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LA CITTA' DI DIO di sant'Agostino - Libri XVII- XXII (4)

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2012 22:19
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22/12/2012 22:19

Il mistero della visione di Dio.

29. 2. Perciò quando mi si chiede cosa faranno i beati nel corpo spirituale, non dico quel che già conosco, ma dico quel che credo secondo l'espressione che leggo in un Salmo: Ho creduto e per questo ho parlato 136. Perciò dico: È nel corpo stesso che vedranno Dio, ma non è un piccolo problema se lo vedranno mediante esso, come ora mediante il corpo vediamo il sole, la luna, le stelle, il mare, la terra e gli oggetti che sono in essa. È astruso dire che i beati nell'eternità avranno un corpo tale che non possano chiudere e aprire gli occhi quando vorranno; è più astruso dire che chi di là chiuderà gli occhi non vedrà Dio. Il profeta Eliseo, fisicamente assente, vide il suo inserviente Giezi mentre riceveva un regalo datogli da Naaman il Siro che il suddetto profeta aveva liberato dalla deformità della lebbra. Era un gesto che il disonesto inserviente si illudeva di aver fatto di nascosto perché il suo padrone non lo vedeva 137. Tanto meglio i beati nel corpo spirituale vedranno ogni cosa, non solamente se chiudono gli occhi ma anche da dove sono assenti. Nell'eternità infatti sarà perfetto quello stato, di cui parlando l'Apostolo ha detto: In parte conosciamo, in parte attendiamo nella fede, ma quando giungerà ciò che è perfetto, ciò che è in parte sarà eliminato 138. E per presentare con una analogia in una forma possibile, quanto sia differente questa vita da quella futura, non di uomini di qualsiasi fatta, ma anche di quelli che al presente sono dotati di santità, aggiunge: Essendo bambino, ragionavo da bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino; ma divenuto uomo ho smesso i tratti che erano propri del bambino. Ora vediamo come attraverso uno specchio in un simbolo oscuro, allora faccia a faccia. Ora conosco in parte, allora conoscerò come sono stato conosciuto 139. Dunque in questa vita, nella quale l'attesa nella fede di uomini meravigliosi è paragonabile all'altra vita, come quella del bambino a quella dell'adulto, Eliseo ha visto, in un luogo in cui non era presente, il suo inserviente che accettava un regalo. E allora forse che quando giungerà quel che è perfetto e il corpo non più soggetto al divenire non appesantirà l'anima ma, essendo immune dal divenire, non la ostacolerà affatto, i beati, per gli oggetti che si devono vedere, avranno bisogno degli occhi del corpo, dei quali non ebbe bisogno Eliseo per vedere il suo inserviente? Secondo i Settanta queste sono le parole del profeta a Giezi: Forse che il mio cuore non è venuto con te, quando l'uomo del cocchio ti è venuto incontro e hai ricevuto il denaro? 140. Invece ha così tradotto dall'ebraico il sacerdote Girolamo: Forse che il mio cuore non era in presenza, quando l'uomo si è mosso dal suo cocchio incontro a te? Dunque il profeta ha detto di aver visto il fatto con il suo cuore attivato, senza alcun dubbio, miracolosamente da Dio. Molto più largamente tutti useranno abbondantemente di questo dono nell'eternità, quando Dio sarà tutto in tutti 141. Però anche gli occhi del corpo avranno la loro funzione, saranno al proprio posto e ne userà la coscienza mediante il corpo spirituale. Infatti il suddetto profeta, sebbene non ebbe bisogno degli occhi per vedere l'assente, non li usò per vedere gli oggetti presenti che, anche se li chiudeva, poteva tuttavia scorgere con la coscienza come ha visto gli oggetti assenti dove egli non era assieme a loro. Non pensiamo dunque che i beati nella vita eterna, se chiudono gli occhi, non vedranno Dio perché lo contempleranno perennemente con lo spirito.

Visione di Dio nello spirito.
29. 3. Ma v'è anche il problema se vedranno anche mediante gli occhi del corpo quando li terranno aperti. Se infatti anche gli occhi spirituali avranno nel corpo spirituale il medesimo potere che hanno questi nella forma in cui ora li abbiamo, senza dubbio con essi non si potrà vedere Dio. Saranno dunque di ben altro potere se mediante essi si vedrà l'incorporea natura di Dio, la quale non è limitata dallo spazio, ma è tutta in ogni spazio. Noi diciamo che Dio è in cielo e in terra, l'ha detto egli stesso attraverso il profeta: Io riempio il cielo e la terra 142. Ma non per questo potremo dire che ha una parte in cielo e un'altra in terra; ma egli è tutto nel cielo e tutto in terra e non in tempi diversi, ma l'insieme nel medesimo tempo, ciò che non può alcuna natura corporea. Quindi il vigore degli occhi dei beati sarà più funzionale, non nel senso che veggono più acutamente di come si dice che veggono alcuni serpenti e aquile, sebbene questi animali con qualsivoglia acutezza di vista non possono vedere altro che i corpi, ma nel senso che veggono anche gli esseri incorporei. E forse questo grande vigore della vista fu momentaneamente concesso, ancora nel corpo soggetto a morire, agli occhi del santo uomo Giobbe, quando disse al Signore: Io prima avevo udito parlare di te, ma ora il mio occhio ti vede, perciò mi sono sdegnato con me stesso, mi sento distrutto e ho stimato me stesso polvere e cenere 143. Tuttavia niente impedisce che nel passo s'intenda l'occhio del cuore. Di simili occhi l'Apostolo esorta ad avere illuminati gli occhi del vostro cuore 144. Che con essi si veda Dio, quando si vedrà, non ne dubita il cristiano che accetta con fede quel che ha detto il divino Maestro: Beati i misericordiosi, poiché essi vedranno Dio 145. Nella successiva ipotesi esaminiamo se Dio si veda anche con gli occhi del corpo.

Dono sublime la visione di Dio.
29. 4. Il passo della Scrittura: E ogni carne vedrà la salvezza di Dio 146, senza alcun imbarazzo si può interpretare così: "Ogni uomo vedrà il Cristo di Dio". Egli infatti è stato visto nel corpo e sarà veduto nel corpo quando giudicherà i vivi e i morti. Vi sono molte altre testimonianze della Scrittura che egli è la salvezza di Dio. Più esplicitamente esprimono questo concetto le parole del venerando vecchio Simeone il quale, avendo ricevuto fra le braccia Cristo bambino, disse: Ora tu permetti, Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza 147. Il pensiero che ha espresso Giobbe, di cui sopra, come si rinviene nei codici che provengono dal testo ebraico e cioè: E nella mia carne vedrò Dio 148, ha senza dubbio preannunziato la risurrezione della carne, però non ha detto: "Mediante la mia carne". Se l'avesse detto, si potrebbe ravvisarvi Cristo Dio che vedrà nella carne mediante la carne. Ora: Nella mia carne vedrò Dio potrebbe essere interpretato come se avesse detto: "Sarò nella mia carne quando vedrò Dio". E la frase dell'Apostolo: Faccia a faccia 149 non c'induce a credere che vedremo Dio attraverso il viso di questo corpo, in cui vi sono gli occhi del corpo, perché lo vedremo senza interruzione con la mente. Se il viso non fosse anche dell'uomo interiore, l'Apostolo non direbbe: E noi, a viso scoperto riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati nella medesima immagine, di gloria in gloria, come dall'azione dello Spirito del Signore 150. Non interpretiamo diversamente anche quel che praticamente si dice in un Salmo: Accostatevi a lui e sarete illuminati e i vostri volti non arrossiranno 151. Ci si accosta a Dio con la fede, la quale è certamente del cuore, non del corpo. Ma noi ignoriamo i validi modi che il corpo spirituale ha di accostarsi al Signore, poiché parliamo di una realtà fuori dell'esperienza e in merito non ci sovviene e non ci aiuta un passo autorevole della sacra Scrittura che non possa essere interpretato in altro senso. È necessario quindi che avvenga in noi ciò che si legge nel libro della Sapienza: I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni 152.

I filosofi e la conoscenza.
29. 5. C'è una teoria dei filosofi con la quale essi sostengono che gli oggetti intelligibili sono percepiti con l'intuizione della mente e quelli sensibili, cioè del corpo, con il senso, sicché la mente non può conoscere gli oggetti intelligibili tramite il corpo né i dati sensibili da se stessa. Se questa teoria fosse per noi assolutamente certa, sarebbe certo anche che in nessun modo si può vedere Dio mediante gli occhi del corpo, sia pure spirituale. Ma tanto un retto criterio di verità come l'autorità della rivelazione respingono una simile teoria. Chi sarebbe così alieno dal vero da dire che Dio non conosce gli oggetti corporei? Avrebbe dunque il corpo per poter apprendere mediante gli occhi? Poi quel che abbiamo detto poco fa del profeta Eliseo 153 forse che non indica abbastanza che gli oggetti corporei si possono percepire anche con la mente senza l'interferenza del corpo? Quando l'inserviente accettò la mancia, si ebbe un gesto mediante il corpo, però il profeta lo avvertì non mediante il corpo, ma con la mente. Dunque se risulta che i corpi sono percepiti con lo spirito, che difficoltà v'è se sarà così forte il potere del corpo spirituale che col corpo sia veduto anche l'essere spirituale? Dio infatti è spirito. Inoltre ciascuno con la propria coscienza, e non mediante gli occhi del corpo, avverte la propria vita, con cui ora vive nel corpo e con cui vegeta e fa vivere gli organi avvinti alla terra, ma mediante il corpo osserva la vita degli altri, sebbene non sia oggetto della vista. Infatti da che cosa distinguiamo i corpi viventi dai non viventi, se non vedessimo insieme corpi e vita che possiamo percepire soltanto mediante il corpo? Con gli occhi del corpo non vediamo infatti una vita che non sia nel corpo.

Sublime visione spirituale di Dio.
29. 6. Perciò può avvenire ed è assai credibile che noi nell'eternità vedremo i corpi del mondo di un nuovo cielo e di una nuova terra in modo da vedere con luminosa chiarezza, per ogni dove volgiamo gli occhi, tramite il corpo che avremo e attraverso quelli che osserveremo, Dio che è presente ovunque e che dirige al fine tutte le cose anche corporee. E questo avverrà non come nel tempo, in cui le invisibili perfezioni di Dio sono contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come attraverso uno specchio 154, in un oscuro simbolo e solo in parte, perché qui può più la fede con cui crediamo che la rappresentazione degli oggetti del mondo corporeo che formuliamo mediante gli occhi del corpo. Noi nell'atto che vediamo gli uomini, che vivono ed eseguono movimenti vitali e in mezzo ai quali viviamo, non per fede apprendiamo che vivono, ma li vediamo, sebbene non possiamo senza i corpi osservare la loro vita, ma la rileviamo al di là di ogni incertezza tramite i corpi. Allo stesso modo, da qualsiasi parte nell'eternità faremo muovere la luminosità spirituale dei nostri corpi, contempleremo, anche mediante i corpi, Dio che è incorporeo e dirige il tutto al fine. Dunque o Dio si vedrà mediante quegli occhi nel senso che essi abbiano in così alta sublimità una funzione simile al pensiero e con cui si possa conoscere anche la natura incorporea, ed è difficile, o meglio impossibile, chiarire tale funzione con esempi o con testi della sacra Scrittura. Ovvero, ed è un'idea più facile a comprendersi, Dio sarà a noi noto con tanta evidenza che sarà veduto con la facoltà spirituale da ognuno di noi, da uno nell'altro, in se stesso, nel nuovo cielo e nella nuova terra e in ogni creatura che esisterà nell'eternità, sarà veduto anche mediante il corpo in ogni corpo, in qualunque direzione saranno volti gli occhi del corpo spirituale con un'acutezza che raggiunge l'oggetto. Si sveleranno anche i nostri pensieri dall'uno all'altro. Allora si adempirà il pensiero dell'Apostolo che, dopo aver detto: Non giudicate nulla prima del tempo, soggiunge: Finché venga il Signore e illuminerà i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora vi sarà lode per ognuno da Dio 155.

Nella vita eterna somma serenità...
30. 1. Sarà grande la serenità dove non vi sarà alcun male, non mancherà alcun bene, si attenderà alle lodi di Dio che sarà tutto in tutti 156. Non so che altro si faccia in uno stato, in cui non si desisterà per inerzia, non ci si affannerà dal bisogno. Sono avvertito anche da un brano poetico della sacra Scrittura, in cui leggo o ascolto: Beati quelli che abitano nella tua casa, ti loderanno per sempre 157. Tutte le parti palesi o riposte del corpo immune dal divenire, che ora vediamo adibite alle varie soddisfazioni della soggezione al bisogno, poiché allora non vi sarà tale soggezione, ma piena, certa, sicura, perenne serenità, saranno attente alle lodi di Dio. Tutti i ritmi dell'armoniosa proporzione del corpo, dei quali ho già parlato 158, che ora sono latenti, allora non lo saranno. Essi, disposti dentro e fuori in tutte le parti del corpo, assieme alle altre cose che nell'eternità appariranno grandi e meravigliose, infiammeranno col lirismo della bellezza intelligibile fondata sul numero le intelligenze capaci del numero alla lode di un sì grande Artefice. Non oso stabilire quali saranno i movimenti dei corpi perché non sono capace di immaginarlo, tuttavia movimento e pausa, come pure la figurazione, qualunque sia, sarà conveniente perché lì quel che non sarà conveniente non vi sarà affatto. Certamente dove vorrà l'anima spirituale, vi sarà immediatamente il corpo; e l'anima spirituale non vorrà qualcosa che potrebbe non convenire né a lei né al corpo. Vi sarà vera gloria perché nell'eternità nessuno sarà lodato per un errore di chi loda o per adulazione. Vi sarà vero onore che non sarà negato a chi ne è degno, non sarà concesso a chi ne è indegno, ma un indegno non lo bramerà perché lì non è ammesso un uomo indegno. Vi sarà una vera pace perché non vi sarà contrasto né da sé né dall'altro. Premio della virtù sarà colui che ha dato la virtù e alla virtù ha dato se stesso, del quale nulla vi può essere di più buono e di più grande. Difatti quel che ha promesso mediante il profeta: Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo 159 non significa altro che: "Io sarò colui da cui saranno appagati, io sarò tutte le cose che dagli uomini sono desiderate onestamente: vita, benessere, vitto, ricchezza, gloria, onore, pace e ogni bene". In questo senso si interpretano rettamente anche le parole dell'Apostolo: Affinché Dio sia tutto in tutti 160. Egli sarà il compimento di tutti i nostri desideri, perché sarà veduto senza fine, amato senza ripulsa, lodato senza stanchezza. Questo dono, questo amore, questa azione saranno comuni a tutti, come la stessa vita eterna.

... pace e concordia...
30. 2. Del resto chi è in grado di pensare e tanto meno di esprimere quali saranno in proporzione al merito della ricompensa i diversi gradi di onore e di gloria? Però non si deve dubitare che vi saranno. E la felice città vedrà in sé questo gran bene, che l'essere inferiore non invidierà quello superiore, come ora gli altri angeli non invidiano gli arcangeli. E ciascuno non vorrà essere quel che non ha ricevuto, quantunque sia legato a chi lo ha ricevuto da un pacatissimo vincolo di concordia, come anche nel corpo l'occhio non vuol essere quel che è il dito, poiché l'intero organismo pacato include l'uno e l'altro organo 161. Così l'uno avrà un dono più piccolo dell'altro, ma in modo di avere come dono di non volere di più.

... somma libertà.
30. 3. Non perché i peccati non potranno attrarli, i beati non avranno il libero arbitrio, anzi sarà tanto più libero dall'attrazione del peccato perché reso libero fino all'inflessibile attrazione del non peccare. Il primo libero arbitrio, che fu dato all'uomo quando all'inizio fu creato innocente, poteva non peccare ma anche peccare; l'ultimo sarà tanto più libero perché non potrà peccare, ma anche questo per dono di Dio e non per una sua personale prerogativa. Un conto è essere Dio e un altro essere partecipi di Dio. Dio per natura non può peccare; chi invece partecipa di Dio ha ricevuto da lui di non poter peccare. Si dovevano conservare gli ordinamenti del dono divino in modo che all'inizio si desse il primo libero arbitrio, con cui l'uomo potesse non peccare e il finale con cui l'uomo non potesse peccare e che il primo fosse attinente ad acquistare merito, l'altro a ricevere il premio. Ma poiché l'umana natura ha peccato quando poteva peccare, viene resa libera con una grazia più generosa in modo da essere condotta a quella libertà per cui non è libera di peccare. Siccome la prima immortalità, che Adamo ha perduto col peccato, consisteva nel poter non morire, l'ultima sarà non poter morire, così il primo libero arbitrio nel poter non peccare, l'ultimo nel non poter peccare. Così infatti sarà inamissibile la volontà di rispetto a Dio e al prossimo, come è inamissibile quella della felicità. Col peccato appunto non abbiamo conservato né rispetto né felicità, ma neanche con la perdita della felicità abbiamo perduto la volontà della felicità. Ma forse che si deve negare che Dio ha il libero arbitrio perché non può peccare?

Immunità dal male nel sabato eterno.
30. 4. Vi sarà dunque nella città dell'alto una sola libera volontà in tutti e inseparabile in ognuno, resa libera da ogni male e ripiena di ogni bene, che gode senza fine della dolcezza delle gioie eterne, immemore delle colpe, immemore delle pene, ma non della sua liberazione affinché non sia ingrata al suo liberatore. Per quanto attiene alla conoscenza intellettuale, è memore anche dei suoi mali trascorsi e per quanto attiene alla conoscenza sensibile, completamente immemore. Infatti anche un medico molto bravo conosce quasi tutte le malattie del fisico, come sono esposte nella teoria; ma come si sperimentano nel fisico, ignora le molte che non ha avuto. Sono due dunque le conoscenze dei mali, una per cui non sono nascosti alla facoltà della mente, l'altra per cui essi sono connessi ai sensi di chi apprende per esperienza; difatti in un modo si conoscono tutti i vizi mediante l'insegnamento della saggezza e in un altro attraverso la pessima condotta dello stolto. Così sono due i modi di dimenticare i mali. In un modo infatti dimentica la persona istruita e colta, in un altro quella che ha esperimentato e sopportato; quella se trascura la competenza, questa se si rende immune dall'infelicità. In base a questa dimenticanza, che ho posto al secondo posto, i beati non saranno memori dei mali trascorsi; infatti saranno immuni da tutti al punto che i mali saranno completamente eliminati dalla loro sensibilità. Tuttavia col potere della conoscenza, che sarà grande in essi, non solo non sarà nascosta a loro la propria infelicità passata, ma neanche quella eterna dei dannati. Altrimenti se ignoreranno d'essere stati infelici, in che senso, come dice il Salmo: Canteranno in eterno le misericordie del Signore 162? E per la città dell'alto nulla certamente sarà più gioioso di questo cantico a lode di Cristo, dal cui sangue siamo stati liberati. Lì si avvererà: Riposate e sappiate che io sono Dio 163. E sarà veramente il sabato infinito perché non ha tramonto. Lo fece notare il Signore all'inizio delle opere della creazione nel passo: E Dio si riposò nel giorno settimo da tutte le sue opere che ha compiuto e Dio benedisse il settimo giorno e lo rese sacro, perché in esso si riposò da tutte le sue opere che aveva iniziato a compiere 164. Anche noi saremo il settimo giorno quando saremo da lui pienamente restituiti al bene e alla santità. Lì in riposo sapremo che egli è Dio. Noi invece pretendemmo di esserlo per noi, quando ci staccammo da lui perché demmo ascolto al seduttore: Sarete come dèi 165, e ci allontanammo da lui, mentre con la sua azione saremmo dèi partecipandone, non abbandonandolo. Che cosa quindi abbiamo fatto senza di lui se non che ci siamo disfatti nella sua ira? Da lui restituiti all'essere e con una grazia maggiore stabiliti nella pienezza, saremmo nel riposo in eterno perché vedremo che egli è Dio, di cui saremo pieni quando egli sarà tutto in tutti 166. Infatti quando si comprende che anche le nostre stesse buone opere sono piuttosto di lui e non nostre, proprio allora ci sono assegnate a conseguire questo sabato. Se le attribuiremo a noi, saranno da schiavi, mentre del sabato si dice: Non farete in esso nessun lavoro da schiavi 167. Perciò anche tramite il profeta Ezechiele si dice: Diedi loro anche i miei sabati come un segno tra me e loro perché sappiano che io sono il Signore che li considero cose sante 168. Lo sapremo con pienezza quando saremo nel riposo con pienezza e con pienezza vedremo che egli è Dio.

La settima epoca e il sabato senza fine.
30. 5. Se anche il numero delle epoche, confrontato ai giorni, si calcola secondo i periodi di tempo che sembrano espressi dalla sacra Scrittura, questo sabatismo acquisterebbe maggiore evidenza dal fatto che è al settimo posto. La prima epoca, in relazione al primo giorno, sarebbe da Adamo fino al diluvio, la seconda dal diluvio fino ad Abramo, non per parità di tempo ma per numero di generazioni, perché si riscontra che ne hanno dieci ciascuna. Da quel tempo, come delimita il Vangelo di Matteo, si susseguono fino alla venuta di Cristo tre epoche, che si svolgono con quattordici generazioni ciascuna: la prima da Abramo fino a Davide, la seconda da lui fino alla deportazione in Babilonia, la terza fino alla nascita di Cristo 169. Sono dunque in tutto cinque epoche. La sesta è in atto, da non misurarsi con il numero delle generazioni per quel che è stato detto: Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato al suo potere 170. Dopo questa epoca, quasi fosse al settimo giorno, Dio riposerà quando farà riposare in se stesso, come Dio, il settimo giorno, che saremo noi. Sarebbe lungo a questo punto discutere accuratamente di ciascuna di queste epoche; tuttavia la settima sarà il nostro sabato, la cui fine non sarà un tramonto, ma il giorno del Signore, quasi ottavo dell'eternità, che è stato reso sacro dalla risurrezione di Cristo perché è allegoria profetica dell'eterno riposo non solo dello spirito ma anche del corpo. Lì riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco quel che si avrà senza fine alla fine. Infatti quale altro sarà il nostro fine, che giungere al regno che non avrà fine?.

Commiato.
30. 6. Mi sembra di avere, con l'aiuto del Signore, adempiuto l'impegno di questa opera così importante. Coloro per i quali è poco e coloro per i quali è troppo mi scusino; coloro per i quali è sufficiente rendano grazie rallegrandosi non con me, ma con Dio assieme a me. Amen.


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Fonte: si ringrazia il sito www.monasterovirtuale.it/

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