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Beato Enrico Suso, frate domenicano Libretto della vita perfetta

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2012 23:51
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20/10/2012 23:45

5 Le alte e utili questioni che la Verità gli risolvette per mezzo dell’immagine di un uomo abbandonato


Dopo di ciò venne al discepolo il desiderio di sapere se vi fosse in qualche paese un simile uomo nobile e abbandonato, preso veramente per Cristo, per farne conoscenza in Dio e venire a un familiare colloquio con lui. E, mentre era in questo fervore, si sprofondò in se stesso e, nella sospensione dei suoi sensi, gli sembrò di essere condotto in un paese spirituale. E là vide librarsi tra cielo e terra un’immagine, come se fosse l’immagine di un uomo vicino a una croce, in aspetto benevolo, e due categorie di uomini gli giravano intorno e non si avvicinavano; gli uni guardavano l’immagine solo interiormente e non esteriormente, gli altri all’esterno e non nell’interno, e gli uni e gli altri si volgevano verso l’immagine con avversione e durezza. Gli sembrò quindi che l’immagine si abbassasse come un uomo vero, si sedesse presso di lui e gli esprimesse di chiedere ciò che aveva da chiedere, perché gli sarebbe stato risposto.
Egli prese la parola e disse con un intimo sospiro del cuore: «Eterna Verità, che cos’è ciò, e che significa questa meravigliosa visione?». Così gli fu risposto, dicendo in lui la parola:
Quest’immagine che hai veduto, significa l’unigenito Figlio di Dio nella maniera in cui ha assunto la natura umana. E che hai veduto solo un’immagine e che essa fosse tuttavia molteplicemente varia significa che tutti gli uomini sono sue membra, e che sono pure figli o sono diventati figli per lui e in lui, come le numerose membra fisiche di un corpo.
Ma che il capo appare eccellente, ciò vuol dire che Egli è il primo e il Figlio unigenito secondo l’eccellente assunzione [della natura umana] nella sussistenza della Persona divina, mentre gli altri sono solo immersi nell’unità trasformante della stessa immagine. La croce significa che un vero uomo abbandonato, secondo l’uomo esteriore e interiore, deve mantenersi sempre nella donazione di se stesso in tutto quello che Dio vuole che soffra, da qualunque parte ciò venga, tanto da essere disposto a riceverlo in maniera da morire a se stesso in lode del Padre celeste.
E simili uomini si comportano nobilmente all’interno e cautamente all’esterno.
Che la figura fosse così benevolmente vicino alla croce indica questo: per quante sofferenze abbiano, ne hanno noncuranza, per il loro stesso abbandono. Dove si volgeva la testa, là si volgeva pure il corpo: ciò significa la corrispondenza della fedele imitazione della sua pura vita, chiara come uno specchio, e della sua buona dottrina, alla quale vigorosamente essi si volgono e si conformano.
Gli uomini della prima specie, che lo guardavano all’interno e non all’esterno, indicano gli uomini che considerano la vita di Cristo solamente con la ragione, in maniera speculativa, e non in maniera pratica, mentre dovrebbero spezzare la propria natura attraverso un esercizio d’imitazione dello stesso modello. Essi tirano tutto ciò, secondo tale visione, al diletto della natura e a una libertà oziosa in aiuto di se stessi, e sembrano loro molto grossolani e ignoranti quelli che non consentono con essi sulla stessa cosa.

Alcuni lo guardavano ancora solo in maniera esteriore e non secondo l’interiore, e costoro apparivano duri e rigidi; ed essi si esercitano rigorosamente, vivono cautamente e hanno davanti alla gente una condotta onorata e santa, ma trascurano il Cristo interiormente. Poiché la sua vita era dolce e mite, ma questi uomini sono molto rudi, giudicano le altre persone e sembra loro tutto falso ciò che non va secondo il loro modo di vivere. Questi uomini si comportano diversamente da Colui che pure hanno di mira, e ciò si nota da questo: se uno li prova, essi non si mantengono nell’abbandono di se stessi, né nello sprofondamento della loro natura e nella perdita delle cose che proteggono la volontà propria, come «volentieri», «malvolentieri» e simili. E con ciò la volontà propria viene conservata e protetta, tanto che l’uomo non giunge alle virtù divine, come l’obbedienza, la sopportazione, l’arrendevolezza e altre simili; perché tali virtù portano l’uomo all’immagine di Cristo.

Il discepolo cominciò a interrogare ancora di più e parlò così:
Dimmi, come si chiama il modo in cui l’uomo giunge alla sua beatitudine?
Risposta: Si può chiamare un modo generativo, come sta scritto nel Vangelo di san Giovanni, che Egli ha dato potenza e facoltà di diventare figli di Dio a tutti coloro che da nient’altro che da Dio sono nati. E ciò avviene in un modo analogo a ciò che si chiama «generazione» secondo la maniera comunemente accettata. Ora, ciò che genera l’altro in tal modo, lo foggia conforme a sé e in sé, e gli conferisce la somiglianza del suo essere e della sua attività. E perciò, a un uomo abbandonato, dove Dio solo è Padre, nel quale nulla di temporale si genera secondo proprietà, si aprono gli occhi in modo da comprendersi in Dio, ricevere la sua essenza e vita beata ed essere uno con lui, perché tutte le cose sono qui uno nell’Uno.
Il discepolo disse: Io vedo tuttavia che ci sono montagne e valli, acqua e aria, e svariate creature; come dici dunque che non c’è che l’Uno?
La pura parola rispose parlando così: Io ti dico ancora di più: tranne che l’uomo non comprenda due contraria, cioè due cose contrarie congiuntamente in una, in verità, senza alcun dubbio, non è molto facile parlare con lui di tali cose; perché, quando egli comprende ciò, allora solamente ha percorso la metà del cammino della vita che io intendo.

Una domanda: Quali sono i contrari?
Risposta: Un eterno Nulla e la sua creaturalità temporale.

Un’obiezione: Due contrari in un essere sono in contraddizione, in tutti i modi, con ogni scienza.
Risposta: Io e te non c’incontriamo su di uno stesso ramo o in uno stesso luogo; tu vai per una strada, io per un’altra. Le tue domande procedono da senno umano e io rispondo con sensi che sono al di sopra dell’intento di ogni uomo. Devi diventare insensato se vuoi giungere qua, perché la Verità diventa manifesta per mezzo della nescienza.
Avvenne in quello stesso tempo un grandissimo cambiamento in lui. Giunse a questo: che durante circa dieci settimane, era talvolta, ora di più ora di meno, astratto così fortemente che, con i sensi desti, in presenza di persone o senza di esse, il suo sentire gli trapassava secondo la propria attività, tanto che dappertutto, in tutte le cose, non gli rispondeva che l’Uno e ogni cosa nell’Uno, senza nessuna molteplicità di questo o di quello.

La parola riprese e disse in lui: Dunque, com’è andata? Ho detto bene?
Egli disse: Sì, ciò che prima non potevo credere è diventato di mia conoscenza; ma mi stupisce perché passi di nuovo.
La parola disse: Probabilmente ciò non si è ancora affondato nel tuo fondo essenziale.

Il discepolo riprese e chiese così: Dove approda l’intelletto di un uomo abbandonato?
Risposta: L’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è il Nulla di tutte le cose che si possono ricordare o esprimere; e questo Nulla si chiama Dio secondo il consenso universale ed è in se stesso l’essere più essenziale. E qui l’uomo si riconosce uno con questo Nulla, e questo Nulla conosce se stesso senza attività di conoscenza. Ma ciò è qui nascosto in qualche modo ancora più profondamente.

Una domanda: Dice la Scrittura qualcosa di Colui che tu hai chiamato Nulla , non del suo non essere, ma della sua eminente incomprensibilità?
Risposta: Dionigi scrive dell’Uno che è senza nome, e questo può essere il Nulla che io intendo; perché se uno lo chiama divinità o essenza, o con qualunque nome gli si dia, questi nomi non gli convengono propriamente come si formano nella creatura.

Una domanda: Ma che cos’è il più profondamente nascosto di questo Nulla suddetto, che nel suo significato, secondo il tuo parere, esclude ogni realtà divenuta? Esso è invero pura semplicità; come può avere il massimamente semplice più dentro o più fuori?
Risposta: Fin quando l’uomo comprende un’unione o tale cosa che si può manifestare con parole, egli deve andare ancora più profondo; questo Nulla non può andare più profondamente in se stesso, ma ben noi, secondo quello che possiamo comprendere; cioè quando vogliamo intendere senza alcuna luce o immagine formata, che possano esistere, ciò che nessuna intelligenza può cogliere per mezzo di forme e immagini. E di ciò non si può discorrere, poiché ritengo che si discorra di una cosa che si può manifestare con parole; ora, qualunque cosa di ciò si dica, non si spiegherà affatto che cosa sia questo Nulla, per quanto dottori e libri vi siano. Ma che questo Nulla sia lui stesso ragione o essenza o godimento, ciò è pure ben vero, secondo il modo in cui possiamo parlarne; ma, secondo la verità dello stesso Nulla, ciò è così lontano e più lontano che chiamare una fine perla un ceppo.

Una domanda: Che cosa vuol dire: quando il Nulla generante che si chiama Dio viene in se stesso, l’uomo non conosce alcuna distinzione tra sé e lui?
Risposta: Questo Nulla non è in se stesso per noi, finché è operante in noi tale cosa; ma quando lui viene in se stesso per noi, allora né noi e neppure lui per noi sappiamo niente di questa cosa.

Una domanda: Spiegami meglio ciò.
Risposta: Non intendi che il possente, annientante rapimento nel Nulla toglie nel fondo [di Dio] ogni distinzione, non secondo l’essere, ma solo secondo la nostra percezione, come si è detto?

Una domanda: Mi impressiona ancora una parola che è stata detta innanzi: che l’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è sempre stato. Come può essere ciò?
Risposta: Dice un maestro che l’eternità è una vita che è sopra il tempo e racchiude in sé ogni tempo, senza prima e senza dopo. E chi è immerso nell’eterno Nulla possiede tutto in tutto e non ha né prima né dopo. Sì, l’uomo che vi fosse immerso oggi, non lo sarebbe stato più di recente, a parlare secondo l’eternità, di colui che vi fosse immerso da mille anni.

Un’obiezione: L’uomo è in attesa di tale immersione solo dopo la morte, come dice la Scrittura.
Risposta: Ciò è vero secondo un possesso duraturo e perfetto, non secondo un pregustamento, di più o di meno.

Una domanda: Ma com’è riguardo alla cooperazione dell’uomo con Dio?
Risposta: Quello che su ciò si è detto, non si deve intendere secondo il semplice significato, come le parole suonano nel linguaggio comune, ma si deve prendere secondo il trapasso, quando l’uomo non resta più se stesso, é trapassato nell’Uno ed è divenuto uno; e là l’uomo non opera come uomo. E per questo motivo si comprende come tale uomo ha in sé tutte le creature nell’unità, e tutti i diletti, sì, pure quelli che si hanno nelle opere corporali, senza attività corporale e spirituale, perché è lui stesso ciò nella suddetta unità.
E nota qui una differenza: gli antichi maestri della natura consideravano le cose naturali solamente nel modo in cui esse sono nelle loro cause naturali, e così ne parlavano pure e le gustavano, e non diversamente. Ugualmente i divini maestri cristiani, e generalmente i dottori e le persone sante, prendono le cose come sono scaturite da Dio, e vi riportano l’uomo dopo la sua morte naturale, per quanto abbia vissuto quaggiù secondo la sua volontà. Ma questi uomini assorbiti prendono sé e ogni cosa, per la trascendente e immanente unità, come esistenti sempre ed eternamente.

Una domanda: Non c’è là nessuna diversità?
Risposta: Sì, solo chi ha veramente quella grazia sa ciò e si riconosce creatura, non difettosa ma piuttosto unita [a Dio]; e quando egli non era, era il medesimo [Dio], e non unito.

Una domanda: Che cosa vuol dire questo: quando egli non era, era quello stesso?
Risposta: È ciò che dice san Giovanni nel suo Vangelo: «Ciò che è divenuto è stato fatto, era in lui la vita».

Una domanda: Come può ora essere vero questo, dal momento che suona come se l’anima fosse una doppia realtà, creata e increata? Come può essere ciò, come può l’uomo essere creatura e non creatura?
Risposta: L’uomo non può essere creatura e Dio secondo il nostro linguaggio, ma Dio è trino e uno; ugualmente può l’uomo in qualche modo, quando trapassa in Dio, essere uno nel perdersi, ed essere, secondo la maniera esteriore, contemplante, godente e cose simili. E di ciò porto un paragone: l’occhio si perde nel suo vedere attuale, perché diventa uno nell’atto della vista con il suo oggetto, e tuttavia ognuno dei due resta ciò che è.

Una domanda: Chi ha mai conosciuto la Scrittura sa che nel Nulla l’anima o deve essere trasformata al di sopra di sé o essere annientata secondo l’essere, e qui non è così.
Risposta: L’anima resta sempre creatura, ma nel Nulla, quando vi si è perduta, non pensa affatto al modo in cui allora è creatura ovvero è quel Nulla, oppure se è creatura o è niente, oppure si è unita o no. Ma, quando si è in possesso della ragione, si percepisce bene ciò, e questa percezione si mantiene nell’uomo.

Una domanda: Ha un tale uomo tuttavia il meglio?
Risposta: Sì, per il fatto che non gli viene tolto ciò che ha e gli viene data un’altra cosa migliore. Egli comprenderà ciò di più e più puramente, e ciò gli resta. Ma egli tuttavia non è giunto là attraverso tutto quello di cui si è parlato, in conseguenza del ritorno in sé. Se deve giungervi, è necessario che sia nel fondo che sta nascosto nell’anzidetto Nulla. Là non si sa niente di niente, là non c’è nulla, là non c’è neppure alcun «là»; cosa se ne dica, lo si sfigura. E tuttavia quest’uomo è un nulla di sé, benché gli resti tutto, secondo ciò che si è detto prima.

Una domanda: Su ciò istruiscimi meglio.
Risposta: I dottori dicono che la beatitudine dell’anima consiste prima di tutto in questo: quando essa contempla Dio nudamente, prende tutto il suo essere e la sua vita, e attinge tutto ciò che è, per quanto è beata, dal fondo di questo Nulla, e non sa niente di conoscenza, a parlare da questo punto di vista, né d’amore, né assolutamente di niente. Essa riposa tutta e unicamente nel Nulla, e non sa niente tranne l’essere che è Dio o questo Nulla.
Ma quando sa e riconosce di sapere, contemplare e conoscere il Nulla, ciò è un’uscita e un ritorno in sé da ciò che aveva prima, secondo l’ordine naturale. E poiché tale assorbimento è spremuto dalla stessa vena, perciò tu puoi comprendere come esso si presenti in profondità.

Una domanda: Desidererei comprendere ciò ancora meglio dalla verità della Scrittura.
Risposta: I dottori dicono: quando si conoscono le creature in se stesse, ciò si chiama ed è una conoscenza vespertina, perché allora si vedono le creature in immagini distinte in qualche modo; ma, quando si conoscono le creature in Dio, ciò si chiama ed è una conoscenza mattutina, e così si contemplano le creature senza alcuna distinzione, spoglie di ogni immagine e prive di ogni somiglianza, nell’Uno che è Dio stesso in se stesso.

Una domanda: Può l’uomo nel tempo comprendere questo Nulla?
Risposta: Non penso che ciò possa essere secondo il modo dello spirito; ma secondo il modo unitivo egli si intuisce unito in ciò dove questo Nulla gode se stesso ed è generante. Ciò avviene bene mentre il corpo è sulla terra, secondo il parlare comune, ma l’uomo è allora al di sopra del tempo.

Una domanda: L’unione dell’anima avviene mediante la sua essenza o mediante le sue potenze?
Risposta: L’essenza dell’anima si unisce con l’essenza del Nulla, e le potenze dell’anima con le operazioni del Nulla, operazioni che il Nulla ha in se stesso.

Una domanda: Vengono a cadere nell’uomo le sue mancanze oppure egli può commetterne ancora
dopo ciò, quando si riconosce ancora creatura, non in maniera difettosa ma in modo unito?
Risposta: Finché l’uomo resta se stesso, può commettere delle mancanze, come dice san Giovanni: «Se presumiamo di non avere peccati, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi». Ma in quanto l’uomo non resta se stesso, non commette mancanze, come lo stesso san Giovanni dice in una sua lettera, cioè che l’uomo il quale è nato da Dio non fa peccati né commette mancanze, poiché il seme divino dimora in lui. E perciò l’uomo che qui va bene, non fa più opere, fuorché un’opera sola; poiché c’è un’unica nascita e un unico fondo, cioè secondo l’unione.

Un’obiezione: Come può essere che l’uomo non faccia più che un’opera? Anche Cristo aveva una duplice operazione.
Risposta: Ritengo che l’uomo non faccia più che un’opera, egli che non ha di mira nessun’opera tranne quando l’operi la nascita eterna. Se Dio non generasse il suo Figlio senza interruzione, Cristo non avrebbe fatto alcuna opera naturale. Perciò io la ritengo un’opera sola, tranne che si voglia prenderla secondo l’intendimento umano.

Un’obiezione: I maestri pagani dicono tuttavia che nessuna cosa è destituita della propria operazione.
Risposta: L’uomo non è destituito della propria operazione, ma essa resta là inosservata secondo il modo.

Una domanda: Le opere di creatura che rimangono da fare all’uomo, è lui che le fa o chi?
Risposta: Se l’uomo deve giungere al più alto grado, deve morire nella rinascita che è in lui, e questa rinascita deve avvenire in lui. Nota come: tutto ciò che viene in noi, da dove sia, se non è nato in noi di nuovo, non ci è utile. La rinascita è così estranea, e ha così poco ormai da fare con il corpo dopo la sua realizzazione, che la natura fa nell’uomo, come in un animale ragionevole, quelle opere che appartengono alla vita dell’uomo, e che l’uomo, in qualche modo, non ha più da fare, cioè in maniera attuale, come aveva [da fare] prima della realizzazione [della sua rinascita]; ma fa piuttosto queste opere in maniera abituale. E di ciò prendi una similitudine dal vino bruciato: esso non ha meno materialità, per un operare più forte e tranquillo, del vino che è rimasto nella sua prima nascita.

Una domanda: Da’ una distinzione tra la nascita eterna e la rinascita che è nell’uomo.
Risposta: Chiamo eterna nascita l’unica forza in cui tutte le cose e le cause di tutte le cose ottengono di essere e di essere cause. Ma io chiamo la rinascita che appartiene solamente all’uomo un indirizzare di nuovo qualunque cosa si voglia verso l’origine da prendere secondo il modo dell’origine, senza nessuna considerazione propria.

Un’obiezione: Che cosa operano allora le cause essenziali e naturali di cui scrivono i maestri della natura?
Risposta: Esse operano naturalmente tutto ciò che l’eterna nascita dell’uomo opera nel suo generare, ma nel fondo [del Nulla] non c’è niente da dirne.

Una domanda: Quando l’anima, nella sua immersione, si perde secondo la conoscenza e tutte le sue operazioni creaturali, che cos’è che allora guarda al di fuori per l’effettuazione delle cose esteriori?
Risposta: Tutte le potenze dell’anima sono troppo inferme perché possano entrare in questo Nulla, secondo quel modo di cui si è parlato prima; tuttavia, quando ci si è perduti così in questo Nulla, le potenze operano ciò che è di loro origine.

Una domanda: Com’è fatto questo perdersi nel quale l’uomo si perde in Dio?
Risposta: Se mi hai seguito con diligenza, ciò ti è stato mostrato prima assai propriamente, perché quando l’uomo è così rapito a lui stesso da non sapere niente, né di sé né di niente ed è completamente acquietato nel fondo dell’eterno Nulla, allora egli è ben perduto a se stesso.

Una domanda: Trapassa la volontà nel Nulla?
Risposta: Sì, secondo il suo volere, perché, per quanto libera sia la volontà, essa è diventata libera soprattutto quando non ha più bisogno di volere.

Un’obiezione: Come può trapassare all’uomo la sua volontà? Al Cristo restò la volontà, secondo il modo di volere.
Risposta: All’uomo trapassa la volontà secondo il volere, secondo cioè che egli voglia operare con proprietà ora questo ora quello; e qui egli non ha una tale attività di volere in maniera difettosa, come prima si è detto, ma la sua volontà è diventata libera, cosicché egli non fa più che un’opera che è lui stesso secondo il modo dell’unione, e opera fuori del tempo. Ma, se si prende ciò secondo il nostro parlare, egli non vuole fare niente di male, e vuole tutte le cose buone; e propriamente tutto il suo vivere, volere e agire sono una tranquilla, intatta libertà, che è sicuramente, senza alcun dubbio, il suo sostegno; e allora egli si comporta secondo il modo della generazione.

Un’obiezione: La processione della volontà non è per modo di generazione.
Risposta: Questa volontà è unita con la volontà divina, e non vuole altro all’infuori di ciò che essa stessa è, in quanto il volere è in Dio. E ciò che è stato detto innanzi non deve intendersi secondo un rimettersi in Dio, come suona comunemente, ma si deve prendere come una destituzione di se stesso, perché l’uomo è tanto unito che Dio è il suo fondo.

Una domanda: Resta all’uomo il suo essere personale e distinto nel fondo del Nulla?
Risposta: Tutto questo nell’insieme si deve intendere unicamente secondo l’apprensione umana, in cui, secondo lo sguardo che trascende in maniera annientante, questo e quello restano inavvertiti; non secondo l’essenza in cui ognuno resta ciò che è, come dice sant’Agostino: «Lascia cadere in disprezzo questo e quel bene, allora resta il puro bene trascendente nella sua nuda ampiezza, ed è Dio».

Una domanda: L’uomo che ha esperienza del Nulla di cui si è parlato, per modo di godimento, conserva ciò incessantemente?
Risposta: Non per modo di godimento, ma ciò resta in una maniera abituale, che non si perde.

Una domanda: L’esteriore disturba un po’ l’interiore?
Risposta: Se fossimo fuori del tempo secondo il corpo, vi sarebbe minore impedimento, in molti modi, per fame, fatica o altre cose; ma la contemplazione spirituale esteriore non disturba l’interiore, perché è nella libertà. A volte accade anche che, quanto più la natura è oppressa, tanto più riccamente si trova la divina Verità.

Una domanda: Da dove viene la malinconia?
Risposta: Quando tale cosa non deriva da cause naturali, e l’uomo è libero interiormente, non vi presti attenzione, ciò passa con il corpo. Ma se l’interiore vi fosse mischiato dal fondo, ciò non sarebbe giusto.

Un’obiezione: La Scrittura del Vecchio Testamento e del Nuovo nel Vangelo spiega chiaramente come nel tempo non si possa arrivare a ciò che è stato detto.
Risposta: Ciò è vero quanto al possesso e alla piena conoscenza del medesimo, perché ciò che l’uomo prova di qui, è più perfetto di lì, benché sia lo stesso e possa essere sulla terra al di sopra dell’intelligenza.

Una domanda: Un uomo che comincia a comprendere il suo eterno Nulla, non per forza superiore, ma unicamente per sentito dire, o senza ciò, per mezzo di immagini prodotte in lui, che cosa deve fare?
Risposta: L’uomo che non ancora comprende tanto da sapere soprannaturalmente che cos’è il suddetto Nulla, dove tutte le cose sono annientate secondo la loro stessa proprietà, lasci stare tutto com’è, qualunque cosa gli venga innanzi, e si tenga alla dottrina comune della santa cristianità, come si vedono molti uomini buoni e semplici che giungono a una lodevole santità, e che tuttavia non sono chiamati a ciò. Ma se uno è giunto al punto sicuro, vi si tenga, ed è sulla retta strada, perché tale punto è conforme alla Santa Scrittura. Mi sembra inquietante fare diversamente, perché, chi si trascura in ciò, o si perde in una mancanza di libertà oppure incorre spesso in una libertà disordinata.


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