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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri VII - XI (2)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 19:37
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22/12/2012 19:28

LIBRO XI

SOMMARIO

1. Questa è la parte dell'opera con cui si comincia a trattare l'inizio e la fine delle due città, cioè la terrena e la celeste.

2. Si deve conoscere Dio ma non si giunge a conoscerlo se non tramite il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù.

3. L'autorità della Scrittura canonica autenticata dallo Spirito di Dio.

4. La creazione del mondo non è fuori del tempo ma non è stata eseguita da un ulteriore ordinamento di Dio; come se dopo abbia voluto quel che prima non voleva.

5. Non si deve ritenere l'ipotesi di una infinita successione del tempo prima del mondo come d'una infinita estensione dello spazio dopo il mondo perché, come non v'è tempo prima di lui, così non v'è spazio oltre lui.

6. Uno solo è il principio della creazione del mondo e del tempo e non ve n'è uno che preceda l'altro.

7. Significato dei primi giorni della creazione, perché è scritto che ancor prima che apparisse il sole c'erano mattino e sera.

8. Qual è il carattere e il modo del riposo di Dio con cui dopo le opere di sei giorni si riposò nel settimo?

9. Che cosa si deve intendere della creazione degli angeli secondo la Bibbia?

10. Non soggetta allo spazio e al tempo è la Trinità di Dio Padre e di Dio Figlio e di Dio Spirito Santo, un solo Dio, in cui non si distinguono attributo ed essenza.

11. Si deve ritenere che anche gli spiriti, i quali non perseverarono nella verità, furono partecipi della felicità che gli angeli santi ebbero sempre dall'inizio del loro esistere?

12. Confronto fra la felicità dei giusti che ancora non hanno raggiunto il premio della divina promessa e quella dei progenitori nel paradiso terrestre prima del peccato.

13. C'è il problema se tutti gli angeli furono creati nella medesima felicità in modo che i ribelli non han potuto conoscere che sarebbero decaduti e coloro che furono fedeli ottennero la prescienza della propria perseveranza dopo la caduta dei ribelli.

14. Il senso dell'espressione relativa al diavolo che non ha persistito nella verità perché in lui non c'è la verità.

15. Il senso della frase: Dall'inizio il diavolo pecca.

16. Le condizioni e le differenze delle creature che in un senso giudica la soggezione al bisogno, in un altro un criterio razionale.

17. Il pervertimento morale non è una qualità della natura ma contro natura perché impulso ad esso nel peccare non è il Creatore ma la volontà.

18. L'armonia dell'universo per ordinamento di Dio diviene più luminosa dall'opposizione dei contrari.

19. Come si deve interpretare la frase della Scrittura: Dio distinse fra la luce e le tenebre?

20. E la frase che si ha dopo la distinzione di luce e tenebre: E Dio vide la luce perché è un bene?

21. Nell'eterna e immutabile sua scienza e volontà Dio decretò nell'eternità che fossero fatte tutte le cose come sono state fatte.

22. Vi sono alcuni ai quali non piacciono, nel tutto delle cose prodotte bene dal Creatore buono, alcune di esse e ritengono che qualche essere è cattivo.

23. L'errore di cui si accusa il pensiero di Origene.

24. La Trinità divina ha diffuso in tutte le sue opere orme della sua essenzialità.

25. L'insegnamento della filosofia in tre parti.

26. L'immagine della somma Trinità in una certa forma si trova anche nella natura dell'uomo sebbene non ancora in possesso della felicità eterna.

27. L'essere, il sapere e il loro amore.

28. Si chiede se è oggetto d'amore l'amore stesso con cui amiamo l'essere e il sapere per avvicinarci di più all'immagine della divina Trinità.

29. Con la loro scienza gli angeli santi conoscono la Trinità nella sua stessa deità e contemplano la causa delle creature nell'arte di chi crea prima ancora che nelle creazioni dell'artefice.

30. Si ha la perfezione del numero sei perché è il primo che risulta dalle sue componenti.

31. Col giorno settimo si segnalano la pienezza e il riposo.

32. L'opinione di coloro i quali ritengono la creazione degli angeli anteriore a quella del mondo.

33. Le due categorie assai diverse di angeli non in senso improprio sono state designate con i termini di luce e tenebre.

34. Si esamina l'affermazione di coloro i quali pensano che nella creazione del firmamento con il termine di acque separate sono stati indicati gli angeli e di altri i quali ritengono che le acque non sono state create.


Libro undicesimo
ORIGINE DEL MONDO NEL TEMPO E CREAZIONE DEGLI ANGELI



La Città di Dio nella Scrittura [1-3]


L'argomento della seconda parte.
1. Considero città di Dio quella di cui non è documento un libro che riporta eventuali teorie del pensiero umano, ma un'opera scritta per ispirazione della sovrana provvidenza. È un'opera che, segnalandosi con la divina autorità fra tutte le produzioni letterarie di tutti i popoli, ha assoggettato a sé tutte le opere degli ingegni umani. In questo libro è stato scritto: Di te sono narrate imprese gloriose o città di Dio 1; e in un altro Salmo si legge: Grande è il Signore e degno di lode nella città del nostro Dio, nel suo monte santo, perché estende la gioia a tutta la terra 2; e poco dopo nel medesimo Salmo: Come abbiamo udito così abbiamo anche veduto nella città del Signore degli uomini valorosi, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per l'eternità 3; e in un altro Salmo: La corrente del fiume rende fertile la città di Dio, l'Altissimo ha reso santa la sua tenda, Dio è in essa, non crollerà 4. Abbiamo appreso da queste e simili testimonianze che esiste una città di Dio. Sarebbe troppo lungo citarle tutte. E abbiamo desiderato esserne cittadini con quell'amore che ci ha ispirato il suo fondatore. A lui, fondatore della santa città, i cittadini della città terrena antepongono i propri dèi. Non sanno che egli è il Dio degli dèi 5, non degli dèi falsi, cioè ribelli e superbi che, privati della sua luce immutevole e universale e ridotti pertanto a uno stato di degenere autorità, bramano di conseguire in qualche modo un proprio potere e chiedono onori divini a coloro che hanno sottomesso con l'inganno. Egli invece è il Dio degli dèi fedeli e sottomessi, che godono di assoggettare se stessi all'Uno anziché molti a sé e di adorare Dio anziché essere adorati in luogo di Dio. Ma agli avversari della santa città ho già risposto con i primi dieci libri, nei limiti delle mie capacità e con l'aiuto del Signore e Re nostro. Ed ora so ciò che si aspetta da me. Non immemore del mio debito, sempre fidente nell'aiuto dello stesso Signore e Re nostro, comincerò a trattare dell'origine, svolgimento e rispettivi fini delle due città, cioè della terrena e della celeste che frattanto, come abbiamo detto, in questo scorrere dei tempi sono in qualche modo confuse e mischiate fra di loro. Dirò prima di tutto in qual modo si ebbero le origini delle due città nella diversità degli angeli.

La parola di Dio...
2. È impresa grande e molto rara trascendere con atto di puro pensiero tutte le creature corporee ed incorporee, considerate e riconosciute come soggette al divenire e giungere fino alla non diveniente esseità di Dio e comprendere in lui che soltanto egli ha creato ogni essere che non è ciò che egli è. Dio non parla con l'uomo mediante un oggetto sensibile, perché non stimola il senso dell'udito causando vibrazioni dell'aria fra chi parla e chi ascolta. Non parla neanche mediante un oggetto formato interiormente che si riproduce dalle immagini dei sensibili, come nei sogni o in altro stato simile. Anche in questo caso sarebbe come se parlasse all'udito perché parlerebbe mediante e con l'interposizione di uno spazio sensibile, dato che le immagini sono molto simili agli oggetti sensibili. Egli parla mediante la stessa verità, se si è capaci di udire con la mente e non col senso. Si rivolge in tal modo a quella parte dell'uomo che nell'uomo è più perfetta delle altre parti di cui è composto e di cui solo lo stesso Dio è più perfetto. Molto ragionevolmente si pensa o, se questo non è di competenza, almeno si crede che l'uomo è fatto ad immagine di Dio 6. Dunque a Dio, che gli è superiore, è più vicino con quella parte di sé con cui è superiore alle sue parti inferiori che ha in comune anche con le bestie. Ma la mente, in cui risiedono ragione e intelligenza, è incapace, a causa di inveterate imperfezioni che la rendono cieca, non solo ad unirsi col godimento, ma anche a sostenere la luce ideale fino a che ristabilendosi gradualmente in salute, non divenga capace di così grande felicità. Doveva quindi per prima cosa essere istruita alla purezza del vedere mediante la fede. E affinché con essa si avviasse più fiduciosa verso la verità, la Verità stessa, Dio Figlio di Dio, assumendo l'uomo senza cessare di essere Dio, istituì e fondò la fede. Si dava così all'uomo, per giungere al Dio dell'uomo, un cammino mediante l'uomo Dio. Egli è appunto il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 7. È mediatore perché è uomo e perciò anche via 8. Poiché, se fra chi tende e l'oggetto cui si tende, vi è come mezzo una via, c'è la speranza di arrivare; se manca invece o non si conosce per dove si deve andare, non giova sapere dove si deve andare. La sola via veramente difesa contro tutti gli errori è che un medesimo individuo sia Dio e uomo: dove si va, Dio; per dove si va, uomo.

... e la sacra Scrittura.
3. Egli dapprima ha parlato, nella misura che ha giudicato sufficiente, mediante i Profeti, poi personalmente, infine mediante gli Apostoli. Avendo insegnato ha istituito anche la Scrittura che si dice canonica, di altissima autorità. Ad essa noi prestiamo fede sulle verità che non si devono ignorare e che non siamo in grado di raggiungere da noi stessi. Con la nostra diretta esperienza si possono conoscere oggetti che non sono alieni dai nostri sensi, sia interni che esterni. Pertanto sono considerati presenti perché intendiamo che sono alla portata dei sensi, come alla portata degli occhi quelli che sono in presenza degli occhi. Ma poiché per nostra diretta testimonianza non possiamo conoscere oggetti alieni dai sensi, per conoscerli richiediamo altri testimoni e crediamo a loro perché non crediamo che gli oggetti sono o sono stati lontani dai loro sensi. Come dunque circa gli oggetti visibili, che non abbiamo visto, crediamo a coloro che li hanno visti e allo stesso modo circa gli altri che sono di competenza dell'uno o dell'altro senso, così è degli oggetti che si sentono con l'atto del pensiero. Anche esso ragionevolmente si considera senso e da esso appunto deriva il termine sententia, cioè pensiero. Circa gli oggetti invisibili dunque, che sono alieni dal nostro senso interiore, dobbiamo credere a coloro che li hanno appresi in una sequenza nell'ideale luce incorporea o ve li intuiscono nella loro immobilità.

L'atto creativo di Dio fuori del tempo [4-8]

Dio ha creato il mondo...
4. 1. II mondo è il più grande degli esseri visibili, Dio il più grande degli esseri invisibili. Noi percepiamo l'esistenza del mondo, l'esistenza di Dio la crediamo. E crediamo che Dio abbia creato il mondo perché nessuno ne può dare la certezza che ne dà Dio stesso. Dove abbiamo udito la sua voce? In nessun luogo frattanto così bene come nelle Scritture sante, in cui ha detto un suo Profeta: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 9. Questo Profeta non era presente quando Dio creò il cielo e la terra 10, ma v'era la sapienza di Dio, mediante la quale furono fatte tutte le cose. Essa si svela nelle anime sante, forma gli amici di Dio e i Profeti 11, fa conoscere nel silenzio le opere di lui. Parlano loro anche gli angeli di Dio che vedono sempre la faccia del Padre 12 e annunziano il suo volere a chi è dovuto. Uno di essi era il Profeta che ha detto e scritto: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ed egli è teste tanto idoneo a farci credere in Dio appunto perché mediante l'ispirazione divina, con cui conobbe queste verità rivelategli, ha previsto anche tanto tempo prima che si sarebbe avuta la nostra fede.

... e l'anima ponendoli nel tempo.
4. 2. Ma perché Dio eterno ha voluto a un certo punto creare il cielo e la terra che prima non aveva creato? Coloro che pensano così, se intendono che il mondo è eterno senza alcun inizio e che quindi non è stato creato da Dio, sono molto lontani dalla verità e sragionano a causa della funesta malattia della irreligiosità. A parte le parole della Scrittura, il mondo stesso con l'ordinato divenire e movimento e con la grande bellezza di tutte le cose visibili in certo senso afferma tacitamente che è stato creato e che poteva esser creato soltanto da un Dio di grandezza e bellezza inesprimibile e invisibile. Altri invece sostengono che il mondo è stato creato da Dio, ma che non ha avuto l'inizio del tempo ma della sua esistenza. Direbbero con un concetto appena comprensibile che è stato creato nell'eternità. Costoro, è vero, esprimono una teoria con cui ritengono di difendere Dio da un atto di fatale sconsideratezza. Non si dovrebbe credere, cioè, che gli sia venuta all'improvviso in mente l'idea, che prima non aveva, di fare il mondo e gli si sia presentata incidentalmente la decisione mai avuta, giacché è del tutto immutabile. Ma non vedo come questo loro modo di impostare il problema possa avere un fondamento per le altre cose e soprattutto per l'anima. Se sosterranno infatti che essa è coeterna a Dio, non potranno spiegare in nessun modo come le sia capitata una nuova infelicità che non si ebbe dall'eternità. Se ribatteranno che dall'eternità ha alternato infelicità e felicità, devono per forza affermare anche che l'alternerà in eterno. Ne seguirebbe l'assurdo che anche quando si considera felice, proprio per questo non sia felice se prevede che in seguito si avranno la sua infelicità e depravazione. Se non lo prevede e non pensa di poter divenire depravata e infelice ma eternamente felice, sarebbe felice in base a un falso convincimento. E non si può dire nulla di più sciocco. Se poi ritengono che dall'eternità attraverso l'infinita successione dei tempi, ha alternato la infelicità spirituale alla felicità, ma per il tempo che rimane, ormai liberata, non tornerà più alla infelicità, si deve obiettare loro che mai è stata veramente felice, ma che in seguito comincia ad esserlo con una nuova e non passeggera felicità. Dovranno ammettere che le avviene qualche cosa di inusitato e veramente sublime che mai le era avvenuto in passato dall'eternità. E se negheranno che Dio comprendeva in un decreto eterno la ragione ideale di questo fatto nuovo, negheranno insieme che egli è l'autore della felicità dell'anima. Ed è un'affermazione di esecrabile irreligiosità. Se poi diranno che anche egli con un nuovo decreto ha disposto che per il tempo restante l'anima sia felice in eterno, non saranno in grado di ritenerlo immune da quel divenire che anche essi non ammettono. Se infine sono d'accordo che l'anima creata nel tempo ma immune da morte per qualsiasi tempo futuro ha, come il numero, un inizio ma non una fine e che sebbene una volta soggetta alla infelicità, qualora ne sarà liberata, non sarà più infelice, non avranno dubbi che ciò si può verificare senza che l'ordinamento divino si ponga nel divenire. Credano dunque che il mondo ha potuto esser creato nel tempo e che non per questo tuttavia Dio, nel crearlo, ha mutato l'eterno ordinamento del suo volere.

Dio creatore fuori dello spazio e del tempo.
5. Si deve inoltre esaminare che cosa rispondano sullo spazio del mondo costoro i quali sono d'accordo che Dio è il creatore del mondo, ma poi vengono a chiedere a noi che cosa rispondiamo sul tempo del mondo. Si chiede perché il mondo è stato fatto in questo tempo e non prima; per lo stesso motivo si può chiedere perché è stato fatto nello spazio in cui è e non in un altro. Essi pensano a infinite estensioni di tempo prima del mondo, perché ritengono che Dio non ha potuto interrompere la propria azione. Pensino allora anche a infinite estensioni di spazio fuori del mondo perché, se si afferma che in esse l'Onnipotente non poté rimanere inattivo, ne consegue che sono costretti a immaginare con Epicuro infiniti mondi. La differenza sta soltanto in questo, che, secondo lui, i mondi si generano e dissolvono mediante casuali movimenti di atomi; costoro diranno invece che sono stati prodotti dall'azione di Dio. L'ipotesi vale se essi affermeranno che Dio non rimane inattivo attraverso la sconfinata immensità degli spazi aperti all'infinito e che questi non possono essere dissolti da causa alcuna, come ammettono anche per il mondo attuale. Parlo così perché tratto con pensatori i quali ritengono con noi che Dio è immateriale ed è creatore di tutti gli esseri che non sono ciò che egli è. Per quanto riguarda gli altri è indecoroso ammetterli a questo discorso sulla religione, soprattutto perché anche secondo coloro i quali affermano che si deve il culto dei sacrifici a molti dèi, i filosofi spiritualisti hanno superato gli altri per insigne autorevolezza, non per altro motivo che, per quanto ancora da lontano, sono comunque più vicini degli altri alla verità. Essi considerano l'essere di Dio come non circoscritto, non determinato, non esteso nello spazio, ma sono d'accordo, come è giusto che Dio si concepisca, che è tutto in ogni spazio con presenza immateriale. Non potranno sostenere dunque che è assente dagli infiniti spazi fuori del mondo e che è limitato al solo spazio in cui è il mondo, che è molto piccolo in confronto di quell'infinità. Non penso che arriveranno a discorsi così insensati. Essi affermano che un solo mondo finito, per quanto di enorme estensione e limitato nel suo spazio, è stato prodotto dall'azione di Dio. Dunque la risposta che danno degli infiniti spazi fuori del mondo sul motivo per cui Dio in essi non agisce, la diano anche degli infiniti tempi prima del mondo sul motivo per cui Dio in essi si astenne dall'agire. Non è logico pensare che Dio, più a caso che secondo ragione divina, abbia stabilito il mondo non in un altro spazio ma in questo in cui è. Esso ovviamente, poiché nessuno era il migliore, poteva essere scelto egualmente fra infiniti spazi aperti all'infinito. Rimane che la ragione umana non può assolutamente comprendere la ragione divina per cui questo è avvenuto. Così non è logico pensare che a Dio si sia presentata un'occasione per cui ha creato il mondo in questo anziché in un tempo anteriore, giacché i tempi egualmente anteriori erano passati nella successione infinita e non v'era differenza perché si preferisse un tempo anziché un altro. Se poi dicono che sono insensati i pensieri umani con cui si immaginano spazi infiniti, giacché non esiste spazio fuori del mondo, si risponde loro che per la stessa ragione insensatamente gli uomini pensano ai tempi passati di un'inattività di Dio, giacché non esiste tempo prima del mondo.

Il mondo ha inizio col tempo.
6. È logico distinguere eternità e tempo, poiché non si ha il tempo senza un qualche divenire del movimento, nell'eternità al contrario non si ha divenire. Chi non capisce dunque che non si avrebbe il tempo se non fosse prodotta la creatura per porre la realtà nel divenire di un determinato movimento? Si ha infatti il tempo di tale movimento e divenire quando due momenti diversi, che non possono aversi insieme, si pongono in una successione con intervalli più brevi o più lunghi. Dio, nella cui eternità non si ha alcun divenire, è creatore e ordinatore del tempo. Non capisco perciò come si possa affermare che ha creato il mondo dopo successioni di tempo, se non si afferma anche che prima del mondo esisteva già qualche creatura perché dai suoi movimenti si avesse il succedersi dei tempi. La sacra Scrittura, che è sommamente verace, dice che in principio Dio ha creato il cielo e la terra 13 per fare intendere che prima non ha creato nulla. Sarebbe stato detto che in principio aveva creato un determinato essere se lo avesse creato prima di tutti gli altri che ha creato. Dunque senza dubbio il mondo non è stato creato nel tempo ma col tempo. Infatti ciò che si produce nel tempo si produce dopo e prima di un tempo determinato, e cioè dopo il passato e prima del futuro, ma non poteva essere un passato, perché non v'era una creatura dai cui movimenti nel divenire fosse attuato. Il mondo poi è stato creato col tempo, se al suo inizio è stato prodotto il divenire del movimento. Sembra che in tal senso sia ordinata la serie dei primi sei o sette giorni, in cui sono considerate mattina e sera, fino a che tutte le cose, che Dio ha fatto in quei giorni, siano compiute al sesto e nel settimo sia proposta ad esempio la cessazione dall'attività nell'essere grandemente ineffabile che è Dio. È molto difficile e forse anche impossibile pensare e a più forte ragione esprimere che cosa significhino quei giorni.

Tempo e creazione.
7. Osserviamo che i giorni da noi conosciuti soltanto col tramonto del sole hanno la sera e soltanto con la levata del sole hanno il mattino. Invece i primi tre di quei sei giorni si sono avuti senza il sole, giacché la sua creazione è riportata al quarto giorno. Si dice inoltre che la luce fu prodotta dalla parola di Dio e che Dio la separò dalle tenebre e chiamò giorno la luce e notte le tenebre 14. Ma è inaccessibile alla nostra esperienza sensibile ed anche al nostro pensiero conoscere che qualità di luce era e con quale movimento alterno faceva sera e mattina. Eppure si deve credere senza alcuna esitazione. O è una luce materiale in una superiore sfera del mondo inaccessibile alla nostra facoltà visiva e da essa in seguito avvampò il sole; ovvero col nome di luce fu indicata la santa città nei santi angeli e spiriti beati. Di essa dice l'Apostolo: La Gerusalemme che è nell'alto, la nostra madre eterna nei cieli 15; in un altro luogo ha detto: Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno; non lo siamo della notte e delle tenebre 16. Rimane comunque il problema se siamo in grado di avere, nei dovuti limiti, un'idea conveniente della sera e del mattino di quel giorno. Infatti la conoscenza della creatura in relazione al Creatore si fa in certo senso sera ma diviene aurora e mattino quando anche essa si volge alla lode e amore del Creatore e non si volge alla notte se il Creatore non è abbandonato per amore della creatura. In definitiva la sacra Scrittura nell'elencare la serie di quei giorni, in nessuno di essi ha interposto il concetto di notte. Non ha mai detto: "Venne la notte", ma: Venne la sera e venne il mattino: si compì un giorno 17. Così per il secondo giorno e per gli altri. La conoscenza della creatura appunto è in sé, più mancante di luce, per così dire, di come se ne ha conoscenza nella sapienza di Dio, che è l'idea in cui è stata fatta. Pertanto con significato più attinente è chiamata sera anziché notte e quando si riconduce, come ho detto, alla lode e amore di Dio, risale verso il mattino. E quando la creatura lo fa nella conoscenza di se stessa, si ha il primo giorno; quando nella conoscenza del firmamento, la cui parte posta fra le acque inferiori e superiori è stata chiamata cielo, il secondo giorno; quando nella conoscenza della terra e del mare e di tutte le piante che si riproducono mediante le radici della terra, si ha il terzo giorno; quando nella conoscenza dei corpi celesti luminosi, più grande e più piccolo, e di tutte le stelle, il quarto giorno; quando nella conoscenza degli animali sorti dalle acque che nuotano e di quelli che volano, il quinto giorno; quando nella conoscenza degli animali terrestri e dell'uomo stesso, il sesto giorno.

Il riposo di Dio.
8. Il riposo di Dio da tutte le sue opere e la consacrazione del settimo giorno non vanno intesi fanciullescamente, come se Dio si sia affaticato nell'agire, perché con la parola intelligibile ed eterna non suonante nel tempo egli parlò e le cose furono create 18. Ma il riposo di Dio significa il riposo di coloro che riposano in Dio, come la gioia della casa significa la gioia di coloro che gioiscono nella casa, anche se non la casa stessa ma qualche altra realtà li fa gioire. A più forte ragione il traslato vale se la casa con la propria bellezza rende gioiosi coloro che vi abitano. In tal caso si considera gioiosa non solo secondo quel modo di parlare con cui si indica il contenuto mediante il contenente. Si dice appunto: "I teatri applaudono, i prati muggiscono", quando sono gli uomini ad applaudire e i buoi a muggire in essi. Ma è gioia anche in quel senso con cui si designa l'effetto mediante l'efficiente, come quando si dice gioiosa una lettera perché indica la gioia di coloro che nel leggerla provano gioia. Molto convenientemente quindi, quando l'autorità dell'agiografo dice che Dio si è riposato, è designato il riposo di coloro che in lui hanno riposo e ai quali egli concede di avere riposo in lui. Il testo della Scrittura promette inoltre agli uomini, ai quali si rivolge e per i quali è stato scritto, che anche essi, dopo le buone opere che in loro e mediante loro Dio compie, avranno in lui il riposo eterno se in qualche modo si saranno avvicinati a lui con la fede durante la vita. Questo significato si è avuto in figura anche nel riposo sabbatico disposto dalla legge nell'antico popolo di Dio. Ritengo di doverne parlare più a fondo a suo luogo.

Creazione, fedeltà e caduta degli angeli [9-21]

La creazione degli angeli nel tempo.
9. Ho cominciato a parlare dell'inizio della città santa e ho ritenuto che per prima si dovesse trattare l'argomento degli angeli santi che della città in parola costituiscono una gran parte e tanto più felice in quanto non ha mai provato l'esilio. Dunque cercherò di produrre con l'aiuto di Dio, nei termini del sufficiente, i testi della Scrittura che sono pertinenti. Quando la sacra Scrittura parla della creazione del mondo, non dice apertamente se e in quale momento sono stati creati gli angeli. Però se non sono stati passati sotto silenzio, sono stati designati o nel concetto di cielo con la frase: In principio Dio ha fatto il cielo e la terra 19, o piuttosto col concetto della luce, di cui ho parlato. Desumo che non siano stati passati sotto silenzio dalla frase che Dio si è riposato al settimo giorno di tutte le opere che aveva fatto 20. Lo conferma il libro stesso che comincia: In principio Dio ha creato il cielo e la terra, perché sia evidente che prima del cielo e della terra non ha creato nulla. Quindi ha dato inizio alla creazione col cielo e con la terra. La terra poi, quale l'ha creata all'inizio, come in seguito spiega la Scrittura, era invisibile e informe e, non essendo stata creata la luce, v'erano tenebre sull'abisso 21, cioè su una indistinta commischianza della terra e dell'acqua, giacché dove non c'è luce, necessariamente ci sono le tenebre. In seguito mediante l'atto creativo sono state ordinate tutte le cose, di cui si narra che sono state condotte a perfezione in sei giorni. È possibile dunque che siano stati passati sotto silenzio gli angeli, come se non fossero fra le opere di Dio, giacché nel settimo giorno ha cessato da ogni opera? La verità che gli angeli sono creature di Dio, anche se in questo testo non passata sotto silenzio e tuttavia non enunciata con evidenza, in altri passi della Scrittura è espressa con molta chiarezza. Nel canto dei tre giovani nella fornace, dopo aver premesso: Benedite il Signore, o creature tutte del Signore 22, nel compimento delle opere del Signore sono nominati anche gli angeli. Inoltre in un Salmo si canta: Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto; lodatelo, voi tutti suoi angeli; lodatelo, voi tutti suoi eserciti; lodatelo, sole e luna; lodatelo, voi tutte stelle e luce; lodatelo, o cieli più alti; e le acque che sono sopra i cieli lodino il nome del Signore, perché egli ha detto e sono esistiti, ha ordinato e sono stati creati 23. Anche in questo passo con molta chiarezza è stato detto per ispirazione divina che gli angeli sono stati creati da Dio, giacché dopo averli citati fra gli altri esseri del cielo, si riferisce a tutti con le parole: Egli ha detto e sono stati fatti. Non si deve ritenere che gli angeli sono stati creati dopo tutti gli altri esseri enumerati nei sei giorni. Ma se qualcuno sragiona così, la sua insensatezza è redarguita da quel passo della Scrittura di pari autorevolezza in cui Dio dice: Quando furono fatte le stelle, mi lodarono a gran voce tutti i miei angeli 24. Dunque esistevano già gli angeli quando furono fatte le stelle. Erano state fatte al quarto giorno. Si dovrà dunque dire che furono creati al terzo giorno? No. Si sa che cosa è stato fatto in quel giorno. Furono separate terra e acque e questi due elementi ricevettero le forme relative e la terra produsse i viventi che sono fissati in lei con le radici. Forse nel secondo? No, neanche in questo. In esso fu fatto il firmamento fra le acque superiori e inferiori e fu chiamato cielo e nel firmamento, il quarto giorno, furono fatte le stelle. Certamente se gli angeli appartengono alle opere divine dei sei giorni, sono quella luce che ha ricevuto il nome di giorno. E appunto per far notare la sua unità non è stato chiamato il primo giorno ma un solo giorno. E il secondo, il terzo o gli altri non sono un altro giorno ma lo stesso è stato ripetuto per completare il numero sei o sette allo scopo di inculcare la conoscenza dei sette giorni, sei per la conoscenza delle opere che Dio ha compiuto e il settimo per la conoscenza del riposo di Dio. Dunque: Dio ha detto: sia fatta la luce e la luce fu fatta 25. Se è giustificato intendere in questa luce la creazione degli angeli, essi certamente sono stati resi partecipi della luce eterna che è la stessa non diveniente sapienza di Dio, per mezzo della quale sono state create tutte le cose. Ed è l'unigenito Figlio di Dio. Illuminati dalla luce, mediante la quale sono stati creati, dovevano divenire luce ed essere chiamati giorno per la partecipazione della luce non diveniente e del giorno che è il Verbo di Dio, per mezzo del quale essi e tutte le cose sono stati creati. Infatti, la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 26 illumina questo evento e ogni angelo fedele affinché diventi luce non in se stesso ma in Dio, perché se l'angelo da lui si distoglie diviene ribelle. Lo sono appunto tutti quelli che sono chiamati spiriti ribelli, non più luce nel Signore ma tenebre in se stessi, perché privati della partecipazione alla luce eterna. Non si ha infatti una essenza del male ma è stata considerata male la perdita del bene.

Unità e Trinità di Dio.
10. 1. Vi è un solo essere buono semplice e perciò il solo non diveniente, ed è Dio. Da questo essere buono sono stati creati tutti gli esseri buoni, ma non semplici e perciò divenienti. Sono stati creati, ripeto, cioè fatti, non generati. Infatti l'essere generato dall'essere buono semplice è parimenti semplice e medesimo all'essere dal quale è stato generato. Noi li chiamiamo Padre e Figlio e l'uno e l'altro con il loro Spirito è un solo Dio. Lo Spirito del Padre e del Figlio è detto nella sacra Scrittura Spirito Santo con un particolare significato di questo termine. È un altro dal Padre e dal Figlio, perché non è né il Padre né il Figlio, ma un altro, ripeto, non altro, perché anche egli è egualmente un essere buono semplice, egualmente non diveniente e coeterno. E questa Trinità è un solo Dio, ma non perché è Trinità, non è semplice. E non diciamo semplice l'essenza dell'essere buono nel senso che in essa vi è soltanto il Padre o soltanto il Figlio o soltanto lo Spirito Santo o anche che è soltanto una Trinità di nome, senza la sussistenza delle persone, come pensavano gli eretici Sabelliani, ma si considera semplice perché in lei essere ed avere si identificano, salvo che le persone si dicono in senso relativo l'una dell'altra. Infatti il Padre ha certamente il Figlio ma non egli è il Figlio, il Figlio ha il Padre ma non egli è il Padre. Dunque in base agli attributi che si dicono in senso assoluto e non relativo, in Dio si identificano essere e avere. Ad esempio, in senso assoluto si dice vivo perché ha la vita, ma egli è la sua stessa vita.

Immutabilità e semplicità di Dio.
10. 2. Dunque una essenza si dice semplice se l'avere in lei non è qualcosa che essa può perdere, ovvero se altro è chi ha ed altro ciò che ha, come il bicchiere può avere un liquido, il corpo un colore, l'aria la luce o il caldo, l'anima la sapienza. In nessuno di essi si ha identità di essere e avere, perché il bicchiere non è il liquido, il corpo non è il colore, l'aria non è la luce o il caldo, l'anima non è la sapienza. Ne deriva che possono anche essere private delle cose che hanno e mutare col volgersi ad altre conformazioni e qualità. Così il bicchiere può essere vuotato del liquido di cui è pieno, il corpo può scolorarsi, l'aria divenire oscura o fredda e l'anima insipiente. Ma anche se il corpo fosse immortale, quale viene promesso agli eletti nella risurrezione, ha certamente la qualità permanente della stessa immortalità, ma poiché l'essere corporeo rimane, non può essere la stessa immortalità. Anche essa è tutta nelle singole parti del corpo e non in una parte di più e in una di meno, poiché una parte non è più immortale dell'altra. Al contrario, il corpo è più grande nel tutto che in una parte e sebbene una parte in esso sia più estesa e un'altra meno estesa, la parte più estesa non è più immortale della parte meno estesa. Altro è quindi il corpo, che non è tutto in ogni sua parte ed altro l'immortalità che è tutta in ogni parte del corpo, poiché ogni parte del corpo immortale, anche se ineguale dalle altre, è egualmente immortale. Ad esempio, il dito è più piccolo della mano, ma non per questo la mano è più immortale del dito. Quindi, pur essendo ineguali la mano e il dito, è eguale tuttavia l'immortalità della mano e del dito. E per questo, sebbene l'immortalità sia inseparabile dal corpo immortale, altro è l'esseità per cui si considera corpo ed altra la sua proprietà per cui si considera immortale. Quindi anche in questo stato è in esso distinto l'essere e l'avere. La stessa anima, anche se fosse eternamente sapiente, come sarà quando sarà liberata per sempre, sarà comunque sapiente mediante la partecipazione della sapienza non diveniente, che non è medesima con lei. Infatti anche se l'aria non fosse mai abbandonata da una luce che la invade, non per questo non sono distinte essa e la luce da cui è illuminata. Non dico questo nel senso che l'anima sia aria, come hanno supposto alcuni filosofi che non seppero concepire un'esseità immateriale. Hanno comunque, malgrado la grande differenza, una certa analogia. Non è sconveniente infatti dire che l'anima immateriale è illuminata dalla luce immateriale della sapienza di Dio che è una, come è illuminato il corpo dell'aria dalla luce materiale, e che l'anima diventa tenebrosa se è privata della luce della sapienza, come l'aria diventa tenebrosa se è abbandonata dalla luce sensibile. Infatti quelle che si dicono tenebre di un qualsiasi spazio non sono altro che l'aria priva di luce.

Creazione esemplare.
10. 3. In questo senso dunque sono considerate semplici le tre Persone che in forma impartecipata ed essenziale sono divine poiché in loro non sono distinte qualità ed esseità e non sono divine, sapienti e felici per partecipazione da altri. Ed anche se nella Scrittura è stato detto che lo Spirito di sapienza è molteplice 27, poiché ha in sé molti modi, tuttavia in lui essere e avere non sono distinti e tutti quei modi sono uno solo. E non vi sono molte sapienze ma una sola, perché in essa sono gli infiniti, che sono anche finiti, significati delle cose intelligibili. In esse infatti esistono le invisibili non divenienti ragioni delle cose anche visibili e divenienti che sono state create mediante la Sapienza stessa. Dio non ha creato nulla inconsapevolmente. È un difetto che ragionevolmente non si potrebbe dire neanche di un artefice umano. Dunque se Dio ha creato consapevolmente, ha creato le cose che conosceva. Si presenta dunque al pensiero una considerazione singolare ma vera. Il mondo non potrebbe esser conosciuto da noi se non esistesse, al contrario se non fosse conosciuto da Dio, non potrebbe esistere.

Condizione iniziale degli angeli.
11. Stando così le cose, gli spiriti che chiamiamo angeli non furono certamente tenebre in una prima successione di tempo, ma nell'atto stesso che furono creati, furono creati luce. E non furono creati soltanto perché esistessero e vivessero in una qualsiasi condizione, ma furono anche illuminati affinché vivessero nella sapienza e felicità. Alcuni angeli si distolsero dalla illuminazione e per questo non raggiunsero la sublimità della vita sapiente e felice che è indubbiamente eterna e stabilmente certa della propria eternità. Hanno comunque la vita dell'intelligenza, anche se in stato d'insipienza, e in modo tale che anche se volessero, non la potrebbero perdere. È impossibile stabilire fino a qual punto, prima di peccare, fossero partecipi di quella sapienza. Ma non potrei affermare che ne partecipassero come gli altri, i quali sono felici in una ideale pienezza, perché non si ingannano sull'eternità della propria felicità. Se ne avessero partecipato egualmente, anche essi sarebbero rimasti eternamente in essa, egualmente felici perché egualmente certi. Infatti una vita, finché dura, si può considerare vita, ma non si può considerare vita eterna se avrà una fine, giacché è considerata vita dal solo vivere ed è considerata vita eterna se non ha fine. Comunque un essere eterno non necessariamente è felice. È scritto che anche il fuoco della pena è eterno. Tuttavia se la vita felice nella sua ideale perfezione non può essere che eterna, non era tale quella degli angeli ribelli, perché a un certo punto doveva cessare e per questo non era eterna, sia che lo sapessero, sia che pur non sapendolo s'ingannassero. Infatti se lo sapevano, c'era il timore e se non lo sapevano c'era l'errore a non permettere che fossero felici. Se poi non lo sapevano nel senso di non potersi fidare di conoscenze errate o incerte, ma erano costretti a dubitare se il loro bene fosse durato per sempre o se a un certo punto fosse cessato, l'incertezza stessa di un destino così alto escludeva la felicità che noi crediamo esistente negli angeli santi. Infatti il concetto di felicità non viene ristretto in limiti così angusti da farci pensare che Dio soltanto è felice. Certo è veramente felice in maniera che non si può dare felicità maggiore. Al confronto è piccola e poca cosa la massima felicità che sia consentita agli angeli.

Felicità e certezza che ne abbiamo.
12. Per quanto attiene alla creatura ragionevole ossia intelligente pensiamo che non soltanto gli angeli si devono considerare felici. Non si può infatti negare che i primi uomini nel paradiso prima del peccato fossero felici, sebbene incerti quanto durasse o se fosse eterna la loro felicità. Sarebbe stata eterna se non avessero peccato. Si pensi che attualmente senza presunzione possiamo dichiarare felici gli uomini che vediamo menare la vita onestamente e religiosamente nella speranza dell'immortalità futura, senza il peccato che distrugge la coscienza, perché possono ottenere facilmente la misericordia divina per i peccati della debolezza umana. E sebbene essi siano certi della ricompensa riservata alla loro perseveranza, rimangono tuttavia dubbiosi della propria perseveranza. Nessuno infatti potrebbe sapere che persevererà fino alla fine nell'operare e promuovere la giustizia, se non viene reso certo, per rivelazione, da colui che, con giusto e occulto giudizio, non tutti rende consapevoli in proposito, ma non inganna alcuno. Per quanto dunque attiene al godimento del bene in questa vita, era più felice il primo uomo nel paradiso che qualsiasi giusto nell'attuale soggezione alla morte. Al contrario per quanto attiene alla speranza di un bene futuro, è più felice del primo uomo, incerto della propria caduta nella grande felicità del paradiso, un individuo qualsiasi anche in una qualsiasi sofferenza fisica, se sa non per opinione ma con verità certa che, nella partecipazione del sommo Dio, avrà la compagnia degli angeli immune da ogni dolore.

Caduta e pena del diavolo...
13. È ormai evidente a ognuno senza incertezze che nel conseguimento dell'uno e dell'altro si realizza la felicità che l'essere intelligente desidera con retto intendimento. Può godere, cioè, senza alcuna inquietudine del bene non diveniente che è Dio e insieme non avere incertezza alcuna e non essere soggetto all'errore sul fatto che di quel bene godrà per l'eternità. Crediamo con fede religiosa che hanno tale felicità gli angeli della luce e concludiamo per logica deduzione che prima di cadere non l'hanno posseduta gli angeli ribelli, i quali a causa della loro disobbedienza sono stati privati della luce ideale. Si deve credere tuttavia che ebbero una qualche felicità, quantunque non presciente, se hanno avuto l'esistenza prima del peccato. Può sembrare spietato credere che, quando furono creati gli angeli, alcuni furono creati in modo che non avessero la prescienza della loro perseveranza o caduta e che altri con verità assolutamente evidente conoscessero l'eternità della propria felicità. In principio però furono tutti creati di eguale felicità e in realtà furono felici, fino a quando quelli, che ora sono malvagi, si allontanarono di propria volontà dalla luce della bontà. Comunque sarebbe molto più spietato pensare che attualmente gli angeli santi, incerti della propria felicità eterna, ignorino essi di se stessi quello che noi abbiamo potuto conoscere nei loro confronti mediante la sacra Scrittura. Un cristiano cattolico non può ignorare infatti che fra gli angeli buoni non vi sarà più un diavolo e che nessun diavolo sarà riammesso nella compagnia degli angeli buoni. Cristo verità, infatti, nel Vangelo promette ai santi e ai fedeli che saranno eguali agli angeli di Dio 28; viene anche promesso loro che andranno alla vita eterna 29. Se dunque noi fossimo certi che non saremo privati di quel destino eterno ed essi non ne fossero certi, saremmo migliori di loro, non eguali. Ma poiché Cristo verità non inganna e saremo quindi eguali a loro, anche essi dunque sono certi della propria felicità eterna. Ma gli angeli ribelli non ne furono certi, perché la loro felicità non era tale da esserne certi, dato che sarebbe cessata. Rimane dunque o che non furono eguali o se furono eguali, dopo la perdizione dei ribelli, ai buoni fu accordata una conoscenza certa della loro felicità eterna. Qualcuno potrebbe addurre come obiezione il giudizio che il Signore ha dato del diavolo nel Vangelo: Dall'inizio egli era omicida e non si mantenne nella verità 30. La frase si potrebbe interpretare nel senso che non solo fu omicida dall'inizio, cioè dall'inizio del genere umano, cioè da quando è stato creato l'uomo che egli poteva uccidere con l'inganno, ma che dall'inizio della sua esistenza come angelo non si mantenne nella verità. Quindi non fu mai felice con gli angeli santi, perché rifiutò di sottomettersi al suo Creatore, mediante la superbia si vantò come di un suo personale potere e divenne per questo ingannato e ingannatore, dato che non si può sfuggire al potere dell'Onnipotente. Ed egli che non ha voluto conservare mediante l'ossequio della sottomissione la sua vera essenza, aspira con orgogliosa presunzione a fingersi ciò che non è. Così si comprende anche ciò che ha detto san Giovanni apostolo: Dall'inizio il diavolo pecca 31, cioè ha rifiutato, da quando è stato creato, la giustizia che può avere soltanto una volontà soggetta con ossequio al Signore. Chi accoglie questa interpretazione non consente con quegli eretici, cioè i manichei ed altre sètte pestilenziali che sostengono la medesima teoria, che cioè il diavolo ha la natura del male come da un determinato principio contrario. Costoro sragionano con tanta leggerezza da non riflettere, pur adducendo a loro conferma assieme a noi le citate parole del Vangelo, che il Signore non ha detto: "Fu di altra natura della verità", ma: Non si mantenne nella verità. Volle fare intendere appunto la caduta dalla verità, perché se avesse perseverato in essa, resone partecipe, sarebbe rimasto felice assieme agli angeli santi.

... perché si alienò dalla verità .
14. Ha aggiunto una indicazione, quasi l'avessimo chiesta, affinché fosse chiaro che non perseverò nella verità. Ha detto: Perché in lui non è la verità. Sarebbe in lui se vi avesse perseverato. Il concetto è stato esposto con un discorso un po' insolito. Apparentemente l'espressione è questa: Non perseverò nella verità, perché in lui non è la verità 32, come se la ragione per cui non si mantenne nella verità sia che in lui non è la verità. Al contrario la ragione per cui in lui non è la verità è che non perseverò nella verità. Questo modo di esprimersi si ha anche in un Salmo: Io ho invocato, perché mi hai esaudito, o Dio 33. Apparentemente si sarebbe dovuto dire: "Mi hai esaudito, o Dio, perché ho invocato". Ma nel dire: Io ho invocato, quasi gli si chiedesse di mostrare il motivo della sua invocazione, ha mostrato l'affetto della propria invocazione dall'effetto dell'esaudimento divino. Sembra che dica: "Mostro di avere invocato proprio dal fatto che mi hai esaudito".

La Bibbia sull'angelo ribelle.
15. Anche l'espressione di Giovanni sul diavolo: Dall'inizio il diavolo pecca 34 non è intesa dagli eretici nel senso che la natura, se è natura, non è peccato in alcun modo. Ma come rispondere ad altri testi dei Profeti? Isaia, indicando il diavolo sotto la figura del re di Babilonia, ha detto: Come è tramontato Lucifero che sorgeva al mattino? 35 ed Ezechiele: Sei stato nelle delizie del paradiso di Dio, sei stato ornato di ogni pietra preziosa. In questi passi è indicato che per un tempo fu senza peccato. Infatti poco appresso più espressamente si dice: Ai tuoi giorni hai camminato senza imperfezione 36. E se queste frasi non si possono intendere più convenientemente con altro significato, bisogna anche che interpretiamo la frase: Non perseverò nella verità 37 nel senso che fu nella verità ma non vi si mantenne, e l'altra: Dall'inizio il diavolo pecca nel senso che non peccò dall'inizio in cui fu creato ma dall'inizio del peccato, perché il peccato ha cominciato ad esistere dalla sua superbia. Si ha una espressione anche nel libro di Giobbe quando si parla del diavolo: Questo è l'inizio dell'opera del Signore che ha fatto perché fosse di scherno ai suoi angeli 38. Sembra che ad essa si possa riferire anche un Salmo, in cui si legge: Questo serpente che hai formato perché fosse deriso 39. Non si deve interpretare nel senso che dall'inizio fosse stato creato un essere tale perché fosse deriso dagli angeli, ma che fu destinato a questa pena dopo il peccato. Dunque l'inizio della sua esistenza è opera del Signore. Non v'è natura, anche fra gli ultimi infimi animaletti, che egli non abbia ideato, perché da lui è ogni misura, ogni forma, ogni ordine, senza dei quali non può esistere o esser pensato alcun essere, e a più forte ragione la creatura angelica, che è per dignità di natura la più eccellente di tutte le altre che Dio ha creato.

Valutazione dell'essere.
16. Fra gli esseri che in qualsiasi forma hanno l'essere e non l'hanno eguale a quello di Dio da cui sono stati creati, i viventi sono più perfetti dei non viventi, come quelli che hanno la facoltà di generare o anche di appetire nei confronti di quelli che sono privi di questo stimolo. Fra i viventi quelli che hanno la percezione sono più perfetti di quelli che non l'hanno, come gli animali nei confronti degli alberi. Fra quelli che hanno la percezione gli esseri pensanti sono più perfetti di quelli che non pensano, come gli uomini nei confronti delle bestie. Infine fra quelli che pensano sono più perfetti gli immortali che i mortali, come gli angeli nei confronti degli uomini. Sono però considerati migliori in base ai gradi della natura. V'è poi in base all'utilità dei singoli una diversa misura di valutazione, per cui avviene che diamo ad esseri privi di percezione maggior valore che ad alcuni che l'hanno. Se fosse in nostro potere, vorremmo radiarli dalla natura, sia perché ignoriamo che significato hanno nel mondo, sia perché, pur sapendolo, li posponiamo ai nostri interessi. Ciascuno infatti preferisce avere in casa il pane anziché i topi, il denaro anziché le pulci. E non c'è da meravigliarsi se nel valutare gli uomini stessi, la cui natura è di grande dignità, si guarda di solito con più affetto un cavallo che uno schiavo, una pietra preziosa che una domestica. Così in base alla libertà di giudizio differisce assai la motivazione di chi fa della teoria dall'indigenza di chi sente il bisogno o dall'appagamento di chi ha un desiderio. La teoria pensa che cosa valutare di per sé nei gradi delle cose, l'indigenza pensa che cosa raggiungere in vista di uno scopo; la teoria guarda a che cosa si manifesta di vero all'intelligenza, l'appagamento al contrario guarda l'oggetto gradevole che soddisfa i sensi. Ma negli esseri intelligenti ha tanto valore il peso del volere e dell'amore che, sebbene nell'ordine della natura gli angeli sono più perfetti degli uomini, tuttavia per legge di giustizia lo siano gli uomini buoni nei confronti degli angeli cattivi.

L'ordinamento divino e il diavolo.
17. Dunque interpretiamo rettamente la frase: Questo è l'inizio dell'opera di Dio 40, in considerazione dell'essere e non della ribellione del diavolo. Senza dubbio infatti in un soggetto, in cui si ha la depravazione della ribellione, si ebbe anteriormente un essere non depravato. La depravazione è così opposta all'essere che non può fare altro che danneggiarlo. Dunque l'allontanarsi da Dio non sarebbe depravazione, se il restare con lui non fosse di pertinenza dell'essere di cui è depravazione. Pertanto anche una volontà malvagia è una grande testimonianza della bontà dell'essere. Ma come Dio è creatore ottimo degli esseri buoni, così è anche ordinatore giustissimo delle volontà perverse, nel senso che queste usano male degli esseri buoni ed egli usa bene anche delle volontà perverse. Ha voluto perciò che il diavolo, buono per suo ordinamento e malvagio per volontà propria, degradato della sua dignità fosse deriso dai suoi angeli, come dire che le sue tentazioni giovino agli eletti, mentre egli vorrebbe che li danneggino. Dio nel crearlo non ignorava certamente la sua futura malvagità e prevedeva il bene che egli avrebbe derivato dal suo male. Per questo un Salmo ha detto: Il serpente che hai creato perché fosse deriso 41. Si deve intendere, cioè, che nell'atto di idearlo, sebbene buono a norma della propria bontà, tuttavia mediante la sua prescienza aveva preordinato come usarlo, anche se malvagio.

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