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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri I - VI (1)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 19:18
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22/12/2012 19:09

Oscenità dei riti misterici.
7. 3. Se i poeti inventassero questi fatti e se i mimi li rappresentassero, si direbbe che indubbiamente appartengono alla teologia della favola e si giudicherebbe che essi si devono considerare disgiunti dalla teologia civile. Ora queste oscenità non dei poeti ma dei cittadini, non dei mimi ma dei sacerdoti, non dei teatri ma dei templi, cioè non della teologia della favola ma della civile, sono rese note da un maestro così insigne. Ma allora non sono gli istrioni a rappresentare senza ragione con le arti dello spettacolo la sconcezza degli dèi che è tanta, ma sono i sacerdoti che senza ragione tentano di rappresentare con riti creduti sacri l'onestà degli dèi che non esiste affatto. Ci sono i misteri di Giunone che si celebravano nella sua diletta isola di Samo perché in essa era stata maritata a Giove. Ci sono i misteri di Cerere, durante i quali si va in cerca di Proserpina rapita da Plutone. Ci sono i misteri di Venere, nei quali si fa lamento sul suo amante Adone, giovane bellissimo, ucciso dalle zanne di un cinghiale. Ci sono i misteri della Madre degli dèi, durante i quali Attis, bel giovane da lei amato ed indotto ad evirarsi dalla femminile gelosia, è oggetto di lamento da parte di individui anche essi evirati che chiamano Galli. Questi misteri sono più indecenti di qualsiasi oscenità del teatro. Perché si sforzano allora di segregare le favolose invenzioni dei poeti sugli dèi, che sono di competenza del teatro, dalla teologia civile che, a sentir loro, spetta alla città, come si segregano cose indecenti e oscene dalle convenienti e oneste? Si dovrebbe piuttosto essere grati agli attori che hanno avuto riguardo per gli spettatori e negli spettacoli non hanno messo a nudo il complesso dei riti misterici che si compiono fra le pareti dei luoghi sacri. Che cosa si deve pensare di bene dei loro riti compiuti nel buio, quando sono tanto detestabili quelli che si offrono alla luce? D'altronde se la vedano loro che cosa fare di nascosto mediante gli evirati e gli effeminati ma non hanno potuto tenere nascosti questi individui così miseramente mutilati e così sconciamente dissoluti. Convincano, se ci riescono, che mediante tali individui compiono un rito santo, poiché non possono negare che si trovano nel numero delle loro cose sante. Non conosciamo quale rito compiano ma sappiamo per mezzo di quali individui lo compiono. Conosciamo le rappresentazioni che si compiono sulla scena ma in essa non è mai entrato un evirato o un effeminato, sia pure nel coro delle cortigiane. Eppure persone dissolute e infami compiono quelle rappresentazioni, poiché non si dovevano compiere da persone onorate. Di che razza sono dunque quei misteri alla cui esecuzione la sacralità ha scelto individui che perfino il lascivo costume delle attrici non ha ammesso?

Interpretazione naturalistica della madre degli dèi e Saturno.
8. 1. Ma questi riti hanno determinate interpretazioni fisiologiche, come essi dicono, cioè di concetti naturali. Però noi in questa disputa non indaghiamo sulla fisiologia ma sulla teologia e cioè non sul concetto di natura ma di Dio. E sebbene il vero Dio non è Dio in base a un modo di pensare ma per natura, tuttavia non ogni natura è un dio, poiché v'è una natura dell'uomo, della bestia, della pianta, della pietra, ma nessuna di esse è un dio. Se poi il vero senso di questa interpretazione, quando si tratta dei misteri della Madre degli dèi, è indubbiamente che madre degli dèi è la terra, non si dà motivo ad ulteriore ricerca e discussione 18. È infatti il discorso più evidente a sostegno di coloro i quali affermano che tutti gli dèi furono uomini. Gli uomini nascono appunto dalla terra, quindi la terra è loro madre. Ma nella vera teologia la terra è opera di Dio e non madre. Tuttavia comunque interpretino e rapportino alla natura i misteri della Madre degli dèi, è certo che non è secondo natura ma contro natura che i maschi siano considerati di sesso femminile. Questo male, questo crimine, questo obbrobrio hanno in quei misteri un proprio compito, mentre nell'umana delinquenza vengono confessati soltanto fra i tormenti. Se poi questi misteri che, come è dimostrato, sono più sconci delle oscenità del teatro, sono discolpati con la giustificazione che hanno una loro interpretazione con cui si spiega che significano la natura, perché anche i canti poetici non sono discolpati con la medesima giustificazione? Molti infatti li hanno interpretati in base al medesimo criterio e perfino il mito veramente disumano e mostruoso di Saturno che avrebbe divorato i propri figli. Alcuni lo interpretano nel senso che la lunghezza di tempo 19, che è significato dal concetto di Saturno, distrugge tutto ciò che produce; oppure interpretano, come anche Varrone, nel senso che Saturno si riferisce ai semi che ricadono sulla terra da cui nascono 20. Alcuni interpretano diversamente e così pure gli altri miti.

Eguaglianza della teologia mitica e politica.
8. 2. Tuttavia è considerata teologia fabulosa e nonostante tutte queste interpretazioni viene biasimata, respinta, condannata. Inoltre affinché sia giustamente rifiutata in base al fatto che ha inventato cose indegne degli dèi, viene distinta non solo dalla teologia naturale che è dei filosofi ma anche dalla civile, di cui stiamo trattando e che appartiene, come essi affermano, alle città e agli Stati. Ma indubbiamente si ebbe il seguente criterio. Gli individui veramente intelligenti e colti, da cui furono esposte queste teorie, intendevano che entrambe fossero riprovate, cioè tanto la teologia fabulosa che la civile, però avevano il coraggio di rifiutare la prima ma non la seconda. Allora esposero la fabulosa in modo che fosse biasimata e le posero in confronto la civile che le somiglia, e non allo scopo che la civile fosse accettata nel riscontro con l'altra ma affinché si intendesse che anch'essa era da rifiutare. Così senza rischio di coloro che temevano di riprovare la teologia civile, col respingere l'una e l'altra si otteneva che trovasse accoglienza negli spiriti più onesti quella teologia che chiamano naturale. Infatti tanto la civile che la fabulosa sono entrambe fabulose, entrambe civili. Si scoprirà che sono entrambe fabulose, se si considereranno con saggezza le frivolezze e le oscenità di entrambe, e che sono ambedue civili, se si osserveranno gli spettacoli teatrali caratteristici della teologia fabulosa nelle feste degli dèi dello Stato e nella religione delle città. Non si può dunque assolutamente attribuire il potere di dare la vita eterna ad uno qualsiasi degli dèi dello Stato, perché i loro idoli e misteri provano infallibilmente che per aspetto, età, sesso, atteggiamento, matrimonio, discendenza e riti sono del tutto simili a quelli della favola, dichiaratamente rifiutati. Dall'insieme infatti si capisce che furono uomini, che con attenzione alla vita e alla morte di ognuno furono istituiti per loro misteri e feste e che questo errore si è diffuso allo scopo d'ingannare le coscienze umane mediante ripetute suggestioni demoniache, quanto dire mediante qualsiasi occasione presentatasi allo spirito più immondo.

Assurdità del culto a Libero...
9. 1. Anche le competenze degli dèi, sminuzzate in incarichi così vili e frammentari per il fatto che, come essi credono, bisogna propiziarle secondo la particolare incombenza, su cui ho detto parecchio ma non tutto 21, sono più convenienti alla buffoneria istrionesca che alla dignità divina. Se un tizio impiegasse per un bimbo due nutrici, di cui una gli offrisse soltanto da mangiare e l'altra soltanto da bere, come i Romani allo scopo hanno impiegato due dee, Educa e Potina, sembrerebbe che sia uscito di senno e che a casa sua si comporta come un istrione. Affermano che Libero derivi etimologicamente da liberazione, perché i maschi nell'atto sessuale col suo favore si liberano effondendo il seme. Dicono che la medesima cosa fa con le femmine Libera, che sarebbe anche Venere, perché, a sentir loro, anche essa fa uscire il seme. E per questo motivo, dicono, è posta nei templi la parte virile del corpo per Libero e la femminile per Libera. Oltre queste cose assegnano a Libero le baccanti e il vino per stimolare la libidine. Per questo motivo i baccanali sono celebrati con indescrivibile frenesia. Varrone stesso confessa che soltanto in stato di follia in essi possono esser commesse dalle baccanti azioni così vergognose 22. Ma in seguito essi non furono graditi a un senato più ragionevole, il quale ordinò che fossero soppressi 23. Almeno in questo caso finalmente capirono forse il potere che sulla coscienza umana hanno gli spiriti immondi, quando sono ritenuti dèi. Questi fatti non avverrebbero in teatro perché lì giocano, non delirano, sebbene somiglia al delirio avere dèi che prendono gusto a tali giochi.

...dei riti contro Silvano...
9. 2. Che significa poi la notizia che ci fornisce Varrone? Egli distingue l'uomo religioso dal superstizioso in base al criterio che dal superstizioso gli dèi sono temuti, mentre dal religioso sono soltanto rispettati come i genitori e non temuti come nemici. Aggiunge che essi sono tutti così buoni da perdonare più facilmente i colpevoli che punire un innocente 24. Tuttavia ricorda che sono impiegati a protezione della donna sgravata tre dèi affinché il dio Silvano non entri durante la notte per farle violenza. Afferma che per indicare i tre dèi protettori, tre uomini di notte girano attorno al limitare della casa, e che dapprima percuotono il limitare con la scure, poi col pestello, e infine la spazzano con la scopa. Così mediante tre segni della coltura si proibirebbe al dio Silvano di entrare, perché gli alberi non si tagliano o potano senza la scure, la farina non si ottiene senza il pestello, le biade non si ammucchiano senza la scopa. Da questi tre oggetti sarebbero stati denominati i tre dèi, Intercidona dal taglio della scure, Pilunno dal pestello e Deverra dalla scopa. Con la loro protezione si difenderebbero i neonati dalla violenza del dio Silvano 25. Quindi non basterebbe la protezione degli dèi buoni contro la crudeltà di un dio che fa del male, se non fossero in più contro di uno solo e non resistessero a lui aspro, fiero e incolto, in quanto abitante nella selva, con i segni della coltura che gli sono contrari. E questa sarebbe la bontà degli dèi, questa la loro concordia? Queste sarebbero le divinità tutelari delle città, oggetto più di scherno che di spettacolo nei teatri?

...degli dèi della prima notte di nozze.
9. 3. Quando un maschio e una femmina si uniscono, viene interessato il dio Giogatino, e vada. Ma occorre portare la sposa nell'ambiente domestico e s'impiega il dio Domiduco; perché vi si trattenga, il dio Domizio; perché rimanga col marito, la dea Manturna. Che si vuole di più? Si abbia riguardo al ritegno umano; compia il resto la concupiscenza della carne e del sangue nel nascondimento creato dal pudore. A che scopo si riempie la camera da letto di una folla di divinità se perfino i paraninfi se ne allontanano? E si riempie non allo scopo che col pensiero della loro presenza sia maggiore l'attenzione alla castità, ma affinché mediante la loro collaborazione senza difficoltà sia tolta la verginità della donna debole per il sesso e tremante per la novità. Sono presenti nientemeno che la dea Verginiese, il dio padre Subigo, la dea madre Prema, la dea Pertunda e Venere e Priapo. Ma che faccenda è questa? Se al limite era necessario che l'uomo trovandosi in difficoltà in quell'atto fosse aiutato dagli dèi, non ne bastava uno o una? E se ci fosse stata soltanto Venere, sarebbe forse stata, da poco, anche perché si sostiene che deriva il nome dal fatto che senza la violenza una donna non cesserebbe d'esser vergine 26? Se negli uomini c'è il ritegno che non esiste nelle divinità, quando i coniugati pensano che sono presenti e assistono alla faccenda tanti dèi dell'uno e dell'altro sesso, non sono forse trattenuti dal pudore al punto che egli si senta meno acceso e lei opponga maggiore resistenza? E se è presente la dea Verginiese perché sia sciolta la cintura di castità alla vergine, se è presente il dio Subigo perché si assoggetti al marito, se è presente la dea Prema perché una volta assoggettata non resista e si lasci comprimere, la dea Pertunda che cosa ci sta a fare? Si vergogni, vada via, lasci fare qualche cosa anche al marito. È molto disonesto che l'atto che la denomina lo compia un altro che non sia lui. Ma forse è sopportata perché è una dea e non un dio. Se fosse creduta un maschio e si chiamasse Pertundo, il marito chiederebbe contro di lui per il pudore della moglie un aiuto più valido di quello che i neonati chiedono contro Silvano. Ma perché dico questo, quando vi è presente anche Priapo, che è maschio di troppo, tanto che sul suo enorme e sconcio membro virile doveva sedere la sposa novella secondo l'onestissima e religiosissima usanza delle matrone?.

I pagani saggi rigettano teologia mitica e politica...
9. 4. Ma gli scrittori andrebbero avanti e si sforzerebbero quasi, con la sottigliezza di cui sono capaci, di segregare la teologia civile dalla fabulosa, le città dai teatri, i templi dalla scena, i riti dei pontefici dai carmi dei poeti, come si segregano le cose oneste dalle turpi, le vere dalle false, le nobili dalle futili, le serie dalle frivole, le cose che si devono volere da quelle che si devono evitare. Capisco ciò che intendono. Sanno che la teologia del teatro e della favola tragica dipende dalla civile e che le viene restituita dai carmi dei poeti come da uno specchio. Quindi dopo la trattazione della teologia civile che non osano condannare direttamente, disapprovano e riprendono più liberamente questa sua immagine affinché coloro che li sanno capire rifiutino anche il sembiante di cui la fabulosa è l'immagine riflessa. Però gli dèi guardandosi nel medesimo specchio prediligono la fabulosa affinché appaia meglio nell'una e nell'altra chi e che cosa essi sono. Perciò hanno costretto con duri comandi i suoi cultori a dedicare loro l'oscenità della teologia fabulosa, a includerla nelle loro feste, a conservarla nella religione. Così hanno mostrato più evidentemente di essere spiriti immondi e hanno reso la teologia del teatro, per quanto riprovata nella sua abiettezza, una suddivisione e parte della teologia delle città, considerata nobile e apprezzata. In questo modo, sebbene nel suo complesso disonesta ed erronea ed abbia come contenuto falsi dèi, una sua parte consiste nelle tradizioni dei sacerdoti e l'altra nelle composizioni dei poeti. Se abbia altre parti ancora è un'altra questione. Per adesso, stando alla partizione di Varrone, ho dimostrato esaurientemente, a mio parere, che la teologia della città e quella del teatro fanno parte della sola teologia civile. Quindi poiché sono entrambe di eguale bruttura, irragionevolezza, sconvenienza e falsità, le persone veramente religiose non devono attendere la vita eterna né dall'una né dall'altra.

...così pure Varrone.
9. 5. Infine lo stesso Varrone comincia a catalogare ed enumerare gli dèi dal concepimento dell'uomo. Ha iniziato la loro numerazione da Giano e ha condotto la serie fino alla morte dell'uomo decrepito. Chiude l'elenco degli dèi protettori dell'uomo con la dea Nenia che si canta nei funerali dei vecchi. Poi comincia a enumerare altri dèi che non apparterrebbero agli uomini ma alle cose spettanti all'uomo, come sono il vitto e vestiario e tutte le altre cose indispensabili alla vita fisica, esponendo di tutti il ruolo specifico e il motivo per cui debbano essere resi propizi 27. Ma nonostante tutta questa sua accuratezza non ha mostrato o nominato dèi dai quali si dovesse chiedere la vita eterna. Invece noi soltanto per essa siamo cristiani. Dunque questo uomo espone e chiarisce tanto accuratamente la teologia civile, dimostra che è simile alla fabulosa, che è sconveniente e disonesta, e insegna con sufficiente evidenza che la stessa teologia fabulosa ne è una parte. Chi dunque è tardo al punto di non capire che egli ha preparato nelle coscienze degli uomini il luogo soltanto a quella naturale che, come egli dice, è di competenza dei filosofi? E l'ha fatto con tanto acume che condanna la teologia mitologica, non ardisce condannare la civile ma attraverso l'esposizione fa capire che la esclude così che, condannata l'una e l'altra secondo il giudizio di coloro che sanno ben capire, rimanga da accettare soltanto la teologia naturale. Di essa a suo luogo si dovrà trattare più diligentemente con l'aiuto di Dio 28.

Il pensiero di Seneca sul politeismo (10-12)

Seneca condanna l'evirazione sacrale...
10. 1. La libertà che mancò a Varrone, nel rifiutare a pari merito la teologia della città e quella molto simile del teatro, non mancò ad Anneo Seneca che, come sappiamo da certe indicazioni, si distinse al tempo dei nostri Apostoli. L'ebbe se non del tutto almeno parzialmente. L'ebbe appunto come scrittore, ne difettò come uomo. Infatti nel libro scritto contro le superstizioni egli attaccò la teologia dello Stato e della città in modo più esauriente e violento di quello con cui Varrone aveva attaccato la teologia della favola e del teatro 29. Trattando degli idoli, dice: Raffigurano gli esseri augusti immortali e inviolabili in materia molto vile e immobile, danno loro figura di uomini, di bestie e di pesci ed alcuni li rappresentano perfino ermafroditi nella diversa struttura fisica. Li chiamano numi ma se essi vivificandosi si muovessero all'improvviso, sarebbero presi per mostri. Poco dopo, nel trattare la teologia naturale, esposte le teorie di alcuni filosofi, si pose una domanda con le seguenti parole: A questo punto qualcuno può dire: E io dovrei credere che il cielo e la terra sono dèi e che ve ne sono alcuni sopra la luna e alcuni sotto? E io dovrei ascoltare o Platone o il peripatetico Stratone, di cui il primo ha insegnato che il dio è senza corpo e l'altro che è senza spirito? E, rispondendo alla domanda, soggiunge: Ma perché alla fin fine ti sembrano più veri i sogni di Tito Tazio o di Romolo o di Tullo Ostilio? Tazio dedicò un tempio alla dea Cloacina, Romolo a Pico e Tiberino, Ostilio a Pavore e a Pallore, che sono banali condizionamenti umani di cui il primo è il movimento psicologico della paura, l'altro neanche un male fisico ma soltanto un colorito naturale. Preferiresti credere che gli dèi sono questi e penseresti che siano in cielo? Dei misteri stessi, abominevoli per crudeltà, ha scritto con molta libertà: Uno si evira, l'altro si incide le braccia. In che senso temono gli dèi coloro che se li propiziano in questa maniera? Se gli dèi esigono questa forma di culto, non si devono adorare affatto. È così grande la frenesia della coscienza sconvolta e fuori di sé da far propiziare gli dèi con atti con cui non infieriscono neanche gli individui più disumani, neppure quelli di una crudeltà consegnata alle favole. I tiranni hanno straziato il corpo di alcuni ma non hanno comandato ad alcuno di straziare il proprio corpo. Alcuni sono stati evirati per soddisfare la libidine di un re ma nessuno per comando di un padrone ha compiuto l'atto con cui togliersi la virilità. Si dilaniano da sé nei templi, supplicano con le proprie ferite sanguinanti. Se qualcuno ha tempo di andare a vedere quel che fanno e quel che patiscono, osserverà azioni veramente disgustose per le persone oneste, indegne di persone libere, sconvenienti a persone assennate da non far dubitare nessuno che sono pazzi furiosi se lo fossero in pochi. Ma oggi garanzia di assennatezza è la folla dei dissennati.

...le pratiche superstiziose.
10. 2. Nessuno crederebbe ai fatti che, come Seneca narra, si verificavano abitualmente in Campidoglio e che egli con vero coraggio stimmatizza, se non fossero stati compiuti da buffoni e da pazzi. Egli derideva che nei misteri egiziani si piangesse lo smarrimento di Osiride e che all'improvviso si manifestasse una grande gioia nel ritrovarlo, poiché il suo smarrimento e ritrovamento erano nell'immaginazione, invece venivano manifestati di fatto il dolore e la gioia da individui che non avevano smarrito e ritrovato nulla. Ma per questa follia, egli dice, è stabilito un tempo ed è tollerabile uscir di senno una volta all'anno. Ma va' in Campidoglio, ti farà vergognare della frenesia esposta al pubblico ciò che una stravagante mania si è attribuita come dovere. Un tale fa vedere alcuni nomi a un dio, un altro notifica le ore a Giove, qualcuno fa il gesto del littore, un altro unge, giacché un inutile movimento delle braccia imita chi spalma l'unguento. Vi sono delle donne che pettinano i capelli a Giunone e a Minerva; in piedi lontano dal tempio e non soltanto dalla statua muovono le dita col gesto delle acconciatrici. Altre sostengono lo specchio. Vi sono alcuni che invitano gli dèi ad andare con loro per ottenere la cauzione, altri fanno vedere loro lo scritto di ricorso e fanno loro conoscere il processo che li riguarda. Un colto primo attore, ormai vecchio decrepito, eseguiva ogni giorno in Campidoglio una sua rappresentazione, convinto che gli dèi lo seguissero di buon grado, perché gli uomini avevano cessato di farlo. Ogni categoria di artigiani se ne sta lì con le mani in cintola a lavorare per gli dèi immortali. E poco dopo aggiunge: Ma costoro non offrono al dio un'attività abominevole o infame, anche se inutile. Però alcune donne si soffermano in Campidoglio perché sono convinte di essere amate da Giove; non si spaventano neanche col pensiero di Giunone che, se si vuol credere ai poeti, era furiosamente gelosa.

Sua incoerenza.
10. 3. Varrone non ebbe questa libertà, osò attaccare soltanto la teologia dei poeti e non quella dello Stato che invece Seneca infamò. Ma se abbiamo riguardo al vero, sono peggiori i templi in cui si compiono azioni abominevoli che i teatri in cui si rappresentano. E per questo in merito ai misteri della teologia dello Stato Seneca ha preferito assegnare al saggio il dovere di non accettarli nella religione interiore ma di simularli mediante atti esterni. Dice infatti: Il saggio osserverà tutte le prescrizioni perché comandate dalle leggi e non perché gradite agli dèi. E poco dopo osserva: Che dire che combiniamo matrimoni fra gli dèi e, contro ogni diritto, fra fratelli e sorelle? Uniamo in matrimonio Bellona a Marte, Venere a Vulcano, Nettuno a Salacia. Però ne lasciamo alcuni scapoli, come se non si fosse presentata l'occasione, tanto più che vi sono alcune vedove, come Populonia, Fulgora e la ninfa Rumina, ma non mi meraviglio che costoro non abbiano avuto un pretendente. Noi dunque adoreremo questa popolana folla di dèi, che una lunga superstizione durata molto tempo ha ammucchiata, ma ricordiamoci che il culto relativo riguarda la consuetudine e non la religione. Dunque né le leggi né la consuetudine istituirono nella teologia dello Stato un rito che fosse accetto agli dèi o che riguardasse la religione. Ma questo uomo che i filosofi riuscirono quasi a render libero, tuttavia, poiché era un illustre senatore del popolo romano, onorava ciò che biasimava, compiva atti che satireggiava, adorava ciò che accusava. La filosofia, cioè, gli aveva insegnato una grande verità, di non essere superstizioso di fronte al mondo ma, in vista delle leggi civili e dell'umana consuetudine, di non fare, certamente, l'attore drammatico ma di imitarlo nel tempio. Tanto più riprovevole era la sua condotta in quanto il popolo riteneva che compisse per convinzione quegli atti che al contrario compiva in quel modo soltanto per falso conformismo, mentre l'attore, anziché trarre in errore con l'inganno, dilettava con lo spettacolo.

Giudizio di Seneca sul culto giudaico.
11. Tra le altre superstizioni della teologia dello Stato Seneca riprende anche i riti degli Ebrei e soprattutto il sabato. Pensa che si comportino senza senso pratico, perché con quei giorni ricorrenti ogni settimo perderebbero nel riposo circa una settima parte della vita e in questo modo sarebbero lesi molti interessi che incalzano nel tempo. Non ha voluto nominare né in un senso né nell'altro i cristiani che già da allora erano profondamente odiati dai Giudei, tanto per non lodarli contro l'antica usanza della sua patria, quanto per non biasimarli forse contro la propria intenzione. Parlando dei Giudei, ha detto: Essendo frattanto invalsa l'usanza di un popolo di mascalzoni al punto che è stata accolta in tutti i paesi, i vinti hanno dettato leggi ai vincitori. Si meravigliava nel dire queste parole e non sapendo ciò che avveniva per divina disposizione ha aggiunto una frase con cui svelò la propria opinione sul significato di quei riti. Dice infatti: Quelli sanno tuttavia le ragioni del proprio culto, invece la maggior parte del nostro popolo compie dei riti e non conosce il motivo per cui li compie. Ma ho parlato altrove, soprattutto nella polemica contro i manichei 30, sull'argomento del culto giudaico, cioè sulla ragione e sul limite con cui è stato istituito dall'autorità divina e per cui a tempo opportuno dalla medesima autorità è stato loro sottratto dal popolo di Dio, al quale è stato rivelato il mistero della vita eterna. Comunque anche in questa opera se ne dovrà parlare a suo luogo 31.

Vanità del politeismo nel problema della salvezza.
12. Ora sull'argomento delle tre teologie, che i Greci chiamano mitica, fisica e politica e che in latino si possono tradurre in fabulosa, naturale e civile, è stato dimostrato che la vita eterna non si deve attendere né da quella della favola, perché con grande libertà l'hanno attaccata perfino gli adoratori degli dèi del politeismo, né da quella dello Stato, perché si è dimostrato che la prima è una sua parte e che questa le è molto simile o anche peggiore. Ma se a qualcuno non basta la dimostrazione esposta in questo volume, vi aggiunga anche la tesi, sostenuta con un lungo discorso nei libri precedenti e soprattutto nel quarto, su Dio datore della felicità 32. Infatti se la felicità è una dea, soltanto a lei gli uomini dovrebbero consacrarsi per conseguire la vita eterna. Ma poiché non è una dea ma un dono di Dio, soltanto a quel Dio che dà la felicità ci dobbiamo consacrare noi che con religiosa carità amiamo la vita eterna in cui si ha vera e piena felicità. Da quanto è stato detto non si può assolutamente dubitare, come io penso, che dia la felicità qualcuno degli dèi che sono adorati tanto oscenamente e che più oscenamente ancora si sdegnano se non sono adorati in quel modo e che per tal motivo mostrano di essere spiriti immondi. Ora chi non dà la felicità non può dare neanche la vita eterna. Si considera appunto vita eterna quella in cui si ha una felicità senza fine. Se infatti l'anima vive nelle pene eterne, con le quali saranno puniti anche gli spiriti immondi, quella è piuttosto una morte eterna che vita. Non si ha infatti una morte maggiore e peggiore che là dove la morte non muore. Ma poiché l'essere dell'anima, per il fatto che è stata creata eterna, non si può concepire senza una qualunque vita, la sua morte più vera è l'alienazione dalla vita di Dio nell'eternità della pena. Quindi soltanto colui che dà la vera felicità dà la vita eterna, cioè felice senza fine. Ora è stato dimostrato che gli dèi adorati dalla teologia civile non possono dare la felicità, e non solo ai sensi dei beni temporali e terreni, come ho dimostrato nei primi cinque libri, ma a più forte ragione ai sensi della vita eterna che si avrà dopo la morte, come ho trattato in questo unico libro anche con la collaborazione dei loro scrittori. Quindi gli dèi non si devono adorare. Ma la forza di una vecchia usanza ha radici molto profonde. Perciò, se a qualcuno sembra che ho trattato poco della necessità di respingere decisamente la teologia civile, volga l'attenzione all'altro volume che con l'aiuto di Dio segue immediatamente a questo.
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