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L’AMICIZIA SPIRITUALE di AELREDO DI RIEVAULX

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 14:56
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Sesso: Femminile
10/08/2013 14:36

L’AMICIZIA SPIRITUALE
di AELREDO DI RIEVAULX
LIBRO PRIMO

La natura e l’origine dell’amicizia e il motivo per cui ho scritto questo libro


Quando, ancora ragazzo, frequentavo la scuola, mi dava moltissima gioia la compagnia dei miei coetanei, così, tra le abitudini e le debolezze che solitamente rendono problematica quell’età, mi diedi con tutto me stesso all’affetto e mi consacrai all’amore: niente mi sembrava tanto dolce, tanto gioioso, tanto appagante quanto essere amato e amare. Il mio animo si trovò così a fluttuare fra tanti affetti e amicizie, come fosse trascinato in più direzioni: non sapevo cosa fosse la vera amicizia, e spesso mi lasciavo ingannare da ciò che ne era solo l’apparenza.
Finalmente mi capitò un giorno tra le mani il libro di Cicerone sull’amicizia, e subito mi sembrò utile per la profondità delle idee, e gradevole per la dolcezza dello stile. Benché non mi sentissi ancora maturo per l’ideale che proponeva, ero felice di aver trovato un certo modello di amicizia che mi permetteva di porre un certo ordine fra i miei sentimenti così dispersivi. Quando piacque al mio buon Signore rettificare le mie deviazioni, rialzarmi da terra, purificarmi con il suo tocco salutare dai miei errori, lasciai i progetti di carriera mondana ed entrai in monastero. Mi buttai subito nella lettura dei libri sacri: prima infatti i miei occhi infiammati e assuefatti al buio delle cose del mondo non riuscivano neanche a sfiorarne la superficie. Così, mentre il gusto delle sacre Scritture diventava sempre più dolce, e al loro confronto quel poco di scienza che mi era venuto dal mondo andava perdendo valore, mi tornarono alla mente le cose che avevo letto nell’opuscolo sull’amicizia di Cicerone, e mi stupii che non avessero più lo stesso sapore di prima. In effetti, a quel punto della mia vita, se una cosa non mi dava lo stesso gusto di quel miele che è l’amicizia di Cristo, se non era condita con il sale della Scrittura, non riusciva a coinvolgere interamente il mio sentimento.

E pensando e riflettendo continuamente su quelle idee, mi chiedevo se non fosse possibile rafforzarle dando loro come fondamento l’autorità delle Scritture. Avendo già letto negli scritti dei santi Padri molte cose riguardanti l’amicizia, volendo amare spiritualmente ma non sentendomene capace, cominciai a scrivere degli appunti sull’amicizia spirituale per offrire a me stesso le regole di un amore puro e santo. Così è nato questo libro, che ho diviso in tre parti: nella prima tratto della natura dell’amicizia e ne esamino l’origine o la causa; nella seconda ne prospetto i frutti e la grandezza; nella terza spiego, secondo le mie capacità, in che modo e fra quali persone essa possa conservarsi intatta per sempre.
Se qualcuno trarrà una qualche utilità da questa lettura, renda grazie a Dio e supplichi la misericordia di Cristo per i miei peccati. Se qualcuno troverà invece superfluo o inutile quanto ho scritto, abbia pazienza per la mia situazione infelice che, caricandomi di numerosi impegni, mi ha costretto a ridurre nello schema di questa meditazione il fiume dei miei pensieri.


La definizione pagana dell’amicizia

Aelredo: Eccoci qui, io e te, e spero ci sia un terzo in mezzo a noi, il Cristo. Non c’è nessuno che possa infastidirci, nessuno che possa interrompere il nostro conversare da amici: nessuno che arrivi con chiacchiere o fracasso a insinuarsi in questa nostra piacevole solitudine. Coraggio, carissimo, apri il tuo cuore, versa quello che vuoi nelle orecchie di chi ti è amico: accogliamo con gratitudine il luogo, l’ora, la serenità del riposo. Poco fa, infatti, mentre stavo seduto in mezzo a tanti fratelli che mi premevano da ogni parte parlando ad alta voce, chi interrogando, chi discutendo della Scrittura, chi della morale, chi dei vizi e chi delle virtù, solo tu stavi zitto. A volte alzavi il capo, e pareva che volessi parlare, poi, come se la voce ti morisse in gola, abbassavi la testa e tacevi; a volte ti staccavi un po’ dal gruppo, poi tornavi, mostrando un volto triste. E capivo da tutti questi segni che, per far uscire i pensieri del tuo cuore, fuggivi dal gruppo e desideravi piuttosto la riservatezza.
Giovanni: È proprio cosi, e mi rende molto felice sapere che ti prendi cura di questo tuo figlio e fratello, perché solo lo spirito di carità può averti rivelato il mio stato d’animo e il mio desiderio. Vorrei che la tua bontà mi concedesse, ogni volta che tu verrai a visitare i tuoi fratelli che vivono qui, di stare a lungo con te, lontano dagli altri, per poterti esporre con calma ciò che si agita nel mio cuore.
Aelredo: Certo che te lo concedo, e volentieri. È questo proprio perché sono felice di vederti assetato non di chiacchiere inutili, ma di parlare di ciò che è necessario per la tua vita. Parla pure con tranquillità e condividi con chi ti è amico le tue preoccupazioni e i tuoi pensieri, così che in questo scambio tu possa imparare e insegnare, dare e ricevere, versare e attingere.
Giovanni: Veramente io sono pronto a imparare, non a insegnare; non a dare, ma a ricevere; ad attingere, non a versare. Del resto sono più giovane di te, mi ci costringe la mia inesperienza e me lo consiglia il mio essere religioso. Ma per non sprecare inutilmente il tempo, vorrei che tu mi insegnassi qualcosa sull’amicizia spirituale. Vorrei sapere di cosa si tratta, come nasce e qual è il suo scopo. Può nascere tra chiunque, e se no tra chi? Come può durare nel tempo? È possibile raggiungere il traguardo della santità senza che alcun dissenso la rovini?
Aelredo: Mi meraviglio che tu chieda a me queste cose quando sai bene che illustri filosofi dell’antichità hanno trattato con abbondanza di questi argomenti. Oltretutto hai passato gli anni della tua giovinezza a studiare quegli scritti, hai letto il libro di Cicerone sull’amicizia dove, con uno stile davvero felice e con ricchezza di argomentazioni, discute di tutto ciò che riguarda questa materia ed espone le norme che la regolano.
Giovanni: Conosco quel libro, anzi tempo fa lo leggevo con molto piacere; ma da quando ho cominciato a gustare la dolcezza delle Scritture e ho conosciuto Cristo che ha avvinto a sé il mio affetto, tutto ciò che non ha il gusto della parola di Dio, o non ha la stessa dolcezza, per me non ha né sapore né luce. Anche se si trattasse di cose scritte in modo molto raffinato non avrebbero pere me alcun interesse. Per questo vorrei che tutto ciò che è stato detto in passato, sempre che sia conforme alla ragione, e quello che nascerà utilmente da questa nostra discussione, sia provato con l’autorità della Scrittura. Vorrei anche che tu mi spiegassi come l’amicizia che deve esserci tra noi nasce in Cristo, cresca grazie a Lui, e trovi in Lui il fine e la perfezione. Credo, infatti, che Cicerone non conoscesse la vera forza dell’amicizia, visto che non conosceva in alcun modo colui che ne è il principio e il fine: Cristo.
Aelredo: Hai ragione tu. Anzi, visto che non so bene quali siano le mie capacità, non mi metterò certo a farti da maestro, piuttosto voglio conversare con te, dal momento che sei stato tu a trovare la via giusta. Proprio tu hai acceso quella luce fantastica che ci permetterà di non smarrirci lungo strade insicure, ma ci condurrà certamente a raggiungere l’obbiettivo che ci siamo proposti. Cosa si può dire, infatti, di più bello sull’amicizia, di più vero, di più utile se non dimostrare che essa nasce in Cristo, progredisce con Cristo, e da Cristo è portata a perfezione? Parla, allora, e dimmi qual è l’argomento che secondo te dobbiamo considerare per primo.
Giovanni: Mi pare che si debba ragionare prima di tutto su cosa sia l’amicizia perché, se ignoriamo il principio su cui fondare e sviluppare la nostra discussione, rischiamo di sembrare persone che costruiscono i castelli in aria.
Aelredo: Non ti basta quello che ha detto Cicerone: “L’amicizia è l’accordo, pieno di benevolenza e carità, sulle cose umane e divine”?
Giovanni: Se questo basta a te, sono soddisfatto anch’io.
Aelredo: Allora diciamo che tutti coloro che sulle cose divine e umane si trovano in perfetta sintonia e vivono un’unità fatta di benevolenza e carità, hanno raggiunto la perfezione dell’amicizia.
Giovanni: E perché no? Non riesco però a vedere cosa potessero significare in bocca a un pagano parole come “benevolenza” e “carità”.
Aelredo: Forse col termine “carità” voleva riferirsi all’affetto interiore, mentre con quello di “benevolenza” voleva significare il suo tradursi in opere concrete. Infatti nelle cose umane e divine la sintonia dei due cuori deve essere cara a entrambi, cioè amabile e preziosa; invece nelle cose esterne l’agire deve essere pieno di benevolenza e di gioia.
Giovanni: Ammetto che questa definizione mi piace abbastanza, ma ho l’impressione che vada bene per i pagani e per gli ebrei, anzi anche per i cattivi cristiani. Sono convinto però che tra quelli che sono senza Cristo non può sussistere la vera amicizia.
Aelredo: Nel seguito del discorso vedremo con chiarezza se la definizione manca di qualche cosa o se pecca per esagerazione, cosi che potremo respingerla o accettarla come sufficiente e non viziata da alcun elemento estraneo. Da questa definizione, infatti, anche se forse non ti sembra adeguata, puoi comunque capire cosa sia l’amicizia.
Giovanni: Non prendertela, per favore, se ti dico che così non mi basta, a meno che tu non mi spieghi per bene il significato della parola stessa.

[Modificato da Caterina63 10/08/2013 14:36]
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