rifregerio: doppo la grande fatica segue la grande consolazione, perché egli è accettatore dei santi e veri desiderii. E ora si cominci gli affetti e gli atti umili, imparando da l'umile Agnello del quale sete vicario, con vera constanzia fino a la morte e con ferma speranza nella providenzia sua, dilettandovi sempre nel nostro Creatore e negli umili servi suoi, sì com'io so che la Santità vostra si diletta; ma io vi ricordo perché la lingua non può fare che non satisfaccia a l'abondanzia del cuore, ma principalmente perché mi sento stimolare la conscienzia dalla dolce bontà di Dio.

Abbiate pazienza in me, che tanto vi gravo, o per uno modo o per un altro; e perdonate alla mia presunzione. Sono certa che Dio vi fa vedere più l'affetto che le parole. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. La dolce eterna bontà di Dio, Ternità eterna, vi doni la grazia sua, con plenitudine del fuoco della sua carità; in tanto che nelle vostre mani si riformi la santa Chiesa, e che facciate sacrificio di voi a Dio. Altro non dico.

Rimanete etc.

Godete ed essultate nei dolci misterii di Dio. E se in veruna cosa ho offeso Dio o la Santità vostra, me ne rendo in colpa, e pregovi che mi perdoniate, apparechiata ad ogni penitenza. Gesù dolce, Gesù amore.



352. A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli, la quale era tribolata e aveva pena per lo stare il marito in Roma col santo padre Urbano VI, che è suo consubrino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in Dio, in lui confidarvi e non nelle creature: poiché maladetto si può chiamare colui che si confida nell’uomo.

Oh quanto male ne segue, e danno dell'anima nostra, e quanto è vana questa speranza!. La lingua nostra nol potrebbe narrare. Ella è vana e transitoria, perché in vano s'affatiga colui che cerca le delizie, stati e ricchezze del mondo. Chi ci mostra che ella è vana? La poca fermezza che troviamo in loro: ché, quando noi le crediamo bene tenere, elle ci vengono meno, o per divina dispensazione che ce le tolle per nostro bene, o per lo mezzo della morte, partendoci di questa tenebrosa vita. E tale ora crediamo fare il grande guadagno, e venire in grandissimo stato, che noi perdiamo quello che aviamo; e se noi pure il teniamo, tenianlo con grande fatiga, e con disordinato timore e paura di non perderlo: diventanell’uomo incomportabile a sé medesimo. Bene è dunque vana; e matto è l'uomo che ci pone speranza.

Dico che fa danno, perché ci priva della signoria e libertà, e facci servi, ché di quello che la persona ama, di quello si fa servo. Unde se disordinatamente amiamo le creature, o le cose create, fuore di Dio, noi offendiamo, e offendendo Dio ci facciamo servi e schiavi del peccato, che non è, e delle cose create, che tutte sono meno di noi. Anco, elle sono create perché servano a noi, e noi per servire a Dio. E noi facciamo il contrario servendo ad esse, e diserviamo il nostro Creatore. Elle ci privano del lume, che non ci lassano vedere né conoscere la verità; sì come l'occhio che è infermo non può raguardare la luce, così l'occhio dell'anima, dove è venuta la infermità del disordinato amore, perde per sì-fatto modo la luce, che non può conoscere né sé né Dio, cioè la propria miseria e la infinita bontà di Dio.

Egli perde la ricchezza delle virtù, perché è tagliato dall'affetto della carità, nella quale sono legate tutte le virtù. Ine non è carità di Dio né del prossimo; e nol serve se non per propria utilità. Non v'è umilità vera, perché v'è la propria reputazione, con la quale si diletta d'essere tenuto grande e avere il grande stato. Tutto il suo studio è di piacere alle creature perché piace a sé medesimo; e più studia di piacere ad esse che al Creatore. E se riceve ingiuria, la porta con grande impazienzia. O se serve il prossimo o i parenti suoi, e non ne riceva onore o propria utilità, non v'ha pazienza, e volentieri abandonerebbe il servizio suo.

Questo fa lo proprio amore; e voi sapete bene che così è: perché forse alcuna cosa ne provate in voi medesima, per lo stare che fa qui messere Ceccolo, del quale stare v'incresce. Ma se vedeste che gli fosse risposto al servizio che fa, e ricevesse del fumo del mondo, cioè della gloria umana, non ve ne increscerebbe così. Ma bene credo che questa pena riceviate più per detto delle creature che vi molestano, e per un cotale onore mondano, che per propria utilità che voi ne voleste. Questo non è bene, anco è grande difetto, e non è sanza offesa di Dio; e statene voi in afflizione d'anima e di corpo, e a lui ne date pena. Non voglio che facciate così, poiché segno sarebbe che la speranza e l'affetto vostro fosse posto più nelle creature e ne l'onore del mondo che nel Creatore, la qual cosa non si debbe fare. Ma dovete essere tutta virile, e farvi beffe del mondo, considerando un poco dei beni del cielo e de l'onore di Dio, e non dei beni della terra e del proprio onore vostro. Questo voglio che faciate.

E rispondete a chi vi dicesse il contrario, che con uno santo desiderio vogliate che messere Ceccolo serva fedelmente con tutto il cuore e con tutto l'affetto Cristo in terra, e la santa Chiesa, sanza rispetto di stato, di grandezza o di propria utilità, ma solo per onore di Dio, e per lo debito, sì come debbe fare il figlio al padre. Allora sarà servigio grato e piacevole a Dio, onore e utilità vostra. Utilità, dico, di grazia, la quale è quella utilità che Dio ci richiede che noi cerchiamo con grande sollicitudine. Questo farete se la vostra speranza sarà posta solamente in Dio, altrimenti no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in lui; e veramente il dovete fare, poi che vedete che tanto è nocivo a ponerla in sé, o nelle creature, o nelle cose create, fuore di Dio: e con grande danno tiene l'anima in molta amaritudine, sì come detto è.

Per lo contrario fa la speranza che l'uomo ha in Dio, perché la speranza procede da l'amore, ché sempre la creatura spera in colui cui ella ama. Unde se l'uomo ama la creatura, spera nella creatura; e se egli ama il suo Creatore, spera solamente in lui; e l'amore, cioè l'affetto della carità, non dà altro che allegrezza nel cuore che la possiede: Perciò nella speranza ha grandissima allegrezza. Tutto il bene e utilità che si trova nella carità, si trova nella speranza, perché ella procede da lei. Ella è umile e benigna a chi le fa ingiuria; ella è paziente in sostenere le molte tribolazioni in qualunque modo Dio gliele concede; e anco più: ché ella desidera di portare per Cristo crocifisso, e di gloriarsi negli obrobrii suoi: ine si riposa, e in altro non si vuole gloriare perché non cerca la gloria propria, ma la gloria del nome di Dio. La speranza non cerca le cose sue, e però il suo servigio non è mercennaio: perché serve per carità, e non per guadagno che n'aspetti. Ella tolle ogni amaritudine, perché s'è spogliata della propria volontà sua, e vestita della dolce voluntà di Dio. Tanto è dolce e dilettevole che le cose amare le diventano dolci, e i grandi pesi diventano piccioli, e il dispiacere diventa piacere; tolle l'anima da la gravezza della terra, e falla leggiera; levala dalla conversazione dei mortali, e falla conversare con gl'immortali.

Di tanta utilità è questa speranza fondata in carità, come detto è, che ella dà guadagno, per uno, cento.

Come? che dando l'uomo solo la voluntà sua libera, riceve lo cento della carità; con la quale carità ha vita eterna. E però disse Cristo al glorioso apostolo Pietro, quando egli lo dimandò dicendo: «Maestro, noi aviamo lassato ogni cosa: che ci darai?» (Mt 19,27 Mc 10,28 Lc 18,28). Cristo rispuose: «Bene facesti, Pietro», quasi dica la dolce Verità: «In altro modo non mi potevi seguire», ché colui lo quale non renunzia alla propria voluntà non può seguire Cristo crocifisso. Poi subgiunse dicendo: «Io vi darò, per uno, cento; e vita eterna possederete» (Mc 10,30 Mt 19,29 Lc 18,30). Bene è dunque di grande utilità: di maggiore non può essere. Ella fa l'uomo libero e signore, perché lo trae della servitudine del peccato: e signoreggia la propria sensualità. Essendo signore di sé, è fatto signore del mondo, perché se ne fa beffe, rifiutando le pompe e le delizie sue, perché vede che non sono cosa ferma né stabile; e però n'ha levata la speranza, e postala nel suo Creatore, il quale è fermo e stabile che mai non si muove, e non ci può essere tolto se noi non vogliamo.

Oh quanto è beata quella anima che unisce il cuore e l'affetto suo in Dio, che è sua beatitudine! Avendo Dio, non cura d'altro, e però non si sente aggravare dalla impazienzia, se si vedesse perdere marito, figli, stato, ricchezze e onori del mondo, perché le tiene non come cosa sua, ma come cosa prestata.

Solo la divina grazia tiene come cosa sua. Non cura detto di creature che per parole, o per piacere alle creature, voglia offendere Dio in alcuno modo. Non fa come molte semplici che, per piacere alle creature, dispiaceranno al Creatore: entro le vanità, non che nell'altre cose, offenderanno solo per lo piacere umano; faranno resistenza a una grazia che Dio avrà posta nell'anima, di non curarsi d'adornare lo corpo suo con curiosi e dilicati vestimenti, e con lavamento di volto. Così si starà, mentre che è in casa, come persona che non curi di sé; poi per piacere sforza la natura, e ribella alla divina grazia, volendo apparere con l'altre in offesa di Dio e danno dell'anima sua. E chi la riprendesse, dicerebbe: «Io nol fo per me, ma per piacere allo sposo mio, e per non mostrarmi più trista che l'altre». Questa s'inganna, ché non conosce la virtù colà dove ella è, per il proprio piacere di sé medesima.

Ma quella che sta nell'affetto della carità, come detto è, il conosce bene; e però si spoglia d'ogni vanità e abraccia l'onestà, in ogni tempo, in ogni stato e in ogni luogo che ella è. In ogni cosa si pone Dio dinanzi agli occhi suoi; e ciò che fa, fa col santo timore suo. Ella participa il sangue di Cristo crocifisso, perché ha scaricata la conscienzia sua con la santa confessione, e contrizione e pentimento della colpa, e con piena satisfazione: e così riceve la vita della grazia. Or quanta differenza è, carissima madre, tra quelli che in verità sperano in Dio e quelli che non vi sperano! Non vi si può ponere comparazione alcuna.

Perciò che diremo? Diremo che l'uno ha sommo diletto, e l'altro ha somma miseria.

Bene ci dobiamo levare con grande sollicitudine da ogni amore sensitivo, e passare il tempo nostro con una dolce memoria di Dio e del sangue sparto con tanto fuoco d'amore per noi; dimostrando nel prossimo nostro l'amore che abiamo a lui, con una carità fraterna, subvenendolo nelle sue neccessità. Dilettianci d'udire la parola di Dio, della vigilia, e della continua e umile orazione, amando ogni cosa per Dio, e non sanza lui: qui voglio che si ponga la sollicitudine vostra, affinché riceviate il sommo e eterno bene che v'è apparecchiato. Altro non vi dico, etc.

Gesù dolce, Gesù amore.





353. A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime suore e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustare lo cibo angelico, poiché per altro non sete fatte; e a ciò che voi il poteste gustare, Dio vi ricomperò del sangue del suo Figlio (1P 1,18-19).

Ma pensate, carissime figlie, che questo cibo non si mangia in terra, cioè nell'affetto terreno, ma in alto; e però lo Figlio di Dio si levò in alto in su lo legno de la santissima croce, a ciò che in alto, in su la detta mensa, prendessimo questo cibo. Ma voi mi direte: «Quale è questo cibo angelico?». Rispondovi: è il desiderio che è nell'affetto dell'anima, lo quale desiderio trae a sé il desiderio di Dio; dei quali si fa una medesima cosa l'uno con l'altro. Questo è uno cibo che, mentre che siamo perregrini in questa vita, trae ad sé l'odore de le vere e reali virtù; le quali virtù sono cotte al fuoco de la divina carità, e mangiate in su la mensa de la santissima croce, cioè sostenendo pene e fatiche per amore de la virtù, recalcitrando a la propria sensualità: con forza e violenzia rapisce lo reame dell'anima, la quale è chiamata cielo, perché cela Dio per grazia dentro da sé.

Questo è quello cibo lo quale fa l'anima angelica, e però si chiama cibo angelico; e perch'è separata l'anima dal corpo, gusta Dio ne la essenzia sua. Egli la sazia tanto e per sì-fatto modo, che nessuna altra cosa ella non appetisce, né può desiderare, se non quello che più perfettamente l'abbi a conservare e acrescere questo cibo; e odia ciò che gli è contrario. Unde, come prudente, raguarda col lume de la santissima fede - lo quale lume sta ne l'occhio dell'intelletto - quello che l'è nocivo, e quello che l'è utile: e come ella ha veduto, così ama e spregia.

Dispregia la propria sensualità, tenendola legata sotto ai piedi dell'affetto, e tutti li vizii che procedono da essa sensualità. Ella fugge tutte le cagioni che la possono inchinare a vizio, o impedire la sua perfezione, unde ella anniega la propria voluntà - che l'è cagione d'ogni male - e sottomettela al giogo de la santaobbedienza dei comandamenti di Dio - a la qualeobbedienza tutti i fedeli cristiani sono obligati - e molte altre sono che corrono all’obbedienza dell'ordine santo: questa è maggiore perfezione. Unde, quando l'anima è vera obediente, ella si sogioga non tanto ai comandamenti di Dio - o la religiosa all'ordine suo -, ma ad ogni altra creatura per Dio. Ella fugge e taglia ogni piacere umano, e solo si gloria ne li obbrobrii e pene di Cristo Crocifisso: ingiurie, strazii, scherni e villanie le sono uno latte; dilettasi ne le ingiurie per conformarsi con lo Sposo suo. Ella renunzia a la conversazione de le creature, perché spesse volte ci sono mezzo tra noi e il Creatore nostro; fugge a la cella del cognoscimento di sé e a la cella attuale.

A questo v'invito, che sempre stiate in questa casa del cognoscimento di voi - dove noi troviamo lo cibo angelico dell'affetto del desiderio di Dio verso di noi -, e ne la cella attuale con la vigilia, e con l'umile fedele e continua orazione; spogliando lo cuore e l'affetto vostro d'ogni creatura e cosa creata, d'amore fuore di Dio; e vestirvi di Cristo Crocifisso perciò che in altro modo lo mangiareste in terra, e già vi dissi che in terra non si doveva mangiare. Pensate che lo Sposo dolce Gesù non vuole mezzo tra l'anima, che è sua sposa, e sé; ed è molto geloso: ché, subito che egli vedesse che noi amassimo cosa fuore di lui, egli si partirebbe da noi, e saremmo fatte degne di mangiare lo cibo de le bestie.

E non saremmo noi bene bestiali? perciò che il cibo degli animali sarebbe, se lassassimo lo Creatore per le creature e per le cose create; e il bene infinito per le cose finite e transitorie, che passano come il vento; la luce per le tenebre; la vita per la morte; quelli che ci veste di sole di giustizia col fibiale de laobbedienza, e con le margarite de la fede speranza e perfetta carità, per quello che ce ne spoglia. E non saremmo noi bene stolte a partirci da quello che ci dà perfetta purezza - in tanto che, quanto più ci acostiamo a lui, tanto più diventiamo pure -, per quelli che gittano puzza di immondizia, contaminatori dei cuori e de le menti nostre? Dio lo cessi da noi per la sua infinita misericordia.

E affinché questo non possa mai intervenire, guardianci da le perverse conversazioni di quelle persone che sceleratamente menano la vita loro, e stiamo tutte sode e mature in noi medesime, sovenendo caritativamente a la necessità dei nostri prossimi con grande diligenzia; e così mostraremo di portare nel cuore Cristo Crocifisso. Dico che l'anima che ha assaggiato lo cibo angelico, ha veduto col lume che l'amore e la conversazione de le creature fuore del Creatore è uno mezzo che impedisce lo cibo suo; e però le fugge con grandissima sollicitudine, e ama e cerca quello che l'acresca e conservi ne la virtù. E perché ha veduto che meglio gusta questo cibo col mezzo dell'orazione fatta nel cognoscimento di sé, però vi si essercita continuamente, e in tutti quelli modi che più si possa acostare a Dio.

In tre modi si fa l'orazione: l'una è continua, cioè il continuo santo desiderio - il quale desiderio òra nel conspetto di Dio in ciò che fa la creatura -, perché questo desiderio dirizza nel suo onore tutte le nostre opere spirituali e temporali: e però si chiama continua. Di questa pare che parli lo glorioso santo Paulo, quando dice: «Orate senza intermissione». (1Th 5,17) L'altro modo è orazione vocale, cioè che parlando con la lingua si dice offizio o altra orazione vocale, e questa è ordinata per giugnere a la mentale; e così vi giogne l'anima quando con prudenzia e umilità essercita la mente nell'orazione vocale: cioè che parlando con la lingua lo cuore suo non sia dilonga da Dio, ma debbasi ingegnare di fermare e stabilire lo cuore ne l'affetto de la divina carità. E quando sentisse la mente sua essere visitata da Dio, cioè che fusse tratta in alcuno modo a pensare del suo Creatore, debba abbandonare la vocale, e fermare la mente sua con affetto d'amore in quello che sente che Dio la visita; e poi se, cessato quello, ella ha tempo, debba ripigliare la vocale, a ciò che la mente stia piena e non vòta.

E perché ne l'orazione abondassero le molte battaglie in diversi modi e tenebre di mente - con molta confusione, facendoci lo demonio vedere che la nostra orazione non fusse piacevole a Dio per le molte battaglie e tenebre che avessimo -, non doviamo lasciare però, ma stare ferme, con fortezza e lunga perseveranza, raguardando che il demonio lo fa perché noi ci partiamo da la madre de l'orazione; e Dio il permette per provare in noi la fortezza e constanzia nostra, e a ciò che ne le battaglie e tenebre cognosciamo noi non essere, e ne la buona volontà cognosciamo la bontà di Dio: poiché esso è donatore e conservatore de le buone e sante voluntà, e non è dinegata a chiunque la vuole.

E per questo modo giogne a la terza e ultima orazione mentale, ne la quale riceve il frutto de la fatica che sostenne nell'orazione imperfetta vocale. Ella gusta lo latte de la fedele orazione; ella leva sé sopra il sentimento grosso sensitivo, e con mente angelica s'unisce per affetto d'amore con Dio; e col lume dell'intelletto vede, conosce e vestesi de la verità. Ella è fatta sorella degli angeli; ella sta con lo Sposo suo in su la mensa del crociato desiderio, dilettandosi di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, perché vede bene che per questo lo sposo eterno corse a la obbrobriosa morte de la croce, e così compì l'obedienzia del Padre e la nostra salute.

Drittamente questa orazione è una madre che ne la carità di Dio concepe i figli de le virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce. Ove trovate voi lo lume che vi guida ne la via de la verità? nell'orazione.

Dove manifestate l'amore, la fede, la speranza e l'umilità? nell'orazione (ché se voi non amaste non vi curereste d'andare a quello che voi non amate; ma perché la creatura ama, però si vuole unire con quella cosa che ama, col mezzo dell'orazione. A lui dimanda la sua necessità perché conoscendo sé - nel quale cognoscimento è fondata la vera orazione - vedesi avere grande bisogno, sentendosi atorniata da' suoi nemici: dal mondo con le ingiurie, dal demonio con le molte tentazioni, e da la carne che combatte contro lo spirito ribellando a la ragione. E sé vede non essere per sé; non essendo, non si può curare e però con fede corre a colui che è (Ex 3,14), lo quale può sa e vuole subvenirla in ogni sua necessità; e con speranza chiede e aspetta l'aiuto suo. Così vuole essere fatta l'orazione, a volerne avere quello che noi n'aspettiamo; e a questo modo non sarà mai dinegata cosa giusta che noi domandiamo de la divina bontà.

Facendola in altro modo, poco frutto ne trarreste).

Dove sentiremo l'odore de l'obedienzia? nell'orazione. Dove ci spogliaremo dell'amore proprio, che ci fa impazienti nel tempo de le ingiurie o d'altre pene, e vestirenci d'uno divino amore che ci farà pazienti, e gloriarenci ne la croce di Cristo Crocifisso? nell'orazione. Dove sentiremo l'odore de la continenzia e de la purezza, e la fame del martirio, disponendoci a dare la vita in onore di Dio e salute delle anime? in questa dolce madre dell'orazione. Ella ci farà osservatrici dei santi comandamenti di Dio, e suggellaracci i suoi consigli nel cuore e ne la mente nostra, lassandovi la impronta del desiderio di seguitarli infine a la morte.

Ella ci leva da le conversazioni de le creature, e dacci la conversazione del Creatore; ella empie il vasello del cuore del sangue de l'umile e immacolato Agnello, e ricuoprelo di fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto.

Più e meno perfettamente riceve l'anima e gusta questa madre dell'orazione, secondo che ella si nutre del cibo angelico, cioè del santo desiderio di Dio, levandosi in alto - come detto è - a prenderlo in su la mensa de la dolcissima croce; altrimenti, no. E però vi dissi che io desideravo di vedervi nutrere del cibo angelico, poiché in altro modo non potreste avere la vita de la grazia, né essere vere serve di Cristo Crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Ricevetti una vostra lettera, la quale udii e intesi con allegrezza, sì perché volontà avevo di sapere novelle di voi, e sì per le buone novelle che in poche parole vi si contengono, dell'avenimento de la luce sopra cotesta terra: perché il cuore di Faraone è spezzato, cioè de la regina che tanta durezza ha mostrata infine a ora, essendosi partita dal capo suo, Cristo in terra, - e accostatasi ad Antecristo, membro del demonio, ha perseguitata la verità, ed essaltata la bugia -.

Grazia, grazia sia al nostro dolce Salvatore, che ha illuminato il cuore suo o per forza o per amore che sia, e ha mostrato in lei l'amirabili cose sue. Or godiamo ed essultiamo con allegrezza cordiale e con uno santo essercizio, come detto aviamo, sempre purificando la conscienzia nostra con la confessione spesso, e la comunione per ogni pasqua solenne; a ciò che, confortate in questa via de la perregrinazione, voi corriate virilmente a la mensa de la croce, per la dottrina de l'umile Agnello, a prendere lo cibo angelico e suave, e relucano in voi le stimate di Cristo Crocifisso. Bagnatevi nel prezioso sangue suo. Strettamente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.





354. A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno vero e perfettissimo lume, col quale lume cognosciate la verità - poiché, conoscendola, l'amarete -, e a ciò che vediate la via per la quale vi conviene tenere.

Or vediamo quale è questa via e questa verità, e per che modo la possiamo seguire, e perché la doviamo seguire: Cristo Crocifisso è nostra via, e è essa verità, e è vita. Così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6); e chi tiene questa via, cioè chi segue la dottrina e le vestigie sue, tiene per la via de la verità: e chi tiene per la via de la verità, riceve in sé la vita de la grazia. Che modo debba tenere l'anima ad andare per questa via? Quello modo che tenne colui che ha fatta la via. Che modo tenne egli? Lo modo fu questo: che col lume - lo quale era esso - si specolò ne la volontà del Padre eterno, la quale volontà voleva - per nostra santificazione - manifestare l'eterna verità sua.

La quale verità fu questa: che egli aveva creato l'uomo per dargli vita eterna, a ciò che godesse lo suo sommo ed eterno bene; ma per la colpa commessa non si compiva questa verità in noi, unde era bisogno che, per compirla, la colpa si purgasse. E però Dio vuole insiememente purgare la colpa e compire la sua verità nell’uomo; e perciò questa verità detta costrinse il Padre eterno: e per l'amore ineffabile che egli ebbe a noi, e a la verità sua, ci donò la verità del Verbo del suo Figlio, e vestillo de l'umanità nostra, a ciò che in essa, col sostenere, fusse satisfatto a le nostre colpe; e satisfacendo a la colpa si compisse la sua verità in noi. Unde, ricevendo il Verbo dolce del Figlio di Dio la grandeobbedienza del Padre, corse, come inamorato, a la obbrobriosa morte de la santissima croce; e compiendo l'obedienzia compì la verità: cioè, che fummo restituiti a grazia quanto da la parte sua, se noi da la nostra non ricalcitriamo con le miserie e defetti nostri.

E conoscendo questo dolce Verbo che senza il sostenere non si poteva renderci la vita, inamorossi de le pene, saziossi d'obbrobrii, vestissi de le ingiurie, fame, sete, scherni e villanie, pentimento del vizio - e tanto gli dispiace che, non essendo in lui veleno di peccato, egli lo punisce sopra il corpo suo -, e l'amore de le virtù, in tanto che nel sangue suo le maturò e, come albero di vita, ci produsse questi frutti de le virtù, poiché - doppo la redenzione che ricevemmo nel sangue - i frutti de le virtù ci sono tutti valuti a vita eterna. Che ha cercato questo dolce Verbo, e di che s'è doluto? HA cercato l'onore del Padre e la salute nostra; e dolutosi più dell'offesa, e del danno che seguitò doppo la colpa, che de la pena sua. Unde noi aviamo che più si dolse de la dannazione di Juda che del tradimento che egli gli fece. Questa è quella dolce via la quale egli ci ha insegnata, e per la quale doviamo tenere.

E se voi mi diceste: «Egli era vero Figlio di Dio, e però poteva portare, ma io sono fragile e non posso», or raguardate i santi che l'hanno seguitato, i quali ebbero questa legge fragile perché furono concepiti e nati e nutreti di quello medesimo cibo che noi; e nondimeno nell'aiutorio divino l'hanno seguitato realmente. Lo quale aiutorio è così per noi come per loro: sì che, volendo, noi possiamo. Ma perché non ci pare potere e nol facciamo? per la cecità nostra: perché non cognosciamo, né ci diamo in verità a conoscere nella dottrina sua l'eterna verità - come detto è -, perché noi non vogliamo. Che se noi volessimo con vero pentimento e odio del vizio, e amore de la virtù, ricalcitraremmo a la propria sensualità, e non cercaremmo di satisfarle con una tenerezza e compassione femminile; ma levaremmoci con uno odio santo, annegandoci dentro la propria volontà, e abracciaremmo la croce con uno crociato e santo desiderio. E tanto goderemmo quanto ci vedessimo conculcare dal mondo, e il vederci sostenere senza colpa sarebbe la gloria nostra. E questo è uno dei più singularissimi segni che si possa vedere, nel servo di Dio, se egli è illuminato in conoscere e amare questa verità, o no.

Oh vita dolce, quanto sei dolce all'anima che t'assaggia, la quale ha perduta e annegata sé medesima! Questo cognoscimento la fa corrire, morta a ogni propria volontà; essendo morta, non ha chi le faccia guerra, perciò che solo la volontà è quella che dà guerra e amaritudine, non le tribulazioni né le persecuzioni del mondo; anco sono lo diletto e la consolazione del vero servo di Dio. E tanto ha bene quanto si vede patire; e più, che se egli vede che il mondo gli abbi alcuna reverenzia o buona oppinione, egli si contrista, temendo che in questa vita Dio nol voglia remunerare di quello poco del bene che fa, e perché si vorrebbe conformare con Cristo Crocifisso e seguire le vestigie sue. Egli non si duole di colui che gli fa ingiuria, né vorrebbe che colui che il fa patire fusse tolto dinanzi da lui; ma bene si duole dell'offesa di Dio, e del danno dell'anima del prossimo suo, unde non cessa di tenerlo nel conspetto di Dio, con grande desiderio offerendo umili, continue e fedeli orazioni. Questo perché fa? Perché nel lume e ne la dottrina di Cristo è cognosciuta la verità, e perché con esso lume ha veduto che di debito lo debba fare.

Unde l'anima debba rispondere al demonio e a la propria fragilità - quando vogliono combattere contro la ragione e a la virtù per tutti quanti i modi -: «Io non debbo consentire a voi, ma debbo servire al mio Creatore con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze mie; lo quale servire debbo dimostrare col sostenere». - Perché fai questo? «Perché m'è debito e comandamento al quale io sono tenuto e obligato d'obedire; e oltre al comandamento ne sono tenuto di grazia, cioè che per grazia ho ricevuto l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere. Unde, se mai non mi fusse comandato, per le grazie ricevute io sono tenuto di farlo: e però non voglio essere villana né ingrata di tanti beneficii, ma voglio rendere quello che non è mio - poiché io lavoro con quello del mio Creatore -, e con questo rendo e non dono veruna cosa a Dio, ma rendoli di quello che io gli sono obligato».

Oh quanto è degno di supplicio lo servo mercennaio, che attende di togliere quello che non è suo! Molto sono ripresi nel conspetto di Dio e ne la conscienzia loro questi cotali: essi debbono dare l'onore a lui, ed essi lo danno a loro medesimi. Perché è degno di tanto supplicio e reprensione? Perché è tenuto di servire coraggiosamente, senza rispetto di propria consolazione o di diletto da lui, o da la creatura per lui; e perché è tenuto di rendere gloria e loda al nome suo, perciò che con servigio mercennaio non glili potrebbe rendere per quello modo che egli è obligato. Poniamo che Dio ne la traesse egli da la parte sua, ma da la parte nostra non sarebe così, né compirebbesi in noi quella eterna verità che ci creò, e recreocci a grazia nel sangue per darci vita eterna.

E però l'anima, la quale con lume raguarda questo debito che le conviene rendere, e anco la grazia - perché di grazia si vede essere amata da Dio, e tutte le grazie che ha ricevute, spirituali e temporali, tutte le vede fatte in questa medesima forma e in uno medesimo modo -, si sente constretta a rispondere a Dio, e a non partirsi da quelli modi che trova in lui, e di non lasciare le forme de le vestigie di Cristo Crocifisso.

Vero è che d'amore di grazia non possiamo rendere a lui, poiché esso ci amò prima che noi fussimo: sì che ne siamo tenuti, come detto è. E però l'anima, avendolo veduto col lume, si vòlle a quello mezzo che Dio ha posto con che si renda, cioè il prossimo suo: ella glili rende schietto, in tanto che per fatica che truovi in lui, né per rimproverio o ingratitudine che ricevesse da lui de li servizii che essa gli avesse fatti, non allenta mai, perché il lume l'ha fatta constante e perseverante; imparando da l'umile Agnello, lo quale né per pena, né per detto dei Judei i quali dicevano: «Discende de la croce, e credarenti» (Mt 27,42 Mc 15,32), né per nostra ingratitudine non si ritrasse, ma constante e perseverante, infine all'ultimo che egli ebbe rimessa la sposa che gli fu data, de l'umana generazione, nelle mani del Padre eterno.

E così ella col lume conculca ogni malizia e inganno del demonio, quando in questo con molti colori la volesse ingannare. Ella non vuole scendere de la croce del cruciato santo desiderio per detto dei Judei, cioè per le demonia che la vogliono fare scendere di questa croce, per molti e per diversi modi: alcune volte con colore di non offendere Dio; alcune volte per fare riconoscere il prossimo suo, lo quale trova ingrato, unde a lei è colorato col colore de la giustizia. Alcune volte vuole gittare a terra questa croce con desiderare la morte del prossimo suo, sotto colore d'avere più pace e più quiete ne la mente sua; e con tanta ragione glili fa vedere lo demonio - e sì le incarna questo pazzo e stolto desiderio -, che neuno è che le il possa togliere, perché la cecità sua, e il demonio de la propria sensualità, e lo sdegno e il dispiacere che ha preso inverso di lui, non la lassano vedere né conoscere che ella si scorda da la volontà di Dio, lo quale non vuole la morte del peccatore, ma vuole che esso si converta e viva (Ez 33,11). E però ne la creatura ci conviene desiderare la vita spirituale e corporale, cioè per vederlo vivere in grazia; dandoli Dio tempo perché si corregga a ciò che non muoia in tenebre di peccato mortale. Questo è quello desiderio santo che hanno quelli che con lume hanno raguardato lo debito, lo quale lo' conviene rendere al prossimo rendendo a lui, di grazia, quello che a Dio non possono rendere, cioè d'amare lui, poniamo che mai egli non l'amasse.

E con questo medesimo lume ha conculcata la schiava de la propria sensualità; e però non si duole se non solo dell'offesa di Dio, quando alcuna creatura, o vuoli sposo che non la trattasse come donna ma come serva, né il figlio la trattasse come madre, o la schiava come donna, o qualunque altra persona fusse che la volesse signoreggiare; ma tutto porta con reverenzia, e con perfettissima pazienza la ingiuria sua, ma dell'offesa di Dio si duole, pregando umilemente per loro, non che lo' dia la morte, ma dia loro vero lume. Questo è il santo e vero desiderio dell'anima alluminata.

E perché i mi pare, carissima sorella, che di questo così-fatto lume avesseate bisogno - secondo il caso e lo stato vostro -, dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, a ciò che in verità conosceste la via che vi conviene tenere, e come e perché; e a ciò che voi cognosciate lo inganno e la malizia del demonio, nel quale allaccia l'anima vostra col semplice e stolto desiderio - desiderando con instanzia la morte di veruna creatura -: e pare che sia sì fermo, che mostra che nullo ve ne possa levare.

Questo non è costume di serva di Dio, ma dei servi del mondo e del demonio. Non so che veruna virtù si possa barbicare in quella anima: potrà bene avere l'atto de la virtù, ma virtù no, perché in questo stolto desiderio si mostrano molti mali.

Manifestasi il veleno de la superbia con la propria reputazione, ché, se ella non vi fusse, credarebbe più altrui che a sé; e mostrasi una inreverenzia e infedelità verso il padre spirituale, poiché se ella fusse fedele s'atterrebbe al consiglio suo, lo quale le mostra che questo così-fatto desiderio non è secondo Dio - e così è la verità, poiché egli è dal demonio, e da la propria passione sensitiva -. E anco dimostra che l'amore inverso Dio e verso lo prossimo è posto per propria utilità e diletto, sì come l'avaro che ama la pecunia. Nutrecisi una impazienzia con uno maladetto sdegno e schifezza d'animo, la quale schifezza si debba avere de la colpa e non de la propria persona. Oh quante sono le mormorazioni, li giudicii e le bastemmie, e tanti altri mali, che a pena si potessero contiare! Perciò, carissima sorella, levianci da questa cecità, e vogliamo seguire Dio in verità, amarlo in tutto e non a mezzo. A volerlo tutto, vel conviene amare coraggiosamente, come detto è, senza veruno rispetto di voi; seguitarlo per la via de la croce non scegliendo d'essere cruciata a vostro modo, ma a suo; amare il prossimo vostro come voi medesima (Mt 22,39 Mc 12,21 Lc 27), desiderando di vedere in lui quello che volete vedere in voi; offrire lacrime, umili e continue orazioni per lui; e col lume de la fede credere in verità che ciò che Dio dà e permette, dà per la vostra salute; con vera umilità e pazienza portare, reputandovi degna de le pene e indegna del frutto che segue doppo la pena.

Or mirate quanto sete bene savia! Non vi fa peggio la schiava de la vostra umanità e lo sposo del libero arbitrio, lo quale voluntariamente consente a questa schiava, e con essa conculca e avilisce la ragione, che è la donna? Certo sì. Perciò dovete odiare più questo che è dentro da voi, che la schiava e il marito, che sono fuore di voi, poiché questi percuotono la corteccia del corpo con ingiurie e pene, ma quelli percuotono l'anima, e l'anima è molto più nobile che non il corpo; anco, ogni nobilità che ha il corpo, l'ha mediante l'anima, e l'anima l'ha da Dio.

Perciò dovete con sollicitudine attendere per suo onore a subvenire a quella parte che è più nobile, rivoltando tutto l'odio a voi medesima; e sia odio mortale, cioè che sempre desideriate la morte de la propria vostra perversa voluntà, e che solo viva in voi l'eterna voluntà di Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e fate che quello che è stato infine a ora non sia più. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





355. A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza; la quale pazienza dimostra se in verità amiamo il nostro Creatore o no, perché ella è il midollo de la carità: ché carità non è senza pazienza, né pazienza senza carità.

Ella è una virtù tanto piacevole e necessaria a la nostra salute che senza essa non possiamo essere piacevoli a Dio, né ricevere il frutto de le nostre fatiche, le quali Dio ci permette per la nostra salute: anco, gustaremmo la caparra de l’inferno in questa vita. Questa virtù dimostra lo lume che è ne l'anima che la possiede; cioè dimostra che l'anima, col lume de la santissima fede, ha veduto e cognosciuto che Dio non vuole altro che il suo bene: e ciò che esso dà e permette a noi in questa vita, dà per nostra santificazione. E però l'anima che ha cognosciuto questo, subito è paziente, quasi dicendo a sé medesima, quando la propria sensualità si volesse levare per impazienzia: «E vuoli tu dolerti del tuo bene? Non te ne puoi né debbi dolere, ma debbi portare realmente, per gloria e loda del nome di Dio».

La pazienza germina una dolcezza nel mezzo del cuore; ella è forte, che caccia da sé ogni impazienzia; è longa e perseverante, che per veruna fatica volta il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma sempre va innanzi, seguitando l'umile Agnello: che tanta fu la sua pazienza e mansuetudine, che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione. Ella si conforma con Cristo crocifisso, perché si veste de la dottrina sua; satollasi d'obrobrii. Ella signoregia l'ira, conculcandola con mansuetudine; ella non si stanca per veruna fatica, perché ella è unita con la carità; ella non tolle le cose altrui, ma dà largamente: non è veruna cosa che ella abbi tanto cara che ella non dia, privandone sé con buona pazienza. Come ebbra del sangue di Cristo crocifisso perde sé medesima; e quanto più si perde, più si trova unita e conformata ne la dolce volontà di Dio, spregiando il mondo con tutte le sue delizie, dilettandosi di tenere per la via de la viltà, abbracciando la povertà volontaria per santo e vero desiderio.

O carissima madre e figlia, ora è il tempo d'abbracciare questa vera e reale virtù. Vedete che il mondo perseguita quegli che sonno amatori de la verità, con molte ingiurie e rimproveri. A noi conviene essere paziente de le ingiurie e fatiche proprie, ma de l'altrui doviamo avere compassione grande, ed essere impazienti verso il vizio di colui che offende. Carissima madre e figlia, se mai fu tempo di compassione e d'amaritudine per l'offese di Dio, sì è oggi, in tanta tenebre e amaritudine vediamo posto lo mondo, solo per la nuvola de l'amore proprio di noi medesimi che ha avelenato e corrotto il mondo. Chi avarà pazienza, ha perfetta carità; avendo perfetta carità, si duole e debba dolere più di questi mali che vede, che de le pene o tribolazioni sue.

Oimé che è a vedere, che gli occhi nostri veggono contaminata la fede nostra! Essendo cristiani segnati del segno di Cristo, con le tenebre de la eresia perdono il sangue di Cristo: bene ci debba dolere, e con questo dolore cacciare ogni altro dolore. Io v'invito a portare con vera pazienza, e offrire voi medesima dinanzi da Dio con umile continua e fedele orazione. Non dormiamo più, ma destianci dal sonno de la negligenzia, ché tempo è di surgere: date tutta voi medesima, spogliando tutto il cuore e l'affetto vostro.

Attaccatevi a l'albero de la vita, a l'umile e immacolato Agnello, dove trovarete la virtù de la pazienza e ogni altra virtù: ché elle sonno tutte maturate e innaffiate col sangue. Oh quanto sarà beata l'anima, che con forza e col molto sostenere si trovarà vestita de le virtù! La lingua nol poterebbe mai narrare; ma provàtelo.

Anegatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Lo sangue c'insegna da amministrare la substanzia temporale: sì come ha fatto e fa continuamente in voi facendovi, dei povari e di coloro che hanno necessità, signori. Ora ministrate in questo prezioso sangue la propria vostra volontà: fatene sacrificio a Dio. Lo quale, sacrificio avendolo fatto, il mostrarete con la virtù de la pazienza. In altro modo mostrare nol potreste, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Benedite etc. A tutte ci racomandate; e fate fare speciale orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra. Gesù dolce, Gesù amore.



356. A tre donne vedove spirituali di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e suore in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta carità, affinché siate vere nutrici e governatrici delle anime vostre. Impoiché mai non potremmo nutrere altrui se prima non nutressimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può nutrere, se prima non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza.

A voi, carissime suore, conviene fare come fa il fanciullo che, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte. E così doviamo fare noi, se voliamo nutrere l'anima nostra, e dovianci attaccare al petto di Cristo crocifisso, in cui si trova la madre della carità; e col mezzo della carne sua traremo a noi il latte che nutre l'anima nostra e i figli delle virtù, cioè per mezzo de l'umanità di Cristo, poiché in essa umanità fu sostenuta e cadde la pena, ma non nella deità.

E noi non potremmo nutrerci di questo latte che traiamo dalla madre della carità, sanza pena. E differenti sono le pene: spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal demonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a nutrere a questo dolce e glorioso petto unde ha tratto l'amore - vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo -; e da questo amore ha tratto l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23).

Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sono i crociati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo, poiché la carità fa questo: che ella s'inferma con quelli che sono infermi e fassi sana con quelli che sono sani; ella piagne con quegli che piangono e gode con coloro che godono, cioè che piagne con coloro che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con coloro che godono nello stato della grazia. Allora ha l'anima presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affligitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguire le vestigie di Cristo crocifisso: e allora gusta il latte della divina dolcezza. E con che l'ha preso? Con la bocca del santo desiderio, in tanto che, se possibile le fosse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - le quali virtù hanno vita dal latte della affocata carità -, non vorrebbe, ma più tosto sceglie di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; poiché non le pare che sotto lo capo spinato debbano stare membri dilicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non scegliendo punture a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così, non porta; ma il capo suo, Cristo crocifisso, n'è fatto portatore.

Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità, la quale non cerca le sue cose (1Co 13,5), cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuori di lui nulla vuole possedere. In ogni stato che ella è, spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è secolare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nelle ricchezze volendo possedere in particulare, perché vede che ella farebbe contro al voto della povertà voluntaria. Sì che, in qualunque stato l'anima è, e in stato vedovile e in ogni modo, avendo in sé questa dolce madre della carità, nutrendosi al petto di Cristo crocifisso, ella gusta questo dolce e soave latte con ardente desiderio e con perfetto lume, perché s'ha tolta le tenebre del perverso e miserabile amore proprio di sé. Ora è il tempo da perdere sé, di non cercare sé né il prossimo per sé, ma per Dio, e Dio dolce in quanto egli è somma bontà, degno d'essere amato e cercato da noi; in lui dobiamo conoscere la verità, e annunziarla, e fortificarla nei cuori delle creature che hanno in loro ragione, sanza timore servile.

Ora è il tempo del bisogno che voi e gli altri servi di Dio vi disponiate a sostenere per la verità, e che l'amore, il quale avete trovato al petto di Cristo crocifisso, voi il manifestiate sopra al prossimo vostro, portandolo per affetto d'amore con compassione, nel conspetto di Dio con lacrime, vigilie, e umili e continue orazioni. Non dobiamo terminare la vita nostra altro che in pianto e in amaritudine, per vedere levate tante tenebre da coloro che debono dare luce nel corpo mistico della santa Chiesa. Dissolvasi la vita nostra; diamo agli occhi nostri fiume di lacrime; mugghi lo desiderio sopra questi morti, affinché si partano dalla morte e giunghino alla vita.

Or che è questo a vedere, che quegli che hanno eletto Cristo in terra, papa Urbano VI, con tanto ordine, ora per l'amore proprio, e miserabile vita loro, dicano che non è papa? Guardate, carissime sorella che voi non cadeste in tanta ignoranza né in tanta cecità che voi credeste a questi iniqui e malvagi uomini, non degni d'essere chiamati uomini, ma più tosto dimoni incarnati; ma ferme e stabili - non seguitando la natura della femina che si vòlle come la foglia al vento -, ma virili e constanti confessate e tenete che così è la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, vicario di Cristo in terra. E se voi teneste il contrario, sareste riprovate da Dio, partirestevi dalla verità e seguitereste la bugia e il demonio che è padre delle bugie (Jn 8,44).

Ho grande desiderio di ritrovarmi con voi, perché, poi che frate Roberto mi contò di voi e teneramente vi raccomandò a me, miserabile piena di difetto, vi concepei amore. E però mi mossi a scrivervi toccandovi alcuna cosa di questa materia, affinché non andiate vacillando con la mente vostra, ma perché voi vi fermiate in questa verità. Forse che Dio adempirà i nostri desideri di ritrovarci insieme: allora più largo e lungamente ne potremo parlare. Bastivi questo, che se volete nutrervi a questo glorioso petto - sì come nel principio io vi dissi che io desiderava di vedervi -, e se volete gustare il latte della divina dolcezza dell'affocata carità di Cristo in cielo, vi conviene tenere affermativamente che papa Urbano VI è veramente Cristo in terra, vero e sommo pontefice, e veruno altro no, mentre che questo vive; e chi tenesse il contrario sta in stato di dannazione, come ribelle alla santa Chiesa e all’obbedienza di Cristo in terra.

Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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