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Beato Enrico Suso, frate domenicano Libretto della vita perfetta

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2012 23:51
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20/10/2012 23:40

4 Il vero ritorno che deve fare un uomo abbandonato attraverso il Figlio unigenito


Il discepolo: Ho compreso bene la verità dell’effusione del divenire delle creature. Sentirei ora parlare volentieri della breccia [verso Dio]; come l’uomo attraverso il Cristo deve ritornare e conseguire la sua beatitudine.
La Verità: Bisogna sapere che Cristo, Figlio di Dio, aveva qualcosa di comune con tutti gli uomini e qualcosa di singolare rispetto agli altri. Ciò che gli è comune con tutti gli uomini è la natura umana, essendo anche lui vero uomo. Egli assunse la natura umana e non la persona; e ciò si deve prendere nel senso che Cristo assunse la natura umana nell’individualità della materia, ciò che il dottore Damasceno chiama in atomo, e così alla natura umana assunta corrisponde il puro sangue nel corpo benedetto di Maria, quando da lei prese lo strumento corporeo.
E perciò la natura umana presa in se stessa non ha alcun diritto — dal momento che Cristo ha assunto essa e non la persona — a ciò che ciascun uomo debba e possa essere nella stessa maniera Dio e uomo. Egli è il solo al quale appartiene l’inaccessibile dignità di avere assunto la natura in tale purità che nulla gli è seguito né del peccato originale né di alcun altro peccato; e perciò egli fu il solo che poté redimere il genere umano indebitato.

In secondo luogo le opere meritorie, che tutti gli altri uomini compiono in vero abbandono di se stessi, ordinano propriamente l’uomo alla beatitudine, che è allora una ricompensa alla virtù. E la beatitudine consiste nella piena fruizione di Dio, dove ogni ostacolo e diversità sono rimossi. Ma l’unione dell’incarnazione di Cristo, essendo in un essere personale, sorpassa ed è superiore all’unione dello spirito dei beati in Dio. Poiché dal primo momento in cui fu concepito come uomo fu veramente Figlio di Dio, cosicché non ebbe alcun’altra sussistenza che quella di Figlio di Dio. Ma tutti gli altri uomini hanno la loro sussistenza naturale nel loro essere naturale e, per quanto completamente siano rapiti da se stessi o per quanto puramente si abbandonino nella Verità, non avviene mai che siano trasformati nella sussistenza della persona divina e che perdano la propria.

In terzo luogo quest’uomo, il Cristo, aveva pure, al di sopra di tutti gli altri uomini, di essere il capo della Chiesa, nella stessa maniera in cui si parla del capo dell’uomo in ordine al proprio corpo, così come sta scritto che tutti coloro che ha previsto li ha preparati a diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio, in modo che egli sia il primogenito tra molti altri.? E, perciò, chi vuole avere un vero ritorno e divenire figlio in Cristo si rivolga con un vero abbandono da se stesso verso di lui: così arriverà dove deve.

Il discepolo: Signore, che cos’è un vero abbandono?
La Verità: Percepisci con precisa distinzione queste due parole: lasciare sé. E se tu puoi pesare esattamente queste due parole e indagare a fondo sul loro ultimo significato e considerarlo con giusta distinzione, allora potrai essere istruito rapidamente sulla Verità. Prendi ora anzitutto la prima parola che suona: «sé» o «me», e considera che cos’è. E bisogna sapere che ciascun uomo ha cinque sé. Un sé gli è comune con la pietra ed è l’essere; un altro con la pianta ed è il crescere; il terzo con gli animali ed è il sentire; il quarto con tutti gli uomini ed è che ha in sé una natura comune, nella quale tutti gli altri convengono; il quinto che gli appartiene propriamente, è il suo uomo personale, sia secondo la nobiltà che secondo l’accidentalità. Che cos’è ora che distorna l’uomo e lo priva della beatitudine? È solamente l’ultimo sé, quando l’uomo, per rivolgersi verso se stesso, esce da Dio, dove dovrebbe rientrare di nuovo, e fa di se stesso un proprio sé secondo l’accidente, cioè si appropria per cecità di ciò che è di Dio, lo ha di mira, e lo dissipa nel tempo in mancanze.

Ma chi volesse lasciare ordinatamente questo sé, dovrebbe dare tre sguardi: il primo in modo da rivolgersi, con uno sguardo che si sprofonda, alla nullità del proprio sé, considerando che questo sé e il sé di tutte le creature sono un nulla lasciati fuori ed esclusi dall’Essere che è l’unica forza operante. Il secondo sguardo è di non trascurare che persino nel più alto abbandono il proprio sé permane sempre nella propria attiva sussistenza, dopo l’uscita, e non vi è assolutamente annientato. Il terzo sguardo si fa con un annientamento e un libero abbandono di se stesso in tutto ciò in cui ci si guidava da sé, in servile molteplicità contro la divina Verità; [abbandono] nella gioia e nella sofferenza, nel fare e nell’omettere, così da perdersi con ricca potenza, senza badare a questo e a quello, e annientarsi in maniera da non riprendersi e diventare una cosa con il Cristo nell’unità, così da operare in ogni momento per lui, mediante il ritorno, ricevere e vedere ogni cosa in questa semplicità. E questo sé abbandonato diventa un «io» cristiforme, di cui la Scrittura parla per mezzo di san Paolo che dice: «Io vivo, non più io, Cristo vive in me».
E questo io chiamo un sé ben pesato.

Prendiamo ora l’altra parola che Egli dice: lasciare. Egli intendeva con ciò «abbandonare» o «disprezzare», non così che si potesse lasciare questo sé al punto da essere ridotti totalmente a nulla, ma solo nel disprezzo, e allora è assai bene per l’uomo.
Il discepolo: Sia lodata la Verità! Caro Signore, dimmi, resta qualcosa a un uomo felicemente abbandonato?
La Verità: Ciò accade senza dubbio quando il servo buono e fedele è introdotto nella gioia del suo Signore: allora s’inebria della traboccante abbondanza della casa divina; perché gli avviene in maniera inesprimibile come a un uomo ubriaco che si dimentica di sé al punto da non essere più padrone di se stesso, poiché è totalmente annientato a se stesso ed è passato completamente in Dio ed è diventato uno spirito con lui, alla stessa maniera di una gocciolina d’acqua versata in molto vino. Poiché come questa si annienta a se stessa, allorché trae a sé e in sé il sapore e il colore di quello, così avviene a coloro che sono in pieno possesso della beatitudine: sfugge loro, in maniera inesprimibile, ogni desiderio umano e si perdono a se stessi e si sprofondano completamente nella divina volontà. Altrimenti non potrebbe essere vera la Scrittura che afferma che Dio deve diventare tutto in tutte le cose, se fosse che qualcosa dell’uomo restasse nell’uomo, e non si versasse invece completamente fuori di lui. Vi resta il suo essere, ma in un’altra forma, in un’altra gloria e in un’altra potenza. E ciò proviene dall’abbandono senza fondo di sé.

E lui dice così a riguardo del precedente pensiero: ma se qualche uomo in questa vita sia così abbandonato da avere perfettamente raggiunto ciò in modo da non guardare più il suo io, né nella gioia né nella sofferenza, ma da amare se stesso e pensarsi esclusivamente per Dio, secondo il più perfetto grado raggiungibile, non riesco a comprendere – egli dice – se sia possibile. Si facciano avanti coloro che l’hanno vissuto, perché, per parlare secondo il mio intendere, ciò mi sembra impossibile.

Da tutto questo discorso tu puoi scorgere una risposta alla tua domanda, poiché un retto abbandono di un tale uomo nobile nel tempo è poi modellato e disposto in conformità all’abbandono dei beati di cui parla la Scrittura, più o meno, secondo che gli uomini sono più o meno uniti o diventati uno [con Dio]. E osserva in particolare che egli dice che essi sono destituiti del loro io e trapassati in un’altra forma e in un’altra gloria e in un’altra potenza. Che cos’è mai l’altra forma estranea se non la divina natura e la divina essenza nella quale essi si dileguano e che li dilegua in sé, per essere la stessa cosa? Che cos’è allora un’altra gloria se non essere trasfigurati e glorificati nella luce sussistente che è inaccessibile? Che cos’è dunque un’altra potenza se non che dalla stessa sussistenza [divina] e dalla stessa unità sono date all’uomo una forza divina e una potenza divina di fare e lasciare tutto ciò che conviene alla sua beatitudine? E così l’uomo è disfatto dell’uomo, come s’è detto.

Il discepolo: È possibile ciò nel tempo?
La Verità: La beatitudine di cui si è parlato può essere conseguita in una duplice maniera. Una maniera è secondo il grado più perfetto, che è al di sopra di ogni possibilità, e ciò non può essere in questo tempo; poiché alla natura umana appartiene il corpo, la cui molteplice pressione vi si oppone. Ma, prendendo la beatitudine secondo una comunicazione parziale, è possibile, e tuttavia sembra impossibile a molti uomini. E ciò non è irragionevole, perché nessun pensiero né ragione vi possono pervenire. Dice bene un testo che si trova un pugno d’uomini, separati e sperimentati nella vita spirituale, che sono di spirito così puro e deiforme da avere in loro le virtù secondo una divina somiglianza; perché sono liberati dalle immagini e trasformati nell’unità del primo esemplare, e arrivano in qualche modo al pieno oblio della vita caduca e temporale, e sono trasformati nell’immagine divina e sono uno con lui. Ma là sta pure scritto che ciò appartiene solo a quelli che hanno posseduto questa beatitudine nel più alto grado, ossia ad alcuni uomini, pochi e i più devoti, che vanno ancora con il corpo nel tempo.



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