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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri XII - XVII (3)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 22:17
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22/12/2012 19:40

LIBRO XIII

SOMMARIO

1. Con la caduta dei progenitori si è avuta la soggezione alla morte.

2. V'è una morte che può incogliere all'anima che comunque vivrà per sempre e una morte cui è soggetto il corpo.

3. Se la morte, che col peccato dei progenitori è sopraggiunta a tutti gli uomini, anche nei santi è pena del peccato?

4. Perché la morte, cioè la pena del peccato, non viene risparmiata a coloro che mediante la grazia della rigenerazione sono stati assolti dal peccato?

5. Come i disonesti usano male della legge, che è un bene, così gli onesti usano bene della morte che è un male.

6. La morte è un male di tutti perché con essa si scinde l'unione di anima e corpo.

7. Sulla morte che alcuni non ancora rigenerati sostengono come testimonianza a Cristo.

8. Nei santi l'accettazione della morte per la verità è annullamento della seconda morte.

9. Se il tempo della morte, con cui si sottrae la coscienza della vita, è proprio di coloro che stanno morendo o dei morti?

10. La vita dei soggetti a morire si deve considerare morte anziché vita?

11. Se si può essere insieme vivi e morti?

12. Quale morte Dio comminò ai progenitori se avessero trasgredito il suo comando?

13. Quale pena per prima provò la trasgressione dei progenitori?

14. In quale condizione da Dio fu creato l'uomo e in quale destino cadde con il libero uso del proprio volere?

15. Adamo peccando abbandonò Dio prima di essere da lui abbandonato e la prima morte dell'anima fu allontanarsi da Dio.

16. Alcuni filosofi ritengono che la separazione dell'anima dal corpo non sia dovuta alla pena, eppure Platone propone il Dio sommo il quale promette agli dèi minori che giammai dovranno essere liberati dal corpo.

17. Contro coloro i quali affermano che i corpi terreni non possono divenire incorruttibili ed eterni.

18. Alcuni filosofi circa i corpi terreni affermano che non possono essere nel cielo perché ciò che è terreno per naturale gravità torna alla terra.

19. Contro i sistemi di coloro i quali non credono che i progenitori, se non avessero peccato, sarebbero stati immortali e sostengono che l'immortalità dell'anima esige l'immunità dal corpo.

20. La carne dei santi, che ora riposa nella speranza, dovrà essere restituita a una forma migliore di quella che fu dei progenitori prima del peccato.

21. Il paradiso, nel quale furono i progenitori, ragionevolmente mediante un significato simbolico s'intende come qualche cosa che riguarda la coscienza, salva la verità della narrazione storica sul luogo.

22. Il corpo dei santi dopo la risurrezione sarà così spirituale che la carne non diverrà spirito.

23. Che cosa si deve intendere per corpo spirituale e chi sono coloro che muoiono in Adamo e saranno restituiti alla vita in Cristo?

24. Come si deve intendere l'alito di Dio con cui il primo uomo divenne anima che vive o quello che il Signore emise dicendo: Ricevete lo Spirito Santo?


Libro tredicesimo
L'UOMO FRA VITA, PECCATO, MORTE E VITA



Il mistero della morte [1-11]


Peccato e morte.
1. Ho trattato i problemi assai difficili della nostra comparsa nel tempo e dell'origine del genere umano. Ora lo svolgimento regolare richiede la discussione da me stabilita sulla caduta del primo uomo, anzi dei primi uomini e sull'avvenimento originario della morte umana. Dio infatti non aveva creato gli uomini nella condizione degli angeli, cioè che per natura non potessero morire anche se avessero peccato 1. L'immortalità e la felice eternità propria degli angeli, senza la soggezione alla morte, sarebbero derivate dall'adempimento del dovere della obbedienza e al contrario la morte li avrebbe colpiti, come giusta condanna, se avessero disobbedito. Ne ho parlato anche nel libro precedente 2.

Le due morti.
2. Osservo che si deve trattare un po' più esaurientemente il genere di morte. Sebbene infatti l'anima umana sia secondo verità considerata immortale, ha tuttavia anche essa un certo suo morire. È considerata immortale perché in una dimensione sua per quanto limitata non cessa di vivere e intendere. Il corpo invece è soggetto alla morte perché può essere privato della vita e non vive in alcun senso da se stesso. La morte dell'anima avviene quando Dio l'abbandona, come quella del corpo quando lo abbandona l'anima. Dunque si ha la morte dell'una e dell'altra componente, cioè di tutto l'uomo, quando l'anima abbandonata da Dio abbandona il corpo. In tale condizione essa non vive di Dio né di lei il corpo. A una simile morte fa seguito quella che l'autorità della Scrittura definisce la seconda morte 3. La indicò il Salvatore quando disse: Temete colui che ha il potere di condannare alla geenna il corpo e l'anima 4. Essa non avviene prima che l'anima sia così fortemente unita al corpo che non siano disgiunti da alcuna separazione. Perciò può sembrare incredibile l'affermazione che il corpo è stroncato da una morte per cui non è abbandonato dall'anima, ma è nei tormenti dotato di vita e sensitività. Infatti in riferimento all'ultima pena che dura eternamente, di cui a suo tempo si dovrà trattare più esaurientemente 5, giustamente si parla di morte dell'anima perché non vive di Dio. Ma in qual senso si parla della morte del corpo se vive dell'anima? Non altrimenti infatti esso potrebbe subire i tormenti sensibili che avverranno dopo la risurrezione. Ma c'è il problema che se la vita è un bene, la sofferenza un male, non si può parlare della vita del corpo se in esso l'anima non è causa del vivere ma del soffrire. Dunque l'anima vive di Dio quando conduce una vita buona, e non può vivere bene se Dio non opera in lei il bene. Il corpo invece vive dell'anima quando essa vive nel corpo, sia che viva o non viva di Dio. Infatti la vita dei malvagi nei corpi non è delle anime ma dei corpi. La possono comunicare loro le anime, anche se morte, ossia abbandonate da Dio, perché non cessa una loro propria vita, per quanto limitata, da cui sono immortali. Nella condanna definitiva l'uomo non perde la sensitività. Tuttavia poiché essa non è sorgente di diletto nell'attività né di distensione nello stato di quiete, ma di dolore nella pena, giustamente è stata considerata morte anziché vita. È stata inoltre definita seconda perché avviene dopo la prima, con cui si verifica la secessione di esseri strettamente uniti, cioè di Dio e dell'anima come dell'anima e del corpo. Della prima morte del corpo si può dire che è buona per i buoni, cattiva per i cattivi. La seconda senza dubbio non è buona per alcuno poiché non è dei buoni 6.

Peccato e pena nella discendenza.
3. Si profila un problema che non si può eludere. Davvero la morte, da cui l'anima è separata dal corpo, è buona per i buoni e se è così, come si potrà dimostrare che anche essa è pena del peccato? Certo se i primi uomini non avessero peccato, non l'avrebbero subita. Come dunque può essere buona per i buoni se non poteva incogliere che ai cattivi? 7. Ancora: se poteva incogliere solo ai cattivi, non dovrebbe essere buona per i buoni ma non esservi affatto. Perché infatti ci sarebbe una pena per soggetti in cui non si avessero delitti da punire? Perciò si deve ammettere che i primi uomini furono così conformati che, se non avessero peccato, non avrebbero subito alcun genere di morte. Però essi come primi peccatori furono colpiti da una morte tale che ogni individuo proveniente dalla loro discendenza fu soggetto alla medesima pena. Da loro non poteva provenire un essere diverso da quel che essi erano stati. La condanna che seguì alla gravità della colpa deteriorò la natura dell'uomo. Così la condizione che precedette per condanna nei progenitori seguì anche per natura nei discendenti. Non è eguale la discendenza dell'uomo dall'uomo e la provenienza dell'uomo dalla polvere. La polvere infatti fu materia per creare l'uomo; l'uomo invece è padre nel generare l'uomo. La terra non è la medesima cosa che la carne sebbene la carne sia stata tratta dalla terra e la specie umana dell'uomo padre è la medesima che nell'uomo figlio. Nel primo uomo dunque vi era tutto il genere umano che mediante la donna doveva passare nella discendenza quando quella coppia di coniugi ricevette il divino verdetto della propria condanna. E ciò che l'uomo divenne, non quando fu creato, ma quando peccò e fu punito, lo trasmise, per quanto riguarda l'inizio del peccato e della morte. L'uomo non fu ridotto dal peccato e dalla condanna alla menomazione dell'intelligenza e debolezza del corpo che osserviamo nei bimbi. Dio volle che queste condizioni infantili si adeguassero alla prima età dei piccoli degli animali, perché aveva degradato i progenitori alla vita e morte delle bestie. È stato scritto infatti: L'uomo, quando era nella piena dignità, non comprese, si comportò come le bestie prive d'intelligenza e divenne simile a loro 8. Anzi osserviamo che i bimbi sono più deboli dei piccoli degli animali nell'uso e movimento delle membra e nella facoltà di conseguire e di evitare. Sembrerebbe che il vigore dell'uomo si levi con tanta superiorità sugli altri animali allo stesso modo che una saetta, tirata indietro mentre si tende l'arco, potenzia il proprio slancio. Dunque, dicevamo, il primo uomo non precipitò o fu spinto in condizioni infantili da una colpevole pretesa e da una giusta condanna 9, ma in lui l'umana natura fu viziata e mutata al punto da subire nelle membra la contrastante ribellione delle inclinazioni e da essere vincolato dalla necessità di morire. Così generò ciò che egli era divenuto per la colpa e la pena, cioè individui soggetti al peccato e alla morte. Se dunque i bimbi vengono sciolti dal vincolo del peccato mediante la grazia di Cristo Mediatore, possono subire soltanto la morte che separa l'anima dal corpo, ma non soggiacciono alla seconda che comporta la pena eterna, perché liberati dal debito del peccato.

Morte nei bambini e nei martiri.
4. Il fatto che la subiscono, se anche essa è pena del peccato, può turbare qualcuno, poiché la loro soggezione alla colpa viene annullata mediante la grazia. La questione è stata trattata e risolta in un'altra mia opera che intitolai: Il battesimo dei piccoli. In essa fu data la spiegazione che, sebbene tolta la soggezione al peccato, viene conservata per l'anima la prova della separazione dal corpo, poiché se l'immortalità del corpo seguisse immediatamente al sacramento della rigenerazione, verrebbe infiacchita la fede. Ed essa è fede quando si attende nella speranza ciò che non si percepisce nella realtà 10. Col vigore combattivo della fede, soltanto nell'età più adulta doveva essere superato il timore perfino della morte. Risultò soprattutto nei santi martiri. Non si avrebbero certamente né vittoria né gloria di questo combattimento, che in definitiva non sarebbe combattimento, se immediatamente dopo il lavacro della rigenerazione 11 i rigenerati non potessero subire la morte del corpo. Ognuno piuttosto si recherebbe a ricevere la grazia di Cristo con i piccoli da battezzare per sfuggire alla morte. Così la fede non sarebbe apprezzata in vista di un premio al di là dell'esperienza, anzi non sarebbe neanche fede, se cercasse e ricevesse immediatamente la ricompensa della sua azione salutare. Ora con una più grande e straordinaria grazia del Salvatore la pena del peccato si è volta a favore della rettitudine. Allora infatti fu detto all'uomo: Morirai se peccherai 12; ora si dice al martire: Muori per non peccare. Allora fu detto: Se trasgredirete il comando, morirete; ora si dice: Se rifiuterete la morte, trasgredirete il comando. Ciò che allora si doveva temere per non peccare, ora si deve accettare affinché non si pecchi. Così per dono dell'ineffabile misericordia di Dio anche la pena della colpa si trasforma in strumento di virtù e diviene merito del giusto anche il castigo del peccatore. Allora si ottenne la morte col peccare, ora si raggiunge la giustizia col morire. Ma soltanto nei santi martiri, ai quali dal persecutore si propone una scelta, o che abbandonino la fede o che subiscano la morte. I giusti infatti, perché credono, preferiscono soffrire ciò che i primi peccatori hanno sofferto perché non credettero. Se essi non avessero peccato, non sarebbero morti; questi peccheranno, se non muoiono. Dunque quelli sono morti perché peccarono, questi non peccano perché muoiono. Avvenne per la colpa dei primi uomini che si giungesse alla condanna, avviene mediante la condanna dei martiri che non si giunga alla colpa. E questo non perché la morte è diventata un bene sebbene prima fosse un male. È Dio che ha conferito alla fede tanta grazia che la morte, evidentemente opposta alla vita, divenisse mezzo col quale tornare alla vita.

Legge e peccato.
5. L'Apostolo, volendo evidenziare quale vigore ha per nuocere il peccato senza il soccorso della grazia, non esitò ad affermare che la legge stessa, con cui è vietato il peccato, è un potere del peccato. Pungiglione, dice, della legge è il peccato e potere del peccato è la legge 13. Assolutamente vero. Il divieto infatti aumenta lo stimolo all'azione disonesta, se l'onestà non è apprezzata al punto che la brama del piacere sia superata dalla sua attrattiva. Ma soltanto la grazia divina viene in aiuto perché abbia pregio e attrattiva la vera onestà. Affinché la legge, definita potere del peccato, non fosse considerata un male, l'Apostolo, trattando la medesima questione in un altro testo, scrive: Dunque la legge è santa e il precetto santo, giusto e buono. Tuttavia ciò che è buono è divenuto morte per me? No. Ma il peccato, per manifestarsi come peccato, ha causato a me la morte mediante il bene, affinché mediante il precetto il peccatore o il peccato siano al di là di ogni misura 14. Ha detto: al di là di ogni misura, perché si aggiunge la disumanizzazione quando per l'aumento della inclinazione al peccare viene disprezzata la legge stessa. Ma perché ho pensato a citarvi questo testo? Per la verità, la legge non diviene un male quando accresce la brama di chi pecca, così la morte non diviene un bene quando accresce la gloria di chi soffre. La legge infatti è trasgredita per disonestà, e produce i trasgressori, la morte è accettata per la verità e produce i martiri. Perciò la legge è un bene perché è divieto del peccato, la morte un male perché tributo del peccato 15; ma come la disonestà nuoce non solo ai disonesti ma anche agli onesti, così l'onestà giova non solo agli onesti ma anche ai disonesti. Ne consegue che i cattivi usano male della legge, anche se è un bene, e i buoni muoiono bene, anche se la morte è un male.

Esperienza ed accettazione della morte.
6. La morte fisica in se stessa considerata, cioè la separazione dell'anima dal corpo, quando la subiscono coloro che sono considerati in punto di morte, non è un bene per nessuno 16. La violenza stessa, con cui viene separato ciò che nel vivente era intimamente congiunto, finché dura, causa uno stato di coscienza tormentoso e contro natura, fino al momento in cui scompare la coscienza derivante dalla stessa unione dell'anima e del corpo. Talora un colpo apoplettico o il distacco improvviso dell'anima impediscono tutto quel tormento e non permettono che si subisca perché lo previene la rapidità. Qualunque nei morienti sia lo stato che con penosa coscienza strappa via la coscienza, se si sopporta con pietà e fede, accresce il merito della pazienza ma non elimina il significato di pena. Poiché dunque la morte indubbiamente è la pena di chi nasce dalla discendenza ininterrotta del primo uomo, se si subisce nella pietà e giustizia, diviene merito per rinascere; e pur essendo la morte retribuzione del peccato, talora ottiene che non venga retribuito nulla al peccato.

La morte per martirio e il battesimo.
7. La morte che qualsiasi persona, anche senza aver ricevuto il lavaggio di rigenerazione, subisce per rendere testimonianza a Cristo, ha efficacia per la remissione dei peccati come se fossero rimessi al fonte battesimale. Gesù ha detto: Se qualcuno non avrà la rinascita nell'acqua e nello Spirito non entrerà nel regno dei cieli 17. Ma in un altro testo fece eccezione per i martiri, perché non meno in generale disse: A chi mi avrà reso testimonianza davanti agli uomini anche io renderò testimonianza davanti al Padre mio che è nei cieli 18. In un altro passo dice: Chi perderà la sua anima per me, la ritroverà 19. Per questo motivo è stato scritto: Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi santi 20. Nulla quindi è più prezioso della morte per cui sono rimessi i peccati e sovrabbondano i meriti. Non hanno infatti molto merito coloro che non potendo rimandare la propria morte sono stati battezzati e ricevuta la remissione dei peccati sono usciti da questa vita. Maggiore benemerenza hanno coloro che, pur potendo rimandare la morte, hanno scelto di terminare la vita rendendo testimonianza a Cristo che rinnegandolo giungere al battesimo. Con esso, se l'avessero rinnegato, sarebbe stata loro rimessa anche questa colpa di aver rinnegato Cristo per timore della morte. Col battesimo fu rimesso anche l'orrendo delitto di coloro che uccisero il Cristo. Ma senza la ricchezza di grazia dello Spirito che spira dove vuole 21 non avrebbero potuto amare Cristo al punto da non rinnegarlo in così grave rischio della morte e malgrado la grande fiducia nell'annullamento della pena. Si ha dunque l'inclita morte dei martiri, per i quali è stata preordinata e prestabilita la morte del Cristo con tanta efficacia che per raggiungerlo non hanno esitato a consacrare la propria morte. Ed essa ha dimostrato appunto che la condizione anteriormente stabilita per pena del peccato fu ricondotta a risultati tali che ne derivasse un più ricco rendimento di giustizia. La morte dunque non deve essere considerata un bene, giacché non si è volta a vantaggio così distinto per suo influsso ma con l'aiuto divino. Essa quindi, prestabilita perché nel timore di lei non si commettesse il peccato, ora si deve prestabilire di accettarla affinché non si commetta il peccato e una volta commesso sia rimesso e sia resa alla giustizia la palma dovuta alla sua grande vittoria.

Bene e male nella morte.
8. Se consideriamo più attentamente, anche quando con sincerità e onore si muore per la verità, ci si garantisce dalla morte. Infatti se ne accetta una parte affinché non sia totale e non si aggiunga la seconda che non ha fine. Si accetta infatti la separazione dell'anima dal corpo affinché essa non sia separata dal corpo quando Dio è separato da lei. Così avvenuta la prima morte di tutto l'uomo, incoglie la seconda che è eterna. Perciò la morte, come ho detto 22, mentre i morienti la subiscono e mentre essa attua il loro morire, non è un bene per nessuno, ma si tollera con dignità per conservare o raggiungere un bene. Se poi si considera in quelli che sono già morti, non è assurdo dire che è un male per i cattivi e un bene per i buoni. Le anime dei buoni separate dal corpo sono infatti nella pace e quelle dei cattivi subiscono la pena, fino a che il corpo delle prime risorga alla vita eterna e quello delle altre alla morte eterna che è considerata la seconda morte.

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