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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri I - VI (1)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 19:18
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22/12/2012 19:02

LIBRO IV

SOMMARIO

1. Gli argomenti trattati nel primo libro.

2. Il contenuto del secondo e del terzo libro.

3. Se l'estensione del dominio, che si ottiene soltanto con la guerra, si debba considerare fra i beni di individui saggi e felici.

4. Gli Stati senza giustizia sono molto simili a bande di ladri.

5. La potenza dei gladiatori fuggitivi fu molto simile alla regia dignità.

6. L'ambizione del re Nino che per estendere il dominio per primo mosse guerra ai vicini.

7. Se i regni terreni nell'alternativa fra ascesa e decadenza siano aiutati o abbandonati dal soccorso degli dèi.

8. I Romani ritengono che il loro dominio sia stato esteso e conservato con la protezione di alcuni dèi, sebbene abbiano ritenuto di dover affidare a ciascun dio in particolare la difesa di particolari interessi.

9. Se l'estensione e la durata dell'impero romano si debba attribuire a Giove che i suoi adoratori ritengono il dio sommo.

10. Quali criteri abbiano adottato coloro che hanno posto diversi dèi a difesa delle varie parti del mondo.

11. I pagani più dotti sostengono che i molti dèi sono Giove medesimo.

12. Alcuni sostengono l'opinione che il dio è l'anima del mondo e il mondo è il corpo del dio.

13. Alcuni affermano che parti di un solo Dio sono soltanto gli animali ragionevoli.

14. La grandezza degli Stati incoerentemente si attribuisce a Giove, perché se la Vittoria, come sostengono, è una dea, essa sola sarebbe bastata all'impresa.

15. Se conviene agli onesti la volontà di un dominio più esteso.

16. Il motivo per cui i Romani, pur deputando dèi in particolare a tutti gli oggetti e fenomeni, hanno deciso che il tempio della Quiete fosse eretto fuori delle porte della città.

17. Se di Giove è il potere sommo, non v'è motivo per considerare la Vittoria una dea.

18. Il criterio con cui distingue la Felicità e la Fortuna chi le considera dee.

19. La Fortuna femminile.

20. I pagani hanno onorato con templi e misteri la Virtù e la Fede ma, se era giusto attribuire loro l'essere divino, hanno trascurato altri beni che dovevano essere egualmente onorati.

21. I pagani non comprendendo il monoteismo dovevano per lo meno contentarsi di Virtù e Felicità.

22. Varrone si vanta di aver introdotto fra i Romani la scienza del culto degli dèi.

23. I Romani politeisti non adorarono a lungo con onore divino la Felicità, sebbene da sola poteva bastare per tutti.

24. La dimostrazione con cui i pagani giustificano l'inserire fra gli dèi gli stessi doni divini.

25. Si deve adorare un solo Dio che, sebbene se ne ignori il nome, si avverte come datore della felicità.

26. Gli dèi hanno preteso che in loro onore si celebrassero dai propri adoratori gli spettacoli teatrali.

27. Il pontefice Scevola in un suo libro parla di tre generi di dèi.

28. Se il culto degli dèi giovò ai Romani per conquistare ed estendere il dominio.

29. La falsità dell'oracolo con cui si ritenne fossero indicate la potenza e la stabilità del dominio romano.

30. L'opinione che anche i politeisti confessano di avere sugli dèi.

31. Le teorie di Varrone che, condannato il pregiudizio popolare, sebbene non sia giunto alla conoscenza del vero Dio, ritenne che si deve adorare un solo Dio.

32. Per un loro particolare vantaggio i re pagani vollero che le false religioni si conservassero presso i popoli loro soggetti.

33. Per giudizio e potere del vero Dio la durata dei regnanti e dei loro Stati è ordinata al fine.

34. Lo Stato giudaico fu costituito e conservato dal solo vero Dio, finché i Giudei si mantennero nella vera religione.


Libro quarto
IMPERIALISMO ROMANO E POLITEISMO



Giudizio storico sull'imperialismo (1-7)

Riassunto su politeismo e moralità.
1. All'inizio del mio discorso sulla città di Dio ho pensato prima di tutto di dover ribattere i suoi nemici che, inseguendo le gioie terrene e anelando ai beni fugaci, rinfacciano alla religione cristiana, l'unica apportatrice di salvezza e di verità, tutte le sventure che, per quanto riguarda quei beni, subiscono più per la bontà di Dio nell'ammonire che per la sua severità nel punire. V'è fra di loro anche la massa ignorante che è stimolata più gravemente, all'odio contro di noi, dall'autorità delle cosiddette persone colte. Gli illetterati infatti ritengono che gli avvenimenti insoliti verificatisi ai loro giorni non si verificavano di solito nei tempi passati; ed anche quelli i quali sanno che questa loro opinione è falsa, per dare a credere che hanno dei motivi giusti per dire insolenze contro di noi, la confermano facendo finta di ignorare i fatti. Per questo si doveva dimostrare, mediante i libri scritti dai loro autori per narrare la storia dei tempi passati, che le cose sono ben diverse da come essi pensano. Nello stesso tempo si doveva segnalare che gli dèi, da loro adorati prima in pubblico e tuttora in privato, sono spiriti immondi e demoni malvagi e impostori al punto che traggono vanto dai propri delitti o veri o perfino immaginari. Ed essi vollero che fossero ricordati solennemente nelle loro feste affinché la debolezza umana non si ritraesse dal commettere azioni riprovevoli, dato che l'esempio divino si offriva all'imitazione. Non ho prodotto queste argomentazioni da una mia congettura ma in parte dai fatti recenti perché io stesso ho visto simili riti in onore di simili dèi, in parte dalle opere di autori che hanno tramandato ai posteri questi fatti, non certo per infamare ma per onorare i propri dèi. Lo stesso Varrone, il più colto della loro letteratura e di grandissima autorità, nel comporre in varie parti i libri sulla cultura e la religione, assegnandone alcuni alla cultura, altri alla religione secondo la particolare importanza di ciascun argomento, non attribuì i libri sugli spettacoli alla cultura ma alla religione 1. Che se nella città vi fossero stati soltanto uomini buoni e onesti, gli spettacoli non avrebbero dovuto essere assegnati neanche alla cultura. Non lo fece certamente di suo arbitrio ma perché, nato ed educato a Roma, li trovò nella religione. Ho esposto in breve alla fine del primo libro gli argomenti da trattare in seguito e di essi alcuni ne ho esposti nei due libri seguenti. Comprendo che adesso si devono restituire all'attesa dei lettori gli altri argomenti.

Riassunto sulle catastrofi storiche e naturali.
2. Avevo promesso dunque che avrei trattato alcuni temi in risposta a coloro i quali riversano contro la nostra religione le sciagure dello Stato romano e che avrei ricordato i vari e gravi mali che mi potessero venire in mente o mi sembrassero sufficienti all'argomentazione e che la città e le province appartenenti al suo impero hanno dovuto subire prima che i loro sacrifici fossero proibiti. L'avrebbero comunque attribuiti alla nostra religione anche gli antichi se pure a loro fosse stata nota o avesse loro vietato come oggi il culto pagano. Ho già svolto sufficientemente, a mio parere, questi argomenti nel secondo e terzo libro. Nel secondo ho trattato dei mali morali che si devono ritenere i soli o i più grandi mali; nel terzo, di quei mali, i soli da cui gli insipienti rifuggono, cioè dei mali fisici e materiali che spesso subiscono anche le persone dabbene, mentre posseggono, non dico con pazienza ma con soddisfazione, quei mali con cui essi stessi divengono malvagi. E ho detto poche cose della città e del suo impero e neppure tutte dal suo inizio fino a Cesare Augusto. Non ho voluto poi indicare nella loro gravità i disastri non provocati da alcuni uomini contro altri, quali sono le devastazioni e i saccheggi dei belligeranti, ma che si verificano in natura dalle perturbazioni degli elementi del mondo. Apuleio li ricorda molto brevemente in una pagina del suo piccolo libro intitolato Il mondo, affermando che tutte le cose naturali subiscono alterazione, trasformazione e cessazione. A causa di fortissimi terremoti, egli dice, tanto per usare le sue parole, si è spaccato il suolo e sono state inghiottite città con gli abitanti; per nubifragi sono state allagate intere regioni; zone di terraferma sono divenute isole perché invase dalle acque ed altre per regressione del mare sono divenute accessibili anche per terra; città sono state distrutte dai cicloni e dalle tempeste; sono scoppiati dei fulmini per cui alcune regioni dell'Oriente sono state distrutte dagli incendi e in alcune zone dell'Occidente alcune strane sorgenti e polle hanno causato i medesimi disastri ; allo stesso modo una volta dalla cima dell'Etna, spaccatisi dei crateri a causa del fuoco del titano, lungo i versanti a guisa di torrente colarono fiumi di lave incandescenti 2. Se dunque avessi voluto raccogliere da dove mi era possibile questi avvenimenti e altri simili contenuti nella storia, non avrei mai finito di elencare gli eventi di quei tempi, prima che il nome di Cristo facesse cessare alcune loro pratiche inutili e contrarie alla vera salvezza. Avevo promesso anche che avrei mostrato i loro istituti civili e la ragione vera per cui il Dio vero, giacché in suo potere sono tutti gli Stati, si è degnato di favorirli per l'accrescimento dell'impero; e che per nulla li hanno aiutati quelli che essi ritengono dèi, anzi li hanno danneggiati con l'inganno e con l'errore. Di questo ora, a mio avviso, devo parlare e soprattutto delle conquiste dell'impero romano. Sono state già dette parecchie cose, soprattutto nel secondo libro, sul grave loro malcostume introdotto dalla dannosa arte d'ingannare dei demoni che essi adoravano come dèi. Attraverso i tre libri precedenti, dove mi è sembrato opportuno, ho fatto rilevare il grande soccorso che anche nei disastri militari, nel nome di Cristo al quale i barbari hanno mostrato tanto rispetto contrariamente all'uso della guerra, Dio ha accordato ai buoni e ai cattivi. Ma egli fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti 3.

Misura e moderazione morale e politica.
3. Ora esaminiamo dunque il motivo per cui osano accreditare la grande estensione e la lunga durata dell'impero romano agli dèi che sostengono di avere onorato onestamente, sebbene mediante tributi di spettacoli disonesti e attraverso l'ufficio di individui disonesti. Ma prima vorrei per un po' esaminare quale ragionevolezza e saggezza essi hanno nel volersi vantare dell'estensione e grandezza dell'impero, quando è impossibile mostrare il benessere degli individui che, in preda al timore della morte e a una sanguinaria cupidigia, erano sempre occupati nelle imprese guerresche a spargere sangue o dei cittadini o dei nemici, che è comunque sangue umano. È un benessere cui si può paragonare una gioia di vetro splendida nella sua fragilità perché si teme più angosciosamente che da un momento all'altro vada in frantumi. Per giudicare meglio queste cose non ci si deve lasciar trascinare scioccamente da una vuota millanteria e non si deve rendere ottusa la facoltà di valutare a causa di altisonanti concetti, come popoli, Stati, province. Prendiamo piuttosto in considerazione due individui. Infatti ogni individuo, come una lettera in un discorso, è per così dire un elemento di una società civile e di uno Stato, anche se molto estesi come territorio. Supponiamo dunque che dei due individui uno sia povero o meglio del ceto medio, l'altro ricco sfondato. Il ricco è sempre angosciato dai timori, disfatto dalle preoccupazioni, bruciato dall'ambizione, mai sereno, sempre inquieto, angustiato da continue liti con i rivali; accresce, è vero, con queste angustie il proprio patrimonio a dismisura ma con questi accrescimenti accumula anche le più spiacevoli seccature. Il povero, al contrario, basta a sé col modesto patrimonio disponibile, è benvoluto, gode una serena pace con parenti, vicini e amici, è piamente devoto, spiritualmente umanitario, fisicamente sano, eticamente temperante, moralmente onesto, consapevolmente tranquillo. Non so se si trova un tizio tanto insulso da dubitare chi preferire. E come per i due individui la regola dell'equità si applica a due famiglie, a due popoli, a due Stati. E se con l'applicazione consapevole di quella regola si rettifica il nostro giudizio, vedremo facilmente in quale dei due si trova la vuota millanteria e in quale il benessere. Pertanto, se si adora il vero Dio e gli si presta servizio con un culto autentico e con onesti costumi, è utile che i buoni abbiano il potere dovunque e a lungo e non è tanto utile per loro quanto per gli amministrati. Infatti per quanto li riguarda, la pietà e la moralità, che sono grandi doni di Dio, bastano loro per il vero benessere perché con esse si conduce una vita onesta e si consegue poi la vita eterna. In questa terra dunque il governo dei buoni non è concesso a loro favore ma dell'umanità; al contrario, il potere dei malvagi è un male più per i governanti che distruggono la propria coscienza con la più facile sfrenatezza al delitto che per i sudditi per i quali soltanto la loro individuale disonestà è il loro male. Qualsiasi male poi si infligge dai potenti ingiusti non è per i giusti pena di un delitto ma prova della virtù. Quindi la persona onesta, anche se è schiava, è libera; il malvagio, anche se ha il potere, è schiavo e non di un solo individuo ma, che è più grave, di tanti padroni quante sono le passioni. Parlando di queste passioni ha detto la sacra Scrittura: L'uomo è consegnato come schiavo a colui da cui è stato sconfitto 4.

Ingiustizia e violenza degli stati e dei briganti.
4. Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell'ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell'impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: "La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta" 5.

La sollevazione dei gladiatori.
5. E per questo mi dispenso dal ricercare come erano gli individui che Romolo radunò. Si dovette molto insistere per far loro capire che con la nuova vita, una volta ottenuto il consorzio civile, non dovevano più pensare alle punizioni dovute, perché il loro timore li spingeva a più gravi delitti. Così in seguito poterono essere più disposti ai rapporti umani. Ma voglio parlare di un fatto che lo stesso impero romano, ormai grande per avere assoggettato molti popoli e temibile agli altri, sentì dolorosamente, temé grandemente e represse a causa del non trascurabile interesse di evitare una enorme strage. Si tratta dei pochi gladiatori che in Campania fuggiti durante uno spettacolo raccolsero un grande esercito, trovarono tre condottieri e saccheggiarono crudelmente vasti territori dell'Italia 6. Dicano qual dio aiutò costoro perché da una piccola e disprezzabile banda giungessero a un potere temibile per le grandi forze e risorse di Roma. Si dirà, dato che non resistettero a lungo, che non furono aiutati da un dio? Ma anche la vita di un uomo è tutt'altro che lunga. A questa condizione gli dèi non aiutano nessuno a conquistare il potere. I singoli individui scompaiono molto in fretta e non si deve considerare un favore che il potere scompare come nebbia in poco tempo in ciascun individuo e quindi un po' alla volta in tutti. Che cosa importa agli adoratori degli dèi sotto Romolo, morti da tanto tempo, che dopo la loro morte l'impero romano è cresciuto tanto, se essi trattano ormai i propri affari nell'aldilà? Se questi affari sono buoni o cattivi non rientra nell'argomento in parola. E questo si deve intendere di tutti coloro che con rapida corsa, portando il fardello delle proprie azioni, si sono avvicendati al potere, anche se esso per cessione e successione di mortali dura a lungo. Se dunque anche i favori di un tempo tanto breve si devono accreditare all'aiuto degli dèi, non poco sono stati aiutati quei gladiatori. Infransero le catene della condizione servile, fuggirono, si resero liberi, raccolsero un grande e potente esercito, obbedendo alle decisioni e agli ordini dei propri capi si resero temibili per la grandezza di Roma e invincibili per alcuni comandanti romani, fecero un bel bottino, colsero parecchie vittorie, si scapricciarono nei piaceri come vollero, fecero ciò che loro suggeriva la passione e infine prima che fossero vinti, e fu molto difficile, vissero da signori e da principi. Ma passiamo ad argomenti più importanti.

L'imperialismo di Nino in Trogo e Giustino.
6. Giustino che, seguendo Trogo Pompeo, in latino come lui ma in compendio, scrisse una storia greca anzi universale, cominciò così il testo dei suoi libri: All'inizio della storia il governo dei popoli e delle nazioni era in mano ai re che non erano innalzati all'altezza della carica dalla tracotanza demagogica ma dalla saggia moderazione degli ottimati. I cittadini non erano regolati dalle leggi, era usanza difendere e non estendere i confini del dominio, gli Stati erano limitati ai gruppi tribali. Fu Nino re degli Assiri il primo a modificare per ambizione di dominio il vecchio costume per così dire ancestrale. Egli per primo fece guerra ai vicini e soggiogò fino ai confini della Libia i popoli ancora inesperti della difesa. E poco dopo soggiunge: Nino rassodò la grandezza del dominio che aveva cercato con le nuove conquiste. Domati dunque i più vicini, passando agli altri perché reso più potente con l'aggiunta di nuove forze ed essendo ogni vittoria un mezzo per la successiva, assoggettò i popoli di tutto l'Oriente 7. Non so con quale fedeltà ai fatti abbiano scritto Giustino o anche Trogo. Alcuni documenti più autentici dimostrano che non erano ben informati. Tuttavia è ammesso da tutti gli altri scrittori che il regno degli Assiri fu ampiamente esteso dal re Nino 8. E durò tanto a lungo che l'impero romano non ha ancora raggiunto quell'età. Infatti, come scrivono gli studiosi di cronologia, dall'anno primo del regno di Nino, prima di passare ai Medi, durò milleduecentoquaranta anni 9. Muovere guerra ai vicini, continuare con altre guerre, sconfiggere e assoggettare per semplice ambizione di dominio popoli che non davano molestia, che altro si deve considerare se non un grande atto di brigantaggio?.

Le varie religioni e l'imperialismo.
7. Se senza l'aiuto degli dèi il dominio degli Assiri fu tanto grande e tanto esteso, per quale ragione l'estensione e la durata dell'impero romano si accredita agli dèi di Roma? Casi identici non possono avere spiegazioni diverse. Se sostengono che anche l'assiro si deve accreditare all'aiuto di dèi, chiedo di quali. I vari popoli che Nino sconfisse e assoggettò non adoravano dèi diversi. E se gli Assiri ne ebbero dei particolari che erano abili artefici nella conquista e conservazione del dominio, erano forse morti quando anche gli Assiri perdettero l'impero, oppure preferirono passare ai Medi perché non fu loro corrisposto lo stipendio o ne fu promesso uno maggiore, e così da loro ai Persiani dietro invito di Ciro e relativa promessa di un salario più conveniente? E dire che il popolo persiano, dopo l'esteso ma brevissimo impero di Alessandro il Grande, mantiene ancora il dominio su un non piccolo territorio dell'Oriente. Se è così c'è un dilemma. O costoro sono dèi traditori che abbandonano i propri gregari e passano al nemico (non lo fece neanche Camillo che era un uomo, quando dopo aver vinto ed espugnato la più accanita città nemica, provò l'ingratitudine di Roma, per cui aveva vinto, e tuttavia in seguito dimentico dell'ingiustizia e memore della patria la liberò di nuovo dai Galli), oppure non sono dèi forti come dovrebbero essere gli dèi perché possono esser vinti da provvedimenti e forze umane; ovvero se, nel darsi guerra tra di loro, non dagli uomini ma da altri dèi sono eventualmente sconfitti gli dèi tutelari delle varie città, anche essi in tal caso hanno fra di loro delle rivalità che ciascuno si assume a favore del proprio gruppo. Dunque lo Stato non dovrebbe onorare i propri dèi a preferenza di altri che potrebbero aiutare i propri. Infine, comunque stiano il passaggio, la fuga, il trasferimento di residenza o la diserzione in combattimento degli dèi, il cristianesimo non era stato ancora predicato a quei tempi e in quei territori, quando quei domini attraverso straordinarie sconfitte militari furono perduti e trasferiti. Ma poniamo che fossero trascorsi i milleduecento anni e rotti, dopo i quali cessò il regno degli Assiri, e che in quel paese già la religione cristiana avesse predicato il regno eterno e proibito i culti sacrileghi dei falsi dèi. Gli individui impostori di quei popoli direbbero certamente che un regno conservatosi tanto a lungo era potuto cessare soltanto perché erano state abbandonate le proprie religioni ed era stata accolta quest'altra. Gli avversari di oggi facciano riflettere sul proprio specchio questa possibile menzogna e si vergognino, se hanno un tantino di pudore, di fare simili lagnanze. Comunque l'impero romano è stato battuto ma non è morto; e gli è capitato anche in tempi anteriori al cristianesimo e si è rifatto delle sconfitte. E questo non si deve disperare neanche oggi. Chi conosce in proposito il volere di Dio?.

Politeismo monoteismo panteismo (8-13)

Folla degli dèi della fertilità.
8. Cerchiamo adesso, se si è d'accordo, qual dio principalmente o quali dèi della grande folla di dèi che i Romani adoravano ritengano che abbiano allargato o difeso il loro dominio. Nei confronti di un'opera tanto illustre e piena di tanto valore non osano certamente attribuire responsabilità alla dea Cloacina alias Volupia che ha derivato il nome da voluttà o a Libentina che lo ha da libidine o a Vaticano che sorveglia i vagiti dei bimbi o a Cunina che protegge le loro cune. Come è possibile in un passo di questo libro ricordare tutti i nomi degli dèi e delle dee che essi non hanno potuto raccogliere in grandi volumi nell'affidare le varie cose a particolari compiti delle varie divinità? E hanno pensato di affidare le competenze dell'agricoltura non a un solo dio, ma i fondi rustici alla dea Rusina, i gioghi dei monti al dio Giogantino e hanno preposto ai colli la dea Collatina e alle valli la dea Vallonia. Non sono riusciti neanche a trovare una Segezia alla quale affidare tutto in una volta i seminati ma stabilirono che i grani seminati, finché rimanevano sotto terra, avessero come custode la dea Seia e quando venivano fuori e producevano le messi la dea Segezia e preposero al frumento raccolto nei granai, affinché venisse tutelato, la dea Tutilina. Ognuno avrebbe pensato che doveva bastare la Segezia fino a tanto che il seminato dagli inizi erbosi arrivasse alle spighe mature. Ma per individui i quali amavano la ressa di dèi non bastò che l'anima sventurata, sdegnando il casto abbraccio del Dio vero, si prostituisse con una folla di demoni. Misero dunque Proserpina a sorvegliare i frumenti in germoglio, il dio Noduto le giunture e nodi degli steli, la dea Volutina l'involucro dei gusci, la dea Patelana i gusci che si aprono per far uscire la spiga, la dea Ostilina le messi quando si adeguano alle spighe nuove, giacché invece di "adeguare" gli antichi hanno usato la parola "ostire", la dea Flora i frumenti quando sono in fiore, il dio Latturno quando sono lattescenti, la dea Matuta quando maturano, la dea Roncina quando sono tagliati con la ronca cioè sono mietuti 10. Non continuo perché m'infastidisce che non si vergognino. Ho ricordato questi pochi nomi perché si capisca il motivo per cui non possono assolutamente sostenere che simili divinità hanno costruito, fatto crescere e difeso l'impero romano, dato che ciascuno è così occupato nella propria incombenza da non potere affidare a uno solo il tutto. Quando poteva Segezia prendersi cura dell'impero se non riusciva a provvedere contemporaneamente ai seminati e alle piante? Quando Cunina poteva darsi pensiero delle armi se la sorveglianza dei bimbi non le permetteva di allontanarsi dalle culle? Quando Noduto poteva accorrere in aiuto durante la guerra se non era di spettanza neanche al guscio della spiga ma soltanto al nodo del gambo? Si pone un solo portinaio nella propria casa e perché è un uomo, basta; invece i Romani posero tre dèi, Forcolo alla porta di fuori, Cardea al cardine e Limentino al limitare 11. Si vede proprio che Forcolo non riusciva a sorvegliare contemporaneamente il cardine e il limitare.

Giove.
9. Lasciata dunque da parte o momentaneamente in disparte questa folla di dèi minori, devo esaminare l'incarico affidato agli dèi maggiori perché con esso Roma divenne tanto grande da dominare così a lungo tanti popoli. Naturalmente è opera di Giove. Dicono appunto che è il re di tutti gli dèi e dee. Lo indicano anche lo scettro e il Campidoglio sull'alto del colle. Affermano che, sebbene da un poeta, è stato detto di lui molto a proposito: Il tutto è pieno di Giove 12. Varrone ritiene che è adorato anche da coloro che adorano un solo Dio senza idolo ma che lo chiamano con un altro nome 13. E se è così, perché è stato trattato tanto male a Roma, come presso altri popoli, che gli è stato dato un idolo? Il fatto dispiace anche allo stesso Varrone al punto che, pur essendo controllato secondo la malvagia usanza della grande città, non esitò a dire e a scrivere che coloro i quali introdussero nei vari popoli l'uso degli idoli eliminarono il timore e aumentarono l'errore 14.

Giove e gli dèi dello spazio e degli elementi.
10. Perché gli si aggiunge anche la moglie Giunone con la mansione di sorella e di moglie? Perché, dicono essi 15, Giove lo consideriamo esistente nell'etere e Giunone nell'aria e questi elementi, uno in alto e l'altro in basso, si accoppiano. Non di lui allora è stato detto: Il tutto è pieno di Giove, se anche Giunone riempie una parte. Oppure l'uno e l'altro riempiono etere ed aria ed entrambi i coniugi sono contemporaneamente in questi due e in tutti gli altri elementi? Perché dunque l'etere è affidato a Giove, l'aria a Giunone? Alla fin fine se loro due bastavano, perché il mare è affidato a Nettuno e la terra a Plutone? E perché anche essi non rimanessero scapoli, si aggiunge Salacia a Nettuno e Proserpina a Plutone. Ma come Giunone, rispondono 16, occupa la zona inferiore del cielo, così Salacia la zona inferiore del mare e Proserpina la zona inferiore della terra. Si affannano a racconciare i loro miti ma non ci riescono. Se le cose stessero così, i loro antichi scrittori insegnerebbero che gli elementi del mondo sono tre e non quattro 17, in modo che le singole coppie degli dèi si distribuissero nei singoli elementi. Inoltre gli antichi hanno decisamente affermato che etere ed aria sono diversi. Invece l'acqua tanto di sopra che di sotto è sempre acqua; metti pure che sia differente ma non al punto che acqua non sia. E la terra di sotto, anche se differente per qualità, non può essere altro che terra. E se il mondo intero ha la sua compiutezza nei quattro o tre elementi, Minerva dove è, che parte occupa, che cosa riempie? Anche essa ha avuto un posto in Campidoglio, sebbene non sia figlia di tutti e due. E se affermano che occupa la parte più alta dell'etere e che per questo motivo i poeti immaginano che sia venuta fuori dalla testa di Giove 18, perché non è lei ad essere considerata regina degli dèi, dal momento che è più in alto di Giove? Forse perché è sconveniente mettere la figlia sopra al padre? E perché allora per quanto riguarda Giove nei confronti di Saturno non è stata rispettata questa giustizia? Forse perché è stato sconfitto? Dunque hanno combattuto? No, dicono 19, queste sono le ciarle delle favole. Dunque se non si deve credere alle favole e si deve avere un migliore concetto degli dèi, perché al padre di Giove non è stato accordato un posto di onore, se non più in alto per lo meno al medesimo livello? Perché Saturno, rispondono 20, rappresenta la lunghezza del tempo. Dunque coloro che adorano Saturno adorano il tempo, ma così ci si fa pensare che Giove, re degli dèi, ha avuto origine nel tempo. E che cosa di sconveniente si ha nell'affermazione che Giove e Giunone sono nati nel tempo se l'uno è il cielo e l'altra la terra, poiché cielo e terra sono stati certamente creati? Infatti i loro filosofi nei loro libri danno anche questa interpretazione 21. E non dalle finzioni poetiche ma dagli scritti dei filosofi è stato derivato da Virgilio questo concetto: Allora il padre che tutto produce come etere discende con le piogge feconde nel grembo della coniuge per renderla fertile 22, cioè nel grembo della tellus o della terra. Anche in proposito pongono delle differenze e sostengono che sono diversi Terra, Tellus e Tellumo, che sono tutti e tre dèi, definiti nei propri concetti, distinti nelle mansioni e venerati con are e riti 23. Identificano anche la terra con la madre degli dèi 24. Ne consegue che le finzioni dei poeti sono più sopportabili, perché secondo i loro libri liturgici e non poetici Giunone non sarebbe soltanto sorella e moglie ma perfino madre di Giove. Identificano inoltre la terra con Cerere e con Vesta 25. Ma più frequentemente presentano Vesta come il fuoco che appartiene ai focolari domestici. Senza di essi infatti non si può avere il consorzio civile, e per questo di solito sono a suo servizio alcune vergini, perché come da una vergine così dal fuoco non viene generato nulla. Ed era proprio opportuno che tutta questa impostura fosse abolita e spenta da colui che è veramente nato da una vergine. Ma è insopportabile che pur avendo accordato al fuoco tanto onore e quasi una sua castità, non si vergognano poi di considerare Vesta come Venere, così che è svuotata di significato la onorata verginità nelle vestali. Se infatti Vesta è Venere, in che modo le vestali le hanno prestato servizio astenendosi dalle opere di Venere? Oppure ci sono due Veneri, una vergine e l'altra sposata? O piuttosto tre, una delle vergini che è Vesta, una delle sposate e una terza delle sgualdrine? Ad essa anche i Fenici offrivano in dono la prostituzione delle figlie prima di consegnarle ai mariti. Quale delle tre è la consorte di Vulcano? Certo non la vergine perché ha marito. Certo non la sgualdrina, perché sembrerebbe che vogliamo insultare il figlio di Giunone e collaboratore di Minerva. Dunque rimane che appartenga alle sposate; rna non vogliamo che la imitino in quel che ha fatto con Marte. E torni alle favole, dicono essi. Ma che giustizia è questa che si arrabbino con noi perché ricordiamo certi episodi dei loro dèi e non si arrabbiano con se stessi che nei teatri assistono con molto gusto a questi delitti dei propri dèi? E questi spettacoli dei delitti dei loro dèi sono istituiti in onore degli stessi dèi. Sarebbe incredibile se non fosse confermato da molte testimonianze.

Giove e gli dèi della cultura e dell'educazione.
11. I pagani conferiscono a Giove molti attributi in base a spiegazioni naturalistiche e a dottrine filosofiche 26. Ora Giove sarebbe la mente del mondo sensibile che riempie e muove la mole dell'universo saldamente strutturata con i quattro elementi o quanti a loro piace; ora cederebbe alla sorella e ai fratelli le rispettive zone; ora sarebbe l'etere che dal di sopra si congiunge con Giunone che è aria distesa al di sotto; ora sarebbe tutto il cielo insieme con l'aria, e con piogge fertilizzanti e spermi feconderebbe la terra in quanto coniuge e madre, giacché nei rapporti divini il fatto non è turpe. E poiché non è necessario passare in rassegna tutte le prerogative, sarebbe il dio unico, di cui, secondo l'opinione di molti, l'altissimo poeta ha detto: Che il dio penetra tutta la terra, la distesa del mare e il cielo infinito 27. Quindi egli, sempre lo stesso, sarebbe nell'etere Giove, nell'aria Giunone, nel mare Nettuno, nel fondo marino Salacia, nella terra Plutone, nel sottoterra Proserpina, nel focolare domestico Vesta, nell'artigianato Vulcano, nell'astrologia il sole, la luna e le stelle, nella mantica Apollo, nel commercio Mercurio, in Giano sarebbe colui che inizia, in Termine colui che segna i confini, Saturno nel tempo, Marte e Bellona nell'arte militare, Libero nella viticultura, Cerere nell'agricoltura, Diana nella vita silvana, Minerva nella cultura 28. E sempre lui sarebbe infine in quella schiera di dèi per dir così popolani. Col nome di Libero sarebbe preposto al sesso maschile e col nome di Libera a quello femminile, sarebbe il dio padre che fa venire il feto alla luce, la dea Mena che secondo loro è preposta alle mestruazioni, Lucina che deve essere invocata dalle partorienti. Sempre egli porterebbe aiuto a coloro che nascono accogliendoli nel grembo della terra col nome di Opi, aprirebbe la bocca al vagito e si chiamerebbe il dio Vaticano, come levatrice estrarrebbe dalla terra e si chiamerebbe la dea Levana, proteggerebbe le cune e si chiamerebbe Cunina. Non sarebbe diverso ma sempre lui in quelle dee che tessono il carme sul destino dei nati e si chiamano le Carmenti, sarebbe preposto agli eventi fortuiti col nome di Fortuna, spremerebbe la mammella al bimbo nella ninfa Rumina perché gli antichi hanno chiamato ruma la mammella, somministrerebbe la pozione nella ninfa Potina, offrirebbe da mangiare nella ninfa Educa, si chiamerebbe Pavenza dalle paure infantili, Venilia dalla speranza che viene, Volupia dalla voluttà, Agenoria dall'agire, la dea Stimola dagli stimoli con cui l'uomo è mosso a un'eccessiva attività, la dea Strenia se lo rende strenuo, Numeria se gli insegna a calcolare i numeri, Camena se a cantare, sarebbe anche il dio Conso perché dà consigli e la dea Senzia perché ispira sentenze, la dea Giovinezza perché, dopo la toga pretesta, sorveglia gli inizi dell'età giovanile ed anche la Fortuna barbata perché fa crescere la barba agli adolescenti. Si vede proprio che non hanno tenuto in considerazione gli adolescenti perché avrebbero dovuto nominare a questa divina funzione per lo meno un dio maschio, o Barbato da barba, come Noduto da nodo, comunque non Fortuna ma in quanto portatore di barba Fortunio. Sempre Giove congiungerebbe gli sposi nel dio Giogatino e quando si scioglie la cintura alla sposa ancor vergine, egli sarebbe invocato col nome della dea Verginese; sarebbe Mutuno o Tutuno che presso i Greci è Priapo 29. Se proprio non fa vergogna, tutti gli attributi che ho ricordato e gli altri che non ho ricordato, poiché ho ritenuto di non dover dir tutto, tutti gli dèi e le dee sarebbero un solo Giove, tanto se essi sono sue parti, come sostengono alcuni 30, ovvero sono i suoi poteri, come opinano coloro i quali insegnano che egli è la mente del mondo 31. Questa è la tesi dei più grandi eruditi. Ma se questo è il significato, dato che per adesso non ne cerco altro, che cosa perderebbero se, prendendo assennatamente la scorciatoia, adorassero un solo Dio? Quale suo attributo sarebbe trascurato se egli fosse adorato per sé? Se poi si doveva temere che le sue parti omesse o trascurate si sdegnassero, allora non è vera la loro tesi, che tutta la vita sensibile, la quale contiene tutti gli dèi quasi suoi poteri, membra o parti, sia come di un solo vivente; ma ogni parte ha una propria vita separata dalle altre se una si può sdegnare a differenza di un'altra, una placarsi e l'altra muoversi a sdegno. È sciocca poi l'affermazione che tutte insieme, cioè l'intero Giove si sia potuto offendere se le sue parti non fossero adorate in particolare ad una ad una. Infatti nessuna di esse sarebbe trascurata se egli solo, che tutte le contiene, fosse adorato. Per omettere le altre divinità che sono innumerevoli, quando affermano che tutti gli astri sono parti di Giove, che tutti hanno vita e anima ragionevole e che perciò incontestabilmente sono dèi 32, non riflettono che molti di essi non sono venerati, che a molti non costruiscono templi e non erigono altari, perché a pochissimi astri hanno ritenuto di dover erigere altari e sacrificare loro in particolare. Se dunque si sdegnassero quelli che non sono venerati in particolare, perché non hanno paura di vivere con pochi astri resi propizi e con tutto il cielo sdegnato? Se poi adorano tutti gli astri appunto perché adorano Giove in cui si trovano, con questa abbreviazione potrebbero propiziare tutti in lui solo. Così nessuno se la prenderebbe a male, poiché in lui solo nessuno sarebbe trascurato. Altrimenti con l'adorarne alcuni, si offrirebbe un giusto motivo di sdegno agli altri, molto più numerosi, che sono stati trascurati, tanto più che ad essi fulgenti nell'alto sarebbe preferito Priapo sdraiato a terra nella sua sconcia nudità.

Panteismo cosmico.
12. Ma c'è un motivo che, al di là di ogni passione polemica, deve indurre uomini intelligenti o comunque siano, perché all'occorrenza non si richiede un'alta intelligenza, a fare una riflessione. Se Dio è la mente del mondo e se il mondo è come un corpo a questa mente, sicché è un solo vivente composto di mente e di corpo ed esso è Dio che contiene in se stesso tutte le cose come in un grembo della natura; se inoltre dalla sua anima, da cui ha vita tutto l'universo sensibile, vengono derivate la vita e l'anima di tutti i viventi secondo le varie specie, non rimane nulla che non sia parte di Dio. Ma se questa è la loro tesi, tutti possono capire l'empietà e la irreligiosità che ne conseguono. Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una parte di Dio; nell'uccidere qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio. Non voglio dir tutte le cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile dirle senza vergogna.

Immanentismo etico.
13. Se poi sostengono che soltanto gli animali ragionevoli, come sono gli uomini, sono parti divine, non capisco perché, se tutto il mondo è Dio, debbano discriminare le bestie. Ma che bisogno c'è di polemizzare? Riguardo allo stesso animale ragionevole, cioè l'uomo, la cosa più banale è ritenere che una parte divina prende le botte quando le prende un fanciullo. E soltanto un pazzo può sopportare che le parti divine divengano dissolute, ingiuste, empie e in definitiva degne di condanna. Infine perché il dio si arrabbierebbe con coloro che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo? Resta dunque l'affermazione che tutti gli dèi abbiano una propria vita, che ciascuno viva per sé, che nessuno di loro è parte di un altro, ma che tutti si devono adorare, se è possibile conoscerli e adorarli, giacché sono tanti che per tutti non è possibile. E poiché fra di essi Giove è considerato il re, credo che, secondo loro, sia stato lui a fondare e incrementare lo Stato romano. Perché se non l'ha fatto lui, qual altro dio, a sentir loro, ha potuto intraprendere un'opera tanto colossale, dato che tutti sono indaffarati in particolari incombenze e mansioni e l'uno non invade quelle dell'altro? Quindi soltanto dal re degli dèi ha potuto ricevere diffusione e incremento il regno degli uomini.

Gli dèi tutelari e la grandezza di Roma (14-34)

I favori della dea Vittoria.
14. A questo punto chiedo prima di tutto perché anche lo Stato non è un dio. E perché non lo sarebbe se la Vittoria è una dea? O che bisogno c'è di Giove per questa faccenda se la Vittoria è favorevole e propizia e va sempre da quelli che vuole vittoriosi? Se questa dea è favorevole e propizia, anche se Giove sta in riposo o pensa ad altro, quali popoli non rimarrebbero soggetti, quali Stati non cederebbero? Oppure da persone oneste non vogliono combattere ingiustamente e provocare con una guerra ingiustificata, per allargare il dominio, i vicini che se ne stanno tranquilli e non danno alcun fastidio? Se la pensano così, approvo e lodo.

La dea Vittoria e la guerra imperialistica.
15. Riflettano dunque che forse non è conveniente per le persone oneste godere dell'allargamento del dominio. Infatti l'ingiustizia di coloro contro i quali sono state mosse guerre giuste ha favorito l'incremento del dominio. Ed esso sarebbe stato piccolo se l'amore alla pace e la giustizia dei vicini non lo avessero provocato per qualche torto a muover loro la guerra. Ne consegue che con maggiore benessere per l'umanità tutti gli Stati rimarrebbero piccoli godendo della pace con i vicini e vi sarebbero nel mondo molti Stati di popoli come in una città vi sono molte case di cittadini. Quindi far guerra ed estendere il dominio con l'assoggettare i popoli può sembrare prosperità ai cattivi, ai buoni necessità. Poiché sarebbe peggio se gli operatori d'ingiustizie dominassero sui più giusti, non sconvenientemente si considera un benessere anche questo. Indubbiamente però è maggiore prosperità avere un buon vicino in pace che assoggettare un cattivo vicino in guerra. È un cattivo auspicio desiderare di avere chi odiare e temere perché vi sia chi vincere. Se dunque i Romani, muovendo guerre giuste, non contrarie all'umanità e all'equità, hanno potuto conquistare un impero così grande, forse si doveva onorare come dea anche l'ingiustizia degli altri. Vediamo infatti che l'ingiustizia ha molto collaborato all'ingrandimento del dominio perché rendeva oltraggiosi coloro con cui far guerre giuste e incrementare così l'impero. Perché dunque non sarebbe una dea per lo meno straniera l'ingiustizia, se Pavore, Pallore e Febbre meritarono di essere dèi romani? Con queste due, cioè l'ingiustizia straniera e la dea Vittoria, si è ingrandito l'impero anche se Giove era in ferie, perché mentre l'ingiustizia suscitava dei motivi per le guerre, la Vittoria le conduceva a termine con successo. Che ruolo aveva Giove nella faccenda se quelli che si potevano ritenere come suoi favori, sono considerati dèi, sono chiamati dèi, sono adorati come dèi e sono invocati in luogo degli attributi di Giove? Anche egli avrebbe nella faccenda un certo ruolo, se anche egli fosse chiamato Stato, come la dea è chiamata Vittoria. Ma se lo Stato è un dono di Giove, perché anche la vittoria non dovrebbe esser considerata un suo dono? E lo sarebbe se egli non fosse conosciuto e onorato come un idolo del Campidoglio ma come re dei re e signore dei signori 33.

La dea che opera pace e serenità.
16. Mi meraviglio assai di un fatto. Hanno destinato singoli dèi a cose particolari e perfino a particolari movimenti. Così hanno chiamato Agenoria la dea che muoveva ad agire, Stimola la dea che stimolava fuor di misura ad agire, Murcia la dea che non muoveva al di là della misura e rendeva l'uomo murcido, come dice Pomponio 34, cioè troppo indolente e inattivo, Strenia la dea che rendeva l'uomo strenuo. E intrapresero a celebrare pubblici festeggiamenti di tutti questi dèi e dee, ma non vollero festeggiare pubblicamente la dea che chiamarono "Quiete", perché doveva render quieto l'uomo, sebbene avesse un tempietto fuori Porta Collina 35. Fu indizio di un animo inquieto o piuttosto si volle segnalare che chi continuava ad adorare quella schiera non di dèi ma di demoni non poteva raggiungere la quiete? Ad essa ci invita il vero medico con le parole: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete quiete per la vostra anima 36.

Giove e Vittoria.
17. Ma forse vogliono dire che Giove manderebbe la dea Vittoria ed ella obbedendo al re degli dèi si recherebbe dai destinatari e starebbe dalla loro parte? Questo è vero ma non di quel Giove, che essi nel loro modo di pensare immaginano re degli dèi, ma del vero re delle vicende umane che invierebbe non la Vittoria, la quale non ha un'esistenza reale, ma il suo angelo che dia la vittoria a chi egli vorrà. La sua decisione può essere occulta ma non ingiusta. E se la vittoria è una dea, perché il trionfo non è un dio che si unisce alla vittoria o come marito o come fratello o figlio? Costoro hanno imbastito sugli dèi fandonie tali che se le immaginassero i poeti e fossero da noi attaccati, risponderebbero che le finzioni poetiche sono da schernirsi e da non attribuirsi a divinità vere; e tuttavia non schernivano se stessi quando non si limitavano a leggerle nei poeti ma le onoravano nei templi. Avrebbero dovuto quindi pregar Giove per tutti i bisogni e lui soltanto supplicare. Se infatti Vittoria esiste ed è sotto di lui in quanto re, dovunque l'avesse mandata, non era possibile che osasse disobbedirgli e agire di proprio arbitrio.
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