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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Beato Enrico Suso, frate domenicano Libretto della vita perfetta

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2012 23:51
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20/10/2012 23:36

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Beato Enrico Suso, frate domenicano (detto Susone) .... Uomo di profonda carità, soccorritore dei poveri.

Fu instancabile predicatore del Nome di Gesù, che si era impresso sul petto con un ferro rovente. Morì a Ulma nel 1366, ma i suoi resti mortali furono dispersi nel XVI secolo dai protestanti che lo avevano in odio per il successo delle sue predicazioni che tramandate dai frati ancora riscuotevano successo nonostante gli anni. Il suo culto fu confermato da papa Gregorio XVI nel 1831. Grazie ai suoi scritti i Papi proclamarono la Festa liturgica del Santissimo Nome di Gesù.
Ci stiamo avvicinando a Novembre, il mese per noi caro per la Memoria di tutti i Santi e di quanti ancora non hanno raggiunto la piena beatitudine....

Vogliamo ricordare il beato Suso in questo Anno della Fede affinchè ci sentiamo sollecitati ed incoraggiati nella corretta difesa della vera fede tramandata dalla Santa Chiesa.

Libretto della vita perfetta

Prologo

Sull’abbandono interiore e sulla buona
distinzione che si deve avere nella ragione


Ecce enim veritatem dilexisti, incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.



C’era un uomo in Cristo che s’era esercitato, nei suoi tempi giovanili, secondo l’uomo esteriore, su tutti i punti in cui sono soliti esercitarsi i principianti, ma restava inesperto l’uomo interiore quanto al suo più alto abbandono, e lui sentiva bene che qualcosa gli mancava, ma non sapeva che cosa. Avendo trascorso così lungo tempo, molti anni, ebbe una volta un raccoglimento, nel quale fu tratto in se stesso e gli fu detto così internamente: «Devi sapere che l’abbandono interiore porta l’uomo alla più alta verità».
Però quella nobile parola gli era allora barbara e sconosciuta, e aveva tuttavia molto amore per tale cosa, ed era spinto assai fortemente verso questa stessa cosa [pensando] se prima della morte potesse arrivare a conoscerla chiaramente e conseguirla a fondo. Così giunse a essere avvertito e ispirato che nello splendore di quella medesima immagine vi stesse nascosto un falso fondo di disordinata libertà, e vi stesse ricoperto un grave danno per la santa cristianità. Egli se ne spaventò e sentì per qualche tempo in se stesso una ripugnanza verso la chiamata interiore.

E una volta ebbe in se stesso un forte rapimento, e gli si fece lume da parte della divina Verità, che non doveva avervi nessun abbattimento; perché è sempre stato e dovrà essere sempre che il male si celi dietro il bene, e non si deve perciò rigettare il bene a causa del male. E intese dire che nell’Antico Testamento, quando Dio per mezzo di Mosè operò i suoi veri miracoli, i maghi vi mischiarono i loro falsi; e quando venne Cristo, vero Messia, vennero alcuni altri e dimostrarono falsamente di esserlo ugualmente. Ed è così dovunque, in ogni cosa, e perciò il bene non si deve rigettare con il male, ma si deve scegliere mediante una buona distinzione, come fece la bocca divina. E spiegò che non fossero da rigettare le buone immagini ragionevoli, che tengono sottomessa la loro chiara ragionevolezza al pensiero della santa cristianità, né che fossero da temersi le massime ragionevoli che contengono una buona verità riguardo a una vita perfetta; perché esse dirozzano l’uomo e gli mostrano la sua nobiltà, l’eccellenza dell’Essere divino e la nullità di tutte le altre cose, ciò che giustamente, al di sopra di ogni cosa, incita l’uomo al vero abbandono.
E così tornò al precedente modo di vivere di un vero abbandono, verso cui era stato esortato.

Ora desiderò dall’eterna Verità che gli desse una buona distinzione, per quanto fosse possibile, tra gli uomini che hanno di mira un’ordinata semplicità, e alcuni che hanno per scopo, come si dice, una libertà disordinata, e gli insegnasse quale fosse il retto abbandono, per mezzo del quale potesse giungere dove doveva. Gli fu risposto in maniera luminosa che tutto ciò doveva avvenire secondo il modo di una spiegazione per similitudini, come se il discepolo domandasse e la Verità rispondesse. E fu anzitutto rinviato al nocciolo della Santa Scrittura, da dove parla l’eterna Verità, perché vi cercasse e vedesse ciò che ne avessero detto i più dotti e i più sperimentati, ai quali Dio ha aperto la sua Sapienza nascosta, com’è indicato qui sopra in latino, o che cosa ne ritenesse la santa cristianità, in modo che restasse nella verità certa. E gli si fece luce così.


1 Come un uomo abbandonato comincia
e finisce nell’unità



A tutti gli uomini che devono essere riportati in Dio è vantaggioso conoscere il primo principio di sé e di tutte le cose, perché nel medesimo è pure il loro ultimo approdo. E a questo riguardo bisogna sapere che tutti coloro che hanno mai parlato della verità convengono sopra un punto: che c’è un qualcosa che è assolutamente il primo e il più semplice, e prima del quale nulla esiste. Ora Dionigi ha contemplato quest’essere senza fondo nella sua nudità e dice, insieme ad altri maestri, che l’essere semplice di cui si parla resta assolutamente innominato nonostante tutti i nomi; perché, com’è detto nella scienza della logica, il nome dovrebbe esprimere la natura e il concetto della cosa nominata. Ora è palese che la natura dell’essere semplice sunnominato è infinita e immensa e inafferrabile a ogni intelligenza creata. Quindi è noto a tutti i sacerdoti ben istruiti che l’essere senza modo è pure senza nome. E perciò dice Dionigi nel libro dei Nomi divini che Dio è non essere o un niente, e ciò deve intendersi riguardo a ogni essenza ed essere che noi possiamo attribuirgli in modo creato; perché quello che gli si attribuisce in modo simile è tutto falso in qualche maniera, e la negazione di ciò è vera.
E perciò si potrebbe chiamare un Nulla eterno; tuttavia, quando si deve discorrere di una cosa come di eccellente e di gran conto, bisogna creargli un qualche nome. L’essenza di questa silenziosa semplicità è la sua vita, e la sua vita è la sua essenza. È un’intelligenza vivente, essenziale, sussistente, che comprende se stessa, ed è e vive ella stessa in se stessa ed è ciò stesso. Non posso ora sviluppare ciò oltre, e chiamo quest’essere l’eterna Verità increata, perché tutte le cose sono là come nella novità e nel loro inizio e nel loro eterno principio. E là comincia e finisce un uomo abbandonato, in un ordinato assorbimento, come qui appresso sarà mostrato.




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20/10/2012 23:37

2 Se nella più alta unità può esistere qualche diversità


Il discepolo interrogò dicendo: Non so capire, dal momento che quest’Uno è tanto semplice, da dove provenga la molteplicità che gli si attribuisce. Uno lo riveste di sapienza e lo chiama la Sapienza, uno di bontà, uno di giustizia e simili cose; così asseriscono i preti a motivo della fede nella divina Trinità. Perché non lo si lascia restare nella sua semplicità che è lui stesso? Mi sembra in tutto che quest’unico Uno abbia troppe opere e troppa diversità; o come può essere un così puro Uno, se c’è in lui tanta molteplicità?
La Verità rispose dicendo: Tutta questa molteplicità è, al fondo e alla base, una semplice unità.
Il discepolo disse: Che cosa chiami tu «fondo» e «origine», o «non fondo»?
La Verità: Io chiamo «fondo» la fonte e l’origine da dove scaturiscono le effusioni.
Il discepolo: Signore, che cos’è ciò?
La Verità: È la natura e l’essenza della divinità; e in questo abisso senza fondo si sprofonda la Trinità delle Persone nella loro unità, e ogni molteplicità è là disfatta in qualche modo di se stessa. Prendendolo in questa maniera, non c’è là opera estranea, ma solo una silenziosa tenebra sospesa in se stessa.
Il discepolo disse: Caro Signore, dimmi, che cos’è allora che conferisce a questo stesso [fondo] il primo sguardo alle operazioni, e soprattutto alla sua propria operazione che è il generare?
La Verità disse: Fa ciò la sua possente forza.
Il discepolo: Signore, che cos’è ciò?
La Verità: E la natura divina del Padre; e là, nello stesso istante, essa è gravida di fecondità e di operazione, perché là, secondo l’intendimento della nostra intelligenza, la divinità s’è slanciata in Dio.
Il discepolo: Caro Signore, non è ciò una cosa sola?
La Verità disse: Si, divinità e Dio sono una cosa sola, e tuttavia la divinità non opera né genera, ma Dio genera e opera. E ciò viene dalla distinzione che è nella designazione, secondo la comprensione della ragione. Ma è una cosa sola nel fondo; perché nella natura divina non c’è altro che l’essenza e le proprietà relative, e queste non aggiungono assolutamente nulla all’essenza: esse sono questa tutte insieme, benché siano distinte da ciò a cui sono opposte, cioè dal loro termine opposto. Perché la natura divina, a prenderla secondo lo stesso fondo, non è affatto più semplice in se stessa, del Padre preso nella stessa natura, o di alcun’altra Persona. Tu sei ingannato unicamente dall’immaginazione, che considera ciò secondo il modo in cui è reso nella creatura. Ciò è in se stesso unico e semplice.
Il discepolo disse: Vedo bene di essere giunto all’ultimo fondo della più alta semplicità, più addentro di cui, nessuno che vuol possedere la verità, può andare.



3 Come l’uomo e tutte le creature si sono tenute eternamente [in Dio] e la loro processione nel divenire


Il discepolo: Eterna Verità, ma come le creature si sono tenute eternamente in Dio?
Risposta: Vi sono state come nel loro eterno esemplare.
Il discepolo: Che cos’è questo esemplare?
La Verità: È la sua essenza eterna, presa secondo che si dà a conseguire in maniera partecipata alle creature. E nota che eternamente tutte le creature sono in Dio, e non hanno avuto là alcuna distinzione profonda, fuorché come si è detto. Esse sono la stessa vita, essenza e potenza, per quanto sono in Dio, e sono lo stesso Uno e nulla di meno. Ma dopo l’uscita, quando prendono il loro essere proprio, ciascuna ha la sua essenza particolare, distintamente con la propria forma, che le dà il suo essere naturale; perché la forma dà l’essenza particolare e distinta, sia riguardo all’essenza divina che a ogni altra, come la forma naturale della pietra le dà di avere la sua propria essenza. E questa non è l’essenza di Dio, né Dio è la pietra, benché questa e tutte le creature sono da lui ciò che sono. E in questa effusione tutte le creature hanno acquistato il loro Dio, perché, quando la creatura si trova creatura, essa confessa il suo creatore e il suo Dio.
Il discepolo: Caro Signore, l’essere delle creature è più nobile secondo che è in Dio, o secondo che è in se stesso?
La Verità: L’essere delle creature in Dio non è creatura, ma la creaturalità di ciascuna creatura è a essa più nobile e più utile dell’essere che ha in Dio. Perché che cos’ha di più la pietra o l’uomo o qualunque creatura nel suo stato creaturale, per ciò che sono stati eternamente Dio in Dio? Dio ha bene e rettamente ordinato le cose, perché ciascuna cosa guarda indietro alla sua prima Origine, in maniera sottomessa.
Il discepolo: Signore, da dove vengono allora il peccato o il male o l’inferno o il purgatorio o il diavolo e cose simili?
Risposta: La creatura ragionevole dovrebbe avere una reintroversione che si sprofonda nell’Uno; ma perché essa resta estroversa all’esterno con un ingiusto sguardo di proprietà sul proprio io, vien fuori allora diavolo e ogni malizia.

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20/10/2012 23:40

4 Il vero ritorno che deve fare un uomo abbandonato attraverso il Figlio unigenito


Il discepolo: Ho compreso bene la verità dell’effusione del divenire delle creature. Sentirei ora parlare volentieri della breccia [verso Dio]; come l’uomo attraverso il Cristo deve ritornare e conseguire la sua beatitudine.
La Verità: Bisogna sapere che Cristo, Figlio di Dio, aveva qualcosa di comune con tutti gli uomini e qualcosa di singolare rispetto agli altri. Ciò che gli è comune con tutti gli uomini è la natura umana, essendo anche lui vero uomo. Egli assunse la natura umana e non la persona; e ciò si deve prendere nel senso che Cristo assunse la natura umana nell’individualità della materia, ciò che il dottore Damasceno chiama in atomo, e così alla natura umana assunta corrisponde il puro sangue nel corpo benedetto di Maria, quando da lei prese lo strumento corporeo.
E perciò la natura umana presa in se stessa non ha alcun diritto — dal momento che Cristo ha assunto essa e non la persona — a ciò che ciascun uomo debba e possa essere nella stessa maniera Dio e uomo. Egli è il solo al quale appartiene l’inaccessibile dignità di avere assunto la natura in tale purità che nulla gli è seguito né del peccato originale né di alcun altro peccato; e perciò egli fu il solo che poté redimere il genere umano indebitato.

In secondo luogo le opere meritorie, che tutti gli altri uomini compiono in vero abbandono di se stessi, ordinano propriamente l’uomo alla beatitudine, che è allora una ricompensa alla virtù. E la beatitudine consiste nella piena fruizione di Dio, dove ogni ostacolo e diversità sono rimossi. Ma l’unione dell’incarnazione di Cristo, essendo in un essere personale, sorpassa ed è superiore all’unione dello spirito dei beati in Dio. Poiché dal primo momento in cui fu concepito come uomo fu veramente Figlio di Dio, cosicché non ebbe alcun’altra sussistenza che quella di Figlio di Dio. Ma tutti gli altri uomini hanno la loro sussistenza naturale nel loro essere naturale e, per quanto completamente siano rapiti da se stessi o per quanto puramente si abbandonino nella Verità, non avviene mai che siano trasformati nella sussistenza della persona divina e che perdano la propria.

In terzo luogo quest’uomo, il Cristo, aveva pure, al di sopra di tutti gli altri uomini, di essere il capo della Chiesa, nella stessa maniera in cui si parla del capo dell’uomo in ordine al proprio corpo, così come sta scritto che tutti coloro che ha previsto li ha preparati a diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio, in modo che egli sia il primogenito tra molti altri.? E, perciò, chi vuole avere un vero ritorno e divenire figlio in Cristo si rivolga con un vero abbandono da se stesso verso di lui: così arriverà dove deve.

Il discepolo: Signore, che cos’è un vero abbandono?
La Verità: Percepisci con precisa distinzione queste due parole: lasciare sé. E se tu puoi pesare esattamente queste due parole e indagare a fondo sul loro ultimo significato e considerarlo con giusta distinzione, allora potrai essere istruito rapidamente sulla Verità. Prendi ora anzitutto la prima parola che suona: «sé» o «me», e considera che cos’è. E bisogna sapere che ciascun uomo ha cinque sé. Un sé gli è comune con la pietra ed è l’essere; un altro con la pianta ed è il crescere; il terzo con gli animali ed è il sentire; il quarto con tutti gli uomini ed è che ha in sé una natura comune, nella quale tutti gli altri convengono; il quinto che gli appartiene propriamente, è il suo uomo personale, sia secondo la nobiltà che secondo l’accidentalità. Che cos’è ora che distorna l’uomo e lo priva della beatitudine? È solamente l’ultimo sé, quando l’uomo, per rivolgersi verso se stesso, esce da Dio, dove dovrebbe rientrare di nuovo, e fa di se stesso un proprio sé secondo l’accidente, cioè si appropria per cecità di ciò che è di Dio, lo ha di mira, e lo dissipa nel tempo in mancanze.

Ma chi volesse lasciare ordinatamente questo sé, dovrebbe dare tre sguardi: il primo in modo da rivolgersi, con uno sguardo che si sprofonda, alla nullità del proprio sé, considerando che questo sé e il sé di tutte le creature sono un nulla lasciati fuori ed esclusi dall’Essere che è l’unica forza operante. Il secondo sguardo è di non trascurare che persino nel più alto abbandono il proprio sé permane sempre nella propria attiva sussistenza, dopo l’uscita, e non vi è assolutamente annientato. Il terzo sguardo si fa con un annientamento e un libero abbandono di se stesso in tutto ciò in cui ci si guidava da sé, in servile molteplicità contro la divina Verità; [abbandono] nella gioia e nella sofferenza, nel fare e nell’omettere, così da perdersi con ricca potenza, senza badare a questo e a quello, e annientarsi in maniera da non riprendersi e diventare una cosa con il Cristo nell’unità, così da operare in ogni momento per lui, mediante il ritorno, ricevere e vedere ogni cosa in questa semplicità. E questo sé abbandonato diventa un «io» cristiforme, di cui la Scrittura parla per mezzo di san Paolo che dice: «Io vivo, non più io, Cristo vive in me».
E questo io chiamo un sé ben pesato.

Prendiamo ora l’altra parola che Egli dice: lasciare. Egli intendeva con ciò «abbandonare» o «disprezzare», non così che si potesse lasciare questo sé al punto da essere ridotti totalmente a nulla, ma solo nel disprezzo, e allora è assai bene per l’uomo.
Il discepolo: Sia lodata la Verità! Caro Signore, dimmi, resta qualcosa a un uomo felicemente abbandonato?
La Verità: Ciò accade senza dubbio quando il servo buono e fedele è introdotto nella gioia del suo Signore: allora s’inebria della traboccante abbondanza della casa divina; perché gli avviene in maniera inesprimibile come a un uomo ubriaco che si dimentica di sé al punto da non essere più padrone di se stesso, poiché è totalmente annientato a se stesso ed è passato completamente in Dio ed è diventato uno spirito con lui, alla stessa maniera di una gocciolina d’acqua versata in molto vino. Poiché come questa si annienta a se stessa, allorché trae a sé e in sé il sapore e il colore di quello, così avviene a coloro che sono in pieno possesso della beatitudine: sfugge loro, in maniera inesprimibile, ogni desiderio umano e si perdono a se stessi e si sprofondano completamente nella divina volontà. Altrimenti non potrebbe essere vera la Scrittura che afferma che Dio deve diventare tutto in tutte le cose, se fosse che qualcosa dell’uomo restasse nell’uomo, e non si versasse invece completamente fuori di lui. Vi resta il suo essere, ma in un’altra forma, in un’altra gloria e in un’altra potenza. E ciò proviene dall’abbandono senza fondo di sé.

E lui dice così a riguardo del precedente pensiero: ma se qualche uomo in questa vita sia così abbandonato da avere perfettamente raggiunto ciò in modo da non guardare più il suo io, né nella gioia né nella sofferenza, ma da amare se stesso e pensarsi esclusivamente per Dio, secondo il più perfetto grado raggiungibile, non riesco a comprendere – egli dice – se sia possibile. Si facciano avanti coloro che l’hanno vissuto, perché, per parlare secondo il mio intendere, ciò mi sembra impossibile.

Da tutto questo discorso tu puoi scorgere una risposta alla tua domanda, poiché un retto abbandono di un tale uomo nobile nel tempo è poi modellato e disposto in conformità all’abbandono dei beati di cui parla la Scrittura, più o meno, secondo che gli uomini sono più o meno uniti o diventati uno [con Dio]. E osserva in particolare che egli dice che essi sono destituiti del loro io e trapassati in un’altra forma e in un’altra gloria e in un’altra potenza. Che cos’è mai l’altra forma estranea se non la divina natura e la divina essenza nella quale essi si dileguano e che li dilegua in sé, per essere la stessa cosa? Che cos’è allora un’altra gloria se non essere trasfigurati e glorificati nella luce sussistente che è inaccessibile? Che cos’è dunque un’altra potenza se non che dalla stessa sussistenza [divina] e dalla stessa unità sono date all’uomo una forza divina e una potenza divina di fare e lasciare tutto ciò che conviene alla sua beatitudine? E così l’uomo è disfatto dell’uomo, come s’è detto.

Il discepolo: È possibile ciò nel tempo?
La Verità: La beatitudine di cui si è parlato può essere conseguita in una duplice maniera. Una maniera è secondo il grado più perfetto, che è al di sopra di ogni possibilità, e ciò non può essere in questo tempo; poiché alla natura umana appartiene il corpo, la cui molteplice pressione vi si oppone. Ma, prendendo la beatitudine secondo una comunicazione parziale, è possibile, e tuttavia sembra impossibile a molti uomini. E ciò non è irragionevole, perché nessun pensiero né ragione vi possono pervenire. Dice bene un testo che si trova un pugno d’uomini, separati e sperimentati nella vita spirituale, che sono di spirito così puro e deiforme da avere in loro le virtù secondo una divina somiglianza; perché sono liberati dalle immagini e trasformati nell’unità del primo esemplare, e arrivano in qualche modo al pieno oblio della vita caduca e temporale, e sono trasformati nell’immagine divina e sono uno con lui. Ma là sta pure scritto che ciò appartiene solo a quelli che hanno posseduto questa beatitudine nel più alto grado, ossia ad alcuni uomini, pochi e i più devoti, che vanno ancora con il corpo nel tempo.



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20/10/2012 23:45

5 Le alte e utili questioni che la Verità gli risolvette per mezzo dell’immagine di un uomo abbandonato


Dopo di ciò venne al discepolo il desiderio di sapere se vi fosse in qualche paese un simile uomo nobile e abbandonato, preso veramente per Cristo, per farne conoscenza in Dio e venire a un familiare colloquio con lui. E, mentre era in questo fervore, si sprofondò in se stesso e, nella sospensione dei suoi sensi, gli sembrò di essere condotto in un paese spirituale. E là vide librarsi tra cielo e terra un’immagine, come se fosse l’immagine di un uomo vicino a una croce, in aspetto benevolo, e due categorie di uomini gli giravano intorno e non si avvicinavano; gli uni guardavano l’immagine solo interiormente e non esteriormente, gli altri all’esterno e non nell’interno, e gli uni e gli altri si volgevano verso l’immagine con avversione e durezza. Gli sembrò quindi che l’immagine si abbassasse come un uomo vero, si sedesse presso di lui e gli esprimesse di chiedere ciò che aveva da chiedere, perché gli sarebbe stato risposto.
Egli prese la parola e disse con un intimo sospiro del cuore: «Eterna Verità, che cos’è ciò, e che significa questa meravigliosa visione?». Così gli fu risposto, dicendo in lui la parola:
Quest’immagine che hai veduto, significa l’unigenito Figlio di Dio nella maniera in cui ha assunto la natura umana. E che hai veduto solo un’immagine e che essa fosse tuttavia molteplicemente varia significa che tutti gli uomini sono sue membra, e che sono pure figli o sono diventati figli per lui e in lui, come le numerose membra fisiche di un corpo.
Ma che il capo appare eccellente, ciò vuol dire che Egli è il primo e il Figlio unigenito secondo l’eccellente assunzione [della natura umana] nella sussistenza della Persona divina, mentre gli altri sono solo immersi nell’unità trasformante della stessa immagine. La croce significa che un vero uomo abbandonato, secondo l’uomo esteriore e interiore, deve mantenersi sempre nella donazione di se stesso in tutto quello che Dio vuole che soffra, da qualunque parte ciò venga, tanto da essere disposto a riceverlo in maniera da morire a se stesso in lode del Padre celeste.
E simili uomini si comportano nobilmente all’interno e cautamente all’esterno.
Che la figura fosse così benevolmente vicino alla croce indica questo: per quante sofferenze abbiano, ne hanno noncuranza, per il loro stesso abbandono. Dove si volgeva la testa, là si volgeva pure il corpo: ciò significa la corrispondenza della fedele imitazione della sua pura vita, chiara come uno specchio, e della sua buona dottrina, alla quale vigorosamente essi si volgono e si conformano.
Gli uomini della prima specie, che lo guardavano all’interno e non all’esterno, indicano gli uomini che considerano la vita di Cristo solamente con la ragione, in maniera speculativa, e non in maniera pratica, mentre dovrebbero spezzare la propria natura attraverso un esercizio d’imitazione dello stesso modello. Essi tirano tutto ciò, secondo tale visione, al diletto della natura e a una libertà oziosa in aiuto di se stessi, e sembrano loro molto grossolani e ignoranti quelli che non consentono con essi sulla stessa cosa.

Alcuni lo guardavano ancora solo in maniera esteriore e non secondo l’interiore, e costoro apparivano duri e rigidi; ed essi si esercitano rigorosamente, vivono cautamente e hanno davanti alla gente una condotta onorata e santa, ma trascurano il Cristo interiormente. Poiché la sua vita era dolce e mite, ma questi uomini sono molto rudi, giudicano le altre persone e sembra loro tutto falso ciò che non va secondo il loro modo di vivere. Questi uomini si comportano diversamente da Colui che pure hanno di mira, e ciò si nota da questo: se uno li prova, essi non si mantengono nell’abbandono di se stessi, né nello sprofondamento della loro natura e nella perdita delle cose che proteggono la volontà propria, come «volentieri», «malvolentieri» e simili. E con ciò la volontà propria viene conservata e protetta, tanto che l’uomo non giunge alle virtù divine, come l’obbedienza, la sopportazione, l’arrendevolezza e altre simili; perché tali virtù portano l’uomo all’immagine di Cristo.

Il discepolo cominciò a interrogare ancora di più e parlò così:
Dimmi, come si chiama il modo in cui l’uomo giunge alla sua beatitudine?
Risposta: Si può chiamare un modo generativo, come sta scritto nel Vangelo di san Giovanni, che Egli ha dato potenza e facoltà di diventare figli di Dio a tutti coloro che da nient’altro che da Dio sono nati. E ciò avviene in un modo analogo a ciò che si chiama «generazione» secondo la maniera comunemente accettata. Ora, ciò che genera l’altro in tal modo, lo foggia conforme a sé e in sé, e gli conferisce la somiglianza del suo essere e della sua attività. E perciò, a un uomo abbandonato, dove Dio solo è Padre, nel quale nulla di temporale si genera secondo proprietà, si aprono gli occhi in modo da comprendersi in Dio, ricevere la sua essenza e vita beata ed essere uno con lui, perché tutte le cose sono qui uno nell’Uno.
Il discepolo disse: Io vedo tuttavia che ci sono montagne e valli, acqua e aria, e svariate creature; come dici dunque che non c’è che l’Uno?
La pura parola rispose parlando così: Io ti dico ancora di più: tranne che l’uomo non comprenda due contraria, cioè due cose contrarie congiuntamente in una, in verità, senza alcun dubbio, non è molto facile parlare con lui di tali cose; perché, quando egli comprende ciò, allora solamente ha percorso la metà del cammino della vita che io intendo.

Una domanda: Quali sono i contrari?
Risposta: Un eterno Nulla e la sua creaturalità temporale.

Un’obiezione: Due contrari in un essere sono in contraddizione, in tutti i modi, con ogni scienza.
Risposta: Io e te non c’incontriamo su di uno stesso ramo o in uno stesso luogo; tu vai per una strada, io per un’altra. Le tue domande procedono da senno umano e io rispondo con sensi che sono al di sopra dell’intento di ogni uomo. Devi diventare insensato se vuoi giungere qua, perché la Verità diventa manifesta per mezzo della nescienza.
Avvenne in quello stesso tempo un grandissimo cambiamento in lui. Giunse a questo: che durante circa dieci settimane, era talvolta, ora di più ora di meno, astratto così fortemente che, con i sensi desti, in presenza di persone o senza di esse, il suo sentire gli trapassava secondo la propria attività, tanto che dappertutto, in tutte le cose, non gli rispondeva che l’Uno e ogni cosa nell’Uno, senza nessuna molteplicità di questo o di quello.

La parola riprese e disse in lui: Dunque, com’è andata? Ho detto bene?
Egli disse: Sì, ciò che prima non potevo credere è diventato di mia conoscenza; ma mi stupisce perché passi di nuovo.
La parola disse: Probabilmente ciò non si è ancora affondato nel tuo fondo essenziale.

Il discepolo riprese e chiese così: Dove approda l’intelletto di un uomo abbandonato?
Risposta: L’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è il Nulla di tutte le cose che si possono ricordare o esprimere; e questo Nulla si chiama Dio secondo il consenso universale ed è in se stesso l’essere più essenziale. E qui l’uomo si riconosce uno con questo Nulla, e questo Nulla conosce se stesso senza attività di conoscenza. Ma ciò è qui nascosto in qualche modo ancora più profondamente.

Una domanda: Dice la Scrittura qualcosa di Colui che tu hai chiamato Nulla , non del suo non essere, ma della sua eminente incomprensibilità?
Risposta: Dionigi scrive dell’Uno che è senza nome, e questo può essere il Nulla che io intendo; perché se uno lo chiama divinità o essenza, o con qualunque nome gli si dia, questi nomi non gli convengono propriamente come si formano nella creatura.

Una domanda: Ma che cos’è il più profondamente nascosto di questo Nulla suddetto, che nel suo significato, secondo il tuo parere, esclude ogni realtà divenuta? Esso è invero pura semplicità; come può avere il massimamente semplice più dentro o più fuori?
Risposta: Fin quando l’uomo comprende un’unione o tale cosa che si può manifestare con parole, egli deve andare ancora più profondo; questo Nulla non può andare più profondamente in se stesso, ma ben noi, secondo quello che possiamo comprendere; cioè quando vogliamo intendere senza alcuna luce o immagine formata, che possano esistere, ciò che nessuna intelligenza può cogliere per mezzo di forme e immagini. E di ciò non si può discorrere, poiché ritengo che si discorra di una cosa che si può manifestare con parole; ora, qualunque cosa di ciò si dica, non si spiegherà affatto che cosa sia questo Nulla, per quanto dottori e libri vi siano. Ma che questo Nulla sia lui stesso ragione o essenza o godimento, ciò è pure ben vero, secondo il modo in cui possiamo parlarne; ma, secondo la verità dello stesso Nulla, ciò è così lontano e più lontano che chiamare una fine perla un ceppo.

Una domanda: Che cosa vuol dire: quando il Nulla generante che si chiama Dio viene in se stesso, l’uomo non conosce alcuna distinzione tra sé e lui?
Risposta: Questo Nulla non è in se stesso per noi, finché è operante in noi tale cosa; ma quando lui viene in se stesso per noi, allora né noi e neppure lui per noi sappiamo niente di questa cosa.

Una domanda: Spiegami meglio ciò.
Risposta: Non intendi che il possente, annientante rapimento nel Nulla toglie nel fondo [di Dio] ogni distinzione, non secondo l’essere, ma solo secondo la nostra percezione, come si è detto?

Una domanda: Mi impressiona ancora una parola che è stata detta innanzi: che l’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è sempre stato. Come può essere ciò?
Risposta: Dice un maestro che l’eternità è una vita che è sopra il tempo e racchiude in sé ogni tempo, senza prima e senza dopo. E chi è immerso nell’eterno Nulla possiede tutto in tutto e non ha né prima né dopo. Sì, l’uomo che vi fosse immerso oggi, non lo sarebbe stato più di recente, a parlare secondo l’eternità, di colui che vi fosse immerso da mille anni.

Un’obiezione: L’uomo è in attesa di tale immersione solo dopo la morte, come dice la Scrittura.
Risposta: Ciò è vero secondo un possesso duraturo e perfetto, non secondo un pregustamento, di più o di meno.

Una domanda: Ma com’è riguardo alla cooperazione dell’uomo con Dio?
Risposta: Quello che su ciò si è detto, non si deve intendere secondo il semplice significato, come le parole suonano nel linguaggio comune, ma si deve prendere secondo il trapasso, quando l’uomo non resta più se stesso, é trapassato nell’Uno ed è divenuto uno; e là l’uomo non opera come uomo. E per questo motivo si comprende come tale uomo ha in sé tutte le creature nell’unità, e tutti i diletti, sì, pure quelli che si hanno nelle opere corporali, senza attività corporale e spirituale, perché è lui stesso ciò nella suddetta unità.
E nota qui una differenza: gli antichi maestri della natura consideravano le cose naturali solamente nel modo in cui esse sono nelle loro cause naturali, e così ne parlavano pure e le gustavano, e non diversamente. Ugualmente i divini maestri cristiani, e generalmente i dottori e le persone sante, prendono le cose come sono scaturite da Dio, e vi riportano l’uomo dopo la sua morte naturale, per quanto abbia vissuto quaggiù secondo la sua volontà. Ma questi uomini assorbiti prendono sé e ogni cosa, per la trascendente e immanente unità, come esistenti sempre ed eternamente.

Una domanda: Non c’è là nessuna diversità?
Risposta: Sì, solo chi ha veramente quella grazia sa ciò e si riconosce creatura, non difettosa ma piuttosto unita [a Dio]; e quando egli non era, era il medesimo [Dio], e non unito.

Una domanda: Che cosa vuol dire questo: quando egli non era, era quello stesso?
Risposta: È ciò che dice san Giovanni nel suo Vangelo: «Ciò che è divenuto è stato fatto, era in lui la vita».

Una domanda: Come può ora essere vero questo, dal momento che suona come se l’anima fosse una doppia realtà, creata e increata? Come può essere ciò, come può l’uomo essere creatura e non creatura?
Risposta: L’uomo non può essere creatura e Dio secondo il nostro linguaggio, ma Dio è trino e uno; ugualmente può l’uomo in qualche modo, quando trapassa in Dio, essere uno nel perdersi, ed essere, secondo la maniera esteriore, contemplante, godente e cose simili. E di ciò porto un paragone: l’occhio si perde nel suo vedere attuale, perché diventa uno nell’atto della vista con il suo oggetto, e tuttavia ognuno dei due resta ciò che è.

Una domanda: Chi ha mai conosciuto la Scrittura sa che nel Nulla l’anima o deve essere trasformata al di sopra di sé o essere annientata secondo l’essere, e qui non è così.
Risposta: L’anima resta sempre creatura, ma nel Nulla, quando vi si è perduta, non pensa affatto al modo in cui allora è creatura ovvero è quel Nulla, oppure se è creatura o è niente, oppure si è unita o no. Ma, quando si è in possesso della ragione, si percepisce bene ciò, e questa percezione si mantiene nell’uomo.

Una domanda: Ha un tale uomo tuttavia il meglio?
Risposta: Sì, per il fatto che non gli viene tolto ciò che ha e gli viene data un’altra cosa migliore. Egli comprenderà ciò di più e più puramente, e ciò gli resta. Ma egli tuttavia non è giunto là attraverso tutto quello di cui si è parlato, in conseguenza del ritorno in sé. Se deve giungervi, è necessario che sia nel fondo che sta nascosto nell’anzidetto Nulla. Là non si sa niente di niente, là non c’è nulla, là non c’è neppure alcun «là»; cosa se ne dica, lo si sfigura. E tuttavia quest’uomo è un nulla di sé, benché gli resti tutto, secondo ciò che si è detto prima.

Una domanda: Su ciò istruiscimi meglio.
Risposta: I dottori dicono che la beatitudine dell’anima consiste prima di tutto in questo: quando essa contempla Dio nudamente, prende tutto il suo essere e la sua vita, e attinge tutto ciò che è, per quanto è beata, dal fondo di questo Nulla, e non sa niente di conoscenza, a parlare da questo punto di vista, né d’amore, né assolutamente di niente. Essa riposa tutta e unicamente nel Nulla, e non sa niente tranne l’essere che è Dio o questo Nulla.
Ma quando sa e riconosce di sapere, contemplare e conoscere il Nulla, ciò è un’uscita e un ritorno in sé da ciò che aveva prima, secondo l’ordine naturale. E poiché tale assorbimento è spremuto dalla stessa vena, perciò tu puoi comprendere come esso si presenti in profondità.

Una domanda: Desidererei comprendere ciò ancora meglio dalla verità della Scrittura.
Risposta: I dottori dicono: quando si conoscono le creature in se stesse, ciò si chiama ed è una conoscenza vespertina, perché allora si vedono le creature in immagini distinte in qualche modo; ma, quando si conoscono le creature in Dio, ciò si chiama ed è una conoscenza mattutina, e così si contemplano le creature senza alcuna distinzione, spoglie di ogni immagine e prive di ogni somiglianza, nell’Uno che è Dio stesso in se stesso.

Una domanda: Può l’uomo nel tempo comprendere questo Nulla?
Risposta: Non penso che ciò possa essere secondo il modo dello spirito; ma secondo il modo unitivo egli si intuisce unito in ciò dove questo Nulla gode se stesso ed è generante. Ciò avviene bene mentre il corpo è sulla terra, secondo il parlare comune, ma l’uomo è allora al di sopra del tempo.

Una domanda: L’unione dell’anima avviene mediante la sua essenza o mediante le sue potenze?
Risposta: L’essenza dell’anima si unisce con l’essenza del Nulla, e le potenze dell’anima con le operazioni del Nulla, operazioni che il Nulla ha in se stesso.

Una domanda: Vengono a cadere nell’uomo le sue mancanze oppure egli può commetterne ancora
dopo ciò, quando si riconosce ancora creatura, non in maniera difettosa ma in modo unito?
Risposta: Finché l’uomo resta se stesso, può commettere delle mancanze, come dice san Giovanni: «Se presumiamo di non avere peccati, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi». Ma in quanto l’uomo non resta se stesso, non commette mancanze, come lo stesso san Giovanni dice in una sua lettera, cioè che l’uomo il quale è nato da Dio non fa peccati né commette mancanze, poiché il seme divino dimora in lui. E perciò l’uomo che qui va bene, non fa più opere, fuorché un’opera sola; poiché c’è un’unica nascita e un unico fondo, cioè secondo l’unione.

Un’obiezione: Come può essere che l’uomo non faccia più che un’opera? Anche Cristo aveva una duplice operazione.
Risposta: Ritengo che l’uomo non faccia più che un’opera, egli che non ha di mira nessun’opera tranne quando l’operi la nascita eterna. Se Dio non generasse il suo Figlio senza interruzione, Cristo non avrebbe fatto alcuna opera naturale. Perciò io la ritengo un’opera sola, tranne che si voglia prenderla secondo l’intendimento umano.

Un’obiezione: I maestri pagani dicono tuttavia che nessuna cosa è destituita della propria operazione.
Risposta: L’uomo non è destituito della propria operazione, ma essa resta là inosservata secondo il modo.

Una domanda: Le opere di creatura che rimangono da fare all’uomo, è lui che le fa o chi?
Risposta: Se l’uomo deve giungere al più alto grado, deve morire nella rinascita che è in lui, e questa rinascita deve avvenire in lui. Nota come: tutto ciò che viene in noi, da dove sia, se non è nato in noi di nuovo, non ci è utile. La rinascita è così estranea, e ha così poco ormai da fare con il corpo dopo la sua realizzazione, che la natura fa nell’uomo, come in un animale ragionevole, quelle opere che appartengono alla vita dell’uomo, e che l’uomo, in qualche modo, non ha più da fare, cioè in maniera attuale, come aveva [da fare] prima della realizzazione [della sua rinascita]; ma fa piuttosto queste opere in maniera abituale. E di ciò prendi una similitudine dal vino bruciato: esso non ha meno materialità, per un operare più forte e tranquillo, del vino che è rimasto nella sua prima nascita.

Una domanda: Da’ una distinzione tra la nascita eterna e la rinascita che è nell’uomo.
Risposta: Chiamo eterna nascita l’unica forza in cui tutte le cose e le cause di tutte le cose ottengono di essere e di essere cause. Ma io chiamo la rinascita che appartiene solamente all’uomo un indirizzare di nuovo qualunque cosa si voglia verso l’origine da prendere secondo il modo dell’origine, senza nessuna considerazione propria.

Un’obiezione: Che cosa operano allora le cause essenziali e naturali di cui scrivono i maestri della natura?
Risposta: Esse operano naturalmente tutto ciò che l’eterna nascita dell’uomo opera nel suo generare, ma nel fondo [del Nulla] non c’è niente da dirne.

Una domanda: Quando l’anima, nella sua immersione, si perde secondo la conoscenza e tutte le sue operazioni creaturali, che cos’è che allora guarda al di fuori per l’effettuazione delle cose esteriori?
Risposta: Tutte le potenze dell’anima sono troppo inferme perché possano entrare in questo Nulla, secondo quel modo di cui si è parlato prima; tuttavia, quando ci si è perduti così in questo Nulla, le potenze operano ciò che è di loro origine.

Una domanda: Com’è fatto questo perdersi nel quale l’uomo si perde in Dio?
Risposta: Se mi hai seguito con diligenza, ciò ti è stato mostrato prima assai propriamente, perché quando l’uomo è così rapito a lui stesso da non sapere niente, né di sé né di niente ed è completamente acquietato nel fondo dell’eterno Nulla, allora egli è ben perduto a se stesso.

Una domanda: Trapassa la volontà nel Nulla?
Risposta: Sì, secondo il suo volere, perché, per quanto libera sia la volontà, essa è diventata libera soprattutto quando non ha più bisogno di volere.

Un’obiezione: Come può trapassare all’uomo la sua volontà? Al Cristo restò la volontà, secondo il modo di volere.
Risposta: All’uomo trapassa la volontà secondo il volere, secondo cioè che egli voglia operare con proprietà ora questo ora quello; e qui egli non ha una tale attività di volere in maniera difettosa, come prima si è detto, ma la sua volontà è diventata libera, cosicché egli non fa più che un’opera che è lui stesso secondo il modo dell’unione, e opera fuori del tempo. Ma, se si prende ciò secondo il nostro parlare, egli non vuole fare niente di male, e vuole tutte le cose buone; e propriamente tutto il suo vivere, volere e agire sono una tranquilla, intatta libertà, che è sicuramente, senza alcun dubbio, il suo sostegno; e allora egli si comporta secondo il modo della generazione.

Un’obiezione: La processione della volontà non è per modo di generazione.
Risposta: Questa volontà è unita con la volontà divina, e non vuole altro all’infuori di ciò che essa stessa è, in quanto il volere è in Dio. E ciò che è stato detto innanzi non deve intendersi secondo un rimettersi in Dio, come suona comunemente, ma si deve prendere come una destituzione di se stesso, perché l’uomo è tanto unito che Dio è il suo fondo.

Una domanda: Resta all’uomo il suo essere personale e distinto nel fondo del Nulla?
Risposta: Tutto questo nell’insieme si deve intendere unicamente secondo l’apprensione umana, in cui, secondo lo sguardo che trascende in maniera annientante, questo e quello restano inavvertiti; non secondo l’essenza in cui ognuno resta ciò che è, come dice sant’Agostino: «Lascia cadere in disprezzo questo e quel bene, allora resta il puro bene trascendente nella sua nuda ampiezza, ed è Dio».

Una domanda: L’uomo che ha esperienza del Nulla di cui si è parlato, per modo di godimento, conserva ciò incessantemente?
Risposta: Non per modo di godimento, ma ciò resta in una maniera abituale, che non si perde.

Una domanda: L’esteriore disturba un po’ l’interiore?
Risposta: Se fossimo fuori del tempo secondo il corpo, vi sarebbe minore impedimento, in molti modi, per fame, fatica o altre cose; ma la contemplazione spirituale esteriore non disturba l’interiore, perché è nella libertà. A volte accade anche che, quanto più la natura è oppressa, tanto più riccamente si trova la divina Verità.

Una domanda: Da dove viene la malinconia?
Risposta: Quando tale cosa non deriva da cause naturali, e l’uomo è libero interiormente, non vi presti attenzione, ciò passa con il corpo. Ma se l’interiore vi fosse mischiato dal fondo, ciò non sarebbe giusto.

Un’obiezione: La Scrittura del Vecchio Testamento e del Nuovo nel Vangelo spiega chiaramente come nel tempo non si possa arrivare a ciò che è stato detto.
Risposta: Ciò è vero quanto al possesso e alla piena conoscenza del medesimo, perché ciò che l’uomo prova di qui, è più perfetto di lì, benché sia lo stesso e possa essere sulla terra al di sopra dell’intelligenza.

Una domanda: Un uomo che comincia a comprendere il suo eterno Nulla, non per forza superiore, ma unicamente per sentito dire, o senza ciò, per mezzo di immagini prodotte in lui, che cosa deve fare?
Risposta: L’uomo che non ancora comprende tanto da sapere soprannaturalmente che cos’è il suddetto Nulla, dove tutte le cose sono annientate secondo la loro stessa proprietà, lasci stare tutto com’è, qualunque cosa gli venga innanzi, e si tenga alla dottrina comune della santa cristianità, come si vedono molti uomini buoni e semplici che giungono a una lodevole santità, e che tuttavia non sono chiamati a ciò. Ma se uno è giunto al punto sicuro, vi si tenga, ed è sulla retta strada, perché tale punto è conforme alla Santa Scrittura. Mi sembra inquietante fare diversamente, perché, chi si trascura in ciò, o si perde in una mancanza di libertà oppure incorre spesso in una libertà disordinata.


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20/10/2012 23:48

6 Su quali punti difettano gli uomini che vivono in una falsa libertà


Una volta, in una luminosa domenica, egli era seduto raccolto e pensoso, e nel silenzio del suo spirito gli si fece incontro una figura spirituale, che era sottile nelle parole, ma non esercitata nelle opere, e prorompeva in una sfarzosa esuberanza. Egli prese la parola e gli disse: «Donde sei tu?». Quello rispose: «Non venni mai da alcun luogo». Egli: «Dimmi, che sei tu?». Quello: «Io non sono». Egli: «Che cosa vuoi?». Quello: «Non voglio nulla». Egli disse ancora: «Questo è un portento, dimmi: come ti chiami?». Quello rispose: «Mi chiamo il selvaggio senza nome».

Il discepolo disse: Tu puoi ben chiamarti il selvaggio perché le tue parole e risposte sono assai selvagge. Ora dimmi una cosa, te ne prego: dove giunge il tuo discernimento?
Quello disse: A una libertà affrancata.

Il discepolo disse: Dimmi, che chiami tu una «libertà affrancata»?
Quello disse: Quando l’uomo vive a suo capriccio, senza distinzione, senza nessuno sguardo davanti e dietro.

Il discepolo disse: Tu non sei sulla retta via della Verità, perché tale libertà svia l’uomo da ogni beatitudine e lo priva della vera libertà; perché a chi manca la distinzione manca l’ordine, e ciò che è senza ordine è malvagio e difettoso, come Cristo disse: «Chi fa il peccato è schiavo del peccato». Ma chi con una coscienza pura e una vita custodita entra nel Cristo per mezzo di un vero abbandono di se stesso, costui giunge alla vera libertà, come il Cristo stesso disse: «Se il Figlio vi libera, voi sarete veramente liberi».

Il selvaggio disse: Che chiami tu «ordinato» o «non ordinato»?
Il discepolo disse: Chiamo una cosa ordinata quando tutto ciò che le appartiene, internamente o esternamente, non rimane oscuro nei suoi effetti; e la chiamo disordinata se qualcosa di ciò che si è detto non ha luogo.

Il selvaggio disse: Una libertà affrancata deve perire a tutto quanto e disprezzare tutto ciò.
Il discepolo disse: La noncuranza sarebbe contro ogni verità, ed è simile alla falsa libertà affrancata, perché è contro l’ordine che l’eterno Nulla, nella sua fecondità, ha dato a tutte le cose.

Il selvaggio disse: L’uomo che è stato annientato nel suo eterno Nulla non sa niente di distinzione.
Il discepolo: L’eterno Nulla, che è considerato qui e in ogni retta ragione essere nulla non per il suo non essere ma per la sua realtà trascendente, questo Nulla non ha in se stesso la minima distinzione, e da lui, in quanto è fecondo, proviene ogni ordinata distinzione di tutte le cose. L’uomo non è mai tanto annientato in questo Nulla che al suo intendimento non resti pertanto la distinzione della sua propria origine, e, alla ragione dello stesso, la sua propria scelta, per quanto tutto ciò resti inavvertito nel suo primo fondo.

Il selvaggio: Non si prende allora ciò assolutamente in nessuna parte tranne che nello stesso e dallo stesso fondo?
Il discepolo: Egli non lo prenderebbe giustamente, perché ciò non è solamente nel fondo, è pure in se stesso un qualcosa di creato fuori del fondo, e resta ciò che è, e lo si deve prendere pure in questo modo. Se fosse che gli sfuggisse la sua distinzione secondo l’essenza come secondo l’apprensione, allora si potrebbe concedere; ma ciò non è come s’è detto innanzi. Perciò bisogna avere sempre una buona distinzione.

Il selvaggio disse: Ho inteso dire che vi sia stato un grande maestro che negasse ogni distinzione.
Il discepolo disse: Ciò che tu pensi, che egli negasse ogni distinzione, se lo prendi nella divinità, si può comprendere che egli l’intendesse di ognuna delle Persone nel fondo, dove esse sono indistinte, ma non lo sono riguardo a ciò in cui esse sono opposte; e qui si deve tenere certamente la distinzione personale.
Se lo prendi pure nell’annientamento di un uomo trapassato [in Dio], riguardo a ciò è stato detto sufficientemente prima, come ciò debba intendersi secondo l’apprensione e non secondo l’essenza. E nota qui che altro è separazione, altro distinzione, come è manifesto che corpo e anima non sono separati, perché uno è nell’altro e nessun membro che è separato può vivere. Ma l’anima è distinta dal corpo, perché l’anima non è il corpo, né il corpo l’anima. Così io intendo che nella verità non c’è niente che possa avere separazione dall’essere semplice, perché questo dà l’essere a tutti gli esseri, ma c’è distinzione cosicché l’essere divino non è l’essere della pietra, né l’essere della pietra l’essere divino, né alcuna creatura l’essere dell’altra. E così i maestri pensano che questa distinzione, a parlare propriamente, non è in Dio, ma è piuttosto da Dio. E lui dice nel Libro della Sapienza: come niente è più intimo di Dio, così non c’è niente di più distinto. E perciò la tua sentenza è falsa, e questa opinione è vera.

Il selvaggio disse: Lo stesso maestro ha detto cose molto belle di un uomo cristiforme.
Il discepolo disse: Il maestro in un luogo dice così: Cristo è il Figlio unigenito e noi no, egli è il Figlio naturale, perché la sua nascita termina alla natura, ma noi non siamo il Figlio naturale, e la nostra generazione si chiama una rinascita perché ha per termine l’uniformità alla sua natura; egli è un’immagine del Padre, noi siamo formati secondo l’immagine della santa Trinità. E dice che nessuno, in quanto a ciò, può commisurarsi a lui in parità.

Il selvaggio disse: Ho inteso che egli dicesse che un tale uomo opera tutto ciò che il Cristo ha operato.
Il discepolo rispose: Lo stesso maestro dice così in un luogo: il giusto opera tutto quello che opera la giustizia, e ciò è vero, dice lui, perché il giusto è figlio unico della giustizia, come sta scritto: «Ciò che è nato dalla carne è carne e ciò che è nato dallo spirito è spirito». E ciò è unicamente vero nel Cristo, dice lui, e in nessun altro uomo, perché egli non ha altro essere che l’essere del Padre, né altro generante che il Padre celeste; e perciò egli opera tutto ciò che il Padre opera. Ma in tutti gli altri uomini, dice lui, si trova questo: che noi operiamo
più o meno con lui, secondo che siamo più o meno nati da lui. E questo discorso ti istruisce propriamente sulla Verità.

Il selvaggio disse: Il suo discorso mostra chiaramente che tutto ciò che è stato dato al Cristo, è stato dato pure a me.
Il discepolo: Il tutto che è stato dato al Cristo è il perfetto possesso della beatitudine essenziale, come lui disse: «Omnia dedit mihi Pater, il Padre mi ha dato tutto»; e questo stesso tutto egli l’ha donato a tutti noi, ma in maniera diversa. E dice in molti luoghi che lui ha tutto ciò per l’incarnazione, e noi per l’unione deiforme, e perciò lui ha ciò tanto più nobilmente quanto più nobilmente ne era capace.

Il selvaggio però continuò a esporre e volle dire che egli negasse ogni somiglianza e unione, e che lui ci collocasse puramente e senza somiglianza nella pura unità.
Il discepolo rispose dicendo: Ciò che ti fa difetto senza dubbio è che non ti è chiara la distinzione di cui si è detto prima, come un uomo deve diventare uno in Cristo e tuttavia restare distinto, e dove egli è unito, e dove deve prendersi come uno [con lui], non come unito. La luce essenziale non ti ha ancora illuminato, perché la luce essenziale comporta ordine e distinzione, rifiuta un’erompente molteplicità. La tua acuta intuizione spadroneggia per la magnificenza del lume naturale con agile raziocinio, che risplende assai simile alla luce della divina Verità.

Il selvaggio tacque e lo pregò con rassegnata sottomissione che toccasse oltre l’utile distinzione.
Egli rispose dicendo: Il più grande difetto che fa deviare te e i tuoi simili sta in ciò: che vi manca una buona distinzione della verità razionale. E perciò chi vuole raggiungere il più alto grado e non cadere in tale difetto deve stare attento a questa misteriosa dottrina: così giungerà senza ostacoli a una vita beata.


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20/10/2012 23:51

7 Quanto nobilmente si comporta un uomo rettamente abbandonato in tutte le cose


Dopo di ciò il discepolo si rivolse di nuovo con fervore all’eterna Verità, e desiderò sapere pure qualche distinzione riguardo alle caratteristiche della figura esterna di un uomo che si fosse veramente abbandonato, e domandò: «Eterna Verità, come si comporta un simile uomo nell’accadere di ogni cosa?».
Risposta: Egli scompare a se stesso e con lui tutte le cose.

Una domanda: Come si comporta riguardo al tempo?
Risposta: Si tiene nell’istante presente, senza propositi egoistici, e prende il suo più alto bene nella minima come nella più grande cosa.

Una domanda: Paolo dice che al giusto non è data alcuna legge.
Risposta: Un uomo giusto si comporta, secondo il suo stato di creatura, più remissivamente degli altri uomini, perché comprende a fondo, interiormente, che cosa è conveniente esteriormente a ognuno, e prende ogni cosa in questo modo; ma che non abbia legami viene dal fatto che opera per abbandono quello stesso che il comune degli uomini fa per forza.

Una domanda: Chi è trasformato in questo abbandono interiore non è dispensato dagli esercizi esteriori?
Risposta: Si vedono pochi uomini giungere con le forze non consumate là dove tu dici, perché il distaccarsi dalle cose terrene prova sin nel più intimo delle loro midolla coloro ai quali ciò avviene in verità. E perciò, quando essi sanno ciò che bisogna fare e lasciare, restano negli esercizi comuni, più o meno, secondo la loro possibilità o le altre circostanze.

Una domanda: Da dove viene, a certi uomini che sembrano buoni, la grande ristrettezza e la smisurata angustia che hanno nella coscienza, e invece ad alcuni altri la larghezza disordinata?
Risposta: Hanno entrambi ancora di mira la loro propria immagine , ma in modo diverso i primi spiritualmente, gli altri materialmente.

Una domanda: Se ne sta un tale uomo tutto il tempo ozioso, o qual è il suo da fare?
Risposta: Il da fare di un uomo ben abbandonato è il suo abbandonarsi, e la sua opera è il suo restare ozioso, perché nel suo fare egli resta in riposo e nella sua opera resta ozioso.

Una domanda: Come si comporta verso il prossimo?
Risposta: Egli ha comunione con la gente senza immaginazione, affezione senza attaccamento e compassione senza affanno, in vera libertà.

Una domanda: È obbligato un uomo simile a confessarsi?
Risposta: La confessione che si fa per amore è più nobile di quella che viene dal debito.

Una domanda: Qual è il modo di pregare di un tale uomo, oppure deve pregare anche lui?
Risposta: La sua preghiera è fruttuosa perché si raccoglie nei suoi sensi, essendo Dio spirito, ed egli fa attenzione se si è creato in qualche modo un ostacolo o se segue se stesso, mediante qualche anticipazione del proprio io. E in essa si produce una luce nelle facoltà superiori che gli manifesta che Dio è l’essere e la vita e l’operare in lui, ed egli ne è solo uno strumento.

Una domanda: Come si presenta il mangiare, bere e dormire di un tale uomo nobile?
Risposta: Secondo l’esterno e secondo la sensibilità l’uomo esteriore mangia, ma secondo la contemplazione interiore egli non mangia, altrimenti userebbe del cibo e del riposo in maniera animale. Ed è così pure nelle altre cose che appartengono all’uomo.

Una domanda: Com’è fatta la sua condotta esteriore?
Risposta: Egli non ha molti modi particolari né molte parole, ed esse sono schiette e semplici; e ha una condotta morigerata, tanto che le cose fluiscono attraverso di lui senza di lui, ed è calmo nei sensi.

Una domanda: Sono tutti così?
Risposta: Più o meno secondo una differenza accidentale, ma il punto essenziale resta uguale.

Una domanda: È giunto un uomo simile a un sapere completo della Verità o gli restano ancora il sembrare e il credere?
Risposta: Quando l’uomo resta con se stesso, gli resta pure il sembrare e il credere; ma quando si è perduto a se stesso in ciò che è, là c’è un sapere di tutta la Verità perché ciò è questa stessa [Verità], ed egli vi si tiene abbandonato?
E con ciò ti sia detto abbastanza; perché non si giunge là con domande, ma con un retto abbandono si perviene a questa Verità nascosta.
Amen.

[SM=g27998] [SM=g27998] [SM=g27998]


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