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LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA nella Tradizione e Magistero

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2013 11:11
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Sesso: Femminile
02/07/2013 10:59

VIII. - LA RIMUNERAZIONE DEL LAVORO

Se c'è una questione che attira immediatamente l'interesse del lavoratore - dall'operaio al professionista - è quello della retribuzione del lavoro. Infatti si lavora principalmente, nella maggioranza dei casi (non esclusivamente ma principalmente), per ottenere quella retribuzione che permette di soddisfare ai bisogni ed eventualmente ai desideri. Va subito detto che la dot­trina sociale cristiana considera doverosa la retribuzione del la­voro, e non secondo un rigido sistema puramente economico, bensì sul piano superiore della virtù della. giustizia.

Il lavoro non è uno merce.

Nella classica dottrina liberale il lavoro veniva considerato come una merce, offerta dal lavoratore, e, come quello di una merce, il suo prezzo veniva considerato stabilito dal libero giuoco della domanda e dell'offerta. Più domanda, e il prezzo cresce; più offerta, e il prezzo diminuisce. S'arriva così, facilmente, a dei salari di fame e a delle condizioni, per i lavoratori, veramente inumane.

Contro tale criterio il pensiero cristiano si è opposto - e ormai con discreto successo ovunque - affermando che nella determinazione della retribuzione del lavoro deve intervenire il concetto di giustizia. Ciò perché il lavoro umano non è in tutto paragonabile ad una merce, essendo il risultato dell'attività d'una persona intelligente e libera, che ha, anche solo come tale, suoi non violabili diritti.

 

Una giusta retribuzione.

Secondo la dottrina sociale della Chiesa - espressa mira­bilmente nei documenti degli ultimi Pontefici, particolarmente nella « Rerum Novarum » di Leone XIII e nella « Quadragesimo Anno » di Pio XI -, perché una retribuzione possa essere con­siderata giusta, occorre:

1) che sia sufficiente a mantenere il lavoratore « in una certa agiatezza » (Leone XIII), « in maniera degna di una persona umana » (Pio XII): ad es. orari di lavoro limitati, ferie pagate, onesti svaghi, possibilità. di mantenere i figliuoli volenterosi e capaci agli studi;

2) che renda possibile al lavoratore di formarsi una fami­glia e, quindi, di mantenerla (sistema degli assegni familiari, che dovrebbero però essere, in genere, più proporzionati agli obiettivi bisogni);

3) che abbia una evidente proporzione - anche se non facile, in pratica, a definirsi - con il rendimento del lavoro (se l'azienda guadagna di più, il reddito dei lavoratori deve aumen­tare; se l'azienda guadagna di meno, deve diminuire, non però al di sotto dei minimi stabiliti dai contratti collettivi o imposti da esigenze umane elementari di vita);

4) che dia la possibilità al lavoratore - o per risparmio personale e per personale senso di provvidenza e previdenza con un sistema di concordate e generalizzate provvidenze so­ciali - di affrontare serenamente l'eventualità della disoccupa­zione, della malattia, dell'invalidità, della vecchiaia e - con relativa sicurezza economica della famiglia - di una morte precoce;

5) che, oltre tutto ciò, offra la possibilità, al lavoratore ben costumato, di un risparmio che lo possa fare uscire dallo stato di proletario facendolo accedere ad una, sia pur modesta, proprietà.

 

Necessarie considerazioni.

Nella determinazione della giusta retribuzione vanno anche tenute presenti

a) le possibilità di resistenza, e possibilmente di sviluppo, dell'azienda (retribuzioni troppo alte, ad es., potrebbero portare in breve l'impresa al fallimento, con danno di tutti);

b) le esigenze del bene comune (guadagni troppo alti po­trebbero portare i prodotti a un prezzo poco accessibile, assai gravoso, prima, per la massa dei consumatori, e, poi, rovinoso

per le steese aziende che non troverebbero compratori della loro merce);

c) una certa proporzione tra i guadagni dei lavoratori di una data categoria in diverse aziende e località, nonché dei lavo­ratori di diversi settori (ad es. industria e agricoltura): altri­menti si verificheranno esodi in massa verso una data regione e un dato settore di lavoro, con larghe possibilità, com'è facile capire, di gravi danni, vicini o lontani, nell'economia generale della nazione;

d) l'esigenza di un contemperamento in vista dei prezzi dei prodotti nel mercato internazionale, così che, da un lato i lavoratori di un'azienda non siano costretti alla disoccupazione, dall'altro tutti i consumatori di una nazione non siano per anni ed anni costretti a pagare prezzi esosi e, tutto sommato, artificiali.

 

La rimunerazione del lavoro reso dalla donna.

Trattandosi di rimunerazione del lavoro secondo giustizia, è evidente che i criteri esposti debbano valere per qualsiasi persona umana, e perciò sia uomo che donna.

Poiché, però, si è spesso usato di retribuire meno la prestazione d'opera femminile che quella maschile, occorre dire:

a) a parità di lavoro, di tempo, di rendimento, non vi può essere alcuna giustificazione, d'ordine economico o d'ordine mo­rale, ad una diversa retribuzione;

b) qualora, per una ragione o per l'altra, il rendimento di un lavoro sia minore è giusto che, nel rispetto dei limiti detti sopra, la rimunerazione sia minore;

c) di fatto, in molti settori il lavoro maschile appare più redditizio; ma non mancano settori nei quali la donna non solo eguaglia ma anche supera l'uomo (particolarmente nei lavori che richiedono attenzione, ordine, pulizia, metodicità, pazienza, generosità, costanza);

d) gli assegni familiari, nel caso lavorino sia il marito che la moglie, vanno dati al marito: e perch'egli è il capo della famiglia, e perché, guadagnando egli di più, è più facile che la donna ami considerare l'ipotesi di restare a casa, dedicandosi alle cure più proprie di una madre di famiglia.

 

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