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Beato Enrico Suso, frate domenicano Libretto della vita perfetta

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2012 23:51
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Sesso: Femminile
20/10/2012 23:48

6 Su quali punti difettano gli uomini che vivono in una falsa libertà


Una volta, in una luminosa domenica, egli era seduto raccolto e pensoso, e nel silenzio del suo spirito gli si fece incontro una figura spirituale, che era sottile nelle parole, ma non esercitata nelle opere, e prorompeva in una sfarzosa esuberanza. Egli prese la parola e gli disse: «Donde sei tu?». Quello rispose: «Non venni mai da alcun luogo». Egli: «Dimmi, che sei tu?». Quello: «Io non sono». Egli: «Che cosa vuoi?». Quello: «Non voglio nulla». Egli disse ancora: «Questo è un portento, dimmi: come ti chiami?». Quello rispose: «Mi chiamo il selvaggio senza nome».

Il discepolo disse: Tu puoi ben chiamarti il selvaggio perché le tue parole e risposte sono assai selvagge. Ora dimmi una cosa, te ne prego: dove giunge il tuo discernimento?
Quello disse: A una libertà affrancata.

Il discepolo disse: Dimmi, che chiami tu una «libertà affrancata»?
Quello disse: Quando l’uomo vive a suo capriccio, senza distinzione, senza nessuno sguardo davanti e dietro.

Il discepolo disse: Tu non sei sulla retta via della Verità, perché tale libertà svia l’uomo da ogni beatitudine e lo priva della vera libertà; perché a chi manca la distinzione manca l’ordine, e ciò che è senza ordine è malvagio e difettoso, come Cristo disse: «Chi fa il peccato è schiavo del peccato». Ma chi con una coscienza pura e una vita custodita entra nel Cristo per mezzo di un vero abbandono di se stesso, costui giunge alla vera libertà, come il Cristo stesso disse: «Se il Figlio vi libera, voi sarete veramente liberi».

Il selvaggio disse: Che chiami tu «ordinato» o «non ordinato»?
Il discepolo disse: Chiamo una cosa ordinata quando tutto ciò che le appartiene, internamente o esternamente, non rimane oscuro nei suoi effetti; e la chiamo disordinata se qualcosa di ciò che si è detto non ha luogo.

Il selvaggio disse: Una libertà affrancata deve perire a tutto quanto e disprezzare tutto ciò.
Il discepolo disse: La noncuranza sarebbe contro ogni verità, ed è simile alla falsa libertà affrancata, perché è contro l’ordine che l’eterno Nulla, nella sua fecondità, ha dato a tutte le cose.

Il selvaggio disse: L’uomo che è stato annientato nel suo eterno Nulla non sa niente di distinzione.
Il discepolo: L’eterno Nulla, che è considerato qui e in ogni retta ragione essere nulla non per il suo non essere ma per la sua realtà trascendente, questo Nulla non ha in se stesso la minima distinzione, e da lui, in quanto è fecondo, proviene ogni ordinata distinzione di tutte le cose. L’uomo non è mai tanto annientato in questo Nulla che al suo intendimento non resti pertanto la distinzione della sua propria origine, e, alla ragione dello stesso, la sua propria scelta, per quanto tutto ciò resti inavvertito nel suo primo fondo.

Il selvaggio: Non si prende allora ciò assolutamente in nessuna parte tranne che nello stesso e dallo stesso fondo?
Il discepolo: Egli non lo prenderebbe giustamente, perché ciò non è solamente nel fondo, è pure in se stesso un qualcosa di creato fuori del fondo, e resta ciò che è, e lo si deve prendere pure in questo modo. Se fosse che gli sfuggisse la sua distinzione secondo l’essenza come secondo l’apprensione, allora si potrebbe concedere; ma ciò non è come s’è detto innanzi. Perciò bisogna avere sempre una buona distinzione.

Il selvaggio disse: Ho inteso dire che vi sia stato un grande maestro che negasse ogni distinzione.
Il discepolo disse: Ciò che tu pensi, che egli negasse ogni distinzione, se lo prendi nella divinità, si può comprendere che egli l’intendesse di ognuna delle Persone nel fondo, dove esse sono indistinte, ma non lo sono riguardo a ciò in cui esse sono opposte; e qui si deve tenere certamente la distinzione personale.
Se lo prendi pure nell’annientamento di un uomo trapassato [in Dio], riguardo a ciò è stato detto sufficientemente prima, come ciò debba intendersi secondo l’apprensione e non secondo l’essenza. E nota qui che altro è separazione, altro distinzione, come è manifesto che corpo e anima non sono separati, perché uno è nell’altro e nessun membro che è separato può vivere. Ma l’anima è distinta dal corpo, perché l’anima non è il corpo, né il corpo l’anima. Così io intendo che nella verità non c’è niente che possa avere separazione dall’essere semplice, perché questo dà l’essere a tutti gli esseri, ma c’è distinzione cosicché l’essere divino non è l’essere della pietra, né l’essere della pietra l’essere divino, né alcuna creatura l’essere dell’altra. E così i maestri pensano che questa distinzione, a parlare propriamente, non è in Dio, ma è piuttosto da Dio. E lui dice nel Libro della Sapienza: come niente è più intimo di Dio, così non c’è niente di più distinto. E perciò la tua sentenza è falsa, e questa opinione è vera.

Il selvaggio disse: Lo stesso maestro ha detto cose molto belle di un uomo cristiforme.
Il discepolo disse: Il maestro in un luogo dice così: Cristo è il Figlio unigenito e noi no, egli è il Figlio naturale, perché la sua nascita termina alla natura, ma noi non siamo il Figlio naturale, e la nostra generazione si chiama una rinascita perché ha per termine l’uniformità alla sua natura; egli è un’immagine del Padre, noi siamo formati secondo l’immagine della santa Trinità. E dice che nessuno, in quanto a ciò, può commisurarsi a lui in parità.

Il selvaggio disse: Ho inteso che egli dicesse che un tale uomo opera tutto ciò che il Cristo ha operato.
Il discepolo rispose: Lo stesso maestro dice così in un luogo: il giusto opera tutto quello che opera la giustizia, e ciò è vero, dice lui, perché il giusto è figlio unico della giustizia, come sta scritto: «Ciò che è nato dalla carne è carne e ciò che è nato dallo spirito è spirito». E ciò è unicamente vero nel Cristo, dice lui, e in nessun altro uomo, perché egli non ha altro essere che l’essere del Padre, né altro generante che il Padre celeste; e perciò egli opera tutto ciò che il Padre opera. Ma in tutti gli altri uomini, dice lui, si trova questo: che noi operiamo
più o meno con lui, secondo che siamo più o meno nati da lui. E questo discorso ti istruisce propriamente sulla Verità.

Il selvaggio disse: Il suo discorso mostra chiaramente che tutto ciò che è stato dato al Cristo, è stato dato pure a me.
Il discepolo: Il tutto che è stato dato al Cristo è il perfetto possesso della beatitudine essenziale, come lui disse: «Omnia dedit mihi Pater, il Padre mi ha dato tutto»; e questo stesso tutto egli l’ha donato a tutti noi, ma in maniera diversa. E dice in molti luoghi che lui ha tutto ciò per l’incarnazione, e noi per l’unione deiforme, e perciò lui ha ciò tanto più nobilmente quanto più nobilmente ne era capace.

Il selvaggio però continuò a esporre e volle dire che egli negasse ogni somiglianza e unione, e che lui ci collocasse puramente e senza somiglianza nella pura unità.
Il discepolo rispose dicendo: Ciò che ti fa difetto senza dubbio è che non ti è chiara la distinzione di cui si è detto prima, come un uomo deve diventare uno in Cristo e tuttavia restare distinto, e dove egli è unito, e dove deve prendersi come uno [con lui], non come unito. La luce essenziale non ti ha ancora illuminato, perché la luce essenziale comporta ordine e distinzione, rifiuta un’erompente molteplicità. La tua acuta intuizione spadroneggia per la magnificenza del lume naturale con agile raziocinio, che risplende assai simile alla luce della divina Verità.

Il selvaggio tacque e lo pregò con rassegnata sottomissione che toccasse oltre l’utile distinzione.
Egli rispose dicendo: Il più grande difetto che fa deviare te e i tuoi simili sta in ciò: che vi manca una buona distinzione della verità razionale. E perciò chi vuole raggiungere il più alto grado e non cadere in tale difetto deve stare attento a questa misteriosa dottrina: così giungerà senza ostacoli a una vita beata.


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