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L’AMICIZIA SPIRITUALE di AELREDO DI RIEVAULX

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 14:56
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10/08/2013 14:37

La definizione di amore, di amico, di amicizia e la definizione della carità


Aelredo: Lo farò volentieri, purché tu abbia comprensione per la mia ignoranza e non mi costringa a insegnarti quello che io stesso non so. Mi sembra che il termine “amico” venga da “amore”, e “amicizia” da “amico”. L’amore è un sentimento dell’anima per cui essa, spinta dal desiderio, cerca qualcosa e desidera goderne, ne gode con una certa dolcezza interiore, abbraccia poi l’oggetto di questa ricerca, e conserva nella memoria quello che ha trovato. La natura e la dinamica di questo sentimento le ho studiate con molta diligenza nel mio scritto intitolato “Specchio della carità” che tu conosci bene. Io dico che l’amico è come un custode dell’amore, o, come ha detto qualcuno, “un custode dell’animo stesso”, perché l’amico, come lo intendo io, deve essere il custode dell’amore vicendevole, o meglio del mio stesso animo: deve conservare in un silenzio fedele tutti i segreti del mio animo; curare e tollerare, secondo le sue forze, quanto vi trova di imperfetto; gioire quando l’amico gioisce; soffrire quando soffre; sentire come proprio, tutto ciò che è dell’amico. L’amicizia dunque è quella virtù che lega gli animi in un patto così forte di amore e di dolcezza che quelli che prima erano tanti ora sono una cosa sola. Per questo i grandi filosofi hanno posto l’amicizia non tra le realtà casuali e passeggere, ma tra le cose eterne. È quanto lo stesso Salomone sembra dire nel libro dei Proverbi quando scrive: “Un amico vuol bene sempre” (Pr 17,17), affermando così con chiarezza che l’amicizia è eterna se è vera; se invece cessa di esistere, vuol dire che non è vera, anche se lo sembrava.
Giovanni: Com’è allora che si dice che anche tra grandi amici sorgono gravi inimicizie?

L’amicizia: un ideale da perseguire anche con il sacrificio

Aelredo: Di questo, se Dio vorrà, parleremo a suo tempo. Voglio subito che tu sappia che non è mai stato vero amico uno che ha potuto offendere un altro dopo averlo accolto nella sua amicizia. E nemmeno può dirsi che abbia gustato la gioia della vera amicizia chi, una volta offeso, cessa di amare colui che prima amava. Infatti chi è amico, ama sempre. Se anche fosse rimproverato, insultato, dato alle fiamme, messo in croce, chi è amico ama sempre; e, come dice san Gerolamo: “Un’amicizia che può spegnersi non è mai stata una vera amicizia!” (Epist. 41, ad Ruffin.).
Giovanni: Se la perfezione della vera amicizia è così grande, non mi stupisco più che siano cosi rari quelli che sono stati riconosciuti come veri amici. Cicerone dice addirittura che, in tanti secoli che lo hanno preceduto, si possono contare “appena tre o quattro” (Lib. de Amic., n. 15) veri amici che per la loro virtù e bontà abbiano raggiunto la notorietà. Visto poi che anche nella nostra epoca cristiana gli amici sono così rari, mi pare proprio di sudare per niente nel tentativo di far mia questa virtù. È una grandezza che mi spaventa, e che credo non raggiungerò mai.
Aelredo: È stato detto che “già il solo tentativo di arrivare a cose grandi è grande”. Per questo è tipico degli animi più grandi riflettere costantemente sulle cose più sublimi, con il risultato che, o raggiungono quello che desiderano, o conoscono con maggior chiarezza quale deve essere il vero oggetto del loro desiderio: puoi star certo che ha già fatto un grande passo in avanti chi, conoscendo la virtù, si rende conto di quanto ne sia ancora lontano. Del resto, il cristiano non può mai disperare di conquistare l’amore di Dio e del prossimo, visto che sente ogni giorno nel Vangelo la voce divina che gli dice: “Chiedete e otterrete” (Gv 16,24). Non ti devi stupire se tra i pagani furono pochi i seguaci della virtù. Loro non conoscevano colui che è il Signore e il datore della carità, del quale è scritto: “Il Signore delle virtù è il Re della gloria” (Sal 23,10). Infatti, posso portarti l’esempio non di tre o quattro, ma di migliaia di amici che, per la fede in lui, erano pronti a “morire l’uno per l’altro”, operando quel miracolo grandioso che gli antichi celebravano o immaginavano si fosse realizzato nel caso di Pilade e Oreste. Non erano forse veri amici secondo la definizione di Cicerone quelli di cui è scritto: “La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola; nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro in comune” (At 4,32)? Come poteva non essere totale il “consenso nelle cose divine e umane, unito a carità e benevolenza” tra coloro che avevano un cuor solo e un’anima sola? Quanti martiri hanno dato la vita per i loro fratelli, quanti non hanno badato a spese, a fatiche, alle stesse torture. Penso che tu abbia letto la storia di quella ragazza di Antiochia che un soldato, con astuzia, strappò dalla strada, diventando poi suo compagno nel martirio dopo essere stato nella strada custode della sua purezza.


Potrei portarti molti altri esempi, se il loro numero non fosse eccessivo. Cristo Gesù infatti ha annunziato e proclamato il Vangelo, ed essi si sono moltiplicati oltre ogni misura. Ha detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Giovanni: Allora tu dici che tra l’amicizia e la carità non c’è nessuna differenza?
Aelredo: C’è invece, e grande. Dio ha infatti voluto che siano molti di più quelli che accogliamo con la carità di quelli che ammettiamo all’abbraccio dell’amicizia. La legge della carità ci porta ad accogliere con amore non solo gli amici, ma anche i nemici (cfr. Mt 5,44). Noi però chiamiamo amici solo quelli cui non temiamo di affidare il nostro cuore con tutto quello che ha dentro, e così fanno anche loro, stringendosi a noi in un legame che ha la sua legge e la sua sicurezza nella fiducia reciproca.

I vari tipi di amicizia: carnale, mondana, spirituale.

Giovanni: Però ci sono di quelli che, seguendo il mondo e avendo in comune certi vizi, si legano l’uno all’altro in un patto del genere, vivendo in un vincolo amicale. Vorresti spiegarmi quale, fra tante forme di amicizia, possa essere detta, a differenza delle altre, “spirituale”? Mi pare, infatti, che l’amicizia spirituale risulti in qualche modo oscurata dalle altre forme, che per giunta sembrano più attraenti. Mi aiuterai così a distinguerla da ciò che la accomuna alle altre, così risulterà più chiara, e quindi più desiderabile. Così tutti opereremo con più decisione per conquistarla e farla nostra.
Aelredo: Non hanno il diritto di usare il nobilissimo nome dell’amicizia quelli che sono uniti dalla connivenza nel vizio: chi non ama, infatti, non è un amico, e non ama l’uomo colui che ama l’iniquità. Chi ama l’iniquità non ama, ma odia la sua anima, e chi non ama la sua anima tanto meno può amare quella di un altro. Questa gente si vanta di un’amicizia che è tale solo di nome: sono ingannati da qualcosa che ne è solo la scimmiottatura, non la possiedono nella realtà. Se poi, in un’amicizia del genere, cioè sporcata dall’avarizia o disonorata dalla lussuria, si può sperimentare il sentimento, pensa a quanta gioia in più si riversa su un’amicizia che quanto più è onesta tanto più è sicura, quanto più è pura tanto più è gioiosa, quanto più è libera tanto più è felice. Comunque, dal momento che a livello di sentimenti si avverte una certa somiglianza, lasciamo pure per un momento che in base a questo fatto vengano chiamate amicizie anche quelle che non sono vere, purché però esse vengano distinte con segni chiari e certi da quella che è spirituale, e dunque vera.
Diciamo che l’amicizia può essere: carnale, mondana, spirituale. Quella carnale nasce dalla sintonia nel vizio; quella mondana sorge per la speranza di un qualche guadagno: quella spirituale si consolida fra coloro che sono buoni, in base ad una somiglianza di vita, di abitudini, di gusti e aspirazioni .
L’amicizia carnale nasce dal solo sentimento, cioè da quel tipo di emotività che, come una prostituta, allarga le gambe davanti a tutti quelli che le passano accanto, seguendo il vagare di occhi e orecchi verso l’impurità. Da queste porte si intrufolano nella mente immagini voluttuose, e si pensa che la felicità stia nel goderne a piacere, e che il divertimento sia maggiore se si trova qualcuno con cui condividerlo. Si mettono allora in moto gesti, segni, parole e adulazioni con cui un animo cerca di accattivare l’altro. L’uno attizza il fuoco nell’altro fino a fondersi in una sola cosa. Una volta raggiunto uno squallido accordo, arrivano a fare o a subire l’uno per l’altro qualsiasi cosa e si convincono che non ci sia niente di più dolce e di più giusto di una simile amicizia: “volere le stesse cose, rifiutare le stesse cose”, ritenendo così di obbedire alle leggi dell’amicizia. Un’amicizia del genere non nasce da una scelta deliberata, non è messa alla prova dal giudizio, non è diretta dalla ragione, ma è spinta qua e là sotto l’urgenza disordinata del semplice sentimento. Una simile amicizia non osserva misura alcuna, non cerca cose oneste, non si sforza di prevedere ciò che è utile e ciò che non lo è, ma si butta su tutto in modo sconsiderato, imprudente, superficiale ed eccessivo. Così, come agitata dalle furie, si autodistrugge e, con quella stessa leggerezza con cui era nata, prima o poi si spegne.
L’amicizia mondana, invece, quella che nasce dal desiderio di cose o beni temporali, è sempre piena di frodi e inganni. In essa niente è certo, niente è costante, niente è sicuro, proprio perché tutto cambia col volgere della fortuna e... della borsa. Per questo sta scritto: “C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura” (Sir 6,8). Se togli la speranza di guadagnare, subito sparirà anche l’amico. Questa amicizia è stata ridicolizzata con versi eleganti: “Non della persona, ma della prosperità è amico colui che la dolce fortuna trattiene, ma quella amara mette in fuga”. Però, a volte, ciò che fa nascere questo tipo di amicizia viziosa conduce alcuni a un certo grado di amicizia vera: mi riferisco a quelli che all’inizio, in vista di un guadagno comune, contraggono un legame di fiducia reciproca che resta sì basato sul denaro iniquo, ma almeno nelle cose umane raggiungono una grande sintonia. Però questa amicizia non può in alcun modo essere ritenuta vera, dato che nasce e rimane fondata solo sulla base di un vantaggio temporale.
L’amicizia spirituale, infatti, quella che noi chiamiamo vera, è desiderata e cercata non perché si intuisce un qualche guadagno di ordine terreno, non per una causa che le rimanga esterna, ma perché ha valore in se stessa, è voluta dal sentimento del cuore umano, così che il “frutto” e il premio che ne derivano altro non sono che l’amicizia stessa. Proprio come dice il Signore nel Vangelo: “Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16), cioè perché vi amiate a vicenda (cfr. Gv 15,17). È infatti nell’amicizia stessa, quella vera, che si progredisce camminando, e si coglie il frutto gustando la dolcezza della sua perfezione. L’amicizia spirituale nasce tra i buoni per una somiglianza di vita, di abitudini, di aspirazioni, ed è una sintonia nelle cose umane e divine, piena di benevolenza e di carità. Mi pare che questa definizione basti a esprimere l’idea di amicizia, purché intendiamo il termine “carità” in senso cristiano, cosicché si escluda dall’amicizia ogni vizio, e con “benevolenza” si intenda lo stesso sentimento d’amore che proviamo interiormente insieme a una certa dolcezza. Dove c’è un’amicizia di questo genere, vi è certamente “il volere e il rifiutare le stesse cose”; cioè un sentire che è tanto più dolce quanto più è sincero, tanto più bello quanto più è sacro, al punto che gli amici non possano neppure volere ciò che è male, o non volere ciò che è bene. Un’amicizia così è guidata dalla prudenza, è retta dalla giustizia, è custodita dalla fortezza, è moderata dalla temperanza. Di questo però parleremo più avanti. Adesso dimmi se ho risposto in modo adeguato alla tua prima domanda, cioè cos’è l’amicizia.
Giovanni: Quello che hai detto mi basta, e non mi sembra di avere altro da chiederti. Ma prima di passare ad un altro punto, desidero sapere come nasce l’amicizia tra di noi. Nasce dalla natura, o dal caso, o da una qualche necessità? È una legge insita al genere umano? È la stessa esistenza che ci spinge a ricercarla?

L’origine, lo sviluppo dell’amicizia e la legge

Aelredo: Mi sembra che il sentimento di amicizia sia stato anzitutto impresso nell’animo umano dalla stessa natura; l’esperienza poi lo ha sviluppato e, infine, l’autorità della legge ne ha stabilito le regole. Dio, infatti, che è infinitamente buono e potente, è un bene che basta a se stesso: è lui il proprio bene, la propria gioia, la propria gloria, la propria beatitudine. Non ha bisogno di nient’altro all’infuori di sé, né di un uomo, né di un angelo, né del cielo, né della terra, né di alcuna delle cose che vi si trovano. Davanti a lui ogni creatura riconosce: Sei tu il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni. Non solo Dio basta a se stesso, ma è anche ciò che costituisce la pienezza di tutti gli esseri: ad alcuni dà l’esistenza, ad altri la vita sensitiva, ad altri ancora l’intelligenza, ed è lui la causa di tutto ciò che esiste, la vita di tutto ciò che è sensibile, la sapienza di tutto ciò che è intelligente. Lui, che è il sommo bene, ha stabilito tutte le cose, le ha disposte con ordine e armonia, ciascuna al suo posto, e le ha distinte e distribuite ciascuna nel suo tempo definito. Ma volle pure, perché così stabilì la sua eterna sapienza, che tutte le sue creature si armonizzassero nella pace, si unissero in società, cosicché tutte traessero da lui, che è la perfetta unità, una qualche unità. Per questo motivo non ha lasciato nella solitudine nessuna specie creata, ma di ogni moltitudine ha saputo fare una sorta di corpo solidale.
Se vogliamo cominciare dalle cose insensibili, chiediamoci in quale terreno, o in quale fiume, si trovi un’unica pietra di un solo tipo, o quale foresta abbia un unico albero di una sola specie. Così, tra le stesse creature insensibili si nota una sorta di amore della compagnia, dato che nessuna di queste creature è sola, ma è creata e mantenuta in società con qualche altra della sua specie. E come descrivere in modo adeguato con quale bellezza risplende nelle creature sensibili l’immagine dell’amicizia, della compagnia e dell’amore? In molte cose le creature sensibili si rivelano irrazionali, ma sotto questo aspetto imitano a tal punto l’animo umano da sembrare spinte dalla ragione. Si inseguono, giocano tra di loro, esprimono e manifestano l’affetto che le lega con movimenti e suoni, godono della reciproca compagnia con tale avidità e tanta gioia da sembrare che non si curino d’altro che di vivere l’amicizia.
Anche riguardo alle creature spirituali, agli angeli, la divina sapienza ha agito in modo che non ne fosse creato uno solo, ma moltitudini. Tra loro la piacevole compagnia e l’amore perfetto creò una medesima volontà, un medesimo affetto, al punto che nessuno poté sentirsi superiore o inferiore all’altro, e la carità dell’amicizia tolse spazio all’invidia. Così la moltitudine eliminò la solitudine e la comunione della carità aumentò in tutti la gioia.
Infine, quando creò l’uomo, per raccomandare con maggior forza il bene della compagnia disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18). E la divina bontà non formò questo aiuto con una materia simile o uguale, ma per esprimere in modo più chiaro la sua intenzione di favorire la carità e l’amicizia, creò la donna dalla stessa sostanza dell’uomo. È bello che il secondo essere umano venga tolto dal fianco del primo: così la natura vuole insegnarci che tutti gli esseri umani sono uguali, quasi collaterali, e che nelle cose umane non c’è né superiore né inferiore, il che costituisce l’essenza stessa dell’amicizia. Così, fin dal principio, la natura stessa ha impresso nello spirito umano il desiderio dell’amicizia e della carità, un desiderio che il sentimento interiore dell’amore presto intensificò dandogli un certo gusto di dolcezza.


Ma dopo la caduta del primo uomo, quando con il raffreddarsi della carità subentrò nel mondo l’avidità, che portò a preferire l’egoismo alla solidarietà, l’avarizia e l’invidia offuscarono lo splendore dell’amicizia e della carità, e introdussero nei costumi ormai corrotti dell’umanità contese, rivalità, odi e sospetti. Allora si cominciò a distinguere tra carità e amicizia, avvertendo che l’amore era dovuto anche ai nemici e ai perversi, ma essendo anche evidente che tra i buoni e i malvagi non poteva esserci alcuna comunione di volontà e di propositi. L’amicizia, che all’inizio era vissuta, come la carità, da tutti e con tutti, rimase confinata per legge naturale a pochi. Questi, vedendo come molti violassero le leggi della lealtà e della solidarietà, si legarono tra di loro in un patto più stretto di amore e di amicizia così da trovare, in mezzo ai mali che vedevano e pativano, ristoro e quiete nella grazia dell’amore reciproco. Bisogna dire però che anche nelle persone in cui la vita disonesta aveva cancellato ogni senso di virtù, la ragione, che in essi non poteva spegnersi, lasciò in loro l’inclinazione verso l’amicizia e la compagnia, al punto che le ricchezze non potevano piacere all’avaro, o la gloria all’ambizioso, o il piacere al lussurioso, se non c’era qualcuno insieme al quale goderne. Anche tra le persone peggiori, infatti, si strinsero legami detestabili, che vennero nascosti sotto il nome dell’amicizia, ma che dovettero essere distinti da questa con giuste regole, per evitare che, ingannati da una qualche somiglianza, quelli che cercavano l’amicizia vera cadessero incautamente in quella sbagliata. Così l’amicizia, insita nella natura e rafforzata dall’esperienza, è stata alla fine regolata dall’autorità della legge.

L’amicizia e la sapienza

È chiaro quindi che l’amicizia è naturale come la virtù, come la sapienza, e come tutte quelle cose che, per la loro bontà naturale, sono da desiderare e da praticare per se stesse. Tutti quelli che le posseggono, poi, sanno farne un buon uso, e nessuno ne abusa.
Giovanni: Scusami, ma non sono tanti quelli che abusano della scienza o ne traggono motivo per vantarsi di fronte agli altri o si insuperbiscono o se ne servono in modo affaristico e venale, così come altri usano la loro apparente bontà per far soldi?
Aelredo: Qui potrà risponderti sant’Agostino, che ha scritto: “Chi piace a se stesso piace a uno stupido, perché è certamente uno stupido chi si compiace di sé”. Chi è stupido non è sapiente, e chi non è sapiente, non avendo la sapienza, non sa di niente. Come potrebbe dunque usare male la sapienza colui che sapiente non è? Allo stesso modo una castità piena di superbia non è una vera virtù, perché la superbia, che è un vizio, rende conforme a sé quella che era ritenuta una virtù, e perciò questa castità non è una virtù, ma un vizio abilmente camuffato.
Giovanni: Ti dirò con franchezza che non mi sembra logico che tu abbia collegato la sapienza con l’amicizia, dato che non è possibile fare alcun paragone tra le due.
Aelredo: Spesso le cose piccole e le grandi, le buone e le migliori, le deboli e le forti, anche se non coincidono, vengono accostate, soprattutto quando si tratta di virtù: se è vero che sussistono fra loro differenze di grado, ci sono però delle somiglianze che le avvicinano. Per esempio, la vedovanza è vicina alla verginità, la castità coniugale è vicina alla vedovanza, e anche se tra queste virtù c’è una grande diversità, tuttavia, proprio perché sono virtù, si può stabilire tra loro un qualche rapporto. La continenza coniugale non cessa di essere una virtù per il fatto che la castità vedovile sta su un gradino più alto, e anche se la verginità scelta per amore è ancora migliore, non per questo viene eliminata la bontà delle altre due.


Se fai bene attenzione a quanto ho detto dell’amicizia, troverai che essa è così vicina alla sapienza, e ne è così piena, che potrei affermare senza timore che l’amicizia altro non è che la sapienza.
Giovanni: Ti confesso che la cosa mi sorprende, e penso che non ti sarà facile convincermi di quanto hai detto.
Aelredo: Hai dimenticato quello che dice la Scrittura? “Un amico vuol bene sempre” (Pr 17,17). E ti ricordi quello che dice il nostro san Gerolamo: “Un’amicizia che può finire non è mai stata un’amicizia vera”? Che poi l’amicizia non possa sussistere senza la carità lo abbiamo dimostrato molto bene. Visto che l’amicizia è eterna, è fondata sulla verità e vi si gusta la dolcezza della carità, come pensi che sia possibile escludere da queste tre cose la sapienza?
Giovanni: Che discorso è questo? Allora posso dire dell’amicizia quello che l’apostolo Giovanni, l’amico di Gesù, dice della carità, che cioè “Dio è amicizia”?
Aelredo: Veramente non si dice così. Questa espressione non la si trova nella Scrittura. Però non esito ad applicare all’amicizia la frase dove l’apostolo Giovanni parla della carità: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). La cosa ti apparirà ancora più chiara quando cominceremo a parlare dei frutti dell’amicizia. Ora, se per quello che ha potuto fare la mia povera intelligenza, ho detto abbastanza su cosa sia l’amicizia, rimandiamo ad altro momento l’esame degli altri punti che mi hai chiesto di analizzare.
Giovanni: A dire il vero, per il desiderio che ho di ascoltarti, questo rinvio mi fa davvero soffrire. Concludiamo, visto che è l’ora della cena. È poi non possiamo far attendere gli altri, visto che devi ancora incontrarli.

[Modificato da Caterina63 10/08/2013 14:39]
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