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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri XII - XVII (3)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 22:17
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22/12/2012 19:35

[SM=g28004] ATTENZIONE: ricordiamo la

parte prima: LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri I - VI (1)


la parte seconda: LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri VII - XI (2)



LIBRO XII

SOMMARIO

1. La natura degli angeli buoni e cattivi è la medesima.

2. Non v'è essenza contraria a Dio perché ciò che non è appare del tutto diverso da lui, essere trascendente ed eterno.

3. I nemici di Dio non lo sono per natura ma per contraria volontà; essa, se è un male per loro, è certamente il male di una natura buona, poiché non v'è imperfezione se non è un male.

4. Le creature irrazionali o non viventi nel loro specifico modo d'essere non dissentono dall'armonia del tutto.

5. Il Creatore è degno di ammirazione per ogni specie e modo d'essere di tutte le creature.

6. La causa di felicità degli angeli buoni e la causa d'infelicità degli angeli cattivi.

7. Non è oggetto di ricerca la causa efficiente della cattiva volontà.

8. C'è l'amore depravato con cui la volontà deflette dal bene che è fuori del divenire al bene che è nel divenire.

9. Se gli angeli santi abbiano come promotore della volontà buona il Creatore del loro essere con la carità in loro diffusa mediante lo Spirito Santo.

10. Si esamina l'opinione di coloro i quali ritengono che il genere umano come il mondo siano sempre esistiti.

11. Falsità della teoria che attribuisce al passato molte migliaia di anni.

12. Vi sono coloro i quali non ritengono eterno il mondo ma suppongono o che sono innumerevoli mondi o che un solo e medesimo mondo sempre ritorni e finisca in un determinato ciclo di tempi.

13. Che cosa si deve rispondere a coloro i quali lamentano che l'origine dell'uomo è tarda?

14. Alcuni filosofi hanno sostenuto che si avrebbe uno svolgimento dei tempi in modo che al termine dopo un certo periodo tutti gli avvenimenti sarebbero nella identica successione e significato.

15. L'origine del genere umano è nel tempo e Dio l'ha ordinata non con un nuovo disegno né con volontà posta nel divenire. Si ipotizza se per sostenere la verità che Dio è stato sempre Signore si debba credere che mai mancò la creatura, di cui egli fosse Signore, e in qual senso si dice che è stato creato nell'eternità l'essere che non è a lui coeterno.

16. In che senso si deve intendere che all'uomo fu da Dio promessa la vita eterna prima dei tempi eterni?

17. La fede integra sostiene la verità sull'immutabile ordinamento e volere di Dio contro il sistema di coloro i quali sostengono che le operazioni di Dio ripetute dall'eternità tornano costantemente negli identici cicli di tempi.

18. Errano coloro i quali sostengono che l'infinito non può essere contenuto nella scienza di Dio.

19. La successione dei tempi.

20. Si condanna il sentimento irreligioso di coloro i quali affermano che le anime degne della somma e vera felicità tornano costantemente nei cicli dei tempi alla medesima infelicità e affanno.

21. Creazione di un solo primo uomo e in lui del genere umano.

22. Dio ha avuto prescienza che l'uomo da lui creato all'inizio avrebbe peccato e insieme ha previsto il numero degli eletti che dal genere umano avrebbe trasferito con la sua grazia al medesimo destino con gli angeli.

23. L'essere dell'anima umana fu formato a immagine di Dio.

24. Se gli angeli possono essere considerati creatori di un essere per quanto infimo.

25. Soltanto con l'operazione di Dio si forma l'essere e la forma sostanziale di ogni creatura.

26. I platonici ritengono che gli angeli furono creati da Dio ma che essi sono gli operatori del corpo umano.

27. Nel primo uomo ebbe origine l'intero destino del genere umano perché Dio previde quale parte si dovesse onorare col premio e quale condannare alla pena.


Libro dodicesimo

DIO HA CREATO BUONI GLI ANGELI E UNA SOLA VOLTA L'UOMO NEL TEMPO

 

Bene e male negli angeli e nel mondo [1-9]

Comune società di angeli e uomini.
1. 1. Prima di parlare dell'origine dell'uomo, con cui avviene nel tempo l'inizio delle due città per quanto attiene al genere degli esseri ragionevoli e mortali, come è già dimostrato che è avvenuto per gli angeli nel libro precedente 1, penso di dover esporre ancora alcuni concetti sugli angeli stessi. Si deve dimostrare, cioè, per quanto mi è possibile, che non si può considerare assurda e non conveniente una comune società di angeli e di uomini. Quindi si può parlare con proprietà non di quattro città, ossia società, cioè due di angeli e altrettante di uomini ma di due soltanto, una composta di buoni e l'altra di cattivi, tanto angeli che uomini.

Essere o non essere con Dio uno vero buono.
1. 2. Non si può dubitare che le opposte tendenze degli angeli buoni e cattivi non sono derivate da opposti fattori e princìpi, poiché Dio, autore e creatore buono di tutti gli esseri, ha creato gli uni e gli altri, ma dalle rispettive volontà e inclinazioni. Alcuni infatti si mantengono stabilmente nel bene universale, che per loro è lo stesso Dio, e nella sua eternità, verità e carità. Altri invece, smaniosi di un proprio potere, come se fossero un bene a se stessi, sono scesi dal sommo beatificante bene universale ai beni particolari e, sostituendo l'ostentazione dell'orgoglio alla più alta eternità, l'inganno della menzogna alla verità più evidente, il gusto della fazione all'unificante carità, divennero superbi, menzogneri, portatori di odio. Categoria dunque della loro felicità è l'essere uniti a Dio e pertanto la categoria della infelicità dei ribelli si deve rilevare dal contrario che è il non essere uniti a Dio. Perciò se la giusta risposta alla domanda perché gli uni sono felici è che sono uniti a Dio, e alla domanda perché gli altri sono infelici è che non sono uniti a Dio, e perché soltanto Dio è il bene della creatura ragionevole o intelligente in ordine alla felicità. Non ogni creatura è capace di felicità perché le bestie, le piante, le pietre e altre del genere non hanno e non conseguono questo dono. Tuttavia quella che ne è capace, non lo può da sé, poiché è stata creata dal nulla, ma da lui che l'ha creata. Raggiungendolo è felice, perdendolo è infelice. Ed egli che è felice non da altri, ma perché è bene a se stesso, non può divenire infelice perché non può perdere se stesso.

Vero bene essere con Dio.
1. 3. Affermiamo dunque che il bene non diveniente è soltanto Dio uno, vero, felice e che le cose da lui create sono certamente dei beni, perché sono da lui, ma divenienti, perché non sono state create dal suo essere ma dal nulla. Dunque quantunque non siano il bene più grande, perché Dio è un bene superiore a loro, tuttavia sono grandi beni quelli che, pur divenienti, possono in ordine alla felicità esser uniti al bene non diveniente, che è il loro bene, al punto che senza di lui sono necessariamente infelici. Ma non perché non possono esser infelici, le altre cose nell'attuale universo sono più perfette, come non si deve dire che le altre parti del corpo sono più perfette degli occhi perché non possono essere cieche. Come infatti l'essere dotato di sensazione, anche quando soffre, è più perfetto della pietra che non può assolutamente soffrire, così la creatura ragionevole anche se infelice, è più nobile di quella che è priva di pensiero e di sensazione ed è quindi incapace di infelicità. Questa è la verità. L'essere ragionevole quindi creato in un grado tanto alto, sebbene sia nel divenire, unendosi al bene che non diviene, cioè a Dio sommo, raggiunge la felicità e colma la propria insoddisfazione soltanto se è felice e Dio soltanto può colmarla. Dunque è per lui un'imperfezione non unirsi a Dio. Ma l'imperfezione danneggia l'essere e perciò si oppone all'essere. Quindi quello che non è unito a Dio differisce da quello che gli è unito non nell'essere ma a causa della imperfezione. Tuttavia, malgrado l'imperfezione, l'essere intelligente ci si presenta molto perfetto e dotato di grande dignità. Il giusto biasimo dell'imperfezione di un essere è indubbiamente riconoscimento della sua dignità. Infatti è ragionevole il biasimo dell'imperfezione perché con essa si rende abietto l'essere dotato di dignità. Quando si dice che la cecità è una imperfezione degli occhi, si dichiara che la vista è funzione competente dell'occhio e quando si dice che la sordità è imperfezione dell'orecchio, si dichiara che l'udito è funzione competente dell'orecchio. Allo stesso modo quando si dice che imperfezione della creatura angelica è il non essere unita a Dio, si dichiara apertamente che l'essere uniti a Dio è formale al suo essere. Infine è impossibile pensare o dire qual grande dignità è essere unito a Dio in maniera da vivere per lui, da attingere sapienza da lui, da beatificarsi di lui e da godere un bene così grande nell'immunità dalla morte, dall'errore e dalla sofferenza. Pertanto anche dall'imperfezione degli angeli ribelli, cioè che non sono uniti a Dio, dato che l'imperfezione di per sé danneggia l'essere, appare evidente che Dio ha creato il loro essere tanto buono che per esso è un danno non essere con Dio.

Contro i sostenitori dei due principi.
2. Siano ben precisi questi concetti, affinché non si pensi, quando parliamo degli angeli ribelli, che abbiano potuto avere l'essere da un altro principio e che del loro essere non è autore Dio. Ci si libererà più speditamente e più agevolmente dalla irreligiosità di questo errore, quanto più profondamente si potrà intendere ciò che mediante un angelo Dio disse quando inviava Mosè ai figli d'Israele: Io sono Colui che sono 2. Poiché Dio infatti è essenza somma, cioè è nel grado sommo e perciò non diviene, diede alle cose create dal nulla l'essere, ma non l'essere nel grado sommo, come è lui. Diede ad alcune di essere di più, ad altre di meno e così ordinò le essenze in vari gradi. A proposito di essenza, come da sapere si ha sapienza, così da essere si ha essenza, un termine certamente nuovo, che gli antichi scrittori latini non hanno usato, ma usuale ai giorni nostri. E affinché non mancasse alla nostra lingua il termine che i Greci dicono , dal verbo è stata coniata la parola di essenza. Dunque, fatta eccezione per ciò che non esiste, non esiste un essere contrario all'essere che è nel grado sommo e da cui sono tutte le cose che sono. All'essere è infatti contrario il non essere. E pertanto non esiste una essenza contraria a Dio, cioè alla somma essenza e creatore di tutte le essenze qualunque esse siano.

L'essere e la sua imperfezione.
3. Nella Scrittura sono chiamati nemici 3 di Dio quelli che non con l'essere ma con le imperfezioni sono contrari al suo dominio, sebbene non riescano a far male a lui ma a se stessi. Sono nemici infatti con la volontà di opporsi, non con la possibilità di danneggiarlo. Dio infatti è fuori del divenire e assolutamente immune da alterazione. Quindi l'imperfezione con cui resistono a Dio quelli che sono considerati suoi nemici non è un male a Dio ma ad essi, ed altera in loro il bene dell'essere. Dunque non l'essere è contrario a Dio ma l'imperfezione, perché in quanto male è contraria al bene. Non si può negare che Dio è il bene nel grado sommo. L'imperfezione è pertanto contraria a Dio come il male al bene. Inoltre è un bene anche l'essere reso imperfetto e l'imperfezione è dunque contraria anche a questo bene. Ma a Dio è contraria soltanto come un male al bene, invece all'essere che rende imperfetto non soltanto come un male, ma anche come male che danneggia. Non ci sono mali che danneggiano Dio, ma gli esseri soggetti al divenire e alla corruzione, sebbene siano buoni anche per l'attestazione delle loro imperfezioni. Se non fossero buoni, le loro imperfezioni non potrebbero danneggiarli. Infatti danneggiandoli, non fanno altro che togliere loro interezza, bellezza, sanità, virtù e tutto ciò che di bene viene solitamente sottratto o diminuito nell'essere mediante l'imperfezione. Che se manca costitutivamente, non è un male che nuoce perché non toglie nulla e perciò neanche è imperfezione. È impossibile l'essere imperfezione e non danneggiare. Se ne conclude che, sebbene l'imperfezione non possa danneggiare il bene che non diviene, tuttavia può danneggiare soltanto un essere buono, perché esiste solamente nell'essere che danneggia. Il concetto si può esprimere anche in questa forma: l'imperfezione non può esistere nel sommo bene e può esistere soltanto in un qualche bene. Il solo bene può essere dunque in qualche essere, il solo male in nessuno. Anche gli esseri che sono stati resi imperfetti da un iniziale cattivo volere sono un male in quanto imperfetti, sono un bene in quanto esseri. E quando un essere imperfetto subisce la pena, a parte che è sempre un essere, si ha un bene anche nel fatto che non rimane impunito. Questo è giusto e ciò che è giusto è indubbiamente un bene. Infatti non si subisce la pena per le imperfezioni naturali ma per quelle volontarie. Anche il fatto che l'imperfezione si rinvigorisce quasi naturalmente per l'assuefazione e per continuità ha avuto inizio dalla volontà. Sto parlando infatti delle imperfezioni dell'essere che ha l'intelligenza capace della luce intelligibile con cui si distingue il giusto dall'ingiusto.

Perfezione e imperfezione nel tutto.
4. D'altronde è assurdo ritenere meritevoli di condanna le imperfezioni delle bestie, degli alberi e delle altre cose soggette al divenire e alla morte che sono prive del pensiero, della sensazione o anche della vita, il cui essere soggiace al dissolvimento. Queste creature hanno ricevuto un determinato limite dal volere del Creatore in modo che, scomparendo nel succedersi le une alle altre 4, svolgano la meno perfetta armonia del tempo che conviene nel suo genere alle varie parti di questo mondo. Non si dovevano rendere eguali alle celesti le cose terrene, ma non è giusto che esse mancassero all'armonia dell'universo, perché le altre sono più perfette. Nello spazio, dove dovevano trovarsi le cose terrene, le une vengono all'essere succedendosi ad altre che scompaiono, le cose più piccole soccombono alle più grandi con la trasformazione di quelle che scompaiono nelle caratteristiche di quelle che sopravvivono. È questo l'ordinamento delle cose divenienti. Ma non ci diletta la bellezza di questo ordinamento, perché noi, inseriti in una parte secondo la condizione del nostro continuo morire, non possiamo percepire il tutto, nel quale si armonizzano con adeguata proporzione le singole particelle che quindi ci appaiono irrazionali. Per questo molto giustamente ci si insegna di accettare con la fede la provvidenza del Creatore, in ordine alle cose in cui non riusciamo a scorgerla con la ragione. Non dobbiamo osare cioè di biasimare nella leggerezza dell'umana presunzione l'opera di un sì grande ideatore. Per lo stesso motivo anche le imperfezioni, non volontarie e non meritevoli di pena, delle cose terrene, se le consideriamo con saggezza, confermano che gli esseri stessi hanno tutti come autore e creatore Dio. Infatti ci riesce sgradito che in essi sia sottratto dall'imperfezione naturale ciò che nell'essere è gradito. Si eccettua il caso che spesso agli uomini sono sgraditi gli esseri quando diventano dannosi, perché allora non considerano le cose ma il proprio interesse. Si ha un esempio in quegli animali, la cui eccedenza colpì la tracotanza degli Egiziani 5. Ma a questo titolo possiamo biasimare anche il sole, perché alcuni trasgressori o insolventi sono condannati dai giudici ad essere esposti al sole. Quindi l'essere, non valutato secondo il nostro vantaggio o svantaggio ma per se stesso, rende gloria al suo ideatore. Così anche l'essere del fuoco eterno rientra senza dubbio nell'ordine, quantunque sarà la pena dei dannati. Infatti niente è più bello del fuoco perché è fiamma, forza e luce, niente è più utile perché riscalda, sana e cuoce, sebbene niente è più doloroso di una scottatura. Dunque esso, che se è accostato in una certa maniera è anche dannoso, se è usato convenientemente è molto utile. Non è possibile esporne a parole l'utilità nell'universo. Non si devono quindi ascoltare quelli che nel fuoco apprezzano la luce e deprezzano il calore, non giudicano cioè dal punto di vista delle proprietà dell'essere ma del proprio vantaggio o svantaggio. Costoro vogliono vedere ma non vogliono aver caldo. Riflettono poco che la luce, la quale certamente a loro è piacevole, dà fastidio per contrasto a una vista inferma e il caldo che dà loro fastidio è per conformità condizione di vita di molti animali.

Tutto rientra nell'ordine.
5. Tutti gli esseri dunque, per il fatto che sono ed hanno perciò la propria misura, la propria forma e una determinata pace con se stessi, sono certamente buoni. Essendo inoltre dove devono essere secondo la finalità della natura, conservano il proprio essere nelle proporzioni in cui lo hanno ricevuto. E poiché non hanno ricevuto di essere per sempre, acquistano e perdono perfezioni, secondo l'esigenza e il movimento delle realtà, alle quali per legge del Creatore sono soggetti, perché per divina provvidenza tendono a quel risultato che il razionale ordinamento dell'universo implica. Inoltre il dissolvimento, che conduce alla fine gli esseri divenienti e mortali, non è tale che mentre fa cessare d'esistere ciò che era, implichi necessariamente come conseguenza, che non venga all'esistenza ciò che doveva cominciare ad esistere. Questa è appunto la verità. Dio dunque è l'essere perfettissimo e per questo è da lui creata ogni essenza che non è perfettissima. Essa non può infatti essere a lui eguale, perché è creata dal nulla e non potrebbe assolutamente esistere se non fosse creata da lui. Egli perciò non si deve biasimare perché siamo contrariati dalle varie imperfezioni e si deve lodare nella valutazione di tutti gli esseri.

Non c'è essere essenzialmente cattivo.
6. Risulta quindi che causa vera della felicità degli angeli buoni è l'essere uniti all'essere perfettissimo. Quando invece si cerca la causa dell'infelicità degli angeli ribelli si presenta ragionevolmente quella che, essendosi essi distolti dall'essere perfettissimo, si sono volti a se stessi che non sono perfettissimi. Questo vizio si chiama superbia. Infatti: Inizio di ogni peccato è la superbia 6. Non vollero mantenere in ordine a lui il proprio valore 7 ed essi che sarebbero più perfetti se fossero uniti all'essere perfettissimo, anteponendosi a lui, scelsero di essere meno perfetti. Questo è l'iniziale disfacimento, l'iniziale impoverimento, l'iniziale imperfezione di quell'essere che non fu creato per essere perfettissimo ma per beatificarsi nell'essere perfettissimo e così ottenere la felicità. Essendosi da lui distolto, non ha cessato di essere, ma è regredito nella perfezione e per questo è divenuto infelice. E se si cerca la causa efficiente di questa cattiva volontà, non la si trova. Che cosa infatti produce la volontà cattiva, se è essa a compiere l'azione cattiva? Perciò la volontà cattiva è efficiente dell'azione cattiva e non si ha causa efficiente della volontà cattiva. Infatti se questa causa è un essere, o ha o non ha la volontà; se l'ha, o l'ha buona o cattiva; se l'ha buona, è assurdo dire che la volontà buona è efficiente della volontà cattiva. Nell'ipotesi la volontà buona sarebbe causa del peccato. Niente di più assurdo. Se poi l'essere che nell'ipotesi sarebbe efficiente della volontà cattiva, ha anche esso una volontà cattiva, chiedo qual essere ne è causa efficiente e affinché si abbia un limite nella ricerca, torno a ricercare la causa della prima volontà cattiva. Non vi fu una prima volontà cattiva che ebbe per causa una volontà cattiva; è prima quella increata. Infatti se è esistita prima quella da cui l'altra doveva esser causata, la prima è quella che ha causato l'altra. Se si risponde che la volontà cattiva non è stata causata e che pertanto è sempre esistita, chiedo se è esistita in un qualche essere. Se non è esistita in alcun essere, non è esistita affatto; se invece è esistita in un essere, lo rendeva imperfetto, era per esso un male e lo privava di un bene. Pertanto una volontà cattiva non poteva esistere in un essere cattivo ma in uno buono, diveniente però in modo che l'imperfezione lo danneggiasse. Se non lo danneggiò, non fu neanche una imperfezione e non si può quindi dire che fosse una volontà cattiva. D'altronde se lo danneggiò, certamente lo danneggiò togliendogli o diminuendone il bene. Quindi non poté esistere un'eterna volontà cattiva in quella cosa in cui prima era esistito un bene connaturato, che la volontà cattiva potesse sottrarre danneggiandolo. E se non era eterna, torno a chiedere chi l'ha creata. Resta da dire che un essere, in cui non esisteva la volontà, creò la volontà cattiva. Chiedo se questo essere era superiore, inferiore o eguale. Se superiore, era anche più perfetto, dunque aveva la volontà anzi la volontà buona. Lo stesso si dica se era eguale. Finché due esseri sono egualmente dotati di volontà buona, l'uno non rende cattiva la volontà dell'altro. Rimane che un essere inferiore, privo di volontà, creò la volontà cattiva dell'essere angelico che per primo ha peccato. Ma qualunque sia la cosa inferiore fino alla più bassa terrenità, dal fatto che è essere ed essenza, indubbiamente è buona perché ha una propria misura e forma nel suo ordine specifico. Come dunque una cosa buona può essere efficiente di una volontà cattiva? Come, insisto, il bene può essere causa del male? Infatti quando la volontà, abbandonato l'essere superiore, si volge alle cose inferiori, diventa cattiva, non perché è male l'oggetto a cui si volge ma perché il suo volgersi implica un pervertimento. Perciò non è la cosa inferiore che ha reso cattiva la volontà; essa stessa, essendosi resa cattiva, ha appetito sconvenientemente e disordinatamente una cosa inferiore. Se infatti due individui con eguale disposizione spirituale e fisiologica vedono l'avvenenza di un medesimo corpo e a tale vista uno si lascia sedurre al godimento illecito, l'altro si mantiene costante in un sentimento pudico, qual è la causa, a nostro avviso, che nel primo si ha una volontà cattiva e nel secondo non si ha? Quale cosa ha causato la cattiva volontà nell'individuo in cui è stata causata? Non l'avvenenza del corpo perché non l'ha causata in entrambi, sebbene si sia offerta egualmente allo sguardo d'entrambi. Oppure è in causa la disposizione fisiologica di chi vede? Allora perché non quella dell'altro? Oppure la disposizione spirituale? E allora non perché dell'uno e dell'altro? Abbiamo premesso appunto che entrambi erano in un'eguale disposizione spirituale e fisiologica. O dobbiamo dire che uno dei due è stato tentato da un'occulta suggestione dello spirito maligno, come se non con la sua volontà abbia acconsentito a quella suggestione o ad altra istigazione. Chiediamo dunque chi ha causato in lui questo consenso, questa cattiva volontà che ha messo a disposizione di chi lo istigava al male. Ma per eliminare anche questa difficoltà del problema, supponiamo che entrambi abbiano la medesima tentazione e uno ceda e consenta e l'altro rimanga fermo nel proprio proposito. In tal caso è chiaro forse che uno non ha voluto e l'altro ha voluto mancare alla castità e certamente con la personale volontà, poiché eguale era in entrambi la disposizione fisiologica e spirituale. La medesima creatura avvenente si è presentata alla vista di entrambi, una tentazione occulta ha sollecitato entrambi. Dunque a coloro che vogliono sapere quale cosa ha reso cattiva in uno di loro la volontà, se ben riflettono, non se ne presenta alcuna. Se si dicesse che egli stesso l'ha resa cattiva, si deve rispondere che anteriormente alla volontà cattiva egli era un essere buono e che suo autore è Dio, bene immutabile. Qualcuno potrebbe dire appunto che l'individuo, il quale, a differenza dell'altro, ha acconsentito alla suggestione della tentazione per abusare della bellezza di un corpo che si è presentato alla vista di entrambi, sebbene l'uno e l'altro prima di vedere ed essere tentati fossero in eguale disposizione spirituale e fisiologica, da sé ha reso cattiva la propria volontà, anche se prima della volontà cattiva era buono. Chi la pensa così rifletta perché l'ha fatto, se cioè perché era un essere, ovvero perché è stato creato dal nulla e si accorgerà che la volontà cattiva non ha la sua origine dal fatto che è un essere ma dal fatto che è un essere creato dal nulla. Infatti se l'essere è causa della volontà cattiva, si è costretti a dire che il male è prodotto soltanto dal bene e che il bene è causa del male, perché la volontà cattiva sarebbe causata da un essere buono. Ma è veramente impossibile che un essere buono, sebbene nel divenire, causi prima di avere la volontà cattiva qualche cosa di cattivo, cioè la stessa volontà cattiva.

Oggetto e sua privazione nel conoscere.
7. Non si cerchi dunque la causa efficiente della volontà cattiva. Essa non è causa che produce ma distrugge, perché anche essa non è un fare ma un disfare. Avviarsi al disfacimento dalla condizione più elevata del proprio essere a quella meno perfetta, questo è cominciare ad avere la cattiva volontà. Voler trovare dunque le cause di questi processi di disfacimento, giacché, come ho detto, non fanno ma disfanno, è come se si volesse vedere le tenebre o ascoltare il silenzio. Eppure le une e l'altro ci sono noti, le prime con la vista, l'altro con l'udito, non tuttavia nella forma sensibile, ma nella privazione della forma. Non si chieda dunque di conoscere da me questi concetti che io conosco di non conoscere, a meno che non si chieda di apprendere a non conoscere ciò che si deve conoscere di non poter conoscere. Infatti gli oggetti, che non si conoscono nella loro forma ma nella privazione di essa, in certo senso, se così si può dire o pensare, si conoscono con la non conoscenza per non conoscerli con la conoscenza. Quando la facoltà visiva osserva le forme sensibili, in nessuna parte vede le tenebre se non in quel punto in cui comincia a non vedere. Così non ad altro senso ma al solo udito compete percepire il silenzio che tuttavia si percepisce soltanto non ascoltando. Allo stesso modo la nostra intelligenza si rappresenta le forme intelligibili col pensiero, ma appena diventano irrazionali, le apprende nell'atto stesso che non le capisce. Chi infatti ha l'idea del delitto? 8.

Bene e sua privazione nel volere.
8. Questo invece io conosco, che l'essere di Dio mai, in nessun luogo, da nessuna parte può disfarsi e che possono disfarsi soltanto le cose create dal nulla. Ma queste hanno cause efficienti quanto sono più perfette e quanto più fanno il bene perché solo allora fanno qualche cosa. Hanno al contrario cause che disfanno in quanto si muovono al disfacimento e per questo fanno il male perché allora fanno soltanto cose prive di significato. Conosco inoltre che nell'individuo, in cui si verifica la volontà cattiva, si verifica in modo che se non volesse non si verificherebbe e perciò la giusta pena è conseguenza di imperfezioni non necessarie ma volontarie. L'imperfezione non si ha col tendere al male, perché non si danno esseri che sono un male, ma con un atto che è male, perché contro l'ordine degli esseri si tende dall'essere perfettissimo all'essere meno perfetto. L'avarizia non è un'imperfezione dell'oro ma dell'uomo, che rovesciando l'ordine dei fini, ama l'oro abbandonando la giustizia che doveva essere valutata incomparabilmente superiore all'oro. E la lussuria non è un'imperfezione dei corpi belli e avvenenti ma dell'anima pervertita che ama i piaceri sensibili abbandonando la temperanza, con cui ci adeguiamo a cose spiritualmente più belle e immaterialmente più avvenenti. Così l'orgoglio non è imperfezione della buona reputazione ma dell'anima pervertita, che ama essere esaltata dagli uomini disprezzando la voce della coscienza. E la superbia non è imperfezione di chi dà il potere o anche del potere stesso, ma dell'anima pervertita che ama il proprio potere disprezzando il potere più giusto di chi è più potente. Perciò chi alla rovescia ama il bene di qualsiasi essere, anche se lo consegue, nel bene egli è malvagio e infelice perché privato di un bene migliore.

Dio ha creato negli angeli la buona volontà...
9. 1. Ora non esiste una causa efficiente naturale, o, se si può dire, essenziale della volontà cattiva. Da lei infatti ha origine il male degli spiriti posti nel divenire, perché da questo male viene diminuito e deformato il bene dell'essere. Soltanto la defezione, con cui si abbandona Dio, produce la volontà cattiva ed anche la causa di tale defezione è una defezione. Se si dice quindi che neanche della volontà buona esiste una causa efficiente, si eviti di credere che la volontà buona degli angeli buoni non è stata creata, ma che è coeterna a Dio. Se essi sono stati creati, non si può affermare che la loro volontà non è stata creata. Dunque, dato che è stata creata, è stata creata assieme a loro ovvero essi esistettero prima senza di lei? Se è stata creata assieme ad essi, fu creata indubbiamente da colui che ha creato anche loro. E nell'atto stesso che furono creati si unirono a colui dal quale sono stati creati con l'amore col quale erano stati creati. In questo appunto gli angeli buoni si distinsero dal gruppo degli altri perché si mantennero nella medesima buona volontà, mentre i ribelli derogando da essa degenerarono mediante la volontà cattiva nell'atto stesso che vennero meno alla volontà buona. Però non sarebbero venuti meno se non avessero voluto. Supponiamo che gli angeli buoni fossero all'inizio senza la volontà buona e che essi stessi la producessero in sé senza l'azione di Dio. Ebbero dunque maggiore perfezione da sé che da lui? No, senza la volontà buona sarebbero stati indubbiamente cattivi. Ma se non erano cattivi perché non avevano la volontà cattiva, dato che non erano venuti meno alla volontà buona che ancora non avevano ricevuto, certamente non erano tali e non ancora tanto buoni come quando cominciarono ad avere la volontà buona. Ma non poterono rendersi più perfetti di come egli li aveva creati, perché non si ha operazione che più della sua produca perfezione. Quindi soltanto con l'intervento operativo del Creatore poterono avere volontà buona, con cui furono più perfetti. La loro volontà buona fece che non si volgessero a se stessi, che erano meno perfetti, ma a lui che è perfettissimo e si unissero a lui per divenire più perfetti e per vivere nella partecipazione a lui in sapienza e beatitudine. E da ciò si rende evidente che qualsiasi volontà buona era sterile qualora si fosse acquietata nel solo desiderio se egli, che dal nulla aveva creato l'essere buono disposto a riceverlo, non lo rendesse più perfetto riempiendolo di se stesso perché prima l'aveva reso più anelante incitandolo ad elevarsi.

... non priva della libertà di scelta.
9. 2. In relazione all'argomento se gli angeli buoni causarono essi stessi in sé la volontà buona, si deve esaminare anche questo problema: se la causarono con una qualche volontà o senza alcuna. Se senza alcuna, neanche la causarono. Se con una qualche volontà, si chiede se buona o cattiva. Se cattiva, come poté una cattiva volontà essere principio efficiente di una volontà buona? Se buona, dunque già l'avevano. E l'aveva potuta causare soltanto colui che li ha creati dotati di volontà buona, cioè con l'amore ordinato con cui unirsi a lui, producendo a un tempo il loro essere e donando la grazia. Perciò si deve credere che gli angeli santi mai sono stati senza la volontà buona che è amore di Dio. Gli altri creati buoni divennero cattivi con la loro individuale volontà cattiva, non creata da un essere buono, ma nell'atto che venne meno volontariamente al bene, perché causa del male non è il bene ma il venir meno al bene. Essi o ebbero una minore elargizione della grazia di amore divino a differenza di quelli che in essa si mantennero; oppure se entrambi furono creati ugualmente buoni, mentre i ribelli peccavano con la volontà cattiva, i fedeli più largamente favoriti giunsero alla pienezza della felicità, divenendo assolutamente certi di non venir meno ad essa. Ne abbiamo parlato anche nel libro precedente 9. Si deve dunque ammettere col dovuto ringraziamento al Creatore che non appartiene soltanto agli uomini in grazia ma si può dire anche degli angeli santi che l'amore di Dio è stato versato in essi per mezzo dello Spirito Santo che è stato loro dato 10. Si deve inoltre riconoscere che il bene, non solo degli uomini ma primieramente e principalmente degli angeli, è quello di cui è stato scritto: Il mio bene è essere unito a Dio 11. E coloro che comunicano di questo bene hanno con colui, cui sono uniti, e fra di sé una società santa e sono una sola e medesima città di Dio, vivo suo sacrificio e vivo suo tempio. Ma osservo che si deve cominciare a parlare, come è stato fatto per gli angeli, dell'origine per creazione da Dio di quella parte della città di Dio che per congiungersi agli angeli immortali si aduna dagli uomini mortali ed è ancora esule nel divenire della terrenità, ovvero ha raggiunto, in quegli uomini che hanno subito la morte, il riposo nelle invisibili dimore che accolgono le anime. Da un solo uomo che Dio ha creato all'inizio ha avuto origine il genere umano secondo la testimonianza della sacra Scrittura. Ed essa ha giustamente una grande autorità presso tutte le nazioni del mondo, anche perché fra le altre verità ha predetto con divina verità che esse avrebbero creduto 12.

Teorie sui tempi della creazione dell'uomo [10-13]

Opinioni sulle antichissime condizioni dell'uomo.
10. 1. Omettiamo dunque le ipotesi di individui che non hanno scienza delle proprie affermazioni sulla condizione e sull'origine del genere umano. Alcuni infatti, come hanno supposto per il mondo, sono d'opinione che gli uomini siano sempre esistiti. Per questo anche Apuleio nel trattare questo genere di viventi ha detto: Individualmente sono mortali ma nell'insieme di tutta la specie vivono da sempre 13. E qualora loro si chiedesse, nell'ipotesi che da sempre sia esistito il genere umano, a che titolo la loro storia dice la verità, quando narra degli inventori dei vari utensili, dei pionieri delle discipline liberali e delle altre arti, dei primi abitanti di quella o di un'altra regione e parte della terra, di quella o di un'altra isola, rispondono che a causa di diluvi e cataclismi per un certo tempo non tutti i territori ma molti si spopolarono 14. Così gli uomini si ridurrebbero ad un esiguo numero, dalla cui discendenza viene ristabilito il ripopolamento. Quindi certi dati, che a causa dei cataclismi erano interrotti o scomparsi, si presenterebbero e si formerebbero come originari, mentre sono soltanto riemersi. Del resto, aggiungono, l'uomo soltanto dall'uomo può venire all'esistenza. Ma dichiarano una loro ipotesi e non una conoscenza scientifica.

Confronto fra cronologia greca ed egiziana.
10. 2. Li inducono in errore anche alcuni scritti menzogneri che, secondo la loro tradizione, riportano nella cronologia molte migliaia di anni, sebbene secondo le sacre Scritture dall'origine dell'uomo si calcolano seimila anni non ancora compiuti. Per non discutere a lungo nel ribattere la infondatezza di quei libri, in cui si riporta un numero ben maggiore di migliaia di anni e nel dimostrare che in essi non è reperibile l'autorevolezza richiesta dall'argomento, adduco la lettera di Alessandro il Grande alla madre Olimpiade. La scrisse per comunicare la narrazione di un sacerdote egiziano che egli aveva allegato dalle scritture considerate sacre presso di loro. Contiene fra l'altro i regni che anche la storia greca conosce. Fra di essi il regno degli Assiri nella medesima lettera di Alessandro supera i cinquemila anni, mentre nella storia greca ha mille e trecento anni a partire dal regno di Belo, che anche il sacerdote egiziano pone all'inizio del regno assiro 15. Inoltre ha calcolato più di ottomila anni le monarchie dei Persiani e dei Macedoni fino allo stesso Alessandro, al quale si rivolgeva, mentre negli scrittori greci per il regno dei Macedoni si hanno fino alla morte di Alessandro quattrocentoottantacinque anni e per quello dei Persiani fino a che ebbe tempo termine, con la vittoria di Alessandro, se ne calcolano duecentotrentatré. Dunque in questa cronologia gli anni sono molti di meno che in quella egiziana e non li raggiungerebbero anche se fossero moltiplicati per tre. Si dice appunto che gli Egiziani nei tempi antichi avessero degli anni tanto brevi che si compivano ogni quattro mesi; quindi l'anno intero e vero, che ora abbiamo noi ed essi, ne abbracciava tre dei loro di una volta. Ma neanche così, come ho detto, è concorde la cronologia greca con quella egiziana. Quindi è più attendibile quella greca perché non va al di là della veridicità cronologica, indicata dalla nostra Scrittura che è veramente sacra. Inoltre se la lettera di Alessandro, largamente conosciuta, per quanto riguarda i periodi, è molto lontana da una plausibile veridicità storica, quanto meno si deve credere a quelle scritture che, sebbene zeppe di leggendari fatti antichi, i nostri avversari hanno voluto produrre contro l'autorità dei nostri conosciutissimi Libri divini. Tale autorità ha preannunziato che tutto il mondo le avrebbe creduto e il mondo, come aveva preannunziato 16, le ha creduto. E dai fatti che ha previsto come futuri, quando essi si avverano tanto fedelmente, ha la conferma di avere descritto veridicamente i passati.

Ipotesi dei fautori della generazione spontanea.
11. Altri, i quali non ritengono eterno il mondo, sia che non ne pongano uno solo ma infiniti, sia che ne pongano uno solo ma destinato a nascere e morire infinite volte, sono costretti ad ammettere che il genere umano all'inizio ha cominciato ad esistere senza la generazione umana. Costoro infatti non sostengono che a causa di alluvioni o fenomeni vulcanici i quali, secondo loro, non si verificherebbero in tutta la terra, sopravvivano pochi individui, da cui si abbia il ripopolamento. È impossibile per loro supporre che alla fine del mondo rimanga un certo numero di uomini. Ma come sostengono che il mondo sorge di nuovo dalla propria materia, così in esso dai suoi elementi si propaga il genere umano e in seguito dai genitori la discendenza degli uomini al pari degli altri viventi 17.

Confronto in termini di cronologia fra tempo ed eternità.
12. Ho già risposto, quando si trattò il problema dell'origine del mondo, a coloro i quali si rifiutano di ammettere che non è sempre esistito ma che ha cominciato ad esistere, come ammette apertamente lo stesso Platone, quantunque da taluni è interpretato in senso contrario a quanto dice. La medesima cosa vorrei rispondere sulla prima apparizione dell'uomo per coloro che allo stesso modo si domandano perché l'uomo non sia stato creato durante gli incalcolabili e infiniti tempi passati e sia stato creato tanto tardi che sono meno di seimila anni da quando, come dice la Scrittura, cominciò ad esistere. Se li offende la brevità del tempo, perché sembrano loro tanto pochi gli anni da che si dice che ha avuto inizio l'uomo nei nostri testi autorevoli, considerino che non si ha lunga durata se si ha un termine e che tutte le limitate estensioni dei tempi, se si confrontano con l'eternità infinita, non si devono considerare piccole ma inesistenti. E per questo se non fossero cinque o seimila ma sessantamila o seicentomila anni ed essi si avessero per sessanta, per seicento, per seicentomila volte e questa somma si moltiplicasse per tante volte fino a non avere più un numero concepibile, da che Dio ha creato l'uomo, si potrebbe ancora chiedere perché non l'ha creato prima. Lo stato di riposo in cui Dio non creò l'uomo, che risalendo all'indietro è eterno per mancanza d'inizio, è così immenso che se gli si raffronta una serie numerica di tempi, per quanto grande e incalcolabile, la quale abbia tuttavia un termine perché chiusa nel limite di una determinata estensione, non dovrebbe esser considerata più grande che se si confronti la più minuta stilla di umidità con tutti i mari, anche quanti ne abbraccia l'oceano. Infatti delle due quantità una è piccolissima, l'altra incomparabilmente grande, ma l'una e l'altra limitate. Invece l'estensione di tempo che parte da un inizio ed è limitata da una fine, per quanto si estenda in quantità, confrontata con l'essere che non ha inizio, non so se si deve considerare piccolissima o piuttosto inesistente. Pertanto se a partire dal termine si eliminano a uno a uno attimi anche brevissimi man mano che il numero, anche tanto grande che non abbia un nome, decresce e si risale indietro, come se si eliminassero i giorni di vita di un individuo, dall'attuale fino a quello della nascita, a un certo punto la eliminazione sarà ricondotta all'inizio. Supponiamo invece che si eliminassero risalendo indietro attraverso una estensione di tempo che non ha avuto inizio, non dico a uno a uno spazi limitati di ore, di giorni, di mesi, di anni, ma anche estensioni così grandi, quante ne racchiude una somma di anni che diviene incalcolabile per qualsiasi matematico, la quale tuttavia si raccorci con l'eliminazione attimo per attimo di porzioni di tempo e si eliminino quelle enormi estensioni non una volta o due o più ma sempre. Non si fa nulla, non si ottiene nulla, perché mai si giunge all'inizio che non esiste assolutamente. Pertanto il problema che ci poniamo noi oggi dopo cinquemila anni e rotti, con la medesima curiosità se lo potrebbero porre i posteri anche fra seicentomila volte quegli anni, se per tanto tempo continuassero la soggezione degli uomini al nascere e al morire e la debolezza della nostra esperienza. Anche quelli che vissero prima di noi, nei tempi più vicini alla creazione dell'uomo, potevano porsi questo problema. Alfine anche il primo uomo l'indomani o il giorno stesso della sua creazione poteva chiedersi perché non fosse stato creato prima. Comunque in qualsiasi tempo fosse stato creato, questa controversia sull'origine delle cose temporali non avrebbe trovato allora argomenti validi diversi da quelli di oggi o anche dell'avvenire.

Falsa teoria dei cicli e delle palingenesi.
13. 1. I filosofi naturalisti ritennero di poter o dovere risolvere la suddetta controversia introducendo dei cicli di tempo. Affermarono che con essi tornavano a ripetersi in natura sempre i medesimi eventi e che allo stesso modo per il futuro si sarebbero avuti senza fine i ritorni degli avvenimenti che vengono e vanno, sia che i cicli si verifichino in un mondo senza tramonto, sia che il mondo sorgendo e tramontando a determinate distanze di tempo offrisse come nuovi sempre gli stessi avvenimenti sia passati che futuri. Così questi filosofi non riescono a considerar libera da questa beffa del destino l'anima immortale, anche se ha acquisito la sapienza, poiché va senza sosta verso una falsa felicità e senza sosta ritorna a una vera infelicità. Non può infatti essere vera felicità perché non si ha sicurezza della sua eternità e perché in quello stato l'anima o per radicale inesperienza non conosce nella realtà l'infelicità del mondo o la teme con angoscia pur essendo nella felicità. Ma se essa non dovrà più tornare all'infelicità terrena, passa da questa alla felicità. Avviene dunque nel tempo qualcosa che prima non era avvenuto e che non ha il limite del tempo. Questo si può dire dunque anche del mondo ed anche dell'uomo creato nel mondo. Quanto dire che con la sana dottrina attraverso una via dritta si devono evitare gli assurdi ritorni ciclici inventati da filosofi assurdi e impostori.

Il Qoèlet non è a favore dei cicli.
13. 2. Alcuni ritengono che si debba interpretare nel senso dei suddetti cicli che ritornano al medesimo e fanno tornare tutto al medesimo anche quel che si legge nel libro di Salomone, intitolato L'Ecclesiaste: Che cos'è ciò che è stato? Quello stesso che sarà. E che cos'è ciò che è avvenuto? Quello stesso che avverrà. Non v'è nulla di nuovo sotto il sole. Non si potrà dire: Guardate che questo evento è nuovo, perché è avvenuto nei secoli che furono prima di noi 18. Ma egli ha detto quelle parole riferendosi agli eventi di cui parlava in precedenza, cioè alle generazioni che vanno e vengono, ai giri del sole, al fluire dei corsi d'acqua e infine a tutte le cose che hanno un inizio e una fine. Vi furono infatti uomini prima di noi, vi sono assieme a noi, vi saranno dopo di noi. Altrettanto si dica degli altri animali e delle piante. Perfino i fenomeni straordinari, che si verificano fuori dell'aspettativa, sebbene siano diversi fra di loro e di alcuni si dica che siano avvenuti una sola volta, nel senso che sono in genere fatti meravigliosi e straordinari, tuttavia vi sono stati e vi saranno e non è un fatto nuovo che si verifichino eventi straordinari sotto il sole. Però alcuni interpretano quelle parole nel senso che quel grande sapiente voleva far intendere che tutto è stabilito nell'ordinamento divino e che quindi niente v'è di nuovo sotto il sole. Comunque secondo le norme della retta fede non dobbiamo credere che con le parole di Salomone furono indicati i cicli con cui si hanno, come pensano costoro, i medesimi ritorni di tempi e di avvenimenti nel tempo; ad esempio, come il filosofo Platone in quel tempo ha insegnato agli allievi nella città di Atene, nella scuola detta l'Accademia, così il medesimo Platone, la medesima città, la medesima scuola, i medesimi alunni sarebbero tornati attraverso le infinite successioni di tempo nel passato a fasi molto lunghe ma determinate e tornerebbero nelle infinite successioni che verranno. Non dobbiamo, dico, credere a queste fandonie. Infatti Cristo è morto una sola volta per i nostri peccati 19, ma risorgendo dai morti non muore più e la morte non l'assoggetterà più nell'avvenire 20, e noi dopo la risurrezione saremo sempre col Signore 21, al quale nel tempo presente diciamo quel che ci suggerisce il sacro Salmo: Tu, o Signore, ci custodirai e ci difenderai dalla generazione presente, fino nell'eternità. Penso infine che a questi filosofi si adatti molto bene il versetto seguente: Gli empi si muoveranno in giro 22, non nel senso che la loro vita ritornerà ai cicli da loro immaginati, ma perché nel tempo presente la via del loro errore è un circolo vizioso, cioè una falsa dottrina.






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