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Gli Ordini Mendicanti -Francescani e Domenicani - e la Predicazione

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2013 15:38
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26/01/2013 14:35

4. Gli ordini Mendicanti

Per Domenico di Guzman il contatto con l'eresia albigese, avvenuto a Tolosa nel 1203, fu decisivo. Nato a Caleruega, nella Vecchia Castiglia (Burgos), nel 1170, egli aveva ricevuto una formazione agostiniana, basata sullo studio prolungato della Scrittura. Il giovane canonico, cresciuto finora in un ambiente raccolto di tipo monacale, muta radicalmente, sotto l'urto della realtà, il suo orientamento spirituale, che da contemplativo diventa ferventemente missionario. I primi passi della nuova esperienza egli li compie sotto la protezione del vescovo Diego d'Asma, che organizza nel 1306 una serie di dispute pubbliche con gli albigesi, nelle quali brilla l'erudizione scritturale del santo. Secondo le fonti biografiche Domenico continua la sua opera missionaria anche durante la terribile Crociata bandita contro gli Albigesi da Innocenzo III (1208-1214). In questi anni difficilissimi si definisce sempre più chiaro nella mente del santo un tipo nuovo di religioso, che ponga al centro della sua attività la predicazione ai laici.

L'idea è presentata a Innocenzo III durante il Concilio Laterano II (1215), ma il papa, che fiuta in ogni novità il pericolo dell'eresia, esorta Domenico a scegliere per suoi predicatori una delle grandi regole monastiche esistenti. È comprensibile che questi, tornato a Tolosa, decidesse di aderire alla regola agostiniana, nella quale era cresciuto, e che meglio di ogni altra sottolineava il taglio intellettuale e l'esigenza contemplativa strettamente funzionale, nella concezione domenicana, al momento missionario (v. TESTO N. 2). Le linee principali e originali del nuovo ordine sono già chiare: quando il vescovo di Tolosa, Folco, dona a Domenico la chiesa di Saint-Roman (1216), il santo si preoccupa di costruire un chiostro con celle abbastanza comode per studiare e dormire; il problema della povertà non si pone neppure. Onorio II conferma nello stesso anno la Regola dei Predicatori, detti «figli speciali» della Santa Sede. Negli anni successivi la conoscenza diretta del grande movimento francescano indurrà san Domenico a trasformare l'ordine dei Canonici Predicatori in un ordine Mendicante. Ciò verrà sancito nel Capitolo Generale di Bologna del 1220, dopo l'incontro con san Francesco a Roma e l'esperienza esaltante del Capitolo Generale della Porziuncola del 1218, al quale Domenico assistette con il cardinale Ugolino d'Ostia, l'uomo che, divenuto papa Gregorio IX, sarà destinato a canonizzare i due santi fondatori degli ordini mendicanti.

Domenico di Guzman, nato da famiglia di antica nobiltà, a servizio della gerarchia ecclesiastica, pronto a impossessarsi della migliore cultura e a rinnovarla all'interno dell'Università, fa certo un singolare contrasto con Francesco d'Assisi, un uomo di estrazione e di cultura borghese, riluttante a codificare la sua esperienza religiosa in una qualsiasi Regola, che solo dopo molte perplessità e travagli gli sarà per così dire strappata dall'abile cardinale Ugolino. L'opposizione tra questi diversi ambienti e temperamenti è innegabile, ma non va troppo schematizzata, sulla traccia di alcuni celebri biografi di san Francesco, a partire dal Sabatier. Non bisogna dimenticare che anche l'ordine domenicano, soprattutto nel ramo femminile, conosce fin dalle origini modelli religiosi di un'estrema povertà e semplicità (come Diana d'Andalò); e che san Francesco, pur nella sua originalità, cerca puntigliosamente l'autorizzazione della gerarchia, e persegue con grande intelligenza e chiarezza il recupero delle aspirazioni, delle esperienze manifestatesi drammaticamente nei movimenti penitenziali e nelle eresie del secolo precedente. La genialità di san Francesco sembra proprio consistere nella capacità di liberare ed esprimere nell'àmbito dell'ortodossia le urgenze di una sensibilità popolare, troppo spesso esclusa da un'autentica partecipazione alla vita religiosa, o peggio repressa quando si manifesta nelle forme ereticali.

Il momento cruciale della conversione di Francesco, figlio del ricco mercante assisiate Pietro Bernardone, si colloca nel febbraio del 1209: ascoltando il Vangelo della missione degli apostoli secondo Matteo (10, 7-14) egli individua il nucleo di quella Regula evangelii che l'anno dopo verrà verbalmente approvata da Innocenzo III, e nel contempo trova i temi essenziali della sua predicazione: «regnum Dei, contemptus mundi, abnegatio», come dirà il suo biografo Tommaso da Celano. Per san Francesco predicare è soprattutto dare l'esempio di un modello di vita diverso da quello mondano: prima che colla parola si predica con tutta la persona atteggiata secondo l'esempio di Cristo. Vi è addirittura un momento, nel 1215, in cui il santo dubita della sua missione di predicatore: solo l'incoraggiamento di fra Silvestro e di Chiara d'Assisi lo inducono a iniziare quella predicazione itinerante per l'Umbria, luminosamente inaugurata dalla famosa predica agli uccelli presso Bevagna. Non ci è giunta nessuna predica di san Francesco, ma sappiamo da testimonianze coeve che essa fu geniale e irripetibile, e che esorbitava dalle tecniche consuete del sermone latino, insegnate nella Facoltà di teologia lungo tutto il XII secolo. Nel 1213, giunto al castello di Montefeltro, egli improvvisa un'allocuzione sul thema, di gusto lirico cortese:

"Tanto è il bene ch'aspetto
i ch'ogni pena m'è diletto."

Il gesto acquista tutto il suo significato rivoluzionario, se si pensa che le Artes praedicandi, apparse già nel XII secolo, condannavano l'uso di qualsiasi thema che non derivasse dalle Scritture. È certo che Francesco doveva contare su qualità mimetiche, su una sublime inventività giullaresca, che soggiogava gli uditori. Tommaso di Spalato, che lo udì a Bologna nel giorno dell'Assunta del 1222, riferisce che il suo modo di predicare non seguiva l'ordine tenuto dagli altri predicatori, ma somigliava piuttosto a un'arringa di un concionator, cioè di un oratore politico (v. TESTO N. 4b). Tommaso da Celano racconta la dichiarazione di un medico, che pur essendo abituato a raccogliere sermoni, non era in grado di registrare quelli di Francesco d'Assisi (v. TESTO N. 4c). Giacomo di Vitry, vescovo di Acri, uno dei più popolari predicatori della Quinta Crociata, dà la più antica e preziosa testimonianza sulla missione di san Francesco presso il Saldano assediato in Damietta (1219). La sua è la predicazione di un uomo ispirato, che soggioga perfino una «bestia crudele» qual è Malek-el-Kamel: il quale, temendo che i suoi uomini si convertano, lo fa riaccompagnare «con ogni riguardo e senza noie» al campo cristiano, non senza chiedergli di pregare il suo Dio a suo favore (v. TESTO N. 4a).


5. L'organizzazione degli studi

È merito di san Domenico e dei suoi primi compagni l'avere pensato un tirocinio intellettuale in funzione della predicazione al clero e soprattutto ai laici, e di avere predisposto nei primi Capitoli Generali dell'ordine le istituzioni adatte allo scopo. Si trattava di rinnovare e adattare a nuovo e più ampio pubblico il programma già sperimentato dai grandi maestri parigini del secolo precedente, da Pietro Mangiadore a Stefano Langton, i quali avevano concepito la lectio universitaria in funzione della praedicatio. Ma i predicatori formati da quei grandi cattedratici erano pochi: un pugno di intellettuali destinati a rinnovare i quadri dell'alto clero e a difendere la politica papale contro gli assalti dell'autorità laica. I domenicani, senza trascurare le esigenze di una cultura ad altissimo livello, istituiscono accanto agli studia generalia (come quello parigino di Saint Jacques aperto nel 1229 o quello di Bologna del 1248) una rete fittissima di scuole inferiori: dagli studia conventualia, insediati nei singoli con venti, agli studia sollemnia, posti sotto il controllo del Capitolo Provinciale [1]. Negli studi generali l'insegnamento fondamentale è impartito da un magister, che commenta solitamente un libro della Scrittura, mentre la lettura di base della Bibbia e delle Sententiae di Pietro Lombardo (il manuale di teologia) è affidato a un lector, cioè un chierico che ha superato il primo stadio della carriera universitaria (le Artes) e si avvia allo studio della teologia. Anche gli studia sollemnia possono essere affidati a un semplice lettore, scelto dal Capitolo Provinciale.

Ogni convento diventa un fuoco di cultura e di spiritualità, che agisce potentemente sulla vita della città che lo accoglie. Non si può pienamente capire la storia della cultura medievale senza riflettere su questa presenza continua, più o meno discreta: si pensi a quel che significa per Firenze il convento di Santa Maria Novella (1221), per Pisa e per tutta la Toscana il convento di Santa Caterina (1222), per Milano Sant'Eustorgio (1220). Le costituzioni domenicane contengono una serie di disposizioni molto severe riguardo alla predicazione. Solo i Capitoli Generali o Provinciali abilitano a questo ufficio i candidati, e nessuno può aspirare a tale compito prima dei 25 anni, e senza una forte preparazione scritturale e teologica. Già dal 1220 si istituisce un maestro che sorveglia gli studi dei giovani frati: essi non dovranno occuparsi di leggere i libri dei pagani e dei filosofi, e in generale delle cosiddette Arti liberali, salvo dispensa, ma basare la loro formazione sui tre libri di testo elaborati dall'Università del XII secolo: la Glossa (cioè il commento alla Bibbia), l'Historia Scholastica di Pietro Mangiadore, cioè un manuale di storia sacra e profana, e le Sententiae di Pietro Lombardo.

San Francesco, che pure non era sprovvisto di cultura, mostrò sempre una forte diffidenza nei confronti del mondo degli studi. Egli proibì ai suoi frati l'uso privato dei libri. Sono ben note le sue parole al novizio, contenute nella Intentio Regulae: « Quando hai avuto un Salterio, allora vorrai un breviario; dopo che tu abbia avuto un breviario, ti siederai sulla tua sedia come un grande prelato e dirai al tuo fratello: portami il mio breviario». Proprio su questo punto, già negli ultimi anni di san Francesco, si scontrarono le opposte correnti degli Spirituali, fedeli alla primitiva ispirazione del fondatore, e dei Conventuali, influenzati dal modello domenicano e docili alle pressioni della gerarchia ecclesiastica. Gli inizi drammatici della storia francescana non furono favorevoli all'organizzazione degli studi, e in questo settore i discepoli di san Francesco, una volta prevalso l'indirizzo conventuale, ebbero molto da apprendere dall'ordine dei Predicatori. Scuole francescane sorsero infatti accanto a quelle domenicane in ogni Università. Le Costituzioni Generali approvate nel Capitolo di Narbona (1260) testimoniano che a quell'epoca ogni provincia francescana aveva le sue istituzioni scolastiche, dalle quali affluivano allo Studium di Parigi (aperto nel 1231) gli elementi più dotati.

[1] Già dal 1224 esistono otto province domenicane, delle quali due (lombarda e romana) in Italia.

**

6. I libri del predicatore

Le Costituzioni primitive domenicane, approvate a Parigi nel 1228, dedicano un intero capitolo (DistinctioII, cap. XXXI) al predicatore. Chi è capace e abilitato alla predicazione, uscirà dal convento con un socius, che gli deve obbedienza come a superiore; non porterà e non accetterà né oro né argento né danaro, secondo il precetto evangelico (Matteo 10), ma avrà solo il vestito, gli oggetti più necessari, e i libri per la predicazione. Quali erano i libri di cui il predicatore poteva giovarsi per assolvere il suo compito? Viaggiando egli poteva portare con sé solo i suoi schemi di predicazione o qualche fortunato sermonario, cioè una raccolta di prediche adatte a tutte le circostanze liturgiche; ma in qualsiasi biblioteca conventuale avrebbe trovato tutto l'occorrente per costruire secondo le regole il suo sermone.

Era necessaria innanzitutto la Bibbia, da cui era obbligatorio scegliere il versetto iniziale della predica, il thema, donde discende tutto il discorso. Le Concordanze, una novità realizzata in équipe dai domenicani di Parigi sotto la direzione di Ugo di Saint-Cher, maestro di teologia dal 1230 al 1235, permettevano di identificare i passi paralleli della Scrittura destinati a costituire la filigrana del sermone. I più raffinati potevano risalire a un testo filologicamente più sicuro di quello vulgato (la cosiddetta Bibbia parigina), servendosi dei correctoria, liste di emendamenti al testo preparate da domenicani e più tardi anche dai francescani. Alle Concordanze verbali si aggiunsero le Concordantiae moralium, attribuite a Sant'Antonio da Padova, cioè una raccolta di testi ordinati per argomento.
Ma il nerbo del ragionamento era già fornito dalla Glossa, strettamente unita al testo stesso della Bibbia; lo schema e le articolazioni del discorso erano già pronti nelle Distinctiones. Tra le più celebri di queste enciclopedie della spiritualità medievale sono la Summa Abel di Pietro Cantore, così chiamata dalla prima parola che appare in ordine alfabetico; le Distinctiones Mauritii del domenicano Maurizio Anglico, le Distinctiones di Pietro di Limoges, che introduce nella sua enciclopedia interi sermoni dei più famosi predicatori del Duecento, il Dictionarius Pauperum di Nicola di Byard e molte altre. Ci si rende conto dell'enorme importanza di questo strumento se si pensa che il sermo modernus si sviluppa o per divisione in diversi membri delle parole che compongono il thema, oppure con la distinctio dei molteplici significati che si possono attribuire a una sola delle parole tematiche. Supponiamo che il predicatore scelga come thema il famoso versetto di Giovanni (4, 13): Qui biberit ex hac aqua sitiet iterum (Chi berrà di quest'acqua avrà ancora sete).
Egli potrà dividere questo thema, ed è il metodo più difficile e ambizioso; ma potrà anche scegliere di illustrare il significato di una delle parole del versetto, ad esempio aqua. Apriamo la Summa Abel sotto aqua, e vi troveremo lo schema di una predica composta da cinque parti o membri, uno per ogni possibile significato della parola:

"Aqua est: cupiditatis in presenti. Unde Qui biberit ex hac aqua sitiet iterum [Giovanni 4, 131].
viciorum generaliter vel voluptatis. Unde Iacob filio suo Ruben Eflusus es sicut aqua, ne crescas quia ascendisti cum patre tuo [Genesi 49, 41].
tribulationis. Unde Transivimus per ignem et aquam et eduxisti nos in refrigerium [Salmo 65, 12].
caritatis. Unde Qui credit in me, flumina de ventre eius fluent aque vive [Giovanni 7, 38].
doctrine. Unde: Fontes tui devientur f oras et aquas tuas in plateis divide [Proverbi 5, 16]; Posuit desertum in stagna aquarum [Isaia 41, 18]."

"[L'acqua può significare: la cupidigia delle cose presenti. E perciò è scritto Chi berrà di quest'acqua avrà ancora sete - i vizi in generale, soprattutto la lussuria. Perciò Giacobbe disse al suo figlio Ruben (che aveva profanato il letto del padre giacendo con la concubina Bilha) Sei bollente come acqua, non avrai la preminenza perché invadesti il letto di tuo padre – la tribolazione. Si legge Passammo per il fuoco e per l'acqua e ci hai condotto al refrigerio – la carità. Dice infatti Dall'intimo di chi crede in me scaturiranno fiumi d'acqua viva – la dottrina. Dice infatti Si riversino fuori nelle piazze le tue sorgenti, dividi le tue acque nelle piazze e Farò del deserto uno stagno – d'acque]."

Un altro strumento importante, dove si poteva trovare già costruito il grosso del sermone, è la Summa de virtutibus et vitiis: le rationes, cioè gli argomenti dottrinali, vi sono me scolati alle auctoritates, cioè alle citazioni, e agli exempla (vedi d 8) secondo i gusti dell'uditorio meno colto. La più celebre di queste Summae è certo quella di Guglielmo Peraldo (morto verso il 1261), notissima anche in Italia: basti pensare che gran parte dell'erudizione di fra Guittone d'Arezzo deriva da questa enciclopedia. Grande diffusione ebbe pure il Liber de virtutibus et vitiis del francescano Servasanto da Faenza (v. TESTO N. 13). L'auctoritas, cioè la citazione di sentenze dei Padri della Chiesa o di autori profani particolarmente accetti al Medioevo (ad esempio Seneca), era un ingrediente indispensabile del sermone.

Il predicatore aveva a sua disposizione una quantità di catenae (come la Catena Aurea di san Tommaso d'Aquino) e di florilegi (come il Manipulus florum di Tommaso Hibernus o la Pharetra attribuita a san Bonaventura), che gli permettevano di completare con lieve sforzo l'apparato di citazioni scritturali già fornito dalle Distinctiones. Se nel versetto tematico compariva il nome di un animale, di un'erba o di un minerale, il predicatore poteva ispirarsi alla scienza fantastica degli erbari, dei lapidari e dei bestiari. Una summa fortunatissima di questa materia è il Liber de similitudinibus et de exemplis del domenicano Giovanni da San Gimignano. Ma ancora più note, an che fuori dagli ambienti clericali, erano le enciclopedie naturali di Bartolomeo Anglico (il De proprietatibus rerum, volgarizzato dal mantovano Vivaldo Belcalzer) e di Vincenzo di Beauvais (Speculum Naturale). Elemento essenziale della predicazione popolare era pure l'exemplum, che per le sue implicazioni letterarie verrà trattato a parte.


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