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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri XVII- XXII (4)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 22:19
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Sesso: Femminile
22/12/2012 22:14

Il problema delle varie parti del corpo...
19. 1. E che cosa dovrei rispondere sui capelli e unghie? Una volta compreso che dal corpo nulla andrà perduto in modo che in esso nulla ci sia di irregolare, si comprende immediatamente che tutte le parti, che avrebbero causato una smisurata grandezza irregolare, saranno aggiunte all'insieme, non a quei punti in cui sia sfigurata la forma delle membra. Come se si costruisse con la creta un vaso che, ridotto di nuovo in creta, fosse ricostruito tutto dal tutto delle parti, non sarebbe necessario che la parte di creta, che era nel manico, torni al manico o quella, che aveva costituito il fondo, torni ad essere il fondo, purché il tutto ritorni nel tutto, cioè che tutta la creta, senza perdere alcuna parte, torni ad essere il vaso. Perciò se i capelli, tante volte spuntati, e le unghie, tante volte tagliate, tornano in forma irregolare ai loro posti, non vi torneranno e tuttavia non andranno perduti per chi risorgerà perché, rispettate le proporzioni delle parti, con la trasformazione della materia saranno ricongiunte alla medesima carne affinché in essa costituiscano una qualsivoglia parte del corpo. E l'affermazione del Signore: Non andrà perduto un capello della vostra testa 80 molto più convenientemente si può intendere che è stato detto non della lunghezza, ma del numero dei capelli; per questo in un altro passo dice: Tutti i capelli della vostra testa sono stati contati 81. Non dico questo perché ritengo che una qualche parte connaturata andrà perduta per un corpo qualsiasi. Dico invece che ciò che era venuto alla luce irregolare, per il solo motivo che si noti come sia soggetto alla pena lo stato degli esseri soggetti a morire, sarà restituito in modo che, preservata l'integrità della struttura, scompaia la irregolarità. Un artista può fondere una statua di bronzo che per una ragione qualsiasi aveva foggiato irregolare e renderla perfetta in modo che nulla della struttura ma soltanto la irregolarità sia eliminata. Quindi se nella prima figurazione qualcosa era fuori posto e non conveniva alla proporzione delle parti, può non troncare e disgiungere dal tutto da cui aveva prodotto ma guarnire e ricongiungere al complesso in modo da non causare l'irregolarità e non diminuire la grandezza. E allora che cosa si deve pensare dell'Artista onnipotente? Egli certamente potrà eliminare e rendere nulle le varie irregolarità del corpo umano, non solo le comuni ma anche le rare e mostruose che convengono a questa vita disgraziata ma contrastano con la futura felicità dei santi, come viene eliminata qualsiasi irregolarità che producono le indecorose, sebbene naturali, protuberanze della struttura corporea, senza alcuna sua diminuzione.

... e delle proporzioni...
19. 2. Quindi magri e grassi non devono temere di essere nell'eternità quali nel tempo, se ne avessero il potere, non avrebbero voluto essere. Completa bellezza del corpo è infatti la proporzione delle parti congiunta a una certa delicatezza del colore. Dove non v'è la proporzione delle parti, un qualcosa non piace perché è difettoso o perché è manchevole o perché è eccessivo. Perciò non vi sarà l'irregolarità, prodotta dalla sproporzione delle parti in uno stato in cui i difetti saranno emendati, ma ciò che è di meno di quel che conviene sarà completato da qualcosa che il Creatore conosce e ciò che è di più di quel che conviene sarà detratto nel rispetto dell'interezza della materia. Sarà molto grande la delicatezza del colore perché i giusti splenderanno come sole nel regno del loro Padre 82. E si deve ritenere che simile luminosità non mancò nel corpo del Cristo quando risuscitò, ma fu sottratta alla vista dei discepoli. Non l'avrebbe sopportata il debole sguardo umano quando egli, per poter essere riconosciuto, doveva essere fissato dai suoi. E questo si estese al punto che offrì al loro palpare le cicatrici delle sue ferite, che prese anche cibo e bevanda 83, non per bisogno di nutrimento ma con quel potere per cui gli era possibile compiere una tale azione. Talora un oggetto, sebbene presente, non è visto da coloro dai quali gli altri oggetti, egualmente presenti, sono visti, come riteniamo che a Sodoma si verificò una luminosità, sebbene non vista da coloro dai quali erano visti gli altri oggetti. Il fenomeno in greco si denomina che i nostri, non riuscendo ad esprimerlo in latino, nel libro della Genesi hanno tradotto "cecità". La subirono i Sodomiti quando gli uomini giusti cercavano la porta e non potevano rintracciarla 84. Se fosse stata cecità, con cui avviene che non si può vedere nulla, non avrebbero cercato la porta per cui entrare, ma guide della via dalle quali essere allontanati dal posto.

... e del corpo dei martiri.
19. 3. Non so in che senso siamo stimolati dall'amore per i martiri beati fino a desiderare di vedere sul loro corpo nel regno di Dio le cicatrici delle ferite che hanno subìto per il nome di Cristo e forse le vedremo. Infatti in esse non vi sarà irregolarità ma distinzione e, sebbene nel corpo, non del corpo splenderà una certa attrattiva dell'eroismo. E se ai martiri furono amputate e mutilate alcune parti del corpo, nella risurrezione dei morti non saranno senza di esse, perché è stato loro detto: Non andrà perduto un capello della vostra testa 85. Ma se converrà che in quel mondo rinnovato si vedano i segni delle ferite degne di gloria nella carne immune da morte, nel punto in cui le parti del corpo, per essere recise, furono battute e troncate, appariranno le cicatrici nelle medesime parti restituite, non perdute. Sebbene quindi nell'eternità non vi saranno tutti i difetti avvenuti al corpo, tuttavia non si devono considerare o denominare difetti i segni dell'eroismo.

Il pensiero dei filosofi su Dio.
20. 1. Non si deve poi pensare che l'onnipotenza del Creatore, per risuscitare i corpi e renderli alla vita, non possa far rivivere tutte le parti che o le belve o il fuoco hanno distrutto, ovvero quel tanto che è andato in polvere o cenere o che si è sciolto in acqua o che si è librato in aria. Non si deve pensare che un qualche nascondiglio o recesso della natura accolga un qualcosa sottratto alla nostra esperienza in modo che si celi alla conoscenza e sfugga al potere del Creatore di tutte le cose.

Cicerone, il grande scrittore dei pagani, volendo, come poteva, definire Dio secondo verità, dice: È una mente indipendente e libera, esente da ogni soggezione alla natura e alla morte, che conosce e muove tutte le cose ed essa è dotata di perenne attività 86. Ha attinto questa definizione dalla dottrina dei grandi filosofi. Dunque, per usare la loro terminologia, in che senso un qualcosa si cela all'Essere che pensa tutte le cose o sfugge irresistibilmente a lui che muove tutte le cose?.

Soluzione per i casi di antropofagia.
20. 2. Perciò ormai si deve risolvere anche il problema, che sembra più difficile degli altri, con cui si chiede a chi preferibilmente si restituisce la carne di un uomo morto, la quale diviene carne di un altro vivo. Supponiamo che un tale, affranto e spinto dalla fame, si cibi di cadaveri umani. È un fatto che anche la storia antica afferma sia talora avvenuto e anche le tristi esperienze dei nostri tempi. Forse che qualcuno, si obietta, potrà sostenere con criterio di verità che è stato tutto digerito attraverso i condotti anali, che nulla si è trasformato e aggiunto alla carne dell'affamato, sebbene la magrezza, che c'era e non c'è più, mostri abbastanza che l'esaurimento è stato riparato da quei cibi? Poco fa ho già premesso quali concetti dovranno esser validi per sciogliere anche questo nodo. La parte delle carni, che la fame ha consumato, si è librata nell'aria e in proposito abbiamo accertato che Dio onnipotente può trarre indietro ciò che è svanito. Quindi la carne sarà restituita a quell'individuo in cui dapprima ha cominciato ad essere carne umana. Si deve ritenere che dall'altro è stata presa come in prestito e quindi, come denaro d'altri, si deve restituire a colui da cui è stata presa. All'uomo dunque, che la fame aveva consumato, sarà restituita la sua carne da colui che ha il potere di richiamare indietro anche ciò che è svanito. Ed anche se fosse andata completamente perduta e non fosse rimasta alcuna componente nei recessi della natura, la ristabilirebbe l'Onnipotente da un qualunque elemento che vuole. Ma per riguardo alla parola della Verità che ha detto: Non andrà perduto un capello della vostra testa 87, è assurdo pensare che, sebbene un capello della testa non può andare perduto, possa andare perduta una grande quantità di carni mangiate per fame e digerite.

Armonia del corpo dei beati.
20. 3. Considerati attentamente tutti questi aspetti si formula, dal nostro punto di vista, la conclusione che segue. Nella risurrezione della carne la corporatura avrebbe per l'eternità quelle dimensioni che avrebbe lo sviluppo regolare della gioventù da raggiungere o raggiunta, giacché è insito nell'organismo di ognuno, nel rispetto della formosità conveniente al modo di essere di tutte le membra. Supponiamo che per conservare tale formosità sia sottratto un di più non conveniente, posto in una determinata parte, e sia diffuso in tutto il corpo in modo che non vada perduto e sia dovunque conservata la proporzione delle parti. In tale ipotesi non è assurdo credere che sia possibile aggiungere alla corporatura qualcosa qualora, per mantenere la formosità, si aggiunga a tutte le parti, perché senza dubbio non sarebbe conveniente se fosse sproporzionatamente soltanto in una. Ovvero se si sostiene che ciascuno risorgerà in quella corporatura, in cui è morto, non si deve ribattere polemicamente, purché siano eliminate del tutto le sproporzioni delle parti, del vigore e del movimento, la soggezione al divenire e qualsiasi altro limite che non conviene a quel regno, in cui i figli della risurrezione e della promessa saranno eguali agli angeli di Dio 88, se non nel corpo e nell'età, certamente nella felicità.

Significato di corpo spirituale.
21. Sarà restituito dunque tutto ciò che andò perduto dal corpo ancora in vita o dal cadavere dopo la morte e, assieme a ciò che era rimasto nel sepolcro trasformato nella novità dalla vetustà del corpo animale, risorgerà fregiato dall'immunità al divenire e alla morte 89. Ed anche se per qualche grave incidente o per la crudeltà dei nemici sia ridotto completamente in polvere e, per quanto è possibile, non si permetta che sia in qualche luogo perché disperso nell'aria o nell'acqua, in nessun modo potrà essere sottratto all'onnipotenza del Creatore, ma un capello del capo di lui non andrà perduto. Quindi sarà sottomessa allo spirito la carne spirituale, ma carne tuttavia non spirito, come alla carne fu sottomesso lo spirito carnale, ma spirito tuttavia non carne. Del fatto abbiamo una prova concreta nella anormalità della nostra soggezione al peccato. Infatti non secondo la carne, ma senza dubbio secondo lo spirito erano carnali coloro ai quali l'Apostolo dice: Non vi ho potuto parlare come a uomini spirituali, ma come a esseri carnali 90. Si parla di uomo spirituale in questa vita, anche se è tuttora carnale nel corpo e noti nelle sue membra un'altra legge che contrasta alla legge della sua coscienza 91. Sarà invece spirituale anche nel corpo quando quella stessa carne risorgerà in modo che si avveri quel che è stato scritto: Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale 92. Quale sia poi e quanto grande la bellezza del corpo spirituale, temo, dato che non fa ancora parte della nostra esperienza, che sia temerario ogni pensiero che su di essa si esprime. Però a lode di Dio non si deve passare sotto silenzio la gioia della nostra speranza, ed è stato detto dagli intimi precordi di un ardente, santo amore: Signore, amo la bellezza della tua casa 93. Quanto sia grande quel dono che egli in questa vita molto tormentata concede ai buoni e ai cattivi, supponiamo col suo aiuto, nei limiti del possibile, che è molto grande quel dono di cui, non avendolo sperimentato, non siamo capaci di parlarne degnamente. Non parlo infatti del tempo in cui egli creò l'uomo retto, non parlo della vita immune da fatica dei due coniugi nella felicità del paradiso terrestre 94, poiché fu un tempo così breve che non giunse alla conoscenza dei figli. Ma riguardo all'esistenza che conosciamo e in cui tuttora viviamo, in cui non cessiamo di subire le tentazioni, anzi, finché siamo in essa, la totale tentazione che essa è, anche se progrediamo nel bene, chi potrà spiegare quali siano i segni della bontà di Dio nei confronti del genere umano?.

La vita eterna (22-30)

Abiezione della vita umana.
22. 1. Per quanto riguarda la prima origine, la vita stessa, se di vita si deve parlare, piena di tanti e grandi mali, attesta che tutta la discendenza di esseri soggetti alla morte fu condannata. Che altro significa infatti un certo abisso dell'ignoranza, da cui promana l'errore che ha accolto tutti i figli di Adamo in una specie di baratro tenebroso sicché l'uomo non se ne può liberare senza fatica, sofferenze, timore? Che cosa sta ad indicare l'amore di tante cose inutili e nocive? Da esso infatti derivano le preoccupazioni affannose, i turbamenti, le afflizioni, i timori, le pazze gioie, le discordie, le liti, le guerre, i tradimenti, i furori, le inimicizie, l'inganno, l'adulazione, la frode, il furto, la rapina, la slealtà, la superbia, l'ambizione, l'invidia, gli omicidi, i parricidi, la crudeltà, la spietatezza, l'ingiustizia, la lussuria, l'insolenza, la sfrontatezza, l'impudicizia, le fornicazioni, gli adultèri, gli incesti e contro la natura dell'uno e dell'altro sesso i tanti stupri e atti impuri che è vergogna perfino parlarne, i sacrilegi, le eresie, le bestemmie, gli spergiuri, le oppressioni degli innocenti, le calunnie, gli inganni, le concussioni, le false testimonianze, le condanne ingiuste, le violenze, i furti e ogni altro tipo di malvagità che non viene in mente e tuttavia non scompare dalla vita umana nel tempo. Per la verità sono colpe proprie degli uomini malvagi, ma provengono da quella radice dell'errore e dell'amore pervertito, con cui nasce ogni figlio di Adamo. Difatti chi ignora con quanta ignoranza della verità, che è già palese nei bambini, e con quale eccesso di cattiva inclinazione, che comincia già ad apparire nei fanciulli, l'uomo viene all'esistenza? Perciò se gli si consente di vivere come vuole e di fare tutto ciò che vuole, giunge a tutti o a molti di questi delitti che ho enumerato o che non mi è stato possibile di enumerare.

Difficoltà dell'educazione.
22. 2. Ma in virtù dell'ordinamento divino, che non abbandona completamente i colpevoli e nella bontà di Dio, che non trattiene nella propria ira gli atti della sua benignità 95, la correzione e l'apprendimento vegliano sulle facoltà stesse del genere umano contro le tenebre, nelle quali veniamo all'esistenza e, sebbene anch'essi siano pieni di affanni e di dolori, si oppongono agli impulsi. Che cosa infatti vogliono ottenere i molteplici spauracchi, che si adoperano per reprimere la frivolezza dei piccoli, che cosa vogliono raggiungere gli educatori, gli insegnanti, le bacchette, le sferze, gli scudisci, che cosa il castigo con cui la sacra Scrittura dice che si devono battere le costole dell'amato figliolo affinché non cresca senza essere corretto, poiché in seguito, restio a essere corretto, o lo potrebbe con difficoltà o non lo potrebbe affatto? 96. Che cosa si vuole ottenere con tutte queste punizioni, se non che sia debellata l'ignoranza e frenata la cattiva inclinazione, mali con i quali veniamo al mondo? Cosa significa infatti che ricordiamo con fatica, dimentichiamo con facilità, apprendiamo con fatica, senza fatica rimaniamo ignoranti, con fatica siamo intraprendenti, senza fatica inerti?. Da questi fatti non si evidenzia forse in quale senso e come per un peso sia incline e incurvata la natura viziata e di quale soccorso abbia bisogno per essere liberata? L'accidia, l'indolenza, la pigrizia, la negligenza sono certamente vizi con cui si evita il lavoro poiché il lavoro, anche quello che dà profitto, è una punizione.

Gli infiniti mali della vita...
22. 3. Ma oltre alle punizioni dei fanciulli, senza le quali non si può apprendere quel che vogliono gli anziani, i quali non del tutto utilmente vogliono qualcosa, chi può esporre a parole con quante e grandi pene, che non riguardano la malvagità e la cattiveria dei disonesti, ma la infelice condizione di tutti, sia sconvolto l'uman genere? Chi lo può esprimere col pensiero? Provengono grande paura e disgrazia dal pianto dovuto alle perdite, dai danni e condanne, dagli inganni e imposture degli uomini, dai falsi sospetti, da tutti i misfatti e delitti della violenza degli altri. Avvengono quindi il saccheggio e l'asservimento, i ceppi e le prigioni, gli esili e le torture, l'amputazione di membra e la privazione di sensi, la violenza carnale per appagare l'oscena passione di chi usa violenza e molti altri fatti raccapriccianti. Che di più? Provengono anche dalle numerose contingenze che si temono per il corpo dall'esterno, dal freddo e caldo, dalle tempeste, rovesci improvvisi, inondazioni, lampi, tuoni, grandine, fulmine, da terremoti con squarci del suolo, dagli schiacciamenti di edifici che crollano, dalle reazioni e paura o anche cattiveria dei giumenti, dai tanti veleni delle piante, dell'acqua, dell'aria e delle bestie, dal morso soltanto fastidioso o anche mortale delle belve, da idrofobia che si attacca da un cane rabbioso al punto che anche una bestia graziosa e amica del suo padrone si fa temere talora più intensamente e dolorosamente dei leoni e serpenti e rende l'uomo, che per caso ha addentato, così rabbioso per trasmissione virale che dai genitori, coniuge e figli è temuto più di qualsiasi bestia. Quanti pericoli subiscono i naviganti, quanti coloro che compiono viaggi per terra! Chi cammina senza essere soggetto a impensate evenienze da ogni parte? Un tale, nel tornare a piedi dalla piazza a casa, cadde, si fratturò un piede e per quella ferita chiuse la propria vita. Che cosa è più sicuro di uno che sta seduto? Eppure il sacerdote Eli cadde dallo scranno in cui sedeva e morì 97. Gli agricoltori, anzi tutti gli uomini temono molti e gravi incidenti per i prodotti dei campi dal cielo, dalla terra e dagli animali nocivi. Però di solito sono tranquilli sul grano raccolto e riposto. Ma ad alcuni, che conosciamo, il fiume all'improvviso, mentre gli uomini se la davano a gambe, trascinò e asportò dai granai un'ottima produzione di grano. Chi si fida della propria coscienza contro i multiformi attacchi dei demoni? Appunto perché nessuno si fidi di essa tormentano talora perfino i bimbi battezzati, che certamente sono gli esseri più innocenti, in modo che soprattutto in essi si renda palese, Dio permettendolo, che è da compiangere l'infelicità di questa vita e da desiderare la felicità dell'altra. Dal corpo stesso provengono le sofferenze delle malattie, così numerose che neanche nei libri dei medici sono elencate al completo. In molte di esse, e quasi in tutte, anche le stesse terapie e le medicine sono un tormento, sicché gli uomini sono tirati fuori dal danno delle pene con il soccorso di una pena. E un caldo spaventoso non ha forse costretto gli uomini a bere l'orina umana o perfino la propria? E la fame non ha forse costretto gli uomini a non potersi astenere dalla carne umana e a cibarsi non di uomini trovati morti, ma uccisi allo scopo e non estranei, ma perfino le madri i figli con l'incredibile crudeltà causata dalla fame rabbiosa? Chi infine può spiegare a parole in quali proporzioni turbi il sonno? Esso infatti, che in senso proprio ha avuto il nome di riposo, è spesso affannoso per le visioni illusorie dei sogni e sconvolge l'anima e i sensi con grandi spaventi, sia pure con fatti apparenti che presenta e in certo senso rappresenta in modo tale che non è possibile distinguerli da quelli reali. Da illusorie visioni anche gli individui svegli sono agitati in modo più compassionevole mediante disturbi nevrotici, sebbene con una multiforme varietà d'inganno i malvagi demoni talora raggirino uomini anche sani con simili visioni illusorie. In tal modo, anche se mediante esse non possono accalappiarli fra le cose proprie, per lo meno frustrano la loro coscienza col solo impulso di una qualunque illusoria apparenza.

... dai quali ci libera il Signore.
22. 4. Dal quasi inferno di una vita tanto infelice ci libera soltanto la grazia di Cristo Salvatore, Dio e Signore nostro. E questo nome è lo stesso Gesù, che significa appunto il Salvatore 98. Si ottiene così che dopo questa vita non ci colga una vita eterna più infelice, che non è vita ma morte. Infatti in questa, sebbene vi siano i grandi soccorsi dei rimedi mediante i sacramenti e i santi, tuttavia non sempre gli stessi sono accordati a coloro che li chiedono affinché non si pratichi la religione per questi motivi, giacché si deve piuttosto praticare per l'altra vita, in cui non vi sarà alcun male. E proprio per questo la grazia aiuta i più buoni nelle pene della vita affinché siano sopportate con un sentimento tanto più coraggioso quanto più religioso. I dotti della cultura profana affermano che all'intento è utile anche la filosofia, poiché quella vera, dice Cicerone, gli dèi l'hanno concessa a pochi e agli uomini, soggiunge, non è stato da loro dato un dono più grande né poteva essere dato 99. Anche coloro, contro i quali stiamo discutendo, sono stati costretti in certo senso ad ammettere la grazia divina nel professare non una qualsiasi, ma la vera filosofia. Se a pochi infatti, per dono divino, è stato concesso l'unico soccorso della vera filosofia contro le infelicità di questa vita, anche da questo fatto appare che il genere umano è stato condannato ad espiare le pene dell'infelicità. E poiché pari a questo, come ammettono, non è stato concesso un dono divino più grande, così si deve credere che da nessun dio si può concedere se non da colui, del quale anch'essi, che onorano molti dèi, affermano che non ve n'è uno più grande.

Precario equilibrio fra il bene, il male e la grazia.
23. Oltre i mali di questa vita, che sono comuni ai buoni e ai cattivi, i giusti hanno, mentre essa scorre, alcune particolari attenzioni con cui si schierano contro i vizi e si voltano e rivoltano nelle prove e pericoli di simili lotte. Ora più impetuosamente, ora più blandamente, ma ognora la carne non desiste ad avere desideri contrari allo spirito e lo spirito contrari alla carne 100, sicché non facciamo quel che vogliamo se acconsentiamo a ogni cattivo impulso; invece non acconsentendo, per quanto ci è possibile con l'aiuto della grazia di Dio, lo assoggettiamo a noi stando all'erta con una costante attenzione. E questo affinché non inganni l'infondata certezza di ciò che sembra vero, non suggestioni un discorso scaltro, non offuschino le tenebre di qualche errore, non si creda male ciò che è bene e bene ciò che è male, il timore non distolga dalle azioni che si devono compiere, il sole non tramonti sulla nostra ira 101, le inimicizie non spingano a ricambiare male per male 102, non avvilisca una disonesta o smodata tristezza, una mente ingrata non induca all'indifferenza del bene che si deve compiere, una buona coscienza non sia importunata dalle dicerie della maldicenza, un nostro sospetto temerario sull'altro non c'inganni e il falso dell'altro su di noi non ci butti a terra, non regni il peccato nel nostro corpo mortale per obbedire ai suoi desideri, non siano usate le nostre membra come armi di malvagità per il peccato 103, l'occhio non ceda alla sensualità, non vinca il desiderio di vendicarsi, la vista e il pensiero non si soffermino in ciò che attrae alla cattiveria, non si ascolti liberamente un discorso ingiusto o indecente, non si faccia ciò che non è lecito, anche se piace, in questa aperta battaglia di affanni e sofferenze non si speri di ottenere la vittoria con le nostre forze o, una volta ottenutala, non si attribuisca alle nostre forze, ma alla grazia di colui, di cui dice l'Apostolo: Rendiamo grazie a Dio, che ci concede la vittoria mediante il Signore nostro Gesù Cristo 104; e in un altro passo: In tutte queste cose siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati 105. Cerchiamo di capire tuttavia che, sebbene resistiamo ai vizi col grande coraggio della lotta o anche se li superiamo e debelliamo, non è possibile, finché siamo in questo corpo, che manchi il motivo di dover dire: Rimetti a noi i nostri debiti 106. Nel regno dei cieli, in cui saremo col corpo non soggetto a morire, non avremo né lotte né debiti ed essi non sarebbero in nessun luogo e in nessun tempo, se la natura si fosse mantenuta retta come è stata creata. Quindi anche questo nostro conflitto, nel quale corriamo un rischio e da cui aneliamo liberarci con la vittoria finale, appartiene ai mali di questa nostra vita, di cui costatiamo la punizione attraverso la testimonianza di tanti e sì grandi mali.

Beni e bellezze della terra: a) propagazione;
24. 1. Ed ora si deve esaminare di quali e quanti beni la bontà di colui, che governa tutte le cose che ha creato, ha colmato l'infelicità del genere umano, nella quale ha lode la giustizia di lui che punisce. Prima di tutto segnaliamo la benedizione che proferì prima del peccato dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra 107, e che dopo il peccato non ha voluto rievocare e rimase nella discendenza condannata la fecondità concessa. Neanche la disobbedienza del peccato, con la quale ci è piombata addosso la fatale legge del morire, è riuscita ad eliminare la meravigliosa energia dei semi, anzi quella più meravigliosa, con cui essi si producono, inserita e in un certo senso intessuta nel corpo umano. Ma in questo quasi fiume impetuoso corrono insieme l'uno e l'altro: il male che è derivato dal progenitore, il bene che è concesso dal Creatore. Nel male di origine si hanno due significati: il peccato e il castigo; nel bene di origine altri due: la propagazione e la conservazione della forma. Ma per quanto attiene al nostro intento in atto, abbiamo già parlato abbastanza dei mali, di cui uno deriva dalla nostra temerità, cioè il peccato, l'altro dal giudizio di Dio, cioè la punizione. Ora ho deciso di parlare dei beni che Dio ha accordato anche alla natura corrotta e punita o fino ad ora accorda. Difatti punendo o non ha tolto il tutto che aveva concesso, altrimenti esso non esisterebbe affatto; o non ha escluso la natura dal suo potere, anche se per pena l'ha assoggettata al diavolo, poiché neanche lui ha respinto dal suo ordinamento. Difatti Egli, che esiste nel tutto dell'essere e fa che esista tutto ciò che in qualche modo esiste, fa che persista nell'essere anche la natura del diavolo.

b) conservazione della forma;
24. 2. Egli dunque con la sua benedizione ha accordato all'inizio delle opere del mondo la propagazione di quei due beni che, come abbiamo detto, sgorgano come dalla sorgente della sua bontà anche nella natura viziata dal peccato e condannata alla pena. Da tali opere Egli si è riposato al settimo giorno, ma la conservazione della forma persiste nell'opera con cui fino ad ora dà l'essere 108. Se sottraesse dalle cose l'efficienza del suo potere, esse non potrebbero conservarsi e con movimenti misurati far fluire il tempo e certamente non si conserverebbero fino a un certo punto nella specie in cui sono state create. Dunque Dio ha creato l'uomo in modo da aggiungere anche la fecondità con cui realizzare la procreazione di altri uomini, inserendo anche in essi la possibilità non la necessità di procreare. Ha sottratto però la fecondità ad individui che ha voluto e sono stati sterili, ma non ha sottratto la fecondità concessa all'inizio ai primi due coniugi con una benedizione per tutti. La propagazione, sebbene non sottratta col peccato, tuttavia non è quella quale sarebbe stata, se non vi fosse stato il peccato. Dal momento in cui l'uomo, fregiato di dignità, per avere trasgredito è stato eguagliato alle bestie 109, genera come loro, tuttavia in lui non si è spenta una determinata quasi scintilla dell'intelligenza, nella quale è stato creato a immagine di Dio 110. Se alla propagazione non si applicasse la conservazione della forma, neanche la propagazione si svolgerebbe nelle forme e modalità dovute al suo genere. Se gli uomini non si fossero accoppiati e, ciò nonostante, Dio volesse riempire la terra di uomini, come ne ha creato uno senza l'unione di maschio e femmina, potrebbe creare tutti allo stesso modo e coloro che si accoppiano non possono procreare se egli non crea. L'Apostolo riguardo all'educazione spirituale, con cui l'uomo si forma alla religione e alla moralità, dice: Non chi attende alla semina e alla irrigazione è qualcosa, ma Dio che fa crescere 111. Egualmente si può dire al caso nostro: "Non l'uomo che si accoppia e sparge il seme è qualcosa, ma Dio che dà la forma; non la madre che gesta il feto e nutrisce il nato è qualcosa, ma Dio che fa crescere". Infatti con il medesimo atto, con cui attua fino al presente, ottiene che i semi raggiungano la quantità dovuta e da nascosti, invisibili involucri, risultino nelle forme visibili della bellezza che ammiriamo. Ed Egli, congiungendo e unendo con misure ammirevoli, rende essere animato la natura incorporea e la corporea, quella in alto, questa in basso. E quest'opera è tanto grande e meravigliosa che a chi ben riflette impone l'ammirazione del pensiero e suscita la lode al Creatore, non solo riguardo all'uomo perché è un animale ragionevole e perciò superiore e più nobile di tutti gli esseri animati della terra, ma anche riguardo al più piccolo moscerino.

c) meravigliosa dotazione dell'uomo;
24. 3. Egli ha dunque concesso la facoltà di pensare all'anima umana, nella quale, per quanto riguarda il bambino, la ragione e l'intelligenza sono senza funzione, come se non esistessero. Tale facoltà si deve quindi stimolare e sviluppare col crescere dell'età in modo che sia capace di ragionamento e istruzione e disponibile all'apprendimento della verità e dell'amore del bene, e con tale capacità raggiunga la sapienza, sia dotata delle virtù mediante le quali, con prudenza, fortezza, temperanza, giustizia si opponga agli errori e agli altri vizi congeniti e vinca soltanto nel desiderio del Bene sommo e immutabile. Ed anche se non raggiunge lo scopo, chi può dire o pensare con competenza quale grande bene sia la capacità, disposta per dono di Dio nella creatura ragionevole, di raggiungere tali beni e quanto meravigliosa sia l'opera dell'Onnipotente? Oltre alle arti del bene vivere e giungere alla felicità eterna, che si definiscono virtù e sono concesse ai figli del regno e della promessa soltanto con la grazia di Dio che è in Cristo, forse che dall'ingegno umano non sono state inventate ed esercitate molte e insigni arti, in parte legate al bisogno, in parte al piacere? Ma il prestigioso vigore della mente e ragione, anche attraverso i beni superflui, anzi pericolosi e dannosi che appetisce, attesta quale grande bene abbia nella natura, dalla quale ha potuto derivare, imparare o esercitare queste arti. L'umana operosità è giunta a confezioni meravigliose e stupende di abbigliamenti ed edifici, ha progredito nell'agricoltura e nella navigazione, ha ideato ed eseguito opere nella produzione di varie ceramiche ed anche nella varietà di statue e pitture, ha allestito nei teatri azioni e rappresentazioni ammirevoli per gli spettatori, incredibili per gli uditori; ha usato molti e grandi mezzi per catturare, uccidere e domare gli animali irragionevoli; ha inventato tutti i tipi di veleni, di armi, di strumenti contro gli uomini stessi; per difendere e ricuperare la salute molte medicine e sussidi; ha scoperto molti condimenti e stimoli della gola per il piacere del gargarozzo; per suggerire e inculcare i pensieri una grande moltitudine e varietà di segni, fra cui prevalgono le parole e lo scritto; per dilettare gli animi i magnifici ornamenti del discorso e una grande abbondanza di varie composizioni poetiche; per incantare l'udito ha ideato tanti strumenti musicali e magnifici ritmi di canto; ha esposto con grande acutezza d'ingegno l'esatta conoscenza della geometria e dell'aritmetica e il corso di collocazione degli astri; si è arricchita di una profonda conoscenza della fisica. Ma chi potrebbe esporre tutto, specialmente se non vogliamo trattare tutti gli argomenti sommariamente, ma esaminarli uno per uno? Infine, chi potrebbe giudicare con criterio come si distinse l'ingegno di filosofi ed eretici nel difendere errori e assurdità? Parliamo infatti della natura dell'intelligenza umana, con cui si sublima questa vita destinata a finire, non della fede e del cammino della verità con cui si raggiunge l'immortalità beata.

Poiché il creatore di questa natura tanto eminente è Dio vero e sommo dal momento che Egli dirige al fine tutti gli esseri che ha creato ed ha potere e giustizia al di là di ogni limite, la natura umana certamente non sarebbe nella infelicità presente e da essa non andrebbe alla infelicità eterna, esclusi soltanto coloro che si salveranno, se non fosse avvenuto precedentemente il peccato troppo grande del primo uomo, dal quale gli altri discendono.

d) prestigio del corpo umano;
24. 4. Quanta bontà di Dio e quanta provvidenza del grande Creatore si manifesta nel corpo stesso, sebbene esso per la soggezione al morire sia comune con le bestie e più debole nell'uomo che in molte di esse. Infatti in esso la posizione dei sensi e le altre membra non sono forse così disposte, l'aspetto, l'atteggiamento e la statura di tutto il corpo non sono forse così regolati che esso si rivela organizzato per il servizio dell'anima razionale? Notiamo appunto che l'uomo non è stato creato come gli animali privi di ragione e chini verso la terra, ma la forma del corpo, che si erge verso il cielo, fa pensare che egli capisca le cose dell'alto 112. La sorprendente facilità di movimento, che è stata assegnata alla lingua e alle mani, appropriata e congiunta al parlare e allo scrivere e a compiere le opere di molte tecniche e servizi, non dimostra forse chiaramente a quale anima, per esserle sottomesso, è stato unito un corpo simile? Però, a parte le inevitabili contingenze dell'agire, l'accordo di tutte le parti è così ritmico e attraente e si corrisponde con tale limpida simmetria che non sai se nel formarlo è stato osservato di più il criterio dell'utilità che della bellezza. Difatti possiamo notare che nulla è stato creato nel corpo per motivo di utilità che non abbia anche una nota di bellezza. Sarebbe per noi più evidente se conoscessimo i ritmi delle dimensioni per cui tutte le componenti sono tra di loro connesse e proporzionate. L'umana ingegnosità potrebbe compiere un'indagine su tali ritmi con attenzione a quelli che si manifestano all'esterno, ma nessuno può reprimere quelli che sono nascosti e non accessibili alla nostra osservazione, come il grande groviglio di vene, nervi e viscere, nascondiglio di funzioni vitali. Infatti una spietata indagine dei medici, che chiamano anatomisti 113, ha lacerato i corpi dei morti o anche di coloro che morivano sotto le mani di chi li spaccava per osservare e ha frugato molto disumanamente nelle carni umane le funzioni nascoste per imparare che cosa, con quali mezzi e in quali parti si deve curare. Ma che dovrei dire? Nessuno è riuscito a trovare, poiché nessuno ha osato ricercare i ritmi, di cui sto parlando e da cui si compone, dentro e fuori, l'accordo, che in greco, come se fosse uno strumento musicale, si dice , di tutto il corpo. Se potessero essere noti anche negli intestini, che non presentano alcuna attrattiva, darebbe tanto diletto la bellezza della proporzione la quale, su giudizio dell'intelligenza che impegna la vista, prevarrebbe su ogni formosità apparente che piace alla vista. Vi sono alcune parti così disposte nel corpo che hanno soltanto attrattiva, non utilità, come il petto virile che ha le mammelle, il viso la barba, la quale non è di difesa ma di prestigio, come indicano le facce glabre delle donne che, essendo più deboli, conveniva proteggere con un più sicuro riparo. Dunque fra le membra ragguardevoli, delle quali nessuno dubita, non ve n'è alcuna che non sia proporzionata a una determinata funzione e al tempo stesso anche formosa; ve ne sono alcune invece che hanno soltanto attrattiva e non utilità. Penso quindi che si debba capire che nella formazione del corpo ha prevalso la prestanza sulla funzione. Passerà dunque la soggezione alla contingenza e verrà il tempo in cui godremo senza passione della bellezza altrui scambievolmente. E dobbiamo volgere il fatto in ringraziamento al Creatore, al quale si dice in un Salmo: Sei rivestito di gloria e di attrattiva 114.

e) bellezza della creazione.
24. 5. Poi con quale discorso si può esprimere la restante bellezza e utilità della realtà creata che dalla bontà di Dio è stata accordata all'uomo, sebbene gettato alla condanna negli affanni e nell'infelicità del tempo, per ammirarla e usarla? Nella multiforme e varia bellezza del cielo, della terra e del mare, nella grande profusione e meraviglioso splendore della luce stessa nel sole e luna e nelle stelle, nella ombrosità dei boschi, nel colore e odore dei fiori, nella diversità e numero degli uccelli ciarlieri e variopinti, nella diversa vaghezza di tanti e tanto grandi animali, fra i quali destano maggiore ammirazione quelli che hanno il minimo della grossezza, perché ammiriamo di più l'operosità delle formiche e delle api che i corpi immensi delle balene, e nella immensa veduta del mare quando, come di una veste, si ricopre di vari colori e talvolta è verde nelle varie gradazioni, talora color porpora, talora azzurro. Si ammira anche con molta soddisfazione quando è in tempesta perché affascina chi guarda appunto perché non lo sbatte e sconvolge come navigante. Che cosa suggerisce contro la fame la svariatissima abbondanza di cibi? Che cosa contro la schifiltosaggine la diversità dei sapori, diffusa dalla ricchezza della natura e non dalla tecnica e lavoro dei cuochi? Che cosa nelle varie circostanze i sussidi per difendere o recuperare la salute? Com'è gradevole l'avvicendarsi del giorno e della notte, la carezzevole tiepidezza delle brezze! Quant'è grande la provvista, in arbusti e bestiame minuto, per confezionare tessuti! Chi potrebbe passare in rassegna tutto? Se volessi spiegare e sviluppare soltanto quegli argomenti che da me, come involucri piegati, sono stati accatastati in una specie di mucchio, mi sarebbe indispensabile una sosta prolungata perché in essi sono contenute molte cose da dire. Eppure tutti questi beni sono sollievi d'infelici e condannati, non premio dei beati. Che cosa sarà dunque quel bene se questi sono tanti, così considerevoli e grandi? Che cosa darà a coloro che ha predestinato alla vita colui che li ha anche dati a coloro che ha predestinato alla morte? Quali beni farà avere nella vita beata a coloro per i quali in questa vita infelice ha voluto che il suo Figlio unigenito soffrisse tanti mali fino alla morte? Per questo l'Apostolo, parlando dei predestinati al regno dei cieli, dice: Egli che non ha perdonato il suo Figlio unigenito, ma l'ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? 115. Quando si adempirà questa promessa, saremo una grande realtà, un grande valore! Quale bene riceveremo nel regno dei cieli dal momento che con la morte di Cristo per noi abbiamo ricevuto una simile caparra. Quanto nobile sarà l'anima dell'uomo perché essa non avrà più alcuna passione, alla quale sia soggetta, alla quale ceda o contro la quale, sia pure lodevolmente, debba contendere, in quanto è perfetta di una virtù pienamente garante di pace. Vi sarà una grande, abbagliante, certa scienza di tutte le cose, senza errore e inquietudine, perché lì si berrà la sapienza dalla sua stessa sorgente con somma serenità, senza difficoltà. Grande perfezione avrà il corpo che, completamente soggetto allo spirito e da lui con pienezza vivificato, non avrà bisogno di cibi. Difatti non sarà animale ma spirituale perché ha certamente l'essere della carne ma senza la soggezione della carne al divenire.

Significato apologetico della fede dei credenti.
25. I celebri filosofi non dissentono da noi riguardo ai beni spirituali, di cui l'anima sommamente felice godrà dopo questa vita; si oppongono sulla risurrezione della carne, la negano com'è loro possibile. Ma i molti che la credono hanno abbandonato i pochissimi che la negano e a Cristo, che ha mostrato con la sua risurrezione ciò che a costoro sembra assurdo, con sentimento di fede si sono convertiti i dotti e gli indotti, i sapienti del mondo e gli insipienti. Il mondo ha creduto ciò che ha predetto Dio, il quale ha predetto anche che il mondo avrebbe creduto questa verità. E non dalle magiche falsificazioni di Pietro è stato costretto a preannunziare quelle verità con il riconoscimento dei credenti tanto tempo prima. Egli è quel Dio che, come ho già detto alcune volte 116, e non mi rincresce di ripetere, le divinità stesse paventano per ammissione di Porfirio, che pretende provarlo con gli oracoli dei propri dèi, eppure lo ha riconosciuto al punto di chiamarlo Dio, Padre e Re 117. Ma non sia mai che le predizioni di Dio si debbano intendere nel senso inteso da costoro, i quali non hanno creduto col mondo la verità che, come ha predetto, il mondo avrebbe creduto. Ma perché non s'intende piuttosto nel senso in cui il mondo l'avrebbe creduta, come è stato predetto tanto tempo prima, e non nel senso in cui pochissimi cianciano perché non hanno voluto credere questa verità col mondo che, come predetto, l'avrebbe creduta? Ma supponiamo che essi affermino che quelle parole si debbano interpretare in altro senso per non recare ingiuria, se dicessero che sono state ispirate dalle bugie, a quel Dio a cui rendono una sì grande testimonianza. Ma gli recano una eguale e più grave ingiuria, se affermano che le parole si devono interpretare in senso diverso da come le ha credute il mondo, perché egli ha raccomandato e attestato che il mondo avrebbe creduto e lo ha attuato. Forse che Egli non può fare che la carne risorga e viva in eterno o non si deve credere che lo farà appunto perché è un male ed è indegno di Dio? Abbiamo già parlato molto della sua onnipotenza che può operare tanti e grandi fatti al di là della conoscenza umana. Se vogliono riscontrare qualcosa che l'Onnipotente non può fare, l'hanno sicuramente, lo dirò io: non può mentire. Crediamo dunque a quel che può non credendo a quel che non può. Dunque non credendo che possa mentire credano che compirà quel che ha promesso di compiere e così credano come ha creduto il mondo, di cui Egli ha predetto che avrebbe creduto, a cui ha raccomandato di credere ed ha assicurato che avrebbe creduto e fa notare che ha già creduto. E come possono insistere che la risurrezione è un male? Nell'eternità non vi sarà la soggezione al divenire che è il male del corpo. Abbiamo già discusso della disposizione degli elementi, abbiamo già parlato delle altre supposizioni degli uomini. Nel libro tredicesimo dell'opera abbiamo dimostrato abbastanza, come penso, dal confronto con l'attuale buona salute, che certamente non si può paragonare a quella immortalità, quanto sia grande la facilità di movimento del corpo non soggetto al divenire 118. Coloro che non hanno letto o vogliono ripassare quel che hanno letto, leggano gli argomenti di quest'opera già trattati.

Validità del pensiero di Platone.
26. Ma Porfirio dice, soggiungono, che perché l'anima sia felice si deve abbandonare ogni corpo 119. Quindi non giova nulla dire che il corpo sarà immune dal divenire se l'anima non sarà felice, qualora non abbia evitato ogni corpo. Ma anche di questo ho discusso quanto conveniva nel libro citato 120, però al momento ne richiamerò un solo assunto. Platone, maestro di tutti costoro, corregga i suoi libri e dica che i loro dèi, per essere felici, abbandoneranno il proprio corpo, cioè moriranno perché ha detto che sono uniti a corpi celesti. Tuttavia Dio, da cui sono stati posti nell'essere, ha promesso ad essi l'immortalità, cioè la persistenza nel medesimo corpo, non perché lo comporta la loro natura ma perché prevale la sua decisione 121. In quel passo rovescia anche l'altra loro affermazione che la risurrezione della carne non si deve credere perché è impossibile. Infatti molto apertamente, secondo il medesimo filosofo, nel testo in cui Dio increato promise l'immortalità agli dèi da lui creati, affermò che avrebbe compiuto ciò che è impossibile. Platone narra che parlò in questi termini: Poiché avete avuto un inizio, non potete essere immortali e immuni dal disfacimento; tuttavia ne sarete immuni e non vi stroncheranno i destini di morte e non saranno più potenti della mia decisione che per la perennità è un vincolo superiore a quelli con i quali siete uniti 122. Se non solo non sono stonati, ma neanche sordi coloro che ascoltano queste parole, non dubitano che a quegli dèi, creati dal Dio che li ha creati, fu promesso ciò che secondo Platone è impossibile. Chi dice: "Voi non potete essere immortali ma per il mio volere lo sarete", non dice altro che: "Con la mia azione voi sarete ciò che è impossibile che avvenga". Dunque risusciterà la carne immune dal divenire, immortale, spirituale colui che, secondo Platone, ha promesso di fare ciò che è impossibile. Perché dunque affermano ancora essere impossibile che Dio ha attestato una tal cosa, che il mondo ha creduto alla sua attestazione e che di esso è stato attestato che avrebbe creduto, quando noi affermiamo che lo compirà Dio che, anche secondo Platone, compie opere impossibili? Dunque perché le anime siano felici non si deve abbandonare ogni corpo, ma ricevere un corpo immune dal divenire. E in quale corpo immune dal divenire si allieteranno più convenientemente che in quello in cui, quando era soggetto al divenire, hanno sofferto? In tal modo non vi sarà in loro quella disumana passione che Virgilio ha desunto da Platone con le parole: E di nuovo incomincino a voler tornare nei corpi 123. In tal modo, ripeto, le anime non avranno la passione di ritornare al corpo, poiché il corpo, con cui desiderano tornare, l'avranno con sé e l'avranno in modo da averlo per non lasciarlo mai più con una morte qualsiasi, sia pure per breve tempo.

Accordo tra Platone e Porfirio.
27. Platone e Porfirio, ciascuno per conto proprio, hanno esposto dei pensieri che se avessero potuto concertare fra di loro, probabilmente sarebbero divenuti cristiani. Platone ha detto che le anime non possono rimanere in eterno senza il corpo. Perciò ha detto anche che l'anima dei sapienti dopo un periodo, sia pure lungo, sarebbe tornata al corpo. Porfirio ha detto che l'anima monda per catarsi, quando sarà tornata al Padre, non tornerà più al male di questo mondo 124. Perciò se Platone avesse trasmesso a Porfirio la verità che ha intuito, cioè che anche le anime dei giusti e sapienti, monde per catarsi, torneranno al corpo umano e viceversa se Porfirio avesse trasmesso a Platone la verità che ha intuito, cioè che le anime sante non torneranno all'infelicità del corpo soggetto al divenire in modo che non l'uno o l'altro separatamente, ma tutti e due insieme affermassero l'una e l'altra verità, penso che noterebbero la conseguente deduzione, che cioè le anime ritornino al corpo ed abbiano un corpo in cui vivranno una felice immortalità. Infatti secondo Platone anche le anime sante torneranno al corpo umano, secondo Porfirio le anime sante non torneranno al male di questo mondo. E allora Porfirio dica con Platone: Torneranno al corpo; e Platone con Porfirio: Non torneranno al male, e siano d'accordo che torneranno a quei corpi, in cui non subiscano alcun male. Questo sarà dunque quel bene che il Signore assicura, che cioè le anime beate vivranno in eterno con la propria carne eterna. Come penso tutti e due ci accorderebbero facilmente questa conclusione: cioè che essi, i quali ammetterebbero che le anime dei santi torneranno a corpi immuni da morte, consentano che esse tornino al proprio corpo, in cui hanno sopportato il male di questo mondo, in cui con devozione e fede hanno onorato Dio per essere immuni da quel male.

Altre testimonianze quasi favorevoli.
28. Alcuni dei nostri, che prediligono Platone per il magnifico tono di eloquenza e per alcune verità che ha enunciato, dicono che egli ha avuto qualche idea, simile a quella di noi cristiani, sulla risurrezione dei morti 125. Lo accenna anche Cicerone nei libri su Lo Stato per rilevare che intese piuttosto presentare una parabola che esporre una verità 126. Platone dice che un uomo tornò in vita e svelò alcuni fatti che appoggiavano le teorie platoniche 127. Anche Labeone afferma che due uomini morirono nello stesso giorno e che s'incontrarono a un bivio, poi fu loro ordinato di tornare al proprio corpo e stabilirono di vivere da amici e così avvenne fino alla loro morte 128. Ma questi scrittori hanno narrato che la risurrezione dei morti avvenne nella forma simile a quella di coloro che, come sappiamo, sono risuscitati e che furono restituiti a questa vita, ma non in maniera che non morissero più. Marco Varrone espone una credenza più ammirevole nei libri che intitolò: La razza del popolo romano. Ho ritenuto di citare testualmente le sue parole. Alcuni astrologi, dice, hanno scritto che per il ritorno in vita degli uomini v'è una ricorrenza, che i Greci definiscono ; hanno scritto che con essa si effettua che ogni quattrocentoquarant'anni il medesimo corpo e la medesima anima, che una volta furono uniti in un uomo, tornano nella medesima forma ad unirsi 129. Varrone o quegli astrologi, non saprei quali, perché non ha citato i nomi ma si è limitato a riportarne l'opinione, hanno sostenuto certamente un errore. Infatti quando una volta soltanto le anime saranno tornate al corpo che ebbero, non lo lasceranno più in seguito. Tuttavia abbatte e scredita molte dimostrazioni sull'impossibilità, riguardo alla quale i platonici cianciano contro di noi. A coloro che la pensano o la pensarono così, non è sembrato impossibile che tornino ad essere ciò che erano i cadaveri dispersi nell'aria, nella polvere, nella cenere, nell'acqua, nel corpo delle bestie e perfino di uomini che se ne sono nutriti. Perciò Platone e Porfirio, o piuttosto coloro che li prediligono e ancora vivono, se sono d'accordo con noi che le anime sante torneranno al corpo, come dice Platone, ma non torneranno ad alcun male, come dice Porfirio, in modo che si abbia la conclusione sostenuta dalla fede cristiana, cioè che le anime riavranno il corpo in cui vivano in eterno, senza alcun male, nella felicità, aggiungano anche da Varrone che tornano al medesimo corpo in cui erano prima. Così anche nel loro sistema il problema della risurrezione della carne sarà integralmente risolto.

Come vedremo Dio?
29. 1. Ora esaminiamo, nei limiti in cui il Signore si degna di aiutarci, cosa faranno i santi nel corpo immortale e spirituale, quando la loro carne non vivrà ancora carnalmente, ma spiritualmente. Non so, se volessi dire il vero, quale sarà il loro stato, o meglio riposo e serenità. Non ne ho mai avuto esperienza con i sensi del corpo. Se dicessi di conoscerlo con il pensiero, cioè con l'intelligenza, quanto è alta e che cos'è la nostra intelligenza nei confronti di quella sublimità? Ivi è la pace di Dio la quale, come dice l'Apostolo, sorpassa ogni intelligenza 130; soltanto la nostra o anche quella degli angeli santi? Certamente non di Dio. Se dunque i santi vivranno nella pace di Dio, certamente vivranno in quella pace che sorpassa ogni intelligenza. Non v'è dubbio che sorpassa la nostra; se poi sorpassa anche quella degli angeli, sicché appaia che chi ha detto ogni intelligenza non ha escluso neanche loro, dobbiamo interpretare la frase con questo criterio che né noi né gli angeli possiamo conoscere la pace di Dio, con la quale Dio stesso è nella pace, come la conosce Dio. Sorpassa dunque ogni intelligenza fuorché indubbiamente la propria. Ma poiché anche noi, divenuti partecipi nel nostro limite della sua pace, conosciamo la pace nel suo grado più alto in noi, fra di noi e con lui, in quello che per noi è il grado più alto, con questo limite e secondo il proprio limite la conoscono gli angeli santi; gli uomini per ora molto al di sotto, sebbene si distinguano per il progredire del pensiero. Si deve tener conto di quel che diceva un grande uomo: In parte conosciamo e in parte apprendiamo per ispirazione, fino a che giunga ciò che è perfetto 131; e ancora: Ora vediamo come attraverso uno specchio in un simbolo oscuro, allora faccia a faccia 132. Così già vedono gli angeli santi, che sono stati considerati anche i nostri angeli perché noi, essendo liberati dal potere delle tenebre e, ricevuta la caparra dello Spirito, trasferiti nel regno di Cristo 133, abbiamo cominciato ad appartenere a quegli angeli, assieme ai quali avremo in comune la santa, amabilissima città di Dio, sulla quale ho già scritto tanti libri. Così dunque sono i nostri angeli perché sono gli angeli di Dio, come il Cristo di Dio è il nostro Cristo. Sono di Dio perché non lo hanno abbandonato, sono nostri perché hanno cominciato a considerarci loro concittadini. Ha detto Gesù Signore: Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli. Vi dico infatti che i loro angeli in cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è in cielo 134. Come vedono loro, anche noi vedremo, ma ancora non vediamo in quel modo. Per questo l'Apostolo ha espresso il pensiero che ho citato poco fa: Vediamo ora come attraverso uno specchio in un simbolo oscuro, allora faccia a faccia. Come premio della fede è riservata a noi questa visione, di cui parlando l'apostolo Giovanni dice: Quando si sarà manifestato, saremo simili a lui perché lo vedremo come egli è 135. La faccia del Signore si deve interpretare come la manifestazione, non come quella determinata parte, che noi abbiamo nel corpo e designiamo con questo nome.
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