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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri VII - XI (2)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 19:37
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22/12/2012 19:26

LIBRO X

SOMMARIO

1. Anche i platonici hanno insegnato che solamente dall'unico Dio la felicità è concessa tanto agli angeli che agli uomini; ma si deve esaminare se i demoni, che secondo loro si devono adorare allo scopo, vogliano che si sacrifichi soltanto a Dio o anche a loro.

2. Il pensiero del platonico Plotino sulla illuminazione dall'alto.

3. I platonici, adorando angeli buoni e cattivi con onore divino, hanno deviato dal vero culto di Dio, sebbene ne avessero avuto intuizione come di creatore dell'universo.

4. Il sacrificio si deve al solo vero Dio.

5. Dio non richiede certi sacrifici ma ha voluto che fossero offerti come simbolo dei beni che richiede.

6. Il vero e perfetto sacrificio.

7. L'amore degli angeli per noi è tale che non ci vogliono loro adoratori ma del solo vero Dio.

8. A confermare la fede dei credenti, Dio si è degnato di associare alle proprie promesse alcuni miracoli anche mediante il ministero degli angeli.

9. Illecite pratiche nella demonolatria, di cui s'interessa il platonico Porfirio, approvandone alcune e altre apparentemente condannando.

10. La teurgia promette la catarsi dell'anima con l'invocazione dei demoni.

11. La lettera di Porfirio all'egiziano Anebon che gli chiedeva di essere erudito sulla diversità dei demoni.

12. I miracoli che il vero Dio compie col ministero degli angeli santi.

13. Dio è invisibile ma è apparso visibilmente non per quel che è ma per quel che potevano sopportare coloro che lo hanno visto.

14. Si deve adorare un solo Dio non soltanto per i beni eterni ma anche per quelli terreni, perché tutto è in potere della sua provvidenza.

15. La funzione degli angeli che sono al servizio del volere di Dio.

16. Se in merito al conseguimento della felicità si deve credere agli angeli che esigono di essere adorati con onore divino, ovvero a quelli che ordinano di prestare con una santa religione servizio a un solo Dio.

17. L'arca del Testamento e i miracoli compiuti per confermare l'autorevolezza della Legge e della promessa messianica.

18. Contro coloro i quali affermano che non si deve credere ai Libri della Chiesa nei confronti dei miracoli con cui il popolo di Dio è stato istruito.

19. Il motivo del sacrificio visibile che la vera religione insegna ad offrire all'unico vero Dio invisibile.

20. Il Mediatore di Dio e degli uomini si è reso sommo e vero sacrificio.

21. I limiti del potere concesso ai demoni per glorificare attraverso la sopportazione delle sofferenze i santi che hanno sconfitto gli spiriti dell'aria non placandoli ma confidando in Dio.

22. L'origine del potere dei santi contro i demoni e la sorgente della vera purificazione del cuore.

23. I platonici affermano che la purificazione dell'anima deriva dai principi.

24. Un unico e vero principio solamente purifica e rinnova la natura umana.

25. Tutti i santi al tempo della Legge e nei tempi anteriori furono giustificati nel mistero e nella fede del Cristo.

26. L'incoerenza di Porfirio che si dibatte fra il riconoscimento del vero Dio e il culto dei demoni.

27. La miscredenza di Porfirio per cui sorpassa l'errore di Apuleio.

28. Porfirio accecato da certe convinzioni non riuscì a riconoscere la sapienza vera che è il Cristo.

29. La miscredenza dei platonici si vergogna di ammettere l'incarnazione di Gesù il Cristo nostro Signore.

30. Porfirio ha rifiutato e rettificato col dissenso molta parte della dottrina platonica.

31. Contro l'argomentazione dei platonici con cui dichiarano coeterna a Dio l'anima umana.

32. La via aperta a tutti per la liberazione dell'anima che Porfirio cercando male non ha trovato e soltanto la grazia cristiana ha dischiuso.


Libro decimo
LA RELIGIONE DELLA SALVEZZA



Concetti attinenti alla vera religione (1-11)


Gli angeli e il culto religioso.
1. 1. È opinione generale di coloro i quali possono a qualsiasi livello usare la ragione che tutti gli uomini vogliono essere felici 1. Al contrario, nell'atto che l'insufficienza umana si pone il problema del soggetto che è felice e dell'oggetto da cui lo diviene, sono sorte molte e grandi controversie. In esse i filosofi hanno profuso studio e tempo. Ma è lungo e non necessario citarle ed esaminarle. Se il lettore richiama il criterio che nel libro ottavo abbiamo esposto nello scegliere i filosofi con cui trattare il problema della felicità che sopraggiungerà dopo la morte, se cioè possiamo raggiungerla col servizio religioso e rituale a un solo vero Dio, che è anche creatore degli dèi, o a più dèi, non si aspetti che tali concetti siano ripetuti, tanto più che se li ha dimenticati, può aiutare la memoria rileggendoli 2. Abbiamo infatti scelto i platonici, i più illustri meritatamente di tutti i filosofi, appunto perché sono riusciti a stabilire filosoficamente che l'anima dell'uomo, sebbene immortale e ragionevole o intelligente, può essere felice soltanto nella partecipazione del lume di quel Dio da cui sono stati creati essa e il mondo. Affermano quindi che non si conseguirà il bene che tutti desiderano, cioè la felicità, se non ci si unisce in purezza di casto amore all'unico sommo bene che è il Dio immutevole 3. Tuttavia anche essi, sia per adattarsi alla ubbia ed errore popolare, sia perché, come dice l'Apostolo, sragionarono nei propri pensieri 4, credettero o lasciarono credere che si devono adorare molti dèi. Alcuni di loro anzi ritennero che i divini onori dei misteri e dei sacrifici si devono tributare anche ai demoni. A costoro abbiamo risposto abbastanza esaurientemente. Ora nella trattazione si deve esaminare, per quanto Dio lo concede, in qual senso si deve ritenere che gli esseri immortali e felici stabiliti nella sede, nel dominio, nel primato e nel potere del cielo 5, che i platonici chiamano dèi e di essi alcuni demoni buoni o anche, con noi cristiani, angeli 6, vogliono che da noi siano praticate la religione e la pietà. Per dirlo più apertamente, si cerca se piace a loro che compiamo misteri e sacrifici, che consacriamo con riti religiosi alcune cose nostre o noi stessi anche a loro o soltanto al loro Dio che è anche il nostro.

Latria e culto.
1. 2. Questo è infatti il culto dovuto alla divinità, o, per esprimersi più propriamente, alla deità. Per indicarlo con una sola parola, poiché non me ne sovviene una latina abbastanza appropriata, manifesto il mio pensiero, dove è necessario, con una parola greca. I nostri scrittori, in qualsiasi passo della Scrittura si trovi, tradussero con "servizio" 7. Ma il servizio che è dovuto agli uomini, in virtù del quale, come ordina l'Apostolo, i servi devono essere soggetti ai propri padroni 8, di solito si designa con un altro vocabolo greco 9; al contrario, per secondo l'uso con cui hanno parlato coloro che ci hanno trasmesso la parola divina, s'intende o sempre o così frequentemente che è quasi sempre quel servizio che appartiene al culto di Dio 10. Pertanto, se si vuol indicare soltanto il culto per sé, è chiaro che non è dovuto soltanto a Dio. Si dice anche che si onorano (colere) gli uomini che vengono esaltati in un ricordo o in una manifestazione celebrativa. E non solo per quegli oggetti, ai quali ci assoggettiamo con religiosa umiltà, ma anche per oggetti a noi sottoposti, si adopera la parola colere. Da questa parola sono denominati gli agricoltori, i coloni e gli abitanti (incolae). I pagani chiamano gli dèi stessi celicoli per il solo motivo che onorano il cielo, non certo adorandolo ma abitandovi, quasi come coloni del cielo 11. E questo non nel senso dei coloni che debbono la propria condizione al suolo in cui sono nati per l'esercizio dell'agricoltura sotto il dominio dei proprietari, ma nel senso indicato da un grande autore della lingua latina: Vi fu un'antica città fondata dai coloni di Tiro 12. Li ha chiamati "coloni" da incolere (abitare) e non da agricoltura. Per questo le città fondate da città più grandi, come da uno sciamare dei cittadini, si chiamano colonie. È quindi proprio vero che il culto nel significato originario della parola è dovuto soltanto a Dio, ma poiché culto significa anche altri oggetti, non si può in latino con una sola parola indicare il culto dovuto a Dio.

Religione e pietà.
1. 3. Anche la religione per sé sembrerebbe indicare non un culto qualsiasi ma quello dovuto a Dio e per questo i nostri hanno tradotto con questo vocabolo la parola greca 13. Tuttavia nell'uso linguistico latino, non degli analfabeti ma dei grandi letterati, si dice che la religione è dovuta ai vincoli umani di parentela, di affinità e di qualunque altro legame sociale 14. Dunque quando si tratta il problema del culto della deità, anche con la parola religione non si evita l'ambiguità in modo da poter dire con sicurezza che la religione è soltanto il culto a Dio, perché sembra che questa parola per eccezione si estenda ad indicare il rispetto dell'umana consanguineità 15. Anche la pietà, che i Greci chiamano , propriamente significa di solito il culto a Dio 16. Tuttavia si trova scritto che per deferenza si ha anche verso i genitori. Nel gergo popolare questa parola si usa anche per indicare le opere di misericordia 17. Penso che il fatto si sia verificato perché Dio ordina che si compiano soprattutto queste opere e dichiara che gli sono gradite in luogo o a preferenza dei sacrifici. Da questo modo di parlare è derivato che anche Dio è considerato pio 18. I Greci invece non lo considerano pio () a causa di un loro particolare modo di esprimersi, sebbene il loro volgo usi in luogo di misericordia 19. Perciò in alcuni passi della Scrittura 20, affinché la distinzione appaia più chiara, gli scrittori hanno preferito dire non che deriva per composizione dal culto buono ma che deriva dal culto a Dio 21. Noi latini non possiamo esprimere ambedue i significati con una sola parola. Dunque la parola greca in latino si traduce "servizio", ma quello con cui onoriamo Dio; anche la parola greca in latino significa "religione", ma quella che abbiamo verso Dio. Però noi non possiamo esprimere con una sola parola quella che essi chiamano , ma possiamo chiamarla il culto di Dio 22. Affermiamo che essa è dovuta soltanto al Dio che è il vero Dio e rende dèi i suoi adoratori 23. Tutti gli esseri dunque che sono immortali e felici nelle dimore del cielo, se non ci amano e non vogliono che noi siamo felici, non si devono certamente adorare. Se invece ci amano e ci vogliono felici, lo vogliono da quell'essere da cui anche essi sono felici. Forse che da un essere sono felici essi e da un altro noi?

Partecipazione in Plotino e all'inizio del quarto Vangelo.
2. Ma per quanto riguarda questo problema, noi cristiani non abbiamo alcun dissenso con questi filosofi più eccellenti. Compresero infatti e nei loro scritti insegnarono esaurientemente in molti modi che essi sono felici da quello stesso principio da cui lo siamo anche noi, nell'essere raggiunti da un lume intelligibile che per loro è Dio e che è altro da loro. Da lui sono illuminati affinché risplendano e permangano perfetti e felici della partecipazione di lui 24. Plotino, spiegando il pensiero di Platone, spesso e diffusamente dichiara che anche quella che ritengono l'anima dell'universo è felice, come la nostra, da un medesimo principio e che esso è un lume altro da lei perché da esso è stata creata e di esso splende intelligibilmente perché intelligibilmente la illumina 25. Per chiarire queste realtà immateriali presenta anche un'analogia dai corpi luminosi e grandi del cielo visibile, come se egli sia il sole e lei la luna 26. Ritengono infatti che la luna sia illuminata dall'interporsi del sole 27. Il grande platonico parla dell'anima razionale, che più propriamente si dovrebbe chiamare intellettuale e stabilisce filosoficamente che anche le anime degli esseri immortali e felici sono del medesimo genere e non dubita che dimorino nelle sedi del cielo. Egli dichiara appunto che l'anima non ha superiore a sé se non l'essenza di Dio, che ha creato il mondo e da cui anch'essa è stata creata, e che a quegli spiriti posti in alto soltanto dal medesimo principio, che elargisce anche a noi, vengono assicurati la felicità e il lume dell'intelligenza della verità 28. E in questo si accorda col Vangelo in cui si legge: Vi fu un uomo mandato da Dio che aveva nome Giovanni; questi venne in testimonianza, per offrire testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce ma era per rendere testimonianza alla luce. Questi era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 29. Nella distinzione si mostra assai chiaramente che l'anima razionale, cioè intellettuale, quale era in Giovanni, non poteva essere luce a sé ma splendeva della partecipazione di un'altra luce vera. Giovanni stesso lo conferma quando rendendogli testimonianza afferma: Noi tutti abbiamo ricevuto della sua pienezza 30.

Platonici fra politeismo e monoteismo.
3. 1. Stando così le cose, se i platonici e tutti gli altri che la pensassero così, dopo aver conosciuto Dio, lo onorassero come Dio, lo ringraziassero, non sragionassero nei propri pensieri 31, non divenissero da una parte fautori dei pregiudizi popolari e dall'altra non osassero opporvisi, affermerebbero certamente che tanto dagli spiriti immortali e felici come da noi mortali e infelici, per poter essere immortali e felici, si deve adorare l'unico Dio degli dèi che è il nostro e il loro.

Vera religione e salvezza.
3. 2. A lui dobbiamo il servizio, che in greco si dice , tanto nelle varie pratiche rituali come nelle nostre coscienze. Tutti insieme e ciascuno di noi siamo suoi templi 32, perché si degna di essere presente nell'unione comunitaria di tutti e in ciascuno, non più grande in tutti che in ciascuno, perché non si accresce nell'estensione e non diminuisce per divisibilità. Quando il nostro cuore è presso di lui diviene il suo altare; lo plachiamo mediante il sacerdozio del suo Unigenito; gli offriamo vittime cruenti se combattiamo fino al sangue per la sua verità; bruciamo per lui un incenso dal profumo delicato 33 quando bruciamo di pio e santo amore alla sua presenza; promettiamo e rendiamo a lui i suoi doni in noi e noi stessi; gli dedichiamo e consacriamo il ricordo dei suoi benefici nelle celebrazioni festive e nei giorni stabiliti, affinché col trascorrere del tempo non sopravvenga l'ingrato oblio; a lui sacrifichiamo nell'altare del cuore l'offerta dell'umiliazione e della lode fervente del fuoco della carità 34. Per averne visione, come potrà aversene, e per unirci a lui, ci purifichiamo da ogni contaminazione dei peccati e delle passioni disoneste e ci consideriamo cose divine nel suo nome. Egli è infatti principio della nostra felicità, egli fine di ogni desiderio. Scegliendolo, anzi scegliendolo di nuovo, perché l'avevamo perduto scartandolo dalla nostra scelta; scegliendolo di nuovo (religere) dunque, poiché proprio da questo si fa derivare religione 35, tendiamo a lui con una scelta di amore per cessare dall'affanno all'arrivo, felici appunto perché in possesso della pienezza in quel fine. Il nostro bene infatti, sul cui fine fra i filosofi esiste una grande controversia, non è altro che vivere in unione con lui, perché l'anima intellettuale si riempie e si feconda delle vere virtù soltanto nell'abbraccio incorporeo, se si può dire, di lui. Ci viene comandato di amare questo bene con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la virtù. Dobbiamo inoltre esser condotti a questo bene da coloro che ci amano e condurvi coloro che amiamo. Così sono adempiuti i due comandamenti da cui dipendono tutta la Legge e i Profeti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e: Amerai il prossimo tuo come te stesso 36. Perché infatti l'uomo sapesse amare se stesso, gli fu stabilito un fine al quale dirigere tutte le sue azioni per essere felice; chi si ama infatti non vuole altro che essere felice. E questo fine è unirsi a Dio 37. Dunque a chi sa amare se stesso, quando gli si comanda di amare il prossimo come se stesso, gli si comanda soltanto che, per quanto gli è possibile, lo sproni ad amare Dio. Questo è il culto di Dio, questa la vera religione, questa la retta pietà, questo il servizio dovuto soltanto a Dio. Quindi qualunque spirito immortale, di qualsiasi valore sia insignito, se ci ama come ama se stesso, vuole che noi, per esser felici, siamo soggetti a colui al quale anche egli è soggetto. Se dunque non adora Dio è infelice perché è privo di Dio; se poi adora Dio, non vuole essere adorato in luogo di Dio. Piuttosto accetta e favorisce con la forza dell'amore la parola di Dio che dice: Chi sacrifica agli dèi, e non soltanto a Dio, sarà divelto 38.

Culto divino e culto umano.
4. Per tacere ora di altre cose che sono pertinenti all'ossequio religioso con cui si adora Dio, non v'è alcuno il quale osi dire che il sacrificio non è dovuto soltanto a Dio. Molti atti poi sono stati usurpati dal culto per essere deferiti a onori umani o per eccessiva umiltà o per detestabile adulazione. Tuttavia coloro ai quali vengono deferiti sono considerati uomini, ritenuti degni di onore e di venerazione e, se si riconosce loro molto, anche di adorazione. Ma chi ha potuto ritenere di dover sacrificare se non a colui che ha riconosciuto o pensato o immaginato come dio? Quanto infine sia antico il culto di Dio mediante il sacrificio lo indicano sufficientemente i due fratelli Caino ed Abele, perché Dio riprovò il sacrificio del maggiore di essi e accolse quello del minore 39.

Religione e sacrificio.
5. Chi è poi tanto sciocco da ritenere che le cose offerte nei sacrifici siano indispensabili ad alcuni bisogni di Dio? La Scrittura lo dichiara in molti passi. Per non farla lunga, basterà citare da un salmo il versicolo: Ho detto al Signore: tu sei il mio Dio perché non hai bisogno dei miei beni 40. Si deve dunque ammettere che Dio non solo non ha bisogno di un animale o di altra cosa corruttibile e terrena ma neanche dell'onestà dell'uomo. Tutto ciò che riguarda il culto di Dio giova all'uomo e non a Dio. Non si potrà certamente dire di aver provveduto alla sorgente se si beve o alla luce se si vede. Dagli antichi Patriarchi furono offerti altri sacrifici immolando come vittime gli animali 41. Ora il popolo di Dio li conosce leggendo nella Scrittura ma non li offre più. In proposito si deve intendere soltanto che con quei riti furono significati gli atti che si compiono nella nostra coscienza affinché ci uniamo a Dio e per lo stesso fine veniamo in aiuto al prossimo. Dunque il sacrificio visibile è sacramento, cioè segno sacro di un sacrificio invisibile. Per questo il penitente nel profeta o lo stesso profeta, che vuole avere Dio clemente ai propri peccati, dice: Se tu avessi voluto un sacrificio, te lo avrei offerto ma tu non prendi diletto degli olocausti. È sacrificio a Dio un cuore contrito; Dio non sprezzerà un cuore contrito e umiliato 42. Osserviamo come in un medesimo passo dice che Dio non vuole e vuole il sacrificio. Non vuole dunque il sacrificio dell'animale ucciso e vuole il sacrificio del cuore contrito. Ha detto dunque che Dio non vuole il primo ma con esso viene indicato quello che, come ha soggiunto, egli vuole. Dio ha detto di non volere quei sacrifici nel senso con cui si ritiene dagli insipienti che egli li voglia quasi in vista di una sua soddisfazione. Ci sono dei sacrifici che egli vuole, fra cui uno è il cuore contrito e umiliato dal dolore del pentimento. Se egli però non volesse che fossero significati dagli altri che, come si è pensato, avrebbe desiderato come apportatori di piacere per sé, certamente nell'antica Legge non avrebbe prescritto di offrirli 43. Dovevano perciò essere cambiati al momento opportuno affinché non si ritenesse che fossero oggetto di desiderio da parte di Dio e di propiziazione per noi anziché le realtà che essi significavano. Perciò dice in un passo di un altro salmo: Se avessi fame, non lo direi a te, perché mia è la terra e quanto contiene. Forse che dovrò mangiare le carni dei tori e bere il sangue dei capri? 44. Sembra che voglia dire: "Se ne avessi bisogno, non chiederei a te le cose che ho in potere". Poi, spiegando il significato delle parole, soggiunge: Offri a Dio il sacrificio della lode e rendi all'Altissimo le tue offerte e invocami nel giorno della sofferenza, io te ne libererò e tu mi darai gloria 45. In un altro profeta si dice: Mediante che cosa raggiungerò il Signore e afferrerò il mio Dio altissimo? Lo raggiungerò forse mediante gli olocausti e gli agnelli di un anno? Forseché il Signore gradirà mille arieti o diecimila capri grassi? Forse dovrò dare per la mia empietà i primogeniti dei miei animali e per il mio peccato il figlio delle mie viscere? Ma, o uomo, ti è stato annunziato che cos'è il bene, ovvero che cosa il Signore richiederà da te? Soltanto operare la giustizia, praticare il bene ed essere pronto a camminare col Signore tuo Dio 46. Nelle parole di questo profeta è distinto e chiaramente determinato l'uno e l'altro, e cioè che Dio non richiede i sacrifici visibili e che con essi sono indicati i sacrifici interiori che Dio richiede. Nella lettera intestata agli Ebrei l'autore dice: Non dimenticare di fare il bene e di comunicarlo con gli altri; con questi sacrifici si è graditi a Dio 47. Quindi nella frase della Scrittura: Preferisco opere di bene al sacrificio 48 si deve intendere soltanto che un sacrificio è preferito all'altro, perché quello che comunemente è considerato sacrificio è segno del vero sacrificio. Pertanto, fare il bene è dunque il vero sacrificio. Per questo è stata scritta la frase che ho citato poco fa: Con tali sacrifici si è graditi a Dio. Tutte le prescrizioni dunque che in merito al ministero del tabernacolo e del tempio, come si legge nella Scrittura, sono state in varie maniere ordinate da Dio riguardo ai sacrifici, si riferiscono ad indicare l'amore di Dio e del prossimo. A questi due comandamenti infatti, come è stato scritto, si riducono tutta la Legge e i Profeti 49.

Sacrificio e spirito comunitario.
6. Dunque vero sacrificio è ogni opera con cui ci si impegna ad unirci in santa comunione a Dio, in modo che sia riferita al bene ultimo per cui possiamo essere veramente felici. Quindi anche il bene con cui si soccorre l'uomo, se non si compie in relazione a Dio, non è sacrificio. Infatti, sebbene il sacrificio sia compiuto e offerto dall'uomo, è cosa divina; tanto è vero che anche i vecchi Latini l'hanno chiamato così 50. Pertanto l'uomo stesso consacrato nel nome di Dio e a lui promesso, in quanto muore al mondo per vivere di Dio, è un sacrificio. Anche questo appartiene al bene che l'uomo compie in favore di se stesso. Perciò è stato scritto: Abbi pietà della tua anima col renderti gradito a Dio 51. Quando castighiamo anche il nostro corpo con la temperanza, se lo facciamo, come è dovere, in relazione a Dio per non offrire le nostre membra come armi d'iniquità al peccato, ma come armi di giustizia a Dio 52, anche questo è un sacrificio. Ad esso esortandoci l'Apostolo dice: Vi scongiuro, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi come offerta viva, santa, gradita a Dio, come vostro ossequio ragionevole 53. Allora il corpo che per la sua debolezza l'anima usa come un servo o uno strumento, quando il suo impiego morale e onesto si riferisce a Dio, è un sacrificio. A più forte ragione dunque diviene un sacrificio l'anima stessa quando si pone in relazione con Dio affinché, accesa dal fuoco del suo amore, perda la forma della terrena passione e sottomessa si riformi a lui come a forma che non muta, resa quindi a lui gradita perché ha ricevuto della sua bellezza. L'Apostolo citato esprime questo pensiero soggiungendo: Non conformatevi a questo mondo che passa, ma riformatevi in un rinnovamento della coscienza, per rendervi consapevoli qual è il volere di Dio, l'azione buona, gradita, perfetta 54. Ora i veri sacrifici sono le opere di misericordia verso noi stessi e verso il prossimo che sono riferite a Dio. Le opere di misericordia inoltre si compiono per liberarsi dalla infelicità e così divenire felici; e questo si ottiene solamente con quel bene di cui è stato detto: Il mio bene è unirmi a Dio 55. Ne consegue dunque che tutta la città redenta, cioè l'assemblea comunitaria dei santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale per la mediazione del sacerdote grande che nella passione offrì anche se stesso per noi nella forma di servo perché fossimo il corpo di un capo così grande 56. Ha immolato la forma di servo, in essa è stato immolato, perché in essa è mediatore, sacerdote e sacrificio. L'Apostolo dunque ci ha esortato a presentare il nostro corpo come offerta viva, santa e gradita a Dio, come nostro ossequio ragionevole, a non conformarci al mondo che passa ma a riformarci nel rinnovamento della coscienza, per renderci consapevoli qual è la volontà di Dio, l'azione buona, gradita e perfetta. E questo sacrificio siamo noi stessi. Poi soggiunge: Dico nella grazia di Dio, che mi è stata data, a tutti quelli che sono nella vostra comunità di non esaltarvi più di quanto è necessario, ma di valutare con moderazione, nel modo con cui Dio ha distribuito a ciascuno la regola della fede. Come infatti nel corpo abbiamo molte membra che non hanno tutte la medesima funzione, così molti siamo in Cristo un solo corpo e ciascuno è membro dell'altro perché abbiamo carismi diversi secondo la grazia che ci è stata data 57. Questo è il sacrificio dei cristiani: Molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell'altare, noto ai fedeli, perché in esso le si rivela che nella cosa che offre essa stessa è offerta.

Gli angeli nel disegno della salvezza.
7. Dunque gli spiriti immortali e felici, stabiliti nelle sedi del cielo, che godono della partecipazione del loro Creatore, perché sono stabili della sua eternità, certi della sua verità, santi nel suo servizio, usano misericordia nell'amare noi mortali e infelici, affinché diveniamo immortali e felici. Giustamente quindi non vogliono che noi sacrifichiamo a loro ma a colui del quale sanno di essere sacrificio assieme a noi. Assieme a loro infatti siamo un'unica città di Dio. Ad essa si dice in un salmo: Di te si narrano imprese molto gloriose, o città di Dio 58. Una sua parte è esule in noi, l'altra ci viene in soccorso con loro. Dalla celeste città, in cui la volontà di Dio è legge intelligibile e immutabile, da essa che in certo senso è la curia celeste, perché in essa si ha cura di noi, proviene a noi, somministrata mediante gli angeli santi, la Scrittura che dice: Chi sacrifica agli dèi, e non soltanto a Dio, sarà divelto 59. Grandi prodigi hanno comprovato questo passo della Scrittura, questa legge, simili comandamenti. È manifesto dunque a chi vogliono che noi sacrifichiamo gli spiriti eternamente felici i quali desiderano per noi il medesimo bene che per se stessi.

Prodigi nell'Antico Testamento.
8. Infatti se richiamo i fatti più antichi, potrà sembrare che torno indietro più di quanto si richiede per ricordare i miracoli avvenuti a comprovare le promesse di Dio con cui migliaia di anni prima predisse ad Abramo che nel suo seme tutti i popoli avrebbero ricevuto benedizione 60. Ognuno infatti si meraviglia che la moglie sterile generò ad Abramo un figlio in quel periodo della vecchiaia in cui neanche una donna feconda potrebbe più generare 61. Inoltre in un sacrificio che Abramo offrì, una fiamma venuta dal cielo passò fra le vittime divise a metà 62. Al medesimo Abramo fu predetto, per mezzo di angeli in forma umana che aveva ospitato, il prodigioso incendio di Sodoma e da essi ebbe la conferma della promessa fatta da Dio sul figlio che doveva nascere 63. Inoltre, essendo imminente l'incendio, c'è la prodigiosa liberazione di Loth, figlio di un fratello di Abramo, per mezzo dei medesimi angeli, mentre sua moglie, voltatasi indietro e divenuta immediatamente di sale 64, stava ad ammonire, con un grande prodigio, che nella via della propria liberazione non si deve avere nostalgia del passato. Molti e grandi sono i prodigi, strepitosamente compiuti mediante Mosè in Egitto, per liberare il popolo di Dio dalla schiavitù. Fu consentito ai maghi del faraone, cioè del re di Egitto, che opprimeva tirannicamente il popolo, di compiere alcune azioni strepitose affinché fossero più strepitosamente sconfitti. Essi le compivano con stregonerie e incantesimi ai quali sono dediti gli angeli cattivi, cioè i demoni. Mosè li superò facilmente, attraverso il ministero degli angeli, con potere pari alla giustizia nel nome di Dio che ha fatto il cielo e la terra 65. Infine, essendo stati superati i maghi alla terza piaga, mediante Mosè, attraverso uno straordinario susseguirsi di avvenimenti arcani, furono condotte a termine le dieci piaghe con cui il duro cuore del faraone e degli Egiziani fu piegato a lasciar andare il popolo di Dio. Se ne pentì subito il faraone e tentò d'inseguire gli ebrei che si allontanavano; ma mentre essi, divisosi il mare, passarono sull'asciutto, gli Egiziani furono travolti e sommersi dalle acque che si riunirono dall'una e dall'altra parte 66. Che dire di quei miracoli che si moltiplicarono per uno straordinario intervento divino mentre il popolo era guidato nel deserto? Acque non potabili con l'immersione di un bastone, come Dio aveva ordinato, perdettero il sapore amaro e dissetarono gli ebrei assetati 67. Poiché avevano fame, venne dal cielo la manna ed essendo stata stabilita una misura nel raccoglierla, qualora se ne raccoglieva di più, marciva per i vermi, ma raccolta il doppio nel giorno prima del sabato, dato che di sabato era proibito raccoglierla, era immune da imputridimento 68. Quando desiderarono cibarsi di carne, anche se sembrava impossibile averne a sufficienza per un popolo tanto numeroso, le tende si riempirono di uccelli e l'ardente desiderio finì nell'uggia 69. I nemici, venuti incontro per impedire il passaggio con azioni militari, furono sconfitti senza che alcun ebreo cadesse, mentre Mosè pregava con le braccia distese in forma di croce 70. I sediziosi nel popolo di Dio, che operavano scissioni in una società ordinata per intervento divino, furono inghiottiti vivi dalla terra apertasi improvvisamente ad esempio visibile di una pena invisibile 71. Una pietra colpita da una verga sgorgò acque abbondanti per una così grande moltitudine 72. I morsi letali di serpenti, giusta pena di peccati, furono guariti col guardare un serpente di bronzo innalzato sopra un'asta di legno, perché fosse soccorso il popolo colpito e perché la morte sconfitta dalla morte fosse figurata quasi nell'analogia della morte sulla croce 73. E quando il popolo incorso nell'errore cominciò ad adorare come idolo il serpente di bronzo conservato a ricordo del fatto, Ezechia, sovrano che esercitò il potere a servizio di Dio, con gesto altamente benemerito per la religione lo distrusse 74.

Teurgia e magia.
9. 1. Questi fatti ed altri simili, che è troppo lungo enumerare, avvenivano per inculcare l'adorazione di un solo Dio e impedire quella di molti e falsi dèi. Avvenivano mediante la schietta e confidente fede religiosa e non con incantesimi e formule composte con l'arte di un'infame curiosità che chiamano magia, o con termine più detestabile stregoneria o con uno più accettabile teurgìa 75. I pagani pretendono di discriminare queste pratiche e vogliono far apparire degni di condanna individui dediti ad arti illecite, perché anche il volgo li considera operatori di maleficio. Sono quelli che, dicono, si dedicano alla stregoneria. Fanno apparire invece degni di lode gli altri che considerano dediti alla teurgia. Eppure gli uni e gli altri sono asserviti ai falsi riti dei demoni sotto il nome di angeli.

Teurgia catartica e le incertezze di Porfirio.
9. 2. Anche Porfirio promette una determinata catarsi dell'anima mediante la teurgia ; ma lo fa con esitazione e con discorso piuttosto riguardoso. Afferma al contrario che questa pratica non offre ad alcuno il ritorno a Dio. Puoi rilevare quindi che egli con espressioni date ora in un senso ora nell'altro si destreggia fra la colpa di una sacrilega curiosità e la professione della filosofia. Talora infatti ammonisce che questa arte si deve evitare come falsa, pericolosa nella pratica e vietata dalle leggi. Talora invece, assentendo ai suoi sostenitori, la considera utile per la catarsi di una parte dell'anima, non di quella intellettuale, con la quale si conosce con certezza la verità degli oggetti intelligibili che non hanno alcuna analogia con i sensibili, ma di quella pneumatica con cui si percepisce la forma degli oggetti sensibili. Egli afferma che mediante alcune cerimonie teurgiche, che chiamano iniziazioni, l'anima diviene perfetta, disposta ad accogliere gli spiriti e gli angeli e a vedere gli dèi 76. Tuttavia confessa che da queste iniziazioni teurgiche non si aggiunge alcuna purificazione all'anima intellettuale che la renda idonea a vedere il suo Dio e ad avere conoscenza degli oggetti che sono veri. Se ne può dedurre di quali dèi parli e quale visione si abbia, mediante i riti teurgici, poiché con essa non si avrebbe visione degli oggetti che sono veri. Afferma inoltre che l'anima razionale o, come preferisce dire, intellettuale può elevarsi nel suo cielo anche se ciò che in lei v'è di pneumatico non è stato purgato con alcuna pratica teurgica; che anzi anche la pneumatica dall'operatore di teurgia è limitatamente purgata, ma non per questo può giungere alla sfera delle cose immortali ed eterne. Egli comunque separa gli angeli dai demoni dimostrando che la sfera dell'aria è dei demoni e quella dell'etere o empireo degli angeli, esorta a valersi dell'amicizia di qualche demone, con la cui forza elevatrice ci si può innalzare un tantino da terra dopo la morte, ma dichiara che altra è la via per giungere alla più alta comunione con gli angeli. Afferma tuttavia piuttosto espressamente che il rapporto con i demoni deve esser evitato, là dove dice che dopo la morte l'anima, per scontare la pena, ha in orrore il culto dei demoni dai quali era raggirata. Non poté inoltre negare che la stessa teurgia, che esalta come conciliatrice degli angeli e degli dèi, agisce nei confronti di alcuni spiriti in modo che anche essi ostacolino la catarsi dell'anima o agevolino le pratiche di coloro che la ostacolano. In proposito riferisce la lamentela di non saprei quale caldeo. Un buon uomo della Caldea, egli dice, lamenta che in un suo grande impegno per purificare l'anima i risultati furono resi vani, perché un uomo competente nelle medesime pratiche, preso dall'invidia, legò con pratiche misteriche gli spiriti supplicati in modo che non concedessero i favori richiesti. Dunque uno legò, l'altro non sciolse. Con questa indicazione venne ad affermare che la teurgia si configura come disciplina del fare tanto il bene quanto il male, sia presso gli dèi come presso gli uomini. Anche gli dèi, secondo lui, sono condizionati e sono indotti a quelle perturbazioni o passioni che Apuleio ritiene comuni ai demoni e agli uomini 77. Apuleio tuttavia divide gli dèi dagli altri per l'altezza della sede nell'etere e in questa differenziazione ricalca l'opinione di Platone 78.

Teurgia che impedisce il favore degli dèi.
10. Comunque l'altro platonico che dicono più dotto, Porfirio, afferma che mediante non saprei quale teurgica disciplina anche gli dèi sono condizionati alle passioni e alle perturbazioni. È stato possibile infatti che con riti misterici siano stati scongiurati e costretti a non conferire la purificazione dell'anima e siano stati spaventati dall'individuo che ordinava il male da non poter essere, mediante la medesima pratica teurgica, sciolti dal timore con l'aiuto dell'altro che chiedeva il bene e lasciati liberi di concedere il beneficio. Soltanto un individuo, che è loro sciaguratissimo schiavo e privo della grazia del vero liberatore, non riflette che queste sono suggestioni di demoni bugiardi. Infatti se queste faccende si trattassero presso dèi buoni, varrebbe certamente in quella sede più un benefico datore di catarsi dell'anima che uno il quale per malevolenza la impedisce. Ovvero se a dèi giusti sembrava immeritevole l'uomo, per cui si trattava la causa, dovevano negare la catarsi per libero giudizio e non perché spaventati da un individuo o perché impediti, come egli dice, dal timore di una divinità più potente. C'è da meravigliarsi che quel caldeo dabbene, il quale desiderava purificare l'anima con misteri teurgici, non trovò un altro dio più bravo. Costui poteva costringere gli dèi atterriti ad agir bene atterrendoli di più o allontanare da loro chi li atterriva affinché liberamente agissero bene; ma questo nel caso che al buon operatore di teurgia mancassero misteri con cui prima purificare dalla soggezione al timore gli dèi stessi che invocava come purificatori dell'anima. Ma che discorso sarebbe questo infatti, che un dio più potente si possa impegnare perché siano da lui atterriti e non si possa perché siano liberati dal timore? Si trova forse un dio che esaudisce l'invidioso e incute timore agli dèi perché non facciano il bene e non si trova un dio che esaudisca l'uomo benevolo e bandisca il timore dagli dèi affinché facciano il bene? O illustre teurgia, o encomiabile catarsi dell'anima, in cui l'invidia spietata influisce di più di quanto ottenga l'onesto far del bene. Piuttosto si deve evitare e detestare l'inganno degli spiriti maligni ed ascoltare la dottrina della salvezza. Infatti che coloro, i quali compiono queste immonde purificazioni con riti sacrileghi, veggano (se è vero che è così), quasi nella condizione di uno spirito purificato, alcune immagini meravigliosamente belle, come narra Porfirio, di angeli o di dèi si spiega con quanto dice l'Apostolo: Che satana si è trasfigurato nelle sembianze di un angelo della luce 79. Sono suoi quei fantasmi, perché egli desidera irretire anime disgraziate con i menzogneri misteri di molti e falsi dèi e allontanarle dal vero culto del vero Dio da cui solo sono mondate e guarite. Si cambia cioè, come è stato detto di Proteo, in tutte le forme 80, perseguitando da nemico, soccorrendo da impostore, facendo del male nell'uno e nell'altro caso.

Porfirio denuncia ad Anebon gli aspetti deteriori...
11. 1. Questo Porfirio fu più saggio quando scrisse all'egiziano Anebon perché, da pari con chi lo interpellava e interrogava, dichiarò sacrileghe le arti teurgiche e le condannò. Nella lettera riprova tutti i demoni perché afferma che per mancanza di conoscenza accolgono il soffio umido e che quindi non sono nell'etere ma nell'aria sublunare o anche nel globo stesso della luna; non osa tuttavia attribuire a tutti i demoni gli inganni, le malvagità e assurdità di cui è giustamente indignato. Secondo il costume degli altri filosofi considera benigni alcuni demoni, sebbene ammetta che tutti in generale manchino di conoscenza. Si meraviglia che non solo gli dèi siano allettati dalle vittime ma che siano anche indotti per costrizione a fare ciò che gli uomini vogliono. Dato che gli dèi sono distinti dai demoni per soggezione o immunità dalla materia, si chiede anche in qual senso si deve intendere che sono dèi il sole, la luna e gli altri oggetti celesti visibili che indubbiamente ritiene corpi; e se sono dèi, in qual senso si afferma che alcuni sono benefici ed altri malefici e in qual senso, sebbene abbiano il corpo, si uniscano a quelli che non lo hanno. Si chiede con perplessità se negli indovini e negli altri operatori di fatti straordinari siano le modificazioni dell'anima ovvero se vengano spiriti dal di fuori a determinare questi effetti. Propende a opinare che provengano dal di fuori perché, usando pietre ed erbe, fanno cadere in trance alcuni individui, aprono porte chiuse o producono in modo fuori del comune effetti di questo genere. Perciò, afferma Porfirio, altri filosofi ritengono che esistano spiriti di una certa categoria, il cui compito è di porsi in contatto con gli uomini. Essi sono impostori per natura, assumono ogni figura e molti aspetti, scimmiottando dèi, demoni e anime dei defunti e sarebbero essi a compiere tutte queste azioni che all'apparenza possono esser buone o cattive. Del resto, per quanto riguarda le azioni che sono buone secondo verità, essi non servono a nulla. Anzi neanche le conoscono ma rendono discordi, calunniano e ostacolano talora i diligenti operatori della virtù. Sono pieni di sfrontatezza e alterigia, godono del lezzo delle vittime, sono allettati dalle adulazioni. Infine, Porfirio non afferma come convinzioni proprie le altre teorie che riguardano questa categoria di spiriti menzogneri e maligni che dal di fuori vengono nell'anima e ingannano i sensi umani nel sonno e nella veglia; ma le propone in forma di opinione infondata o di dubbio al punto da affermare che sono gli altri a pensarla così 81. Fu difficile a un filosofo per quanto grande conoscere e riprovare apertamente la lega diabolica che qualsiasi vecchietta cristiana ammette senza esitazione e detesta in piena libertà. Ma forse egli teme di offendere lo stesso Anebon a cui scrive, poiché era sacerdote illustre di simili misteri, e altri ammiratori di tali riti considerati religiosi e relativi al culto degli dèi.

...e le incoerenze della teurgia.
11. 2. Prosegue tuttavia e nella sua indagine ricorda pratiche che esaminate senza prevenzioni si possono attribuire soltanto a spiriti maligni e impostori. Si chiede infatti perché con l'invocare quelli che sembrano migliori ci si impone ai peggiori affinché eseguano ingiusti ordini umani; per quale motivo non esaudiscono chi li invoca perché assalito dalla passione amorosa, mentre essi non esitano ad indurre chiunque ad amplessi incestuosi; perché dichiarano indispensabili che i propri sacerdoti si astengano dalle carni di animali affinché non siano contaminati dalle esalazioni dei corpi ed essi si deliziano di altre esalazioni e del lezzo delle vittime e mentre si proibisce al celebrante il contatto con un cadavere, spesso essi sono celebrati con i cadaveri; per quale motivo un individuo colpevole rivolge minacce non a un demone o all'anima di un defunto ma al sole stesso, alla luna o ad un altro dei corpi celesti e li spaventa con la menzogna per estorcere da loro la verità. Infatti un tizio minaccia di far cadere il cielo e altre simili imprese umanamente impossibili affinché gli dèi, come fanciulli sciocchi, atterriti da fasulle e ridicole minacce, compiano ciò che è loro comandato. Un certo Cheremone, continua Porfirio, esperto di simili riti sacri o piuttosto sacrileghi, ha scritto che i misteri celebrati con grida nei confronti di Iside e del marito Osiride hanno la massima efficacia per costringere ad eseguire gli ordini. Il tizio che costringe mediante le formule magiche minaccia di cacciarli via e di sterminarli e dice perfino con accento terribile che sparpaglierà le membra di Osiride se trascurano di eseguire i suoi comandi 82. Dunque l'uomo rivolge agli dèi una minaccia così sciocca e brutale e non a uno qualsiasi ma a quelli celesti splendenti di luce stellare, e non senza effetto, ma costringendoli con un mezzo violento e inducendoli con questi spaventi a fare quel che egli vorrà. Porfirio giustamente se ne meraviglia. Anzi l'atteggiamento di chi si meraviglia e ricerca le ragioni di simili fatti dà a capire che si comportano così gli spiriti dei quali in precedenza, riportando l'opinione di altri, ha esposto la caratteristica. Essi non essendo, come egli ha affermato, impostori per natura ma per difetto, scimmiottano gli dèi e le anime dei defunti. Però non scimmiottano, come egli dice, i demoni, perché lo sono. A lui sembra che con erbe, pietre e animali, con determinati suoni della voce e delineazioni di figure ed anche con l'attenzione ad alcuni movimenti degli astri nella rivoluzione del cielo si ottengano in terra dagli uomini poteri adatti a raggiungere i vari effetti. Ma tutto questo è proprio degli stessi demoni che ingannano le anime ad essi soggette e che dagli errori degli uomini offrono divertimenti a se stessi. Dunque Porfirio, essendo in stato di dubbio e di ricerca, espone queste pratiche perché siano confutate e condannate e si mostri così che non appartengono a quegli spiriti che ci aiutano nel conseguire la felicità ma a demoni impostori; oppure, per pensare più benevolmente del filosofo, non volle con l'altera autorevolezza dell'insegnante offendere l'egiziano che era dedito a tali errori e si illudeva di conoscere una grande dottrina e non volle turbarlo apertamente con una diatriba ma, quasi con l'umiltà di chi ricerca e desidera di sapere, stimolarlo a rifletterci sopra e mostragli così che tali errori si devono disprezzare ed anche evitare. Poi verso la fine della lettera chiede di essere informato da lui quale, secondo la filosofia egiziana, sia la via alla felicità 83. Del resto per quanto riguarda gli individui che avessero un rapporto con gli dèi al punto da infastidire l'intelligenza divina per ritrovare uno schiavo fuggitivo o per comprare un terreno, o per le nozze, il commercio e simili, egli afferma che, secondo lui, invano si dedicano alla filosofia 84. Per quanto poi riguarda le divinità, con cui sarebbero in rapporto, anche se nelle altre cose predicessero il vero, tuttavia, poiché non dichiarano nulla di sicuro e di sufficientemente idoneo sulla felicità, non sono dèi né demoni benigni ma o quello che è detto l'impostore o senz'altro una mistificazione umana.

Apologetica della vera religione (12-32)

Immutabilmente Dio interviene con segni nel mondo...
12. Tuttavia con queste pratiche si ottengono effetti così grandi e di tale portata da superare ogni limite dell'umana possibilità. Gli eventi straordinari, come predizione o prodigi, sembrano dovuti a un intervento divino ma non sono relativi al culto dell'unico Dio, dato che unirsi a lui con semplicità, anche per confessione e ripetute dichiarazioni dei platonici, è l'unico bene che rende felici. Rimane dunque che si debbano spiegare come scherni e ingannevoli ostacoli dei demoni da evitarsi con la vera pietà. Si deve credere inoltre che i vari miracoli compiuti o mediante gli angeli o con altra forma dell'intervento divino in modo che inculchino il culto e la religione dell'unico Dio, in cui soltanto è la felicità, sono operati veramente da loro o mediante loro che ci amano secondo verità e pietà, con l'intervento di Dio che opera in loro. In proposito non si devono ascoltare coloro i quali dicono che Dio invisibile non può operare visibili miracoli, poiché, anche secondo loro, ha creato il mondo che certamente, non lo possono negare, è visibile. Quindi ogni evento straordinario in questo mondo è evidentemente di minore entità di tutto questo mondo, cioè del cielo e della terra e di tutte le cose in essi esistenti che certamente Dio ha creato. E come egli che li ha creati, così anche il modo con cui li ha creati è occulto e incomprensibile per l'uomo. Dunque sebbene il miracolo degli esseri visibili si è svilito per l'assiduità nel vederlo, tuttavia, se lo esaminiamo saggiamente, è più grande di quelli più inusitati e rari. L'uomo infatti è un miracolo più grande di qualsiasi miracolo che si compie mediante l'uomo. Pertanto Dio che ha creato visibili il cielo e la terra non sdegna di operare miracoli visibili nel cielo e nella terra. Con essi sollecita l'anima ancora dedita alle cose visibili a onorare lui invisibile. Dove e quando li operi è decisione immutevole che rimane in lui, perché nel suo ordinamento sono già in atto tutti i tempi futuri. Infatti nel muovere le cose nel tempo egli non si muove nel tempo e non conosce in modo diverso i fatti che devono avvenire da quelli avvenuti e non esaudisce chi lo invoca in modo diverso da come vede chi lo invocherà. Quando esaudiscono i suoi angeli, è lui che esaudisce in essi come in suo tempio non costruito dall'uomo e allo stesso modo nei suoi uomini santi. Nel tempo si compiono i suoi decreti che ha contemplato nella sua legge eterna 85.

...e nei fatti umani.
13. Né deve turbare il fatto che, sebbene sia invisibile, è apparso visibilmente, come si narra, ai patriarchi 86. Come il suono infatti con cui si ode un pensiero formulato nel silenzio dell'intelligenza non è il pensiero stesso, così la figura con cui si manifestò Dio costituito nel suo essere invisibile non era ciò che è lui. Tuttavia egli appariva nella figura visibile come il pensiero stesso si ode nel suono della voce. I patriarchi non ignoravano di vedere il Dio invisibile nella figura visibile che non era lui. Mosè parlava con lui che parlava e tuttavia gli diceva: Se ho trovato grazia davanti a te, mostrami te stesso affinché ti conosca col pensiero 87. Era necessario dunque che si desse la legge di Dio mediante ordinanze degli angeli in forma terrificante 88, non a un solo uomo o a pochi saggi ma a tutta una nazione e a un popolo numeroso. Quindi grandi prodigi furono operati davanti al popolo su un monte, quando per mezzo di uno solo veniva concessa la legge 89, mentre la moltitudine vedeva i fatti temibili e terribili che avvenivano. Infatti il popolo d'Israele non credette allo stesso modo con cui gli Spartani credettero al loro Licurgo che avesse ricevuto da Giove o Apollo le leggi da lui istituite 90. Mentre si dava al popolo una legge con cui si comandava di adorare un solo Dio, davanti al popolo stesso con straordinari segni e movimenti delle cose, nei limiti in cui la divina provvidenza giudicava indispensabile, si rendeva manifesto che per dare quella legge la creatura era sottomessa al Creatore.

...per educare alla fede nella provvidenza...
14. Come la retta educazione dell'individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all'apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili 91. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l'intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell'anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall'essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell'essere 92. Gesù lo dichiara con le parole: Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un'erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede? 93. Giustamente quindi l'anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall'unico Dio i beni infimi della terra che desidera nel tempo, perché indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.

...e all'ascolto della parola di Dio nella rivelazione.
15. Pertanto è piaciuto alla divina provvidenza di ordinare il corso dei tempi così che, come ho detto e come si legge negli Atti degli Apostoli 94, si emanasse mediante le ordinanze degli angeli una legge sul culto dell'unico vero Dio. In esse la persona di Dio stesso poteva manifestarsi visibilmente, non certo nella sua esseità che rimane sempre invisibile a una vista condizionata alla materia, ma con determinati segni mediante la creatura soggetta al Creatore. Allo stesso modo egli, sillaba su sillaba, cioè attraverso piccole lunghezze di tempo poste in una successione, parlava con i suoni della lingua umana, sebbene egli nel suo essere, cioè in una dimensione non fisica ma spirituale, non sensibile ma intelligibile, non posta nel tempo ma, per così dire, nell'eternità, non è soggetto all'inizio e alla fine del parlare 95. Gli spiriti che eseguono e annunziano i suoi comandi ascoltano vicino a lui questa sua parola in una dimensione più pura, non con l'udito del corpo ma della mente, perché godono eternamente beati della sua verità, che non è nel divenire, e senza indugio e difficoltà eseguono ciò che in modo ineffabile ascoltano di dover eseguire e calare nella realtà sensibile e visibile. Questa legge è stata data in tempi diversi perché prima doveva contenere, come è stato detto, le promesse terrene, sebbene con esse venissero significate le eterne che molti celebravano con riti visibili e pochi comprendevano 96. Tuttavia in esse è comandato con una apertissima affermazione di tutte le parole e di tutti i fatti il culto di un solo Dio, non di uno fra una folla di dèi, ma di colui che ha creato il cielo e la terra, ogni anima e ogni spirito che sono altro da lui 97. Egli li ha creati ed essi sono stati creati e hanno bisogno di lui che li ha creati per esistere e raggiungere il fine.

Ministero angelico come manifestazione di Dio nel mondo.
16. 1. A quali angeli dunque riteniamo si debba credere per quanto riguarda la felicità eterna? A quelli che pretendono di essere adorati con riti religiosi esigendo che dai mortali siano loro resi misteri e sacrifici; ovvero a quelli i quali affermano che l'adorazione è dovuta a un unico Dio, creatore del cielo e della terra, e comandano che gli sia resa con genuina pietà, perché della sua visione anche essi sono beati e promettono che anche noi lo saremo? Infatti la visione di Dio è visione di una bellezza così grande e degna di un amore così grande che Plotino non esita a considerare veramente disgraziato l'individuo che senza di essa fosse abbondantemente fornito di qualsiasi altro bene 98. Dunque alcuni angeli stimolano con segni straordinari ad adorare l'unico Dio, altri invece ad adorare col culto di latria se stessi, ma con la clausola che i primi proibiscono di adorare questi ultimi e questi non osano proibire di adorare un unico Dio. Rispondano i platonici a chi si deve credere, lo rispondano i vari filosofi, lo rispondano i teurgi o piuttosto periurgi, perché tutte quelle pratiche sono più meritevoli di questo nome. Rispondano infine gli uomini se in qualche modo vive in loro un intimo naturale sentimento di essere stati creati ragionevoli. Rispondano, dico, se si deve sacrificare a dèi e angeli che ordinano di sacrificare a se stessi ovvero a quell'unico al quale ordinano di sacrificare quelli che lo vietano per sé e per gli altri. Se né gli uni né gli altri facessero miracoli ma si limitassero a comandare, gli uni di sacrificare a se stessi, gli altri lo vietassero ma lo ordinassero soltanto per l'unico Dio, la schietta pietà ne avrebbe abbastanza per distinguere che cosa provenga dal loro orgoglio e che cosa dalla vera religione. Dico anche di più. Se soltanto quelli che esigono sacrifici per se stessi stimolassero la coscienza dell'uomo con fatti straordinari, mentre quelli che lo proibiscono e comandano di sacrificare soltanto a un unico Dio non si degnassero di operare visibili miracoli, si dovrebbe, fidandosi non del senso ma del pensiero, preferire la loro autorità. Dio ha agito così per garantire la manifestazione della propria verità. Quindi mediante questi immortali messaggeri, che non hanno esaltato il proprio orgoglio ma la sua maestà, egli ha compiuto miracoli più grandi, più certi, più evidenti. Questo affinché gli angeli che esigono sacrifici per sé non inducano con maggior facilità i credenti deboli a una falsa religione nel mostrare ai loro sensi alcuni fatti strepitosi. Dunque chi si compiace di essere tanto sciocco da non scegliere di accettare una dottrina vera quando scopre di dover ammirare eventi più straordinari?

...di cui il politeismo è privo.
16. 2. Ora parliamo dei miracoli degli dèi pagani che la storia ricorda. Non parlo quindi di quei fatti strepitosi che avvengono ogni tanto per occulti agenti del mondo stesso ma costituiti sotto la divina provvidenza e diretti al fine, come ad esempio, inconsueti parti degli animali e manifestazioni insolite nel cielo e sulla terra che provocano soltanto terrore o anche sciagure. Si fa credere dalla bugiarda astuzia dei demoni che possono essere provocate o mitigate mediante i loro misteri. Parlo di quei prodigi che abbastanza evidentemente, come si può vedere, sono operati per effetto del loro potere: si narra che il simulacro degli dèi penati, che Enea fuggendo trasportò da Troia, è passato da un luogo a un altro 99; Tarquinio tagliò la cote col rasoio 100; il serpente di Epidauro accompagnò Esculapio che navigava per Roma 101; una donnetta, a testimonianza del proprio pudore, fece muovere e avanzare, legandosela alla cintura, la nave con cui era trasportata la statua di Cibele rimasta immobile nonostante gli sforzi di uomini e di buoi 102; una vergine vestale, dato che si trattava la causa della sua prostituzione, pose fine alla discussione attingendo dal Tevere con un crivello acqua senza spargerla 103. Dunque questi miracoli e simili non si possono affatto paragonare per significato e grandezza a quelli che leggiamo avvenuti nel popolo di Dio. A più forte ragione non reggono il confronto quelli che dalle leggi dei popoli che onorarono questi dèi sono stati giudicati meritevoli di proscrizione con pena, cioè i miracoli magici e teurgici. Di essi alcuni ingannano solo nell'apparenza i sensi umani con una burlesca mistificazione, qual è far scendere la luna fino a che, come dice Lucano, da vicino non si spanda sull'erba che si stende al di sotto 104. E sebbene alcuni sembrino eguagliarsi nell'azione ad alcuni fatti dei credenti, il fine stesso, per cui si differenziano, mostra che i nostri prodigi eccellono senza possibilità di confronto. Tanto meno i molti dèi si devono adorare con quei sacrifici quanto più li esigono. Con i nostri si onora l'unico Dio il quale dichiara mediante l'attestazione delle sue Scritture 105 e in seguito con la rimozione dei medesimi sacrifici di non averne alcun bisogno. Se dunque vi sono angeli che esigono un sacrificio per sé, si devono a loro preferire quelli che li esigono non per sé ma per il Dio creatore di tutti al quale sono sottomessi. Proprio da questo dimostrano con qual sincero amore ci amano, quando mediante il sacrificio non intendono renderci sottomessi a sé, ma a lui della cui visione essi stessi sono beati, e farci giungere fino a lui dal quale non si sono allontanati. Ma poniamo che vi siano angeli i quali vogliano che si rendano sacrifici non a un unico Dio ma a più, non a sé ma a quegli dèi di cui sono angeli. Anche in questo caso si devono preferire quelli che sono angeli dell'unico Dio degli dèi, perché comandano di sacrificare a lui solo e vietano di sacrificare a qualunque altro, mentre i primi non impediscono di offrire sacrifici a colui al quale solamente costoro comandano di sacrificare. Ma supponiamo, come sta ad indicare soprattutto la loro superba volontà di mentire, che non siano angeli buoni e di dèi buoni ma demoni malvagi, poiché esigono che si onorino con sacrifici non l'unico solo sommo Dio ma se stessi. Quale maggiore difesa contro di loro si deve scegliere, in tal caso, di quella dell'unico Dio al quale sono sottomessi gli angeli buoni che comandano di offrire il servizio sacrificale non a sé ma a lui di cui noi stessi dobbiamo essere sacrificio?

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